Tumgik
#24 persone accusate di corruzione
Droga e cellulari in carcere, 24 misure cautelari
I carabinieri del Comando provinciale di Trapani e il personale del Nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria stanno eseguendo misure cautelari disposte dal gip nei confronti di 24 persone. Secondo l’inchiesta, coordinata dalla Procura di Trapani, nel carcere della città attraverso dei droni sarebbero stati fatti entrare droga e cellulari. Accuse a vario titolo, di corruzione,…
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fabriziosbardella · 2 years
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Il GIP di Ancona ha accusate 24 persone di corruzione e ha disposto l’esecuzione delle misure per otto di loro. #turbativadasta #corpoforestaledellostato #24personeacusatedicorruzione #corruzione #regionemarche #truffaaggravata
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corallorosso · 6 years
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Il senso del pm Zuccaro per le missioni umanitarie diCHECCHINO ANTONINI C'è un procuratore, a Catania, che ricorda certi ossessionati pretori degli anni ’60 che facevano sequestrare certi giornaletti in tutte le edicole del territorio nazionale perché ritenuti offensivi al comune senso del pudore. Probabilmente ritenevano che quella crociata fosse più urgente di qualsiasi altra criticità. Erano i tempi in cui autorevoli esponenti del partito di maggioranza relativa si sbracciavano a ripetere che «la mafia non esiste». Mezzo secolo dopo, a Catania, c’è un procuratore che la mafia non sembra neppure vederla, a Catania, né roghi tossici o corruzione, a Catania. Guarda il mare, quel pm ma vede solo Ong non il via vai di navi di contrabbandieri di petrolio tra la Libia e qui. Probabilmente perché chi salva le vite in mare offende il comune senso del razzismo. Ieri come allora, quel genere di magistrati è l’idolo dei benpensanti, dei fascisti o post-fascisti. Come Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia, che si spiccia a dare la notizia: «Sequestrata la nave Aquarius e indagati 24 membri (in realtà sono 14, ndr) di Medici senza frontiere per traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi a rischio infettivo, scaricati illegalmente nei porti italiani. A quanto pare il business di questa Ong non si limitava al solo traffico di esseri umani. Ma loro non erano “quelli buoni”?». Con cinque navi umanitarie attive in tre anni di operazioni in mare, Msf ha soccorso oltre 80 mila persone in coordinamento con le autorità marittime e nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali. Probabilmente sono i buoni, più di Meloni, almeno. La nave Aquarius, l’unica rimasta con a bordo un team medico di Msf, oggi è bloccata nel porto di Marsiglia dopo due revoche della bandiera in due mesi, «per concertate pressioni politiche», ricorda la Ong. «Ho fatto bene a bloccare le navi delle Ong, ho fermato non solo il traffico di immigrati ma da quanto emerge anche quello di rifiuti. #portichiusi?», dice pure il ministro dell’Interno Matteo Salvini per il quale quello stesso procuratore ha chiesto l’archiviazione dall’accusa di sequestro di persona e abuso d’ufficio per il vergognoso trattamento dei 177 migranti a bordo della Diciotti trattenuti in porto, a Catania, tra il 20 e il 25 agosto. Il procuratore è sempre lui, Carmelo Zuccaro, e oggi ha di nuovo bucato lo schermo con questa inchiesta “bomba” ma c’è un sacco di gente che continua a ritenerla una montatura. Anche nella stessa procura di Catania che finora ha richiesto l’archiviazione per le sue precedenti azioni contro le Ong «perché il fatto non sussiste». «Il momento dello sbarco dei migranti è tra i più controllati: salgono a bordo delle nostre navi forze di polizia e autorità sanitarie. Assurdo che avremmo messo in piedi un traffico illegale di rifiuti sotto gli occhi delle autorità presenti nei 200 sbarchi gestiti da noi», spiega il direttore generale di Msf Italia, Gabriele Eminente, in una conferenza stampa convocata dopo il sequestro. Gianfranco De Maio, medico di Msf, ha in particolare contestato la ricostruzione dei magistrati sui presunti rischi legati alla diffusione di malattie infettive determinati dalla scorretta gestione dei rifiuti: «È stata attaccata la professionalità mia e dei miei colleghi che lavorano in Paesi dove ci sono ebola e colera. Sono accuse ridicole. L’Organizzazione mondiale della sanità assume le nostre linee guida sullo smaltimento dei rifiuti. Pensare poi che la tbc o le epatiti si trasmettano attraverso i vestiti è assurdo». «Sorpresi e indignati per le accuse rivolte», i portavoce di Msf chiariscono di non sentirsi «al di sopra del giudizio della magistratura». «Ma negli ultimi due anni – ricordano – la nostra attività è stata scandagliata in ogni dettaglio. È un’accusa singolare e sproporzionata. Si sta bloccando una nave che è già stata bloccata con la revoca della bandiera. Un’organizzazione come la nostra, che da 50 anni è presente in tutto il mondo, che ha avuto il Nobel per pace oggi è accusata di aver messo in piedi un’attività di illecito smaltimento di rifiuti per conseguire un profitto che però rappresenta il 2% delle nostre risorse dovute per la stragrande maggioranza alle donazioni». Ma forse l’accanimento sulle Ong punta proprio a questo: «La linea della criminalizzazione della solidarietà attuata nell’ultimo anno e mezzo – ha osservato il direttore di Msf – ha prodotto un impatto molto forte sulla nostra capacita di ricevere donazioni da privati. Abbiamo sofferto un calo nei momenti più critici del 20%. Noi siamo fragili, il nostro patrimonio è la reputazione e per questo le parole sono come macigni. Meno donazioni significa meno attività nei 72 Paesi in cui siamo presenti». «L’odore della strumentalità e della propaganda è forte» anche per l’Arci. «Per quanto tempo ancora la procura di Catania continuerà a usare l’azione giudiziaria per fare propaganda politica, ai danni delle attività di ricerca e soccorso in mare? Ribadiamo la necessità di un intervento civile nel Mediterraneo per salvare vite umane in assenza di programmi dei governi europei, impegnati a usare questo tema in funzione elettorale. Non possiamo continuare ad assistere ad una strage senza reagire. ... Si vuole, col cinismo dei carnefici, lasciare che uomini e donne continuino a perire nei campi di concentramento libici o in mare, nel quasi totale silenzio mediatico», commenta Maurizio Acerbo, segretario del Prc. Infine Erasmo Palazzotto di Leu: «Quella della Procura di Catania è un’azione persecutoria e ideologica volta a colpire sistematicamente le Ong. È l’ennesima inchiesta priva di fondamento utile soltanto alla diffamazione ed alla criminalizzazione di chi opera nell’umanitario».
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giuliocavalli · 7 years
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Il sindaco di Sergeno, lo zerbino dei mafiosi: le carte dell'inchiesta
Il sindaco di Sergeno, lo zerbino dei mafiosi: le carte dell'inchiesta Dopo «7 anni» di indagini sulla 'ndrangheta in Lombardia «posso dire che c'è un sistema» fatto di «omertà» e di «convenienza da parte di quelli che si rivolgono all'anti Stato per avere benefici». Così il procuratore aggiunto della Dda di Milano Ilda Boccassini ha commentato il maxi blitz avvenuto all'alba di martedì: 24 arresti - tra cui il sindaco di Seregno Edoardo Mazza e un dipendente della Procura di Monza, Giuseppe Carello - nelle province di Monza, Milano, Pavia, Como e Reggio Calabria, nell’ambito di un’inchiesta su infiltrazioni della ‘ndrangheta nel mondo dell’imprenditoria e della politica in Lombardia, inchiesta che vede tra gli indagati anche l'ex vicepresidente della Regione Mario Mantovani. Boccassini ha commentato che oggi, a 7 anni dell'operazione Infinito, «è facile» per le cosche «infiltrarsi nel tessuto istituzionale». L’inchiesta è coordinata dalla Procura di Monza e dalla Procura Distrettuale Antimafia di Milano. In tutto, 27 le misure cautelari: 21 in carcere, 3 ai domiciliari e 3 interdittive, firmate dai gip Pierangela Renda e Marco Del Vecchio. Le accuse: associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, lesioni, danneggiamento (tutti aggravati dal metodo mafioso), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. In particolare, un terremoto giudiziario scuote l’amministrazione di Seregno. Agli arresti domiciliari per corruzione è finito il sindaco in persona, il forzista Edoardo Mazza. Sotto accusa i suoi rapporti con il costruttore Antonino Lugarà (in carcere), considerato uomo vicino ad esponenti della ‘ndrangheta. L'imprenditore, come notato dagli inquirenti che hanno ascoltato le intercettazioni, trattava il sindaco come «uno zerbino». L’ipotesi sostenuta dai pm di Monza Giulia Rizzo e Salvatore Bellomo è che Lugarà abbia ottenuto la concessione di un’area del Comune brianzolo, la cosiddetta area «ex Dell’Orto», sulla quale realizzare la costruzione di un supermercato, come contropartita del sostegno e consenso elettorale procurato al sindaco di centrodestra durante la campagna elettorale del 2015. «Ogni promessa è debito», gli dice infatti il sindaco in un'intercettazione. Agli arresti domiciliari anche un consigliere comunale di Seregno, e inoltre sono state emesse tre misure interdittive all’esercizio di pubblici uffici, una delle quali riguarda l’assessore Gianfranco Ciafrone. Avvocato civilista, 38 anni, Edoardo Mazza è stato eletto nel 2015 nelle fila di Forza Italia alla carica di sindaco di Seregno, paese di 45mila abitanti in provincia di Monza. Per la sua elezione Lega e Forza Italia si sono compattate per sostenerlo. Molto attento ai social network, Mazza ama comunicare servendosi di Facebook. In alcuni di questi interventi, si è distinto per aver preso in mano un paio di forbici quando parlava degli stupratori di Rimini, o per le sue campagne contro i mendicanti, invitando i suoi cittadini a non dare l’elemosina per scoraggiare il loro arrivo in città. La solidità della coalizione di centrodestra ha mostrato i primi scricchiolii tra maggio e giugno di quest’anno, con le dimissioni del leghista Davide Vismara da segretario di sezione, alle quali sono seguite quelle della collega di partito Barbara Milani da assessore alla Pianificazione territoriale ed all’edilizia privata e poi quelle di due consiglieri comunali, anch’essi del Carroccio. Una «fuga» che alla luce dell’esecuzione della misura cautelare emessa nei confronti del primo cittadino dal tribunale di Monza per corruzione, suona oggi come una presa di distanza preventiva. L’inchiesta dei carabinieri, partita nel 2015, e che porta la firma dei pm monzesi Salvatore Bellomo, Giulia Rizzo e del Procuratore della Repubblica di Monza Luisa Zanetti e dei pm della Dia Alessandra Dolci, Sara Ombra e Ilda Boccassini, rappresenta una costola dell’indagine «Infinito», che nel 2010, sempre coordinata dalle procure di Monza e Milano, aveva inferto un duro colpo alle «locali» ‘ndranghetiste in Lombardia. Anche un dipendente dell'ufficio affari semplici della Procura di Monza, Giuseppe Carello, è stato arrestato in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari con l'accusa di rivelazione di segreti d'ufficio. Il procuratore della Repubblica di Monza Luisa Zanetti ha riferito: «Attraverso le sue credenziali accedeva alla nostra banca dati e rispondeva alle domande dell' imprenditore di Seregno indagato. Viene ascoltato mentre elenca gli indagati davanti alla nostra schermata, poi abbiamo una fotografia che inquadra l'imprenditore con il nostro dipendente». Il procuratore poi ha aggiunto: «Giuseppe Carello, ai domiciliari, ha violato la fiducia del procuratore e del personale giudiziario ed amministrativo che sono totalmente estranei ai fatto. Ha violato il giuramento alle istituzioni». Come riferito da Boccassini, «è stata individuata una delle persone che era rimasta fuori» dagli arresti dell'operazione Infinito del 2010, e che partecipò in quell'anno al noto summit in un centro intitolato alla memoria di Falcone e Borsellino a Paderno Dugnano. Sono stati identificati i boss della locale di Limbiate, ed è stato sgominato un sodalizio dedito al traffico di ingenti quantitativi di cocaina, con base nel Comasco, composto prevalentemente da soggetti originari di San Luca (RC), legati a cosche di 'ndrangheta di notevole spessore criminale. Nel corso dell'indagine sono stati ricostruiti, ha spiegato Boccassini, «episodi brutalmente e stupidamente violenti». Per esempio, un cittadino di Cantù che andava al lavoro alle 5 di mattina fu colpito con il calcio di una pistola ma non ebbe il coraggio di denunciare: «Non me lo chiedete perché ho paura e so che sono pericolosi», disse agli inquirenti. «La 'ndrangheta è l'associazione mafiosa più pericolosa perché si insinua nel tessuto economico e ha rapporti con le istituzioni. Bisogna scoprire questi legami e tagliarli di netto»: così il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, ex ministro dell'Interno ha commentato la maxioperazione in Lombardia. «Chi rappresenta il popolo nelle istituzioni - ha spiegato Maroni ai microfoni di Radio 24 - deve ovviamente stare lontano e rifiutare ogni rapporto con queste persone. Se poi qualcuno ci casca, è giusto che venga estromesso immediatamente dalla politica alle istituzioni». Mario Mantovani, consigliere regionale lombardo di Forza Italia ed ex vicepresidente della Lombardia, già arrestato due anni fa in un'altra inchiesta, è indagato per corruzione (non gli vengono contestati reati di mafia) in un filone dell'indagine. Da quanto si è saputo, l'accusa riguarda i suoi rapporti con l'imprenditore Antonino Lugarà, lo stesso che ha intrattenuto rapporti con il sindaco di Seregno. Mantovani ha scritto su Facebook: «Avvenuta perquisizione questa mattina presso i miei uffici in relazione ai fatti (su cui indaga la procura di Monza) di cui nulla so, che apprendo dai media di stamane e che sono lontanissimi dal mio agire politico e personale. Nulla è emerso. Sempre a disposizione della trasparenza e della legalità». Secondo la ricostruzione delle indagini, Lugarà avrebbe dato «la disponibilità e l'impegno a procurare consenso elettorale e l'appoggio politico» durante la campagna elettorale del maggio e giugno 2015 a favore di Mazza «nonché assicurando l'appoggio di Mantovani». «Ciao Mario ti ringrazio molto per la vittoria di Seregno è anche merito tuo, quando puoi ti vorrei incontrare», scriveva Lugarà in un sms. (fonte) L'ordinanza completa: clicca qui
Dopo «7 anni» di indagini sulla ‘ndrangheta in Lombardia «posso dire che c’è un sistema» fatto di «omertà» e di «convenienza da parte di quelli che si rivolgono all’anti Stato per avere benefici». Così il procuratore aggiunto della Dda di Milano Ilda Boccassini ha commentato il maxi blitz avvenuto all’alba di martedì: 24 arresti – tra cui il sindaco di Seregno Edoardo Mazza e un dipendente della…
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purpleavenuecupcake · 5 years
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Sindacati Militari e tutela del segreto investigativo
Dalla legna alla consegna, 41 secoli di espedienti per controllare l’azione penale (di Cleto Iafrate - Segretario Generale Sindacato Italiano Militari Guardia di Finanza) Se il potere emergesse nella sua nuda realtà, difficilmente sarebbe tollerato dal popolo. Da sempre quindi la manipolazione e il controllo dell’azione penale è attività che appassiona chi detiene il potere, in quanto strettamente connessa all’immagine e al consenso. Non c’è stato periodo storico nel quale tale attività non sia stata praticata, con diversi espedienti, alcuni rozzi ed altri più sofisticati. E’ indubbio che i regimi totalitari ne garantiscano le migliori condizioni d’esercizio. Ad ogni modo, anche le giovani democrazie si “difendono” bene, nonostante le difficoltà dovute alla presenza dei contrappesi previsti dalle loro Costituzioni. In questa sede analizzeremo tre rimedio esperiti nel corso della storia: il più antico a memoria d’uomo e gli ultimi due, di cui uno fallito e l’altro al momento ancora in atto. La legna, come elemento di condizionamento del verdetto Il progenitore del nostro codice di procedura penale è il “Tractatus de maleficiis”, scritto nel 1286 da Alberto Gandino da Crema, nel quale uno spazio importante era occupato dall’ordalia. Si tratta di un’antichissima pratica utilizzata per dirimere le vertenze giuridiche che creavano imbarazzo al potere e che, pertanto, non potevano, o non si volevano, regolare con mezzi umani. Di “ordalia del dio fiume” si parla addirittura nel Codice sumero di Ur-Nammu (2112 - 2095 a.C.). Ordalia significa "giudizio di dio" ed è una procedura basata sulla premessa che dio aiuta l'innocente. L’accusato veniva sottoposto ad una prova il cui esito, apparentemente incerto, era ritenuto come diretta conseguenza dell’intervento di dio e determinava la sua innocenza o colpevolezza. In Europa una delle più utilizzate era "l’ordalia del fuoco". L’accusato doveva fare un certo numero di passi (solitamente nove) tenendo tra le mani una barra di ferro rovente. L'innocenza era dimostrata dall’assenza di ustioni, ovvero, dalla trascurabilità delle stesse. Il fuoco per arroventare il metallo, determinante per l’esito della prova, però, era preparato sotto il controllo e la supervisione del clero locale che era a stretto contatto con i potenti di Corte. Tante sono state le donne accusate d’infedeltà coniugale o di stregoneria sottoposte alla pratica dell’ordalia. E’ assai probabile che l'ordalia venisse in qualche modo “aggiustata”, agendo sulla quantità di legna, in modo che il verdetto fosse in linea con i desiderata del potente di turno. Pure essendo il processo formalmente regolamentato in tutte le sue fasi, nella sostanza la discrezionalità esercitata nel dosare la legna permetteva di alterare il verdetto. Appare evidente che l’ordalia, più che giudizio di dio, fosse un imbroglio ideato dagli uomini allo scopo di manipolare l’azione penale. Ciò è tanto più vero se solo si considera che i sacerdoti e i potenti di Corte non si sottoponevano al rischi dell'ordalia del fuoco, per loro era prevista “l'ordalia del boccone maledetto”. Il principio, formalmente, è lo stesso – ovverosia, dio aiuta l’innocente - nella sostanza, però, la prova è molto differente. Un pezzo di pane, chiamato appunto "boccone maledetto", era posto sull'altare della chiesa. Si portava l’accusato di fronte all’altare e gli si offriva il “boccone maledetto”; e in caso di colpevolezza il boccone gli si sarebbe dovuto bloccare in gola fino a farlo soffocare. Siamo evidentemente lontani anni luce dalla struttura processuale odierna che richiede tre protagonisti: accusa, difesa e organo giudicante. Il penultimo tentativo posto in atto dal governo e censurato dalla Consulta Il Codice di procedura penale vigente è stato introdotto con DPR 447 del 22 settembre 1988 ed entrato in vigore il 24 ottobre dell’anno successivo. La sua fase di approvazione è stata preceduta da una serie di cautele: il progetto di legge è stato esaminato prima da una Commissione interparlamentare, poi sottoposto alle osservazioni del Consiglio dei ministri e infine all’esame del CSM, dei più alti magistrati, delle associazioni forensi e del mondo universitario In esso il segreto istruttorio si trasforma in segreto investigativo, che permane in tutta la fase delle indagini preliminari. La previsione di compiere in segreto determinati atti d’indagine, nella fase delle indagini preliminari, risponde alla logica di evitarne la compromissione. La violazione del segreto provocherebbe un’alterazione dell’equilibrio dei poteri. Il vocabolo “segreto” deriva dal verbo “seiungo” ossia, “secerno”, “separo”. Rispetto a un dato fatto, il segreto separa chi è tenuto a sapere, da tutti gli altri che non devono sapere. E’ di tutta evidenza che le possibilità che un fatto rimanga segreto diminuiscano all'aumentare del numero delle persone che ne vengono a conoscenza. Stante tutte le cautele sopra esposte, mi è sembrato quanto meno incauto, a tacer d’altro, il fatto che nell’agosto del 2016, quando tutti gli italiani erano al mare, il Governo abbia approvato un decreto legislativo che nasconde tra le “Disposizioni transitorie e finali” una deroga al codice di procedura penale. Il codicillo dispone che “i responsabili di ciascun presidio di polizia, trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale.” Fortunatamente la manovra ordita in agosto dall'Esecutivo è stata subito sventata dal Procuratore della Repubblica di Bari e successivamente dichiarata incostituzionale dalla Consulta, in quanto lesiva delle prerogative di rango costituzionale pertinenti all'Autorità Giudiziaria. Si pensi a tutte quelle indagini che la politica ha interesse a conoscere (corruzione, frode fiscale, appalti, ecc.). Oggi l’obbligo di riferire sulle indagini in corso è rimasto solo per l’Arma dei Carabinieri -lo prevede l’art. 237 del DPR 90/2010. Ritengo che ciò sia dovuto ad una mera svista del legislatore e che prima o poi anche questa “regia disposizione” sarà ritenuta incostituzionale al pari dell’altra. Di seguito uno dei passaggi fondamentali del ricorso del Procuratore di Bari: «(…) Gli organi di polizia giudiziaria, nelle loro diverse articolazioni, integrano strutture gerarchicamente dipendenti dal Governo, ragion per cui essi stessi non sono assistiti dalle garanzie di autonomia e indipendenza che caratterizzano, invece, gli uffici del pubblico ministero».    Un’affermazione così categorica è figlia di una profonda conoscenza dello status militis della polizia giudiziaria ad ordinamento militare: Carabinieri e Guardia di Finanza. La specificità militare, infatti, fa dell’organizzazione militare una specie di micro-Stato annidato in seno allo Stato democratico. A tal proposito, assai significative sono alcune dichiarazioni rese nel corso del precedente mandato  dalla Rappresentanza militare della Guardia di Finanza: «Tra le maglie di una disciplina militare svincolata dal principio di legalità, ben si potrebbero insinuare dei pericolosi comportamenti discriminatori nei confronti dei sottoposti per motivi ideologici o politici. Questo organismo ritiene che i rimedi offerti dal legislatore, solo sulla carta, per contrastare eventuali vessazioni e ordini criminosi, siano inadeguati e scarsamente attuabili. L’inadeguatezza di tali rimedi potrebbe compromettere o quantomeno influenzare il libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato. E per di più, ci si chiede se, per assurdo, l’ordine promanasse dall’autorità politica di governo, l’ordinamento militare avrebbe gli anticorpi per contrastarne l’esecuzione? Questo organismo ritiene che quegli anticorpi - previsti da norme di rango superiore - siano stati sterilizzati da norme di rango regolamentare, che ne hanno anestetizzati gli effetti. Ciò in quanto con l’attuale panorama normativo di riferimento, l’eventuale cattiva abitudine di impartire ordini illegittimi è difficile da estirpare, proprio perché l’autorità nei cui confronti andrebbe rivolta la censura è, per così dire, parte e controparte. Le conseguenze di tali vulnera costituzionali si ripercuotono negativamente sul principio d’imparzialità e buon andamento di così delicati apparati dello Stato, la cui attività operativa condiziona la distribuzione del reddito - quella della Guardia di Finanza - e il funzionamento della giustizia - quella dei Carabinieri e della G.di F.; quindi, possono avere effetti non solo sui cittadini-militari ma anche e soprattutto su gli altri cittadini, che militari non sono. Ma v’è di più. Si consideri che gli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento militare, oltre ad essere inseriti in una catena rigidamente gerarchizzata che si aggancia all’autorità politica, non sono posti nella condizione effettiva di dire “signornò” ai loro superiori. L’organizzazione attuale dell’ordinamento militare relega il militare in una condizione di tale subordinazione e vulnerabilità da rendere il principio dell’obbedienza leale e consapevole nulla più che un mito». Quali sono le norme anestetizzanti gli anticorpi necessari a contrastare gli ordini che non andrebbero eseguiti? Più che di norme, si tratta di un laccio invisibile che lega i militari alla catena gerarchica, composto da quattro fili strettamente intrecciati tra di loro: sanzioni disciplinati; trasferimenti d’autorità; giudizi annuali caratteristici; note premiali. Ciascun filo è completamente svincolato –è il caso di dire slegato- dal principio di legalità. Il principio di legalità Il principio di legalità costituisce l’argine del potere, cioè stabilisce la subordinazione di qualsiasi potere alla legge, che ne fissa limiti e contenuto. Esso presuppone che a presidio di ogni potere -governativo o amministrativa- vi sia sempre una norma di legge. Il principio, conquistato con il sangue versato durante la rivoluzione francese, trasformò i sudditi in cittadini. E qualora dovesse venir meno, i cittadini tornerebbero a vivere in una condizione di sudditanza! Si consideri che agli inizi del secolo scorso Giuseppe Maggiore, illustre esponente della letteratura giuridica dell’epoca, propose di introdurre anche “la volontà  del duce” nel nostro principio di legalità, ad imitazione di quello hitleriano.   Egli scrisse: “E’ reato ogni fatto espressamente previsto come reato dalla legge penale e represso con una pena da essa stabilita. E’ altresì reato ogni fatto che offende l’autorità dello Stato ed è meritevole di pena secondo la volontà del Duce unico interprete della volontà del popolo italiano”. In questa sede ci si occuperà solo del primo dei quattro fili: le sanzioni disciplinari. Per quanto attiene agli altri tre, si rimanda ad un precedente intervento. La consegna, come strumento di controllo dell’obbedienza della polizia giudiziaria. Segue: Il tentativo di sabotare il processo di sindacalizzazione militare. La consegna -semplice o di rigore- è la più grave sanzione disciplinare di Corpo, le altre sono il richiamo e il rimprovero (art. 1352, comma 1, D. Lgs 66/2010). La legge, nel prevedere la sanzione della consegna semplice, non ha tipizzato gli specifici comportamenti a causa dei quali la sanzione può essere inflitta. Il legislatore, cioè, ha tipizzato le sanzioni, ma ha omesso di tipizzare le violazioni che le stesse censurano. A tal proposito, si è limitato solamente a dire che la consegna punisce le violazioni dei doveri militari e le più gravi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio. Non v’è dubbio che tali locuzioni linguistiche, per la loro indeterminatezza, si prestano alle più disparate elusioni dei fondamentali diritti del militare. La norma che prevede la consegna parrebbe pensata per consentire al titolare del potere disciplinare di punire chiunque, quando vuole e come vuole. Ai fini sanzionatori, infatti, la volontà del Capo costituisce principio di legalità, proprio come ipotizzato dal prof. Giuseppe Maggiore. Allo scopo di palesare l’enorme discrezionalità detenuta dall’autorità militare, per tutti,  faccio due soli esempi: - un militare della Guardia di finanza, quando i regolamenti imponevano un limite d’età per contrarre matrimonio, è stato sanzionato con la consegna “per aver procreato senza autorizzazione dei suoi superiori”; - qualche anno fa un sottufficiale dell’esercito, al quale era stato prescritto di astenersi da attività traumatiche di qualsiasi genere, è stato sanzionato con la consegna “per aver consumato un rapporto sessuale con la propria fidanzata”. Come se tutto ciò non bastasse, si consideri che non v’è un obbligo di “retribuire” con la medesima sanzione le stesse mancanze disciplinari. L’autorità militare esercita un potere discrezionale che può portare a valutazioni che non conducono, necessariamente, alla stessa decisione (sanzione) se ritenuta inopportuna o sconveniente per quella circostanza o per quel manchevole, ciò in quanto la finalità “retributiva” delle sanzioni disciplinari, è solo tendenziale, cioè “un’idea guida per l’autorità titolare della potestà”. In altri termini, secondo le norme regolamentari interne, se due militari compiono entrambi una medesima azione censurabile, l’uno può venir legittimamente sanzionato, l’altro no, restando nell’ambito di liceità delle decisioni assunte.   Si consideri, inoltre, che la consegna viene annotata nella documentazione personale; pertanto ha devastanti effetti sulla carriera del militare ed incide negativamente sull’assegnazione degli incarichi, sui trasferimenti, sull’esito dei concorsi interni, sulla concessione delle ricompense, sull’autorizzazione al NOS (nulla osta di sicurezza). Infine, la recidiva nella consegna è valutata per la comminazione della consegna di rigore e tra le cause di cessazione dal servizio permanente, si annoverano “le gravi e reiterati mancanze disciplinari che siano state oggetto di consegna di rigore. Pertanto la consegna, nonostante sia in contrasto con il principio di legalità, può provocare la risoluzione del rapporto di lavoro, con le immaginabili conseguenze in termini patrimoniali. Ripetendo: prima che fosse affermato il principio di legalità, i cittadini vivevano in una condizione di sudditanza. Infatti, l’obbedienza militare avrebbe dovuto essere “leale e consapevole”, se l’ordinamento si fosse informato allo spirito democratico della Repubblica, in realtà essa è ancora “cieca e assoluta”. Una siffatta obbedienza della polizia giudiziaria, in assenza di contrappesi, lascia aperte le porte a rischiose ingerenze del potere sull’azione penale. Il tentativo di sabotare il processo di sindacalizzazione militare Il contrappeso è stato posto lo scorso anno dalla Corte costituzionale. La notizia è passata in sordina, ma nel 2018 la Corte costituzionale ha finalmente cancellato il divieto di sindacalizzazione dei militari. Abbiamo dunque vissuto per settant’anni in una grave condizione di incostituzionalità di fatto. Circostanza questa che ha pesato anche sull’attuazione dell’art. 109 della Costituzione: come si può disporre direttamente di qualcuno che dipende da un altro per tutto quanto attiene alla sua vita presente e futura? Dopo questa svolta epocale, però, le forze più retrive di questo Paese si sono coalizzate per sterilizzare la storica sentenza n. 120/2018 - e sabotare così la sindacalizzazione delle forze armate. Si sta tentando di fare approvare una normativa che limiti oltremisura i poteri dei sindacati e li ponga in qualche modo al guinzaglio dei vertici militari. Il progetto di legge, il cui iter prosegue spedito verso l’approvazione, al momento prevede, oltre ad una serie di limiti e restrizioni, addirittura che le associazioni sindacali siano assoggettate ad autorizzazione ministeriale preventiva, che può essere ritirata in qualsiasi momento, e che in caso di comportamento antisindacale da parte dell’amministrazione, sia essa stessa ad auto-sanzionarsi. Dietro tutte queste limitazioni c’è l’interesse del potere a mantenere il controllo sull’obbedienza dei militari; non solo del fante o dell’alpino, ma anche del Carabinieri e del Finanziere. In assenza di contrappesi, che solo la presenza un sindacato vero può garantire, la macchina giudiziaria, in astratto, rischia di essere etero-guidata. La Germania da diversi anni ha concesso i diritti sindacali ai suoi militari, perché ha imparato la lezione durante i processi di Norimberga, nel corso dei quali la difesa più ricorrente utilizzata dai collegi difensivi degli accusati era costituita da due sole parole: “ordini superiori”. Infatti, un Presidente di Corte di Cassazione tedesco mai si sognerebbe di scrivere un libro dal titolo: “La Repubblica delle stragi impunite”. Insomma, nel processo di sindacalizzazione dei militari in ballo non ci sono solo i diritti dei militari, come si vuole lasciare intendere. In gioco c’è il disincaglio della Costituzione arenatasi settant’anni fa sul terzo comma dell’art. 52! Conclusioni Alla luce di quanto fin qui esposto, ciò che mi stupisce non è tanto il punto di vista espresso dagli Stati Maggiori e dagli avvocati dello Stato nel corso delle loro audizioni in Commissione difesa, in materia di sindacati militari, in fondo era prevedibile. Mi scandalizza l’assoluto silenzio della stampa. Non so se non capisce, oppure obbedisce! Probabilmente la prima ipotesi. E non sarebbe la prima volta. Anche quando la Corte costituzionale sventò il penultimo tentativo ordito dal governo e descritto nel precedente paragrafo, i più importanti giornali nazionali confusero la norma che estendeva l’obbligo di riferire ai superiori sulle indagini in corso con quella che lo prevedeva. E ancora lo prevede! Infatti, dagli articoli pubblicati, all’indomani della sentenza della Consulta, da Il Fatto Quotidiano, La Verità, il Tempo e Il Sole 24 Ore sembrerebbe che il nostro paese sia rimasto esposto al rischio di compromissione delle indagini solo per poco più di un anno: dall’estate del 2016, quando fu inserito il “codicillo”, fino al 7 novembre 2018 quando la Consulta lo espunse. Il nostro paese è esposto a quel rischio almeno dal 1859 (cfr. nota n.4). Solamente il Giornale, Repubblica e il Corriere della Sera hanno pubblicato correttamente la notizia e spiegato ai loro lettori che “l’art. 237, primo comma, del D.P.R. 90/2010 rimane in piedi perché non è stato formalmente contestato da nessuno, e dunque resta l’obbligo per i soli carabinieri di riferire ai propri superiori”. Ci si chiede, ma è così difficile capire che un’obbedienza da stato di guerra mal si adatta, in tempo di pace, ad un corpo di polizia giudiziaria che dipende “direttamente” da un altro potere dello Stato? Ciò in quanto le patologie che affliggono l’obbedienza gerarchica di “strutture direttamente dipendenti dal governo” possono contagiare le indagini che la politica ha interesse a conoscere e allontanare così la verità processuale da quella storica.   Read the full article
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paoloxl · 7 years
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Riprendiamo e pubblichiamo dalla pagina facebook del Movimento No Tap Vogliamo condividere con tutti voi quegli attimi, attraverso le parole di chi ha vissuto sulla propria pelle il dolore della repressione. la verita’ di cio’ che e’ accaduto e’ in queste parole. Nessuno restera’ mai solo. AURORA Era una passeggiata si.. è quasi un mese che in un territorio viene limitata o abolita la libertà umana: decine di posti di blocco quotidiani, camionette che sfilano sulla provinciale, Digos a massimo regime lavorativo, documenti chiesti ripetutamente, identificazioni, pass da richiedere in questura per andare a casa propria e nella quale non si possono ricevere invitati, cordoni di polizia nel centro storico leccese. Sono Aurora e sono tra le 52 persone che amano la propria terra e il proprio mare e non vogliono siano devastati per interessi di multinazionali straniare e politici internazionali. Sono tra quelle 52 persone che voleva riprendersi la libertà e che trova assurdo e disturbante il dispiegamento di forze dell’ordine. Si voleva solo passeggiare sulla propria terra, tra gli ulivi e la pineta. Parte di quella terra ora è ingabbiata. Ho preso un giorno di tempo per scrivere e raccontare il pomeriggio di sabato e la notte della domenica. Ho letto di tutto sui giornali e sentito di tutto dai tg..ho letto di un assalto al cantiere..di un’invasione della zona rossa..di terroristi.. vedo i video diffusi dalla polizia di stato, la quale dichiara che nelle immagini si vedono alcuni attivisti che tentano di entrare nella zona rossa.. ma in quelle immagini in realtà scappavamo..la nostra ERA una passeggiata..ma è diventata una fuga. Dopo aver letto articoli romanzati, bugie di stato e altri e tanti giudizi mi sento di dover raccontare la mia esperienza personale durante quelle ore. La nostra era una passeggiata nelle campagne e nelle strade adiacenti alla zona rossa e mai si è oltrepassata nessuna recinzione che delimita questa zona, tanto meno si è pensato di farlo. Era una passeggiata si..e così siamo arrivati nelle campagne, da subito un elicottero sorvolava le nostre teste a quota bassa, entrati nelle campagne ci vediamo inseguiti dalla prima ondata di polizia e la deviamo, non volevamo il contatto, volevamo solo passeggiare. Siamo riusciti a rivedere la torre di santasili e le campagne che sono state casa nostra. Ci siamo ripresi istanti di libertà ed è stata un’emozione fortissima. Ma l’atteggiamento e l’andatura dei poliziotti non era per nulla rassicurante e da quel momento la passeggiata è diventata una fuga. Ci tengo a precisare chi il poliziotto rimasto ferito ha accusato quei traumi perché è caduto solo scavalcando un muretto… Noi corriamo uniti. Da tutti i lati ci ritroviamo forze dell’ordine in assetto antisommossa, del fumo bianco ci depista, ci confonde, ma corriamo dove vediamo la strada libera e senza ondate di polizia. Corriamo veloce, ci sosteniamo, il fiato non regge (maledette sigarette), si incoraggia e si viene incoraggiati. L’elicottero è sopra di noi e la polizia ci intrappola. Volevamo solo uscire ma veniamo circondati, quasi condotti in un punto impraticabile, fatto di rovi. Io correvo con il fiato corto e il cuore a mille. Guardavo i miei compagni e le mie campagne, nessuno deve rimanere solo, correvo fino a quel terreno di rovi, ci cado dentro..le spine mi fanno incastrare, dietro di me una mia compagna veniva buttata a terra e ammanettata e un mio compagno, andato a soccorrerla, veniva preso con violenza e aggredito da 4 agenti di polizia, manganellato e strattonato. Più mi muovo più mi faccio male, urlo di lasciarli, altra polizia si avvicina e visto le modalità appena usate ho pensato una sola cosa “oggi ci masssacrano”, una mano mi ha tirata su, la mano di un compagno che mi ha alzata e spinta in avanti. Ma veniamo circondati. Ci intimano di fare quello che dicono loro, di sederci a terra in ginocchio. Non possiamo fare altro. Siamo tesi e ci provocano. Ci insultano. Ci trattano come dei criminali. Ricevo calci sulle gambe. “vi ammanettiamo e vi portiamo via” , “ora ci divertiamo” dicono urlando. Ci fanno sedere. Una ragazzina poco più che ventenne piangeva a dirotto e tremava seduta a terra accanto a me, con davanti poliziotti che manganellavano gratuitamente. Ci ribelliamo alle manette. Non siamo criminali. Vogliamo difendere la nostra terra, i nostri diritti. A uno ad uno, strattonati ci portano sulla strada, vicino ai loro mezzi. Un poliziotto mi stringe il braccio, mi spinge e mi strattona, mi chiede il telefono. Mi chiama per cognome. Cose se mi conoscesse.. come per farmi capire che sa chi sono e che lui ha potere su di me.. mi strappa di mano il telefono e mi perquisisce lo zaino (prima perquisizione). Mi prende i documenti e anche il resto di noi li consegna. Attendiamo un’ora li. Ci dividono in macchine e camionette. Seconda perquisizione, anche fisica con telecamera e faro puntato in faccia. Metà di noi vengono mandati in questura, l’altra dai carabinieri. Io sono stata portata alla caserma dei carabinieri. Un tragitto percorso in una macchina della polizia a 130 all’ora, passando ogni semaforo rosso, una guida che fa venire il mal d’auto e pericolosa. Arrivati li ci dividono ancora in due stanze. Un cameramen della Digos sogghignando e ridendo ci riprende da dietro il vetro. Sembra prenderci gusto. Nella caserma restiamo 9 ore durante le quali: ci viene fatta una terza perquisizione, ci vengono richiesti ripetutamente i nostri documenti ma avendoli consegnati prima sono in questura, siamo senza telefono e non sappiamo come stanno i nostri compagni, la pressione psicologica è tanta e veniamo isolati, ci vengono fatte foto segnaletiche, ci vengono prese impronte digitali, ci viene limitata la libertà, veniamo accompagnati al bagno, ci impediscono di comunicare con familiari e amici, loro sono fuori spaventati e preoccupati perché non viene fatto sapere nulla, “sono in stato di fermo” “bisogna fare accertamenti”. Tutto questo in uno scenario di carabinieri che non si limitavano in battute o discorsi osceni. Tra di noi si sdramatizza e ci si fa forza a vicenda. Fuori pochi compagni, pochi ma veri. Penso al resto della popolazione ignara, mi arrabbio. Esco all’una di notte, il mio telefono devo recuperarlo in questura. Abbraccio chi era fuori a sostenere. Chiedo degli altri compagni. Mi dicono che sono stati consegnati fogli di via. E la rabbia sale. Raggiungo la questura e gli altri compagni venuti in sostegno e chi correva con me.. Non sapere come stanno compagne e compagni che hai visto picchiare è devastante. Ci si abbraccia e ci si guarda. “come stai?ti hanno fatto male” “ho dolori ovunque, mi fanno male i polsi per le manette” ci si abbraccia piano perché ci hanno fatto male..maledizione! Il mio telefono è stato sequestrato perché potrebbe agevolare attività delittuose varie ed eventuali e deve essere utilizzato per le loro indagini. Tutto questo per cosa? Con che accuse? …..manifestazione non autorizzata e violazione zona interdetta…… Vi sembra eccessivo? Aggiungo che non è un reato penale..bensì amministrativo e quindi direi di si, è eccessivo e malato tutto ciò..è stato fatto abuso di potere..per cosa? Difendere l’inizio del cantiere del progetto del gasdotto TAP che desertificherà e devasterà la nostra terra, inquinerà l’aria, viene imposto da un sistema controllato da pochi con lo scopo di renderci schiavi, un sistema corrotto e corrosivo per l’umanità. Noi scegliamo di non essere schiavi o servi, noi scegliamo di difendere la nostra terra dalla corruzione e dalla devastazione. Noi ci siamo e ci saremo sempre. “NON CI AVRETE MAI COME VOLETE VOI” STEFANO Bene, sono passate 24 h, ho riflettuto, pensato e rivisto i fatti di ieri. Ho letto tanto sulle stronzate scritte e e visto in TV le tantissime boiate dette. Ho ascoltato tante critiche, che accetto, secondo cui siamo stati avventati, abbiamo fatto qualcosa di inutile. NON MI PENTO DI NULLA. Ebbene, qualcuno mi conosce direttamente o indirettamente, qualcuno magari segue i miei post o pagina e si può fare un’idea. Mi presento: sono uno dei 52 pericolosi soggetti facinorosi, per cui si rende necessaria la zona rossa ed anche la zona cuscinetto per proteggere gli operai. Quindi gli abusi, l’uso di assurde misure, la sospensione dei diritti fondamentali è giustificata dalla presenza mia e di altri pericolosi soggetti? Forse però la memoria è corta e quindi è necessario partire da lontano. Si partiamo da un po’ di mesi fa, quando quelle terre le abbiamo calpestate da uomini e donne libere, quando abbiamo adorato la nostra terra, i nostri alberi, quando prima nel presidio vecchio e poi quello nuovo abbiamo passato giornate, pranzato, cenato, vegliato le notti ammirando il celo stellato, il fuoco che riscaldava, quando abbiamo lottato contro mosche e zanzare. In questi mesi quanti attentati, imboscate eccetera hanno subito i vigilanti nel cantiere da noi facinorosi terroristi? Quanti feriti ci sono stati tra quei vigilanti? Avete mai sentito nulla? Però avete dimenticato che gli stessi facinorosi terroristi hanno sventato e domato incendi? Avete dimenticato che gli stessi facinorosi terroristi hanno sventato un furto di un trattore? Poi c’è stato il periodo della capitozzatura ( devastazione) degli alberi, centenari e millenari, non autorizzata e tutte le nostre azioni di contrasto e difesa degli alberi. Quanti operai, che erano intorno a noi e con i quali abbiamo anche scambiato punti di vista sono rimasti feriti da noi pericolosi facinorosi? Quanti e quali operai hanno rischiato la vita per la presenza di noi terroristi? E quanti poliziotti sono finiti in ospedale? Possibile che mai queste notizie sono venute fuori? Siamo sempre noi. I terroristi pericolosi fanatici antagonisti anarchici sostenitori dell’Isis e chi più ne ha più ne metta. Poi una notte si sono presentati centinaia di cosiddetti tutori della legge che hanno detto: casa vostra non è più vostra, c’è la prendiamo noi. Così è accaduto ai tanti contadini che improvvisamente hanno dovuto fare il pass per entrare nelle loro terre. Abbiamo perso il nostro presidio senza nemmeno aver la possibilità di prendere le nostre cose che sono ancora lì. Ma i presidianti che quella notte erano lì non è che sono stati cacciati o mandati via. No. Sequestrati per 12 ore. Casa tua non è più tua, è mia, ma te ne vai se e quando decido io. Quindi da allora ci siamo dovuti riunire per strada, in vari punti, piazze, lungomare eccetera. Ma tutto questo è normale giusto? Importante non dimenticare. Sempre in difesa della nostra terra e dei diritti che ci hanno tolti. Leggete ed ascoltate credendo ma dimenticate tutto e non riuscite a farvi una vostra reale e incondizionata idea? Ciò detto passiamo ai fatti di ieri. Siamo stati ingenui? Ok, ma non dovevamo mica preparare chissà quale piano è strategia di attacco o guerra. Eravamo giovani e donne. Ci siamo visti sul lungomare a S. Foca perché non abbiamo più la nostra casa, ma vabbè ( sottigliezze). A poca distanza cinque auto della digos è una dei carabinieri. Bè si, siamo pericolosi d’altronde. Bene, da dove viene tutta la nostra ingenuità da più parti affibiataci? Ci chiedevamo che fare: varie opzioni e tanta indecisione. Quindi ci siamo detti: andiamo a farci la passeggiata nelle campagne, ne sono state fatte altre senza mai alcun problema, passando anche a fianco a vedette delle forze dell’ordine senza alcun problema. A che serviva? Il messaggio era che la terra è nostra e da persone libere la rivogliamo. Ma questa volta era diverso, perché avevano deciso che le cose dovevano andare diversamente. E loro si che avevano studiato tutto a tavolino, vere strategie militari. Ma noi non lo sapevamo. Ingenui? Si, però la presenza di tanta Digos che ci teneva d’occhio ha fatto presagire qualcosa. Ci siamo detti: wagnuni, già mi sta spettante (ragazzi ci stanno già aspettando), andiamo e vediamo com’è la situazione, se se po’ fare andiamo avanti, se non è cosa torniamo e pensiamo ad altro. Sulla strada c’era una pattuglia di polizia con un solo poliziotto che ostruiva un ingresso dalle campagne. Domanda: perché, facinorosi e pericolosi terroristi non abbiamo distrutto quell’auto, pestato quell’unico poliziotto che evidentemente non ci temeva e siamo entrati ( magari avremmo scoperto la marea di poliziotti in antisommossa nascosti che ci aspettavano)? Ingenui? Da pericolosi siamo andati avanti ignorando l’entrata. Più avanti, cosa insolita, ci attendeva uno sbarramento incredibile in antisommossa non all’entrata della stradina che normalmente facevamo per andare al presidio ( di fronte all’Eurogarden) e dove normalmente si posizionavano ma in mezzo alla strada. Forse dovevamo capire qualcosa, ingenui? A poca distanza avevamo una pattuglia in mezzo alla strada, sempre un solo poliziotto che evidentemente non temeva pericolosi e facinorosi terroristi come noi. Domanda: non potevamo assaltare quella pattuglia? Ci siamo fermati abbiamo ragionato e magicamente abbiamo scoperto un piccolo ingresso in campagna. TRAPPOLA ORGANIZZATA A TAVOLINO. VOLEVANO ENTRASSIMO DA LI. Ingenui? Siamo entrati ed abbiamo iniziato la nostra passeggiata durata solo due, trecento metri. E già. Perché scorgendo la testa a destra abbiamo visto una marea blu che correva verso noi e le camionette hanno accesso le sirene. Ma dove erano nascosti? Perché ci aspettavano. Quindi d’istinto è finita la passeggiata ed è iniziata la fuga, si fuga, altro che scontri. Poi abbiamo visto che dietro rallentavano e ci siamo presi qualche attimo, lentamente abbiamo preso una direzione che ci avrebbe portati all’uscita ( ormai era chiaro che non era cosa). Ma questo non ci era concesso e la marea blu ci è arrivata praticamente a ridosso senza che quasi ce ne accorgessimo, io ero dietro al gruppo e insieme ai compagni ho gridato a squarciagola, abbiamo ripreso a correre come pazzi, alcune donne le abbiamo prese quasi di peso e portate, non si lascia nessuno indietro. Praticamente ci hanno spinti verso la zona rossa. Abbiamo capito che era una trappola anche per quell’elicottero praticamente sopra la testa. Ma non siamo andati alla zona rossa, abbiamo saltato muretti per cercare un’ uscita. Da qui in avanti i più esperti che non pensavano solo a scappare ma guardavano il tutto ci facevano da guide. Era un continuo: occhio a destra, occhio a sinistra a cui corrispondevano maree blu. Altro che cento, impossibile. Erano centinaia. Poi quando abbiamo trovato un cancello aperto era definitivamente chiara la trappola. Eravamo fottuti. Quindi tutto ciò che ho letto e sentito pura fantasia. E poi i video. In uno di vede noi terroristi che saltiamo un muretto ( io in verità non riuscivo proprio a saltarlo e ringrazio il compagno che mi ha sollevato di peso, ormai mi ritenevo fottuto, sarei stato il primo ad essere preso e, solo, mi preparavo ad esser massacrato); bè quel muretto era ben lontano dalla zona rossa che secondo tutti abbiamo assaltato, dava sulla stradina che ci avrebbe portati all’uscita. Ma è arrivato il solito occhiata a sinistra, avevano deciso che non dovevamo uscire. E quindi avanti. Con queste strategie sono riusciti anche a dividerci, due gruppi che disperatamente cercavano di uscire. Ad un certo punto ci siamo fermati e guardati in faccia: basta con questo gioco, tanto non ne usciamo. Abbiamo pensato: ci bloccheranno, ci chiederanno documenti e ci porteranno all’uscita. Ingenui? E si, perché siamo terroristi che però non assaltano singole auto o singoli poliziotti, no assaltano il bersaglio grosso per altro solo sfiorato e, che cretini, correndo in direzioni opposte. Poi nei video avete visto qualche fumogeno: avevamo un elicottero sulla testa e maree blu che ci inseguivano da tutte le parti, qualcuno ha pensato di creare fumo per aver un chance di coprire la nostra fuga. Si è parlato di poliziotti feriti in un contesto di scontri ( mai un contatto con loro, solo fuga) e assalto. Bè quel poliziotto li abbiamo visto cadere. Ma noi terroristi ci siamo fatti inseguire apposta affinché cadesse. Ma non si vedono i lacrimogeni lanciati contro persone a distanza ed in fuga. Non avete visto le manganellate dietro il ginocchio mentre mi piegavo a terra e, perso l’equilibrio le altre due sull’altra gamba. Non avete visto per quanto tempo ci hanno tenuti ammassati al freddo, inermi e ad aspettare chissà che. Non avete visto tante cose ma potete credere a ciò che avete sentito e letto. Perché in dittatura la verità da sapere è quella creata ad arte e in ciò decine essere creati a tavolino pericoli e terroristi. Buon per voi che vi credete liberi, in democrazia e che credete alle forze dell’ordine al servizio dei cittadini. Leggi anche: NoTap: La testimonianza di Valentina detta “Terrore”, vittima della violenza di Stato.   #tantonolafanno #notap#nèmoinèmai#nèquinèaltrove
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allnews24 · 8 years
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A Varese, 8 arresti per corruzione, abuso ufficio e riciclaggio Milano 16 Marzo – A Varese la polizia ha eseguito 8 misure cautelari nei confronti di altrettante persone accusate di falsità ideologica in atto pubblico, corruzione, abuso di ufficio, riciclaggio e di una serie di altri delitti posti in essere anche in associazione che vede implicati un totale di 24 persone indagate, tra cui dipendenti della Motorizzazione Civile di Bergamo. 
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