Tumgik
storyofatwilightboy · 7 years
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Scherzi telefonici, vuoti storici ed età di vita pt. 3: Tu eri chiara e trasparente come me...
Ero in bagno, era notte, e avevo appena finito di lavarmi le mani. Il santo iPhone 4S era poggiato su uno sgabellino in legno e vimini accanto alla tazza del cesso, quando ricevetti la notifica di Facebook:
Alice (Kim) ti ha inviato una richiesta di amicizia
/mepensa: E chi è questa? [vedo la foto del profilo] Ah è rossa. E carina.
Accettai la richiesta di amicizia, e siccome non avevo nulla da perdere perché non avevo idea di chi fosse, decisi di rompere il ghiaccio con un messaggio.
“Ci conosciamo o hai la Burgos?”
La prof. Burgos è stata la mia professoressa di matematica alle superiori. Nonostante io investissi impegno nullo nella sua materia la mia predisposizione mi faceva essere il primo della classe, e quindi ero noto tra le sue restanti classi come uno dei suoi alunni preferiti. Dicono perché lei stessa facesse propaganda. Alice però non aveva la Burgos, mi aveva semplicemente intravisto a scuola, ad oggi non so chi le abbia dato nome e cognome.
Se vi sembra l'inizio perfetto di un piccolo grande amore vi ricontestualizzo un attimo il momento storico. Questo post viene pubblicato tre giorni dopo, la notte del mio compleanno, a posteriori dell'ultima cosa che potessi mai aspettarmi di vederci accadere. Non credo di essere stato eccezionalmente furbo nel nascondere l'ennesima frustrazione in un post evidentemente truccato, ma per chi non si fosse soffermato, leggete le maiuscole.
Alice aveva tre anni meno di me, i capelli di un rosso intenso e la pelle bianca come la carta, tanti interessi grazie ai quali ci siamo potuti scrivere senza esaurire i pretesti, e una timidezza sconfinata, quasi pari alla mia. Ci passavamo accanto nei corridoi scambiandoci un'occhiata sperando al contempo che l'altro se ne accorgesse e il contrario di ciò; quando una volta trovai la scusa di prestarle un fumetto (grazie, Zerocalcare), ci passammo accanto come le altre volte, la fermai, le porsi l'albo, ci scambiammo un saluto imbarazzato e ci defilammo. Solo uno stupido con l'autostima sotto i piedi (e qui mi appare una freccia lampeggiante sulla testa) non si sarebbe accorto subito che le interessavo almeno tanto quanto lei interessava a me.
Alice aveva un'amica nella sua immagine del profilo, Junia, sua compagna di classe, e in quel momento anche sua migliore amica. Quando me la vidi partecipare al progetto del Concerto di Fine Anno ebbi la sensazione che mi si stesse parando davanti un'opportunità, o meglio, più opportunità, tutte passanti per la strategia iniziale dell’amico affettuoso. Di cosa si tratta? Parte delle dinamiche amicali sulla normalità delle quali non sindaco, accennate nel post precedente, consisteva in ragazzi del gruppo che si comportavano in modo estremamente affettuoso (gli inglesi direbbero touchy-feely) con le ragazze del gruppo, con una confidenza per me disarmante; tali atteggiamenti in un modo o nell'altro erano sistematicamente bene accetti, anche fuori dalla prospettiva di un eventuale coinvolgimento sentimentale. Io mi ero bruciato questa carta con il gruppo semplicemente non facendolo con naturalezza, ma Junia era un contesto totalmente nuovo, non aveva idee pregresse su di me.
Essere l'amico affettuoso con lei, oltre alla immensa autogratificazione, avrebbe potuto portare o all'ottenere il suo interesse sentimentale, oppure, seguendo uno stratagemma estremamente classico di giochi amorosi adolescenziali, all'ottenere la gelosia e di conseguenza l'interesse di Alice. Win/win. Junia per mia immensa fortuna rispose in pochi giorni ricambiando la mia prima cauta, poi decisa confidenza, e finii per diventare suo amico mentre con Alice mi scambiavo a malapena il saluto: abbracci, bacetti e selfie specchiandoci nello smalto nero del pianoforte a coda del conservatorio suscitavano in chiunque ci vedesse la reazione “Oh please, get a room!”. Io dal canto mio ero abituato a questi scambi di effusioni tra amici, e anzi ero stato messo in guardia dall'esperienza contro il leggerci qualcosa, e forse anche forte di questa normalizzazione continuavo in tutta convinzione a fomentare un'amicizia che si faceva sempre più fisica, davanti agli occhi di Alice che nel frattempo aveva iniziato a stare con noi in quanto amica di Junia. Quindi io lasciavo intendere ad Alice che mi piacesse Junia, mentre avevo detto chiaro e tondo a Junia che mi piaceva Alice. Cosa mai poteva andare storto?
Tra una ricreazione, un'uscita da scuola e un rientro per il Concerto, Gennaio si fece Giugno (sì lo so, sono tanti mesi per cucinarsi una ragazzina, ma era la cosa più bella del mondo). Le prime volte al mare erano scandalose con Junia, ma la tensione con Alice iniziava a crescere, finché un bel giorno in mezzo al mese, tornando dalla spiaggia, lei mi prese la mano.
La più grande, bella, fragrante, sincera emozione che io abbia mai tuttora provato. Il primo bacio inesperto, imbarazzato, genuino e timido del 14 Giugno quasi sfigura al confronto. Andai al mare solo con Junia il giorno dopo. Stemmo lunghi minuti stesi sul molo, lei sopra di me, a guardare le nuvole in silenzio, e io anche allora non ci lessi niente. Nulla era andato storto.
Passammo l'estate per capire cosa fossimo, a incontrarci clandestinamente (perché i suoi non mi avrebbero accettato, e soprattutto non così grande), a esplorare lunghi silenzi tesi prima di baciarci, a percorrere e forzare i confini dei nostri vestiti. Dopo quel primo bacio venne a casa mia una volta, con un trucco, stavamo per spogliarci a vicenda e comprimere chissà quante piccole prime volte in quella singola mezz'ora; avevo troppa paura di forzare la sua volontà, però, e non riuscii a sollevare quel maglioncino oltre l'ombelico, il che paradossalmente la inibì, dilazionando quel processo lungo mesi, fatti appunto di tante piccole prime volte. Gran parte di me è contenta che sia andata così. Tre mesi di corpi timidi e di menti ancora più timide che conoscevano l'altro e piano piano si affidavano ogni intimità, fisica e mentale. Tre mesi passati al telefono ogni notte per ore, a raccontarci tutto l'uno dell'altra e a dirci carinerie vacue, le più importanti (chiamavo il suo cellulare dal fisso di casa, fingendo di ignorare che stavo caricando una tariffa enorme: a settembre arrivò una bolletta con surplus di €200). Rifarei tutto per quei tre mesi? Probabilmente sì.
Poi venne l'autunno, e con l'autunno la scuola. I nostri incontri clandestini si prolungarono negli ingressi, nelle ricreazioni ad esplorare gli anfratti del liceo. Ma incombeva su di me un'ombra che quella meravigliosa estate era riuscita a farmi dimenticare, ma che nulla avrebbe potuto con tanta facilità spazzare via. Ogni giorno tornava a sedersi, a pochi banchi dal mio, Ginevra (Frail, Victoria, avete presente). Dimenticarmi letteralmente della sua esistenza mi aveva regalato un'estate fantastica, ma il tempo delle mele era finito lì.
Il dolore che avevo provato per lei mi aveva portato a volerla fuori dalla mia vita, ma Ginevra, nella sua volontà (non azzardo bisogno) di essere amata da tutti, non avrebbe mai potuto accettare di essere rimossa, né tantomeno di vedermi scomparire. Solo ora posso capire questo suo rifiuto. Ricominciammo a scriverci ogni tanto, a incontrarci, e nel tempo che passavo con Alice mi facevo piano piano più opaco. Una volta, abitando loro vicine, mi fermai a pranzo da Ginevra per poi passare il pomeriggio con Alice; tornato a cena da Ginevra questa mi convinse a restare a dormire da lei. Era un simbolo di riconquistata amicizia per lei, mai sarebbe potuto essere altro: spesso e volentieri avevamo dormito in gruppo a casa sua, quindi io al solito non ci ho letto niente. Commisi l'errore di non dirlo subito ad Alice, fino alla mattina successiva, creando dei giusti sospetti.
Non riesco ormai a ricostruire la consequenzialità dei fatti, e questo mi mortifica. Ad un certo punto dissi ad Alice che la amavo, un primo “ti amo” insicuro e poco convinto, lo sentivo come necessario. Lei mi amava già, io ero già distratto, una maledetta distrazione di cui nemmeno mi accorgevo, che ingrigiva le emozioni e toglieva i pensieri e le cose belle. Un giorno, senza sapere o capire perché, commisi l’harakiri relazionale definitivo: confidai all'amica più stretta di Alice che provavo ancora dei sentimenti per Ginevra.
Il suo volto in lacrime quel pomeriggio all'Open Day fu la cosa più dolorosa. Avevo preso la sua beatitudine e l'avevo infranta contro i miei complessi, solo per un tentativo inconscio di disfarmi di lei. L'ingenuità sentimentale, l'innocenza e la fiducia per cui forse senza saperlo l'avevo amata prima non avrebbero mai più fatto ritorno nei suoi occhi. Una parte di me perde tempo a pensare che lì, in quel momento avrei dovuto lasciare che finisse, e limitare i danni. Ma ancora una volta ero troppo insicuro per vedermi senza di lei, le volevo troppo bene per pensarla lontana da me, senza un'occasione per riparare. Lei aveva trovato non so quante cose in me in quei mesi, e sebbene in quel momento le avesse perse tutte, si aggrappava a me nella speranza di ritrovarle. Dipendevamo già l'uno dall'altra, eravamo giovani, deboli e ci sentivamo soli. La nostra relazione morì quel giorno, ma noi ce la saremmo portata dietro per anni.
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storyofatwilightboy · 7 years
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Scherzi telefonici, vuoti storici ed età di vita pt. 2: Voglio raccontarVi una storia
Tutti noi pensiamo di sapere cosa sia il narcisismo: è quella condizione in cui ti trovi bello, affascinante, ti compiaci di come sei, ti senti superiore agli altri e li guardi tutti dall'alto in basso. Quando si cerca di associare mentalmente una figura umana al narcisismo la prima che viene in mente è un bel tronista seduto a fare il provino del Grande Fratello.
Ma il narcisismo in realtà è una cosa molto più sottile.
Uno dei primi motivi per cui questo blog è giunto all'esistenza è stato, nella mia ingenua analisi interna, il bisogno di trovare uno sfogo alle mie pulsioni narrative. Raccontare è una cosa che mi accompagna fin dall'infanzia, fin da quando ho memoria. Immagino che sia la norma che un bambino abbia fantasia, non so quanto sia invece comune che un bambino si includa nelle fantasie come personaggio, spesso prendendo spunto o estendendo mondi fantastici proposti da libri, film, cartoni, costruendo storie su storie e lunghissime peripezie. Tutti racconti, ovviamente, che io facevo nella mia mente e a me stesso (raramente ne condividevo porzioni, omettendo il mio protagonismo), e che erano interessantissimi e avvincenti e ricchi di suspense.
Le relazioni personali, per usare una litote molto intensa, non sono mai state il mio forte, ma diciamo che con il tempo sono sempre andato migliorando. Se ne deduce che tutto il periodo fino alle medie (incluse) è stato, per me, un inferno fatto di insofferenza, incapacità di comunicare e di conseguenza integrazione nulla o quasi: tutti gli sforzi dei miei compagni, che solo ora posso vedere, tutti i tentativi di integrarmi si scontravano contro il mio disinteresse. Del resto, chi mai avrebbe potuto capire? A chi mai avrei potuto rivelare i miei mondi interiori, quando tutti si interessavano di giocare a pallone, figurine (che io non avevo), Dragonball e videogiochi (che nemmeno avevo)? E via via i miei racconti rivolti a me medesimo si facevano sempre più interessanti e convoluti, ed io sempre più protagonista, ed io avevo sempre ragione e tutto andava come dicevo io. Nella mia testa. Fuori, ero probabilmente un bambino un po' strano, se non sociopatico.
Nonostante tutto non mi piaceva essere l'escluso. Attendevo il passaggio alle superiori prospettandomi in esso l'occasione per scegliere, per decidere con chi stare, a fronte di tanti anni passati buttato in mezzo a persone qualunque che con me non avevano niente in comune (sempre nella visione interna). Per questo ho scelto il liceo classico, non perché mi piacesse il greco (lo studiacchiavo incuriosito, ma non ero tanto dedito da investirci cinque anni), ma perché mi ero fatto l'idea che tra quelle aule cariche di pensieri grandi e di studio avrei trovato una selezione di compagni, con la quale ripartire da zero e trovarmi a mio agio. Silly me.
La mia buona volontà nel ricominciare, tabula rasa, non poteva certo sopperire alla mia inettitudine sociale; del resto avevo passato otto anni di scuola facendo zero pratica di interazione, ed ero quindi sostanzialmente indietro sulla tabella di marcia. La buona determinazione mi ha consentito di farmi degli amici, ma il divario di esperienze si è fatto sentire subito quando l'adolescenza ha cominciato a richiedere da me nuovi schemi sociali, ed io ero ancora intento a scoprire quelli vecchi. Io cercavo ancora di capire come muovermi per conoscere le persone quando tutti avevano capito che la next big thing era riuscire ad essere fighi, autodeterminarsi, valere più della propria ombra. Troppo difficile.
Ora, io non ho esperienze di adolescenza al di fuori di quella che ho (o non ho) vissuto, sia nel senso che non so come sarebbe apparsa la mia esperienza sociale se l'avesse vissuta qualcun altro al posto mio, sia come io avrei vissuto l'adolescenza in altri ambienti. Sta di fatto che nel mio ambiente erano sorte delle dinamiche, che io, non conoscendo altro, dovetti qualificare come naturali. Le dinamiche del dire senza dire, far sapere senza far sapere, manipolare volontariamente o involontariamente. Se non sei e non ti senti un leone, tertium non datur, sei una pecora. O almeno questa era l'impressione che avevo io. Ci ho messo un po' per accorgermi che non c'era nessun leone in quel gruppo, solo persone che avevano paura di non esserlo e persone che se ne fottevano altamente, per quanto l'adolescenza possa consentirti di fottertene di ciò che gli altri pensano di te.
L'altra next big thing era ovviamente il sesso. O meglio, il nostro cervello animale che suggeriva al nostro cervello sociale che sarebbe stata ora di rodare i nostri apparati riproduttivi, scatenando quel grandissimo dono di Dio che è il teen drama. E da cosa bisogna passare per arrivare a una relazione sentimentale? Esatto, bisogna passare dall'interazione sociale. Ma tu guarda, proprio l'attività in cui io sono incapace.
La cultura pop è piena di rimandi allo stereotipo dell'adolescente rifiutato (v. American Pie), e questo non mi ha certo aiutato a inspirare a fondo e gettarmi nella mischia. Piuttosto, le mie autonarrazioni fantasy e fantascientifiche si sono trasformate in sitcom, in cui io, povero protagonista rifiutato, ero l'oggetto dell'immedesimazione dello spettatore, sempre io, che trovavo tutte le vicende narrate struggenti ed entusiasmanti; per non parlare delle proiezioni, di quello che sarebbe dovuto succedere (ovviamente mai nulla ne è successo) se fossi stato veramente il protagonista dei fatti narrati.
Quando non molto tempo fa ho parlato con Davide di questo blog, e di tutte queste meccaniche di cui dopo anni di analisi sono riuscito a diventare consapevole (avevo rimosso l'esistenza del blog stesso ad un certo punto) lui mi ha subito detto: «Ah, ma è un comportamento narcisista!». Sì, Davide studia psicologia. Quante mie seghe mentali si è dovuto sorbire e si sorbirà.
Narcisismo era la stessa parola che figurava sugli appunti della mia analista e che lei stessa ogni tanto mi aveva accennato, senza che io minimamente collegassi; poi Davide mi ha spiegato il senso di questa caratterizzazione.
«Il Narciso si specchia nel lago e spera che ciò che vede non sia una sua proiezione, ma piuttosto si illude che sia un altro concreto».
Sono stato incompleto. Lo spettatore del mio teatro mentale non ero io. Era un voi, ma un voi interno. Ero al contempo io, e tutti gli altri, un pubblico infinito che si rispecchiasse nelle mie vicende, in cui avere il riscontro che non trovavo negli altri. Elevavo me stesso a modello di essere umano, rifiutando chiunque non fosse nel profondo simile a me. Questo è il mio narcisismo.
Dopo il mio primo vero rifiuto ad opera di Thirtythree (aka. Valeria. Se stai leggendo, ciao Valeria, e perdonami l'imbarazzo costituito sia da questa menzione che da tutti i coinvolgimenti in questo blog), il voi immaginario non mi è bastato più. Avevo bisogno di sottoporre i miei pari allo stesso flusso di racconti e di riceverne validazione, quindi ho ripescato dalla mia mente l'esistenza di Tumblr e ho aperto questo blog.
E qui comincia la parte disturbata. Una buona parte dei personaggi delle mie storie, quelli che erano i miei amici nella cerchia di conoscenti, mi hanno seguito su Tumblr, affascinati non so da quale lato della faccenda (non credo fossero tutti disfunzionali come me), magari solo per mettersi alla prova nello scrivere, magari perché sembrava loro una specie di Diario 2.0, o forse semplicemente per seguirmi per una volta in qualcosa. Io inizialmente cercavo il mio pubblico reale nel popolo dell'Internet (da cui ho avuto tra l'altro riscontro minimo), quindi avrei dovuto essere intimorito dallo scrutinio dei personaggi dei racconti in cui mi ero votato ad un'aderenza maniacale ai fatti (per motivi di storicismo, che spiegherò in un altro post), sui quali personaggi avrei probabilmente avuto cose spiacevoli da scrivere prima o poi.
E invece no. Ci sguazzavo. Tumblr mi dava (e più avanti, ci dava) modo di comunicare con gli oggetti delle mie (nostre) pippe mentali senza dovermi (doverci) effettivamente rivolgere a loro, saltando quindi tutta la tiritera di affrontarci faccia a faccia, giustificando nella scusa dell'aderenza alla realtà un'onestà inaccettabile in qualunque contesto di interazione sociale propriamente detta.
E cosi è partita la carovana. Ogni volta che mi infatuavo perdutamente di un'altra era una nuova storia, raccontata come ad un diario, nell'assurdo che gli oggetti stessi della cotta vivevano in tempo reale lo svilupparsi dei miei sentimenti nel più totale imbarazzo, per non parlare poi di quando queste osavano mettersi con altri amici: lì le meccaniche sconfinavano in una aggressività verbale di cui io stesso oggi rileggendo mi impressiono, che ovviamente finivano per diventare la mia unica formula di confronto con queste persone.
Man mano che il volume di testo cresceva, in barba alla mia abituale incapacità di impegnarmi a fondo in qualsiasi progetto, il corpus di post prendeva sempre più la forma di una narrazione completa di intreccio e tutto: questo rafforzava dentro di me il processo narrativo narcisistico. Ogni drama, ogni passo che aggiungeva distanza tra me e gli altri, era una tensione romantica in più da risolversi nelle illusioni che non scrivevo, confidando che un giorno le avrei potute scrivere come racconto di verità.
Poi il 13 Dicembre 2012 mi è arrivata una richiesta di amicizia.
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storyofatwilightboy · 7 years
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Un sogno atipico
Sono al computer, che è all'ingresso di casa. Di solito non si trova lì, ma stavolta sì. Sono in mutande, i miei vestiti sono piegati e posti su un mobile accanto a me. Mio fratello sta cazzeggiando nel soggiorno, oltre il corridoio.
Mentre anch'io sto cazzeggiando al computer, noto che le temperature stanno scendendo, l'estate è quasi finita del resto, e vorrei indossare qualcosa di comodo. Penso a una vestaglia che mi piace, ma ricordo di averla salita a Milano, in previsione del trasferimento. Tiro un sospiro, mi alzo, mi dirigo verso le scale, chiedendomi cosa mai avrei trovato di comodo nell'armadio.
Mi risveglio. Sono nel treno, sono le sei e mezza di mattina. Abbiamo raggiunto Bologna. Tra tre ore arriverò a Milano Centrale.
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storyofatwilightboy · 7 years
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Scherzi telefonici, vuoti storici ed età di vita pt. 1: Backfire
Le luci arancioni illuminano malamente quella che a malapena si può chiamare "zona industriale di ***", le zanzare assediano la macchina del Saggio parcheggiata al bordo della strada mentre la notte incede priva di stimoli. È un pattern che ormai si ripete più volte a settimana: cena, zona industriale, sigaretta, niente di fatto. Nonostante spesso cerchi di spingere la sua ricerca di emozioni nuove oltre i paesani confini, lo ncrisci[1] ha il sopravvento in lui. Ogni tanto becchiamo sua sorella e ragazzo, invischiati nello stesso ciclo esistenziale, e condividiamo qualche conversazione vuota. Senonché l'ultimo di questi incontri è stato occasione per la sorella di rivelare che Il Saggio ha un supposto talento del quale non ero a conoscenza: gli scherzi telefonici. Questa sera stiamo scorrendo la rubrica in cerca di una vittima abbastanza cazzona da non prendersela male e contemporaneamente fornire un soggetto di scherzo divertente. Il Saggio diventerà magicamente Luca Vincenzi, dal centralino della AAI, Associazione Andrologi Italiani. Due numeri squillano a vuoto, anche dopo essere stati richiamati. «Sarà la diffidenza nel numero anonimo», concludiamo. Sto giusto per affondare la conversazione in discussioni psicoanalitiche, quando il suo telefono riceve un SMS.
Dimmi
«Come cazzo ha fatto ad avere il numero?» «Sei sicuro di saper usare l'anonimo?» «Sine, l'ho usato decine di volte con mio padre!» Pausa di riflessione. «Ma lui studia ingegneria dell'informazione, ci deve essere un qualche numero del gestore che si chiama e ti dice il numero di chi ti aveva chiamato...» La delusione iniziale si trasformò in uno sguardo d'intesa, quando intuiamo di poter usare la situazione a nostro vantaggio. Subito Il Saggio scatta su WhatsApp. «Che immagine mettiamo? Qualche figa dimmi!» «Metti...metti quella Erasmus della Lituania[2]!» Ed è subito fake. Una procace lituana ha intravisto il nostro collega durante le serate di scambio culturale e ha deciso di approcciarsi con tutta la sfrontatezza che solo le Donne dell'Est possono permettersi.
Noi: Ciao, sì ti avevo chiamato, non so se ti ricordi di me :) Lui: Chi sei? Noi: [rimosso] Lui: [rimosso], la ragazza lettone? Noi: No, sono lituana -.-
«No, sono lllituaanaa...», le faccio il verso io mettendomi a ridere.
Lui: Scusa Noi: Ci sei andato vicino ;) Lui: Chi ti ha dato il mio numero? Noi: Non posso rivelare le mie fonti ;D Lui: [Emoji che ride gigante] Noi: Ti avevo chiamato per sapere se stavi in giro Noi: Per caso
«Speriamo che la batteria tenga...» «A quanto sta?» «3%...» Mi appoggio con la faccia al finestrino e guardo l'aiuola mediocre a lato della strada. Il cellulare vibra. «Sai chi sia questa...[momento di elaborazione pronuncia]..."Thirtythree"?»
E no, non ha pronunciato il nome IRL, ha pronunciato proprio lo pseudonimo. Il mio collega sa del blog. Merda. «Merda!», urlo mentre gli strappo incredulo il cellulare dalle mani. «Eh? Che è?» «È uno pseudonimo che uso sul blog!» «E come cazzo ha fatto ad averlo?» «Ma non lo so!!»
E da lì è stato un gioco di una decina di minuti in cui noi fingevamo di essere lei e di essere intenzionati a conoscerlo, mentre lui ogni tanto sputtanava poesie/passaggi melodrammatici. Ci siamo arresi e l'ho chiamato: aveva rintracciato il blog nel primo giorno in cui avevo riaperto il profilo Instagram, prima che lo scollegassi dal profilo. È già tipo una settimana che lo sta leggendo. È la prima volta che ho un riscontro diretto da un lettore esterno ai fatti, e sono travolto da un miscuglio di sentimenti contrastanti. Torno a casa alle 23.30, mi metto subito a letto, ma mi addormento alle 2. Passo quelle due ore a scorrere Tumblr, a cercare blog simili al mio come mi ero recentemente ripromesso di fare, ma trovo solo raccolte di racconti e flussi di pensiero vomitati in post con l'iniziale minuscola e senza il punto alla fine. Nel mentre che avevo abbandonato il blog, in questi ultimi quattro anni e passa, alcuni personaggi di esso hanno continuato ad aggiornare il loro con reblog e pensieri deprimenti (nulla da biasimare, anche i miei sono pensieri deprimenti, solo con qualche storia intorno). Ho avuto un assaggio di cosa sia successo loro in questi quattro anni, ho avuto modo di rendermi conto che la loro vita è andata avanti, con le relative montagne russe emotive che ultimamente non vedevo da un po'. Ho rivisto vulnerabilità che negli incontri occasionali e saluti da dieci minuti non potevo chiaramente vedere, ma che mi hanno ricordato su quali piani ho sviluppato l'empatia con queste persone, con cui ultimamente mi sembrava di non aver più nulla in comune. Non è stata un'insonnia poi così cattiva in fondo; è stata un'insonnia turbolenta ma nostalgica, la testa dolorante dal bisogno di riposo, la mente incollata al flusso di informazioni che minacciava di negarmi il sonno per dispetto se anche avessi deciso di mettere giù il cellulare e girarmi dall'altra parte. Sono giunto alla tregua con me stesso concordando di scrivere, scrivere di quello che è successo in questi quattro anni, di cosa ha portato agli eventi di questo post e di riflessioni sulla natura stessa di questo blog, e sulle eventuali necessità di riavviarlo o di chiuderlo definitivamente. Tanto sappiamo tutti che lo scrivo solo per me stesso.
1: Ncrisci: Termine dialettale indicante l'insufficienza di volontà nel fare qualcosa. 2: Non mi va di inventare pseudonimi inutili.
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storyofatwilightboy · 9 years
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Humanitas
E così, D'improvviso, Temo la morte, Il mio tempo che scorre.
E quando cerco per calmarmi Di capire, Scopro che ancor più paura Mi dà la sua negazione.
Ciò che non è morte, Ciò che sia la vita, E ‘l guardarmi dentro.
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storyofatwilightboy · 10 years
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Perché sono indignato
Sono indignato perché dodici persone sono morte pur essendo state alle regole, e la risposta alla possibilità del loro piccolo angolo di vittoria è stata una mattanza. Sono indignato per coloro che sono stati attraversati dal disgusto nel sentire dalle fonti la frase "Allah è il più grande", ma che ore dopo non hanno problema a rendere onore e gloria al Signore loro Dio. Sono indignato perché si pensa ancora che la guerra in questione sia "Musulmani contro l'occidente", perché nessuno tratta abbastanza né ricorda le stragi e gli attentati nel nome del Dio cristiano. Sono indignato perché sono certo che da qualche parte nel mondo dei bambini, appresa la notizia da fonti ufficiali, avranno ringraziato e lodato Allah. Non per Allah. Per i bambini. Sono indignato perché ormai niente è più per caso, e perché le strumentalizzazioni dopo (o prima di) questa vicenda trascinano le persone a giudicare dall'una o dall'altra parte, riuscendo così a manipolare le attenzioni, al modico prezzo di dodici morti. Sono indignato per coloro che inneggiano a Charlie Hebdo senza averne mai sentito parlare prima. Sono più coerente con me stesso precisando (non ammettendo) che non conoscevo il giornale prima di ieri; ma conosco la satira, conosco la disperazione del sarcasmo come ultimo mezzo di divulgazione, e tanto mi basta per intravedere la somiglianza di questo fatto ai sistemi repressivi di un regime. Sono indignato per chi crede che siccome le vittime avevano avuto un "avvertimento" (peggio dei peggiori mafiosi avvertimenti) del rischio che avrebbero corso continuando, forse il loro sacrificio non vale tanto, né c'è tanto da stupirsi di come tali minacce siano culminate. Sono indignato perché sento riecheggiare i gridi di guerra e le esplosioni della jihad (di qualsiasi dio) in ogni Angelus contro l'omosessualità e la contraccezione, in ogni omelia contro quelle due che sfilavano in testa al corteo dei comunisti, in ogni notizia di violenza domestica raccontata di sfuggita dai telegiornali, in ogni donna che abbassa lo sguardo quando il marito la zittisce, in ogni figlio che impara dal padre che il suo ruolo è tacere e obbedire e che tale sarà il ruolo dei suoi figli nei propri confronti, in ogni figlia che si sente chiamare puttana della sua famiglia nel momento in cui scopre l'amore. Sono indignato per chi venendo a conoscenza di queste mie idee mi accuserà dentro di sé di essere uno sporco intollerante religioso, perché si sentirà in dovere di fare lo stesso se i suoi figli vorranno mai liberarsi dalla morale di mediocrità in cui saranno stati allevati. Sono indignato per la pluralità delle convinzioni che ci sia tanta differenza tra le settantadue vergini che aspettano i kamikaze di Al Qaeda ed il tesoro nel regno dei cieli di chi brucia la propria vita nella gloria del Signore. Solo più lentamente.
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storyofatwilightboy · 10 years
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Mancanze
Chi lo sa com'è Entrare in casa sua E sentire il calore, Poter rispondere con un sorriso, Vero, Quanti di voi lo sanno?
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storyofatwilightboy · 10 years
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There's certainly a strong element of what bands like King Crimson, Pink Floyd were doing in the late 60s / early 70s, and that form of music will always stand for progressive music, and I think at the time it was genuinely progressive, but I think all the music that has been made under that band since then has been the opposite, very kind of nostalgic and very regressive, so what we are trying to do is spring back the progressive element, the modern element to that, by bringing more elements of contemporary culture and current use of technology like sampling, aspects of clubmusic and ambient music into the music, to make it progressive again, in the true sense of the word.
Steven Wilson (1997)
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storyofatwilightboy · 10 years
Conversation
She just watched the end of time for the first time
Me: and when he says "I don't wanna go"? That wasn't scripted. That was David tennant
Friend: WHY WOULD YOU TELL ME THAT
Me: because I need you to feel what I feel
Friend: I do!!! I'm already miserable!!
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storyofatwilightboy · 10 years
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Ricordi
Ricordi, Osservare incantato ogni nuova Increspatura nelle tue emozioni, Ascoltare melodie inedite E prive di nome? E non riuscire a comprendere La nostalgia degli adulti?
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storyofatwilightboy · 10 years
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#instazione n°2
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storyofatwilightboy · 10 years
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#instazione n°1
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storyofatwilightboy · 10 years
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Summer
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storyofatwilightboy · 10 years
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Basta
Voglio cadere addormentato E non svegliarmi più, Finché non ci sarai solo tu, E pace.
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storyofatwilightboy · 11 years
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I diciott'anni Le ansie, le speranze Le incompletezze Non torneranno più. Il tempo che ti è mancato Non ti sarà restituito. Solo avrai la magra consolazione Che non avresti potuto viverli meglio In ogni caso.
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storyofatwilightboy · 11 years
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...che ogni mattina, dopo averla sognata per la notte intera, e più volte, ne sono certo, in più sogni averla sognata, si affretta (il mio inconscio) a rimuovere ciascun sogno della mia mente, consapevole del danno che un sogno di tale serenità e bellezza, lasciato agire indisturbato, potrebbe provocare.
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storyofatwilightboy · 11 years
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