Il testo integrale del mio intervento al VIII° Congresso Nazionale del MSFT
Progetto Italia Area Sociale
On. Presidente, Camerate e Camerati congressisti, cortesi ospiti, prendo la parola da questa tribuna perché la particolarità dell’evento, il Congresso nazionale, impone a tutti, quindi anche a me, di contribuire al dibattito e provare a dare risposte ai tanti quesiti che permeano il Movimento Sociale.
Prima, però, voglio ricordare a questa comunità riunita un grande Camerata, che è stato uno degli artefici della vita di questo Movimento e segnatamente dell’ultimo Congresso: Peppe Cammalleri. Sappiamo come una vigliacca malattia l’ha negato alla vita, all’attività politica, ma non certo all’affetto dal nostro cuore e al ricordo della nostra comunità. Assieme al ricordo di Peppe non possiamo non rivolgere un pensiero a Dario Fignagnani.
Dario sta combattendo in questo momento la più difficile delle battaglie. Lo sta facendo con il coraggio e la determinazione del vero uomo, del vero camerata. Forza Dario, ti vogliamo tutti bene.
La prima domanda, la più elementare domanda, che tutti ci poniamo, è: perché un Movimento politico che ha una Storia, un Progetto, che è depositario di un’Idea è ridotto al lumicino, a tal punto da essere marginale nel panorama politico nazionale.
Eppure ci sono stati periodi, altri periodi, in cui Almirante parlava a migliaia d’italiani che accorrevano da ogni dove per ascoltarlo. Io sono siciliano e ricordo avergli più volte sentito dire essere Catania la pupilla dei suoi occhi.
Ricordiamo le maggiori piazze d’Italia stracolme di persone in festa per la presenza del Segretario Missino.
Anche Pino Rauti, seppur con un approccio, come dire, più intellettuale, riempiva le piazze di folle acclamanti.
Oggi, invece, né per numero d’iscritti, né per copertura territoriale, né, purtroppo, per azione politica il MSFT può essere indicato con il segno “+”.
Ciò avviene mentre altri soggetti politici, che non possono vantare la nostra stessa storia, assurgono al ruolo di forze antisistema e vedono le loro idee trovare largo consenso nell’opinione pubblica e, conseguentemente, nell’elettorato.
E avviene in tempi diversi e per Partiti progettualmente distanti tra loro; La Lega e i 5 Stelle, per esempio.
I leghisti hanno saccheggiato, da trogloditi della politica quali sono, le nostre idee, le nostre proposte, la nostra visione della società e, interpretandole alla loro maniera, dando risposte solo alla pancia di una fascia del corpo elettorale, hanno vissuto e prosperato per decenni.
Adesso i casaleggini, sì quelli del Movimento Cinque Stelle, andate a vedere i loro temi, per la maggior parte sono copiati pedissequamente dal nostro Progetto politico, interpretati male, spesse volte in modo contraddittorio, ma nonostante ciò riescono a prendere una caterva di voti, a tal punto da essere arrivati al Governo della nazione, e questo senza alcun apparentamento con altre forze politiche che potrebbe far pensare a un effetto “traino” a loro vantaggio.
Questi sono solo due esempi di come altri Partiti, nemmeno originali nelle proposte politiche, riescano a essere incidenti nella politica nazionale.
E noi? Noi no!
Non siamo riusciti, per esempio, a essere incisivi sui temi più attuali della politica, almeno non come avremmo voluto. Forse è mancato il colpo d’ala, quel “quid” che avrebbe potuto farci diventare il motore di una rivolta strisciante che si avverte in tanti strati della società italiana.
Allora una riflessione s’impone e soprattutto chi ha avuto responsabilità nella guida del Movimento qualche domanda deve porsela.
La Lega, dicevamo prima, ha saputo parlare prima alla “pancia” della borghesia del nord orfana dei tradizionali partiti di riferimento, DC – PSI – PRI - PLI, scomparsi a seguito del ciclone “Mani Pulite”, ed ha saputo poi liberarsi della zavorra separatista per diventare, tout court, un Partito nazionale.
I casaleggini hanno trovato in Grillo un grande comunicatore, poi l’uso spregiudicato di uno strumento innovativo come il Web ha dato loro una dimensione che è andata oltre ogni più rosea aspettativa.
Io sono sempre convinto che questi Partiti, siano espressione del Sistema che tenta di auto tutelarsi impedendo che i malumori, la protesta, l’esigenza di rinnovamento largamente diffusi negli italiani, siano incanalati verso un Movimento politico, la Fiamma Tricolore, che per la proposta politica, per la visione alternativa dell’organizzazione dello Stato e quindi della società, sarebbe un pericolo reale per la sua stessa esistenza.
Ad un Movimento Sociale catalizzatore del cattivo umore degli italiani sono preferibili una Lega o un Cinque Stelle che, superata l’onda emozionale, imploderanno, come già in parte sta avvenendo, data la loro pochezza progettuale.
Noi invece abbiamo il dovere, sì il dovere, verso quanti hanno sacrificato la vita per l’Idea, verso quanti hanno speso la loro esistenza per tenere alto un vessillo che era ed è il vessillo dell’antisistema, dell’alternativa corporativa, dello Stato etico, abbiamo il dovere di continuare con sempre maggiore sforzo a portare avanti le tesi della Destra Sociale, senza mai deflettere nemmeno per un attimo dal perseguimento di quest’obiettivo.
Lo abbiamo fatto, siamo riusciti nell’intento? A guardare il Mov. di oggi parrebbe di no. O, almeno, ci siamo riusciti solo in parte.
Da tempo, e per troppo tempo, ci siamo aggrovigliati in ragionamenti forvianti, prima sugli effetti deleteri che Fiuggi ha portato nel nostro mondo, poi su quelli nefasti che le varie leggi elettorali hanno prodotto, poi ancora sulla necessità, per dare slancio alla nostra azione politica, di una riunione della cosiddetta Area.
Abbiamo prestato orecchio a chi, in modo assolutamente interessato, suggeriva fusioni, accorpamenti, cartelli elettorali, come se la somma di più “zero virgola qualcosa” potesse farci schizzare ai vertici percentuali della politica. Nulla di più sbagliato.
Abbiamo inseguito chimeriche riorganizzazioni dell’Area di Destra, a volte spinti da esigenze elettorali, contribuendo a dare legittimità a Movimenti che la storia politica di questi anni ha marginalizzato, evidenziandone l’inconsistenza politica e l’arrivismo personale.
Abbiamo perseguito la strada dell’unificazione proponendo accordi con Movimenti affini e similari, quando invece l’unico modo per realizzarla era la confluenza, il ritorno, di questi soggetti nella casa madre, il MSFT appunto.
Anche tra noi, così come per altri Partiti politici, dal Pd a FI, è scattata la voglia malsana di rinnovare, di rifondare, di presentare all’elettorato una “confezione” nuova.
Un qualcosa che ci rendesse simile agli altri.
Non capendo, invece, che nella diversità risiede la nostra forza. Bisognava solo dotarla degli strumenti adatti perché questa fosse compresa dagli italiani.
Non omologazione quindi ma riaffermazione del nostro Progetto politico che è, ricordiamolo, unico e futuribile; è l’unica via.
E particolarmente dal dicembre 2013, con la Reggenza prima e l’elezione dopo, nel 2014, alla Segreteria nazionale del Movimento di Attilio Carelli, che ci siamo mossi con ferrea determinazione in questa direzione.
Abbiamo abbandonato la strada segnata dal precedente Segretario, strada che ci avrebbe voluto inseriti nel Centrodestra, stampella minore di quella compagine che si rifà a un modello economico-sociale del tutto incompatibile con il nostro sentire politico.
Arrivammo al punto di dimettere il Segretario in carica pur di conservare la nostra identità politica.
Fu quella una scelta difficile e dolorosa, perché, ricordiamolo, il Movimento Sociale, prima di essere un’organizzazione politica è una Comunità umana, in cui i valori del rispetto, dell’amicizia, del cameratismo, hanno un’incidenza notevole nei rapporti tra le persone.
Da allora abbiamo cambiato strada, ne abbiamo intrapreso una sicuramente più difficile da percorrere, irta di pericoli, di asperità, ma allo stesso tempo più esaltante.
Una strada che ci ha ridato la voglia della militanza, del cameratismo; una strada che ci aperto alla speranza, un sentimento che ci aveva progressivamente abbandonato, sprofondandoci in una spirale di sconfortante, esiziale agnosticismo.
Oggi, vivaddio, non è più così.
Oggi possiamo ritornare a credere e a sperare nella crescita del Movimento.
Una crescita che in qualche modo c’è stata, Sono stati recuperati Camerati, aperte Sezioni e Federazioni, siamo nelle istituzioni, è presente tra noi la Senatrice Adriana Poli Bortone, Consigliere comunale di Lecce.
Regioni nelle quali eravamo totalmente assenti adesso marcano la nostra presenza, anche se minimale e poco organizzata.
E la speranza di crescita, per il Movimento Sociale, risiede nella nostra capacità di intercettare le aspettative degli italiani, di saperle analizzare e di saper proporre soluzioni semplici ed efficaci.
Noi non abbiamo nessun passo indietro da fare, noi dobbiamo solo produrre politica, parlare alla gente, dire loro della nostra Repubblica presidenziale; spiegare cosa sono le rappresentanze corporative che vorremmo in Parlamento; cos’è la Socializzazione dell’economia e i vantaggi che la Nazione, interamente intesa, trarrebbe dalla sua applicazione; chiarire perché siamo contro la globalizzazione e il liberismo economico; far conoscere la nostra posizione in merito all’aborto, alla teoria Gender, all’eutanasia. Pratiche queste che, col sistema della finestra di Overton, vorrebbero far passare per assolutamente normali.
Dobbiamo parlare ai giovani di meritocrazia; alle donne di uguaglianza ed emancipazione; agli studenti del diritto a una scuola formativa; dobbiamo parlare di ecologia ed ecosistemi; di difesa della nostra cultura e delle nostre tradizioni; dobbiamo saper parlare al mondo del lavoro e della produzione, spiegando che la prospettiva cui tendere non è il capitalismo aggressivo ma la socializzazione dell’economia; ai senzatetto dobbiamo spiegare cos’è il Mutuo Sociale, unica possibilità di possedere una casa senza dover sottostare allo strozzinaggio delle banche e al rischio dell’esproprio.
Dobbiamo ancora dire ai giovani perché è importante creare famiglie (quelle tradizionali), composte di genitori e figli, quei figli che noi intendiamo difendere fin dal concepimento e che vogliamo aiutati a crescere lontano da droghe e modelli psicologicamente devianti.
Dobbiamo spiegare loro che ci opponiamo e ci opporremo sempre a Governi che ritengono necessario favorire le politiche abortive e cercano di approvare la deleteria legge sullo Ius Soli;
Che saremo sempre contrari a Governi che hanno come priorità la politica di sgretolamento delle soggettività e delle differenze di genere con la realizzazione del piano Gender, velenosa insidia che, sotto l’azione delle lobby LGB internazionali, si vuole insinuare nelle menti dei nostri bambini fin dalla loro più tenera età, con progetti scolastici mirati.
Dobbiamo far sapere che il Movimento è impegnato contemporaneamente nella difesa dei diritti civili, quelli veri, tanto quanto lo è nella difesa dei diritti sociali. Queste cose dobbiamo fare.
Perché noi siamo questo, noi siamo il Movimento Sociale.
Noi abbiamo un Progetto articolato che si basa su una visione diversa della politica, che afferisce tutti gli aspetti dell’organizzazione della Società:
Perché prevede la rappresentanza in Parlamento delle categorie dei lavoratori, per garantirne una maggiore tutela e la condivisione delle scelte in materia di politica del lavoro;
Perché propugna la Socializzazione dell’economia, per una maggiore perequazione delle risorse economiche della Nazione;
Perché vuole realizzare lo Stato Sociale, che tuteli le categorie più deboli e i meno abbienti;
Perché crede nell’etica della politica, con il suo primato sull’economia;
Perché ha come obiettivo la costruzione dell’Europa così come la sognava Filippo Anfuso: l’Europa delle Patrie.
Lo Statuto e i punti programmatici che abbiamo voluto preservare in quelle tristi giornate del Congresso di Fiuggi, sono il nostro patrimonio politico, che è unico e che marca la differenza tra noi e gli altri, tutti gli altri.
Forti di queste prerogative dobbiamo trovare la via per riuscire a coinvolgere nel nostro Progetto tutti gli italiani e non guardare agli altri, non ne abbiamo la necessità.
Altre strade, a mio modo di vedere, non esistono e comunque non sono conducenti.
Il Fascismo trasformò la nostra Nazione in un grande laboratorio socio-politico nel quale le sperimentazioni più ardite furono possibili.
L’Italia può tornare a sperimentare la giustezza delle nostre tesi se sapremo essere convincenti, propositivi, realistici; in una parola: credibili.
I campi d’intervento sono smisuratamente enormi. Non c’è un comparto, dalla produzione ai servizi, dalla sanità allo sport, dai trasporti alla cultura, che funzioni.
L’arretratezza che l’Italia ha accumulato negli anni dal dopoguerra a oggi è sotto gli occhi di tutti.
Siamo tra le ultime Nazioni d’Europa per quanto riguarda occupazione, servizi, sanità, trasporti.
La disoccupazione tocca livelli a dir poco impressionanti, sfiorando e addirittura superando la soglia del 10% e quella giovanile del 33% (Fonte: Eurostat – Ufficio Europeo di Statistica).
Solo un Progetto politico audace, innovativo, realizzabile, come noi sappiamo prospettarlo, può dare speranza a questa terra.
La capacità che abbiamo di immaginare soluzioni ai problemi dei vari settori della vita sociale fa della Fiamma Tricolore, il solo Partito che può garantire sicurezza, sviluppo economico, crescita sociale.
La politica del Sistema ha creato, tra i tanti danni, anche un diffuso senso d’abbandono negli italiani.
Il cittadino medio si sente sempre più insicuro e non garantito da uno Stato che sente lontano e incapace di comprendere nel giusto modo problematiche che condizionano la vita quotidiana della Nazione.
Il dramma dei migranti, il modo assolutamente sbagliato di interpretarlo e conseguentemente di produrre azioni di contrasto, che non può prevedere solo la supposta chiusura dei porti, come da qualcuno ipotizzato, abbisogna di un cambio di strategia.
Il problema non è italiano, o perlomeno non è solo italiano, è europeo.
Deve essere l’Unione Europea a farsi carico di questo fenomeno che assume sempre più i contorni di una catastrofe umanitaria.
E’ necessario arginare l’afflusso continuo e oramai incontrollato di allogeni clandestini che stanno snaturando il nostro tessuto antropologico con una presenza sempre più massiccia, generando ovunque situazioni di degrado e moltiplicazione di attività illecite, dallo spaccio, alla prostituzione, alla più pericolosa possibile presenza di terroristi, appositamente infiltrati per progettare e attuare piani di attacchi in Italia e in Europa.
Noi questo lo affermiamo da anni, eravamo primi e soli, già ai tempi degli sbarchi con i gommoni a Lampedusa, a sostenere che bisognava porre rimedio immediato a una situazione che, come poi si è rivelata, sarebbe diventata sempre più drammatica.
E, oltre alla politica di contrasto degli sbarchi, riducendo, per esempio, l’operatività dei nuovi negrieri delle cosiddette ONG, bisogna realizzare una serie di accordi con le Nazioni da cui partono i traghetti.
Accordi che prevedano interventi in loco, perché, ricordiamocelo, non è con la snaturalizzazione dei popoli, delle etnie, che si realizza il precetto dell’accoglienza.
In sintesi, ciò che bisogna fare è cambiare radicalmente la politica nei confronti del continente afroasiatico, quello maggiormente interessato dai flussi migratori.
Ricordo una discussione con Pino Rauti, molti anni fa, a proposito del dramma della migrazione.
Lui, come sempre, aveva capito con molto anticipo come sarebbero evolute le cose in futuro.
Diceva che la genesi del problema era, tra l’altro, nella diversa cultura delle popolazioni interessate.
Faceva notare come le popolazioni islamiche e africane fossero in continuo aumento e che quindi avevano bisogno di spazi oltre che di servizi, a fronte di quelle occidentali che, invece, erano informate a modelli e stili di vita diversi, per i quali fare figli, per esempio, era una cosa quasi da non prendere in considerazione.
Da questa diversa visione scaturiva prevalentemente, non solo, ma prevalentemente, il problema degli spostamenti di grandi masse di persone da un continente all’altro.
Mi fece un esempio, per rendere chiaro il concetto.
Disse: come in un sistema di vasi comunicanti anche tra le Nazioni avviene un travaso, la gente si sposta dove c’è spazio e ci sono servizi.
E’ naturale che sia così.
Risulta quindi evidente che c’è l’esigenza di intervenire in loco per spiegare a quelle popolazioni come disciplinare la loro crescita demografica, oltre che contribuire a migliorarne le condizioni di vita e a porre fine alla politica di sfruttamento perpetrata da Nazioni neo schiaviste che ancora portano avanti una politica di sfruttamento di tipo imperialista.
Altra possibile modo di intervenire è quello di impegnare gli Stati ad una reale collaborazione e ad un efficace controllo delle frontiere, ritenendoli, responsabili delle spese che il rimpatrio dei clandestini comporta. Impegnarli nella parte economica potrebbe essere un altro efficace metodo di pressione.
Qualcuno potrà sostenere che gli Stati non vorrebbero fare fronte all’eventuale richiesta di risarcimento, se così fosse allora scatterebbero le sanzioni internazionali.
Queste sì che avrebbero senso, non quelle imposte a Stati sovrani (la Siria, per esempio) che lottano contro la sovversione internazionale.
E’ ovvio che tutto ciò, da solo, non basta.
Bisogna avviare contestualmente, assieme a queste iniziative di contrasto verso l’afflusso indiscriminato di stranieri sul nostro territorio, tutta una serie di iniziative tendenti alla salvaguardia delle nostre tradizioni, della nostra lingua, della nostra identità nazionale.
L’Italia, lo sappiamo, è flagellata da una crisi economica che, per durata e proporzioni, è oramai possibile considerare endemica.
Una politica di rilancio degli investimenti è il solo modo che conosciamo per uscire da questa drammatica situazione.
Va bene il taglio delle spese, ma a questo deve fare sponda una seria programmazione d’infrastrutture che abbiano stretta relazione con le esigenze dei territori, che non siano castelli in aria o chimeriche promesse impossibili da realizzare, che servano ad ammodernare la Nazione e a creare occupazione.
Produrre lavoro è la sola strada che sappiamo immaginare per creare crescita e sviluppo economico.
Produrre lavoro significa individuare settori d’investimento per grandi opere pubbliche e favorire la rinascita delle attività nel settore privato, bloccando la delocalizzazione delle aziende, favorendo e sostenendo l’imprenditoria italiana, allo stato fortemente mortificata da accordi e leggi che, di fatto, ne impediscono la competitività sui mercati interni e internazionali.
Individuare quindi, nel settore degli interventi pubblici, delle opere che abbiano una ricaduta in termini di servizi e fruibilità. Non opere faraoniche di difficile realizzazione e che, in alcuni casi, contrastano con le esigenze di reale sviluppo del territorio.
Siamo stati e siamo molto critici, per esempio, a ogni fantasiosa ipotesi di costruzione del ponte sullo stretto, la cui realizzazione non crediamo sia funzionale a una politica di sviluppo dell’isola.
Intanto avrebbe un impatto ambientale notevolissimo e, per chi, come noi siciliani, vuole programmare il proprio sviluppo puntando su turismo e ambiente, la cosa avrebbe risvolti catastrofici, ricordiamo che da non molto tempo l’Etna è stato dichiarato Patrimonio dell’Unesco e si aggiunge alle altre perle già esistenti (la città barocca di Noto, l’Area archeologica di Agrigento, la villa del Casale a Piazza Armerina, le Isole Eolie, Siracusa, la Necropoli di Pantalica).
Poi anche perché, il ponte, non gioverebbe all’economia isolana. Non è pensabile, nel XXI secolo, che le merci debbano essere trasportate su gomma.
Ciò per i tempi, gli alti costi e per l’impatto ecologico che esso comporta.
In ultimo, ma questa è una mia personalissima motivazione, per una sorta di romantico sentimentalismo; siamo isola, vogliamo restare isola.
Vanno invece potenziati e ammodernati i porti e gli scali aeroportuali, facilitando il movimento aereo e marittimo a fronte di quello terrestre.
I collegamenti interni dell’isola sono da medioevo, città capoluogo di provincia sono difficili da raggiungere, spesso collegati da una sola arteria stradale importante.
Le tratte ferroviarie, quando ancora in uso, sono a un solo binario, tracciate su percorsi vetusti che abbisognano di notevoli opere di ammodernamento, così come le strade interne sono lasciate nel più assoluto abbandono da parte degli Enti preposti alla loro manutenzione.
La pesca, un comparto importantissimo per l’economia siciliana e nazionale, deve essere tutelata nel suo esercizio, trovando accordi seri con gli Stati rivieraschi ed eventualmente con l’ausilio della nostra Marina Militare, e nei mercati favorendone il commercio e l’esportazione.
Altro settore che va rilanciato è senza dubbio quello agricolo, sappiamo come una volta l’isola fosse il granaio d’Italia, adesso le poche produzioni di qualità, voglio ricordare l’uva di Mazzarrone, le arance rosse di Sicilia, il pistacchio di Bronte, i prodotti ortofrutticoli di Vittoria, trovano difficoltà ad affermarsi in un mercato sempre più regolato dal “prezzo” e mai dalla “qualità” e condizionato da accordi internazionali -CETA (grano), MAGREB (pomodori, olio, frutta secca), ISRAELE (pompelmi, ananas), Ecc.. assolutamente esiziali per il comparto agricolo.
Questi criteri, che abbiamo indicato per la Sicilia, regione dalla quale io provengo, devono essere la regola per ogni progetto di sviluppo della nostra economia, ovviamente rapportandoli alle varie realtà territoriali della Nazione.
Una Nazione i cui cittadini si sentono sicuri e che hanno una prospettiva di sviluppo economico è una Nazione in cui la crescita sociale non è più un miraggio ma una certezza assoluta.
La sicurezza attiene sì al controllo del territorio da parte delle Forze dell’ordine, ma non solo.
La lotta alla delinquenza si articola in più punti e va diversificata.
E’ indubbio che un ruolo importante debba svolgerlo la scuola che, assieme alla famiglia, è l’Istituzione vocata alla formazione delle giovani generazioni.
Dicevamo che la lotta alla criminalità non può essere solo un fatto di polizia.
Benito Mussolini, in un discorso sulla mafia tenuto in Parlamento il 26 maggio 1927, disse: “Qualcuno mi domanderà: quando finirà la mafia? Finirà non solo quando i mafiosi non ci saranno più, ma quando il ricordo della mafia sarà scomparso definitivamente dalla memoria dei siciliani”.
A significare che la delinquenza organizzata oltre ad essere un problema di ordine pubblico è, soprattutto, un fatto culturale.
Ma si è sicuri, soprattutto, quando si è padroni in casa propria.
La nostra opposizione al MUOS di Niscemi, per esempio, ha, oltre al timore per la salute dei siciliani, anche quest’aspetto che non è secondario.
Noi rifiutiamo il ruolo di Stato coloniale in cui i governi italiani, dal dopoguerra ad oggi, hanno tenuto la Nazione.
Ci opponiamo fortemente alla costruzione in Sicilia di uno strumento di guerra che non serve alla difesa della nostra Patria, non serve come deterrente bellico, non serve nel momento in cui non c’è più il Muro di Berlino, ma serve solo a favorire gli americani nella loro politica d'esportazione della democrazia a suon di bombe; All’affermazione del loro principio del Destino Manifesto.
Rivendichiamo con forza il diritto all’autodeterminazione, ed in quest’ottica rilanciamo con ancor maggior forza la volontà di uscire dalla NATO, per dare vita ad un organismo di collaborazione militare tra le Nazioni europee.
Uno strumento che non sia funzionale alla politica imperialistica di una Nazione a discapito di altre, ma garanzia di pace tramite il bilanciamento delle forze internazionali, espressione di un’Europa delle Nazioni, informata all’Idea di Filippo Anfuso, che per primo teorizzò la creazione di un blocco equidistante, allora, dal Patto di Varsavia e dalla NATO. Uno strumento che ci garantisca e tuteli nei futuri scenari politici mondiali che riguarderanno il controllo dell’acqua e degli Ogm, le vere sfide per la sopravvivenza nel terzo millennio.
Più recentemente si è dato vita, sotto l’autorevole presidenza dell’avv. Carlo Morganti, ad un comitato nazionale per una Nuova Europa, che ha lo scopo di promuovere iniziative di sensibilizzazione per una coscienza Europeista, nel solco del progetto missino.
Parimenti, credo sia indispensabile ricreare un organismo importantissimo per la diffusione del nostro progetto che in passato è stato l’Istituto di Studi Corporativi (Gaetano Rasi).
Bisogna riattivarlo, perché fondamentale strumento di conoscenza e di promozione, individuando personalità nel campo della cultura e dell’economia che possano contribuire alla diffusione dell’Idea corporativa.
Nell’immediato, un Movimento che vuole essere avanguardia e punto di riferimento dei lavoratori non può prescindere da un rapporto organico con il mondo sindacale, ecco l’esigenza di aprirsi a contatti con le sigle che per linea politica siano riconducibili al nostro progetto e nel caso ciò non fosse possibile, bisognerà favorire la nascita di un sindacato “nostro” che ci consenta di essere protagonisti a fianco dei lavoratori in lotta.
Ricordiamo che se è stato possibile abolire l’Art. 18, ciò è stato per il tradimento dei sindacati esistenti, tutti, nessun escluso.
Altro comparto nel quale dobbiamo impegnarci è quello della riforma della giustizia e degli organismi che la supportano.
Casi come quelli cui da sempre assistiamo, la spartizione con il manuale Cencelli degli incarichi con la seguente sottomissione di parte della magistratura ai partiti politici, non devono più essere possibili.
Dovremo perciò anche in questo settore fare delle proposte serie e alternative.
Io credo sia fondamentale procedere alla separazione delle carriere dei magistrati, ed esattamente bisogna eliminare l’unica carriera dei magistrati e, al suo posto, prevedere la carriera dei magistrati requirenti (Pubblico Ministero) e dei magistrati giudicanti (Giudici).
Ciò soprattutto al fine di garantire una posizione terza (equidistante tra P.M. e imputato) del giudice nel settore penale e una maggiore specializzazione del magistrato.
Bisogna riformare, altresì, il Consiglio Superiore della Magistratura in modo tale da eliminare le incrostazioni politiche, così come bisogna prevedere, tra l’altro, una concreta responsabilità civile del magistrato (allo stato sussiste una legislazione che prevede tale responsabilità, che, però, è farraginosa e sostanzialmente rende molto difficile esercitare tale azione di responsabilità) e il divieto di svolgere attività politica.
Le varie modifiche ai codici processuali non hanno sortito risultato alcuno nella velocizzazione dei tempi del processo perché, soprattutto, difetta il personale (magistrati, cancellieri etc.).
Occorre, quindi, che sia impinguato fortemente l’organico se si vuole migliore l’amministrazione della giustizia, altrimenti ogni modifica naufragherà per l’impossibilità della sua pratica applicazione.
Questi sono alcuni dei temi che il MSFT fa propri per elaborare le proprie strategie politiche.
Queste nostre posizioni devono essere portati all’esterno e per farlo, noi che non abbiamo accesso ai mass media, dobbiamo riappropriarci delle piazze.
Non ho critiche da muovere a nessuno ma è un fatto che, noi che siamo Movimento, abbiamo progressivamente abbandonando le piazze, scoraggiati, forse, dal fatto che poche erano le persone che ci ascoltavano.
Invece bisogna tornarci, trovare il modo di fare sventolare le nostre bandiere, renderci visibili ed essere propositivi.
Il MSFT che intendo contribuire a disegnare avrà come primo impegno il ritorno nelle Piazze, tra la gente.
Comizi, banchetti, giornali parlati, comunicati stampa devono essere una costante della nostra azione politica.
Se non ci fanno arrivare alla gente mediante i media noi ci arriveremo in modo diretto, con la presenza fisica, col dialogo.
Sappiamo di non avere grandi possibilità economiche ma abbiamo una risorsa che nessun’altra forza politica può vantare, i nostri militanti.
Saranno loro, i giovani missini, a essere il traino del Movimento tutto. I nostri ragazzi che, come diceva Benito Mussolini: vogliamo raccolgano la nostra fiaccola, si infiammino della nostra fede e siano pronti e decisi a continuare la nostra fatica.
Un Movimento che nel terzo millennio vuole essere artefice della politica nazionale non può prescindere da alcuni metodi di comunicazione che la moderna tecnologia mette a disposizione.
Quindi, oltre ai tradizionali sistemi di comunicazione, comizi, manifesti, volantini, banchetti, interventi su giornali e televisioni, come già detto prima, c’è da considerare la grande novità che in questo campo offre internet. Blog e Social sono sempre più visitati dagli italiani e dai giovani particolarmente.
Un corretto e incisivo utilizzo di questi potenti sistemi, che tra l’altro sarebbero a costo zero, credo sia indispensabile.
Dicevo prima, che il Movimento non ha grandi risorse finanziarie, ed è a proposito delle finanze del Movimento che ribadisco, cosa tra l’altro che faccio ciclicamente a ogni Comitato Centrale, la necessità di attivare una forma di contribuzione volontaria che si affianchi al tesseramento, allo stato unica fonte di acquisizione di denaro.
Già avevo presentato in CC uno studio di massima su come realizzarlo, non fu ritenuto idoneo, ma da allora nulla è stato proposto in sua sostituzione.
Io constato solo che altre formazioni politiche ricorrono a sistemi simili a quello che suggerisco e riescono ad ottenere delle contribuzioni.
Finanziariamente siamo con l’acqua alla gola e ci permettiamo di non attuare questo sistema di raccolta fondi.
Dovremo provvedere nel più breve tempo possibile.
Noi Missini abbiamo un Progetto politico che nessuno ha; abbiamo una capacità di prospettare soluzioni che ci rendono unici nel panorama politico nazionale e oltre; abbiamo una classe dirigente preparata e volitiva; abbiamo giovani meravigliosi per dedizione e spirito di servizio, dobbiamo solo convincerci noi di tutto questo e dotarlo dei mezzi necessari per trasformarlo in azione concreta.
Abbiamo una classe dirigente di prim’ordine, capace di confrontarsi con chiunque su qualsiasi tema, capace di analisi e proposte assolutamente innovative e originali.
Con questi dirigenti intendo collaborare dando vita a un Movimento dinamico che sappia trasformare in azione politica gli input che verranno dall’attualità politica.
Una Classe Dirigente che va, comunque, costantemente riqualificata.
A tal fine, io ritengo, devono essere riprese e rilanciate le scuole di formazione dei Quadri.
Già in passato questo è stato fatto e i risultati sono stati eccellenti.
E’ innegabile che le generazioni che si sono formate ai tempi dei famosissimi campi Hobbit, ma non solo quelli, sono poi stati Dirigenti di alto spessore.
Nel recente passato in Sicilia abbiamo fatto questo esperimento, ricordo che contribui come relatore, tra gli altri, Giovanni Salvaggio.
Dobbiamo smetterla con l’autocommiserazione, il Movimento Sociale dovrà da domani, anzi da oggi, partire all’attacco, saranno gli altri, gli avversari politici, i falsi amici, il Sistema, saranno loro a doversi preoccupare; non noi!
Ho cercato di non essere retorico, spero di esserci riuscito, avrei fatto torto alla vostra intelligenza se avessi formulato facili promesse di riscatto, se vi avessi spinto, sull’onda dell’emotività a sognare un Movimento Sociale, nell’immediato, assoluto protagonista delle vicende politiche italiane.
Ho voluto, invece, rappresentarvi il particolare momento che il Partito sta vivendo, perché è dalla consapevolezza della realtà che si può ripartire e, passo dopo passo, fare del MSFT un grande Partito, non solo per il Progetto politico ma anche per il riscontro elettorale.
Un Movimento che senza rinnegare alcunché sappia guardare avanti, impegnato nella realizzazione di un corporativismo possibile, il corporativismo del terzo millennio.
U Movimento Sociale coeso, con una guida capace, volitiva, che dia certezza di essere interprete indefesso dei contenuti statutari e dei deliberati congressuali..
Un capo intelligente, colto, onesto intellettualmente, come altri abbiamo avuto in un passato oramai lontano.
Una guida, un condottiero, un Segretario, che io indico in Attilio Carelli.
Grazie.
Mario Settineri
1 note
·
View note
Nuovo post su https://is.gd/Pov43B
Caro alle Muse: Luigi Marti da Ruffano a Pallanza
di Paolo Vincenti
Il poeta salentino Luigi Marti nasce nel 1855 a Ruffano da Pietro ed Elena Manno. La sua era una famiglia della media borghesia delle professioni ma tuttavia indigente a causa dell’alto numero dei suoi componenti. Dovevano infatti pesare non poco sul magro bilancio famigliare quindici figli, come apprendiamo da alcune memorie inedite di Pietro Marti(1863-1933)[1], l’ultimo e il più noto dei suoi fratelli. Pietro infatti fu storico e giornalista, fondò e diresse molte riviste letterarie, ad alcune delle quali collaborò lo stesso Luigi. Esperto di arte e di archeologia, fu Direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini”di Lecce e nonno del famoso poeta Vittorio Bodini[2].
Altri fratelli furono: Donato, il primogenito, Giuseppe, Francesco Antonio, nato nel 1856, Maria Domenica Addolorata, nel 1858, Caterina, Raffaele, nato nel 1859, Pietro Efrem (che morì dopo 3 mesi) nel 1861. La loro fu una famiglia di letterati, a partire da Giuseppe, per il quale Pietro Marti, nelle sue memorie, ha parole di grande lusinga ed ammirazione, sebbene le condizioni di estrema povertà impedirono anche a lui di spiccare il volo verso la gloria artistica. Alfredo Calabrese, Le memorie di Pietro Marti cit., p.33.
Luigi trascorre gli anni della fanciullezza a Ruffano proprio sotto la guida del fratello maggiore Giuseppe, che però scompare prematuramente. A lui il poeta era molto legato, tanto da dedicargli la sua opera Un eco dal Villaggio. Dopo lo smembramento della famiglia (Pietro e Raffaele, per esempio, vennero condotti a Lecce in un orfanotrofio), Luigi, insieme ad Antonio e altri fratelli, si trasferisce a Maglie per gli studi ginnasiali presso il Liceo Capece e poi a Lecce presso il Liceo Palmieri, nel cui Convitto entra con la qualifica di “Prefetto di Camerata”[3], dove consegue il titolo di Dottore in Lettere. Oltre all’amore per la storia e lo scavo erudito, ha una notevole inclinazione per le arti visive, in particolare per il disegno, che però non estrinseca se non in bozzetti che restano manoscritti e nelle illustrazioni di alcune sue opere, arabescate da ornati e volute e piccoli quadrettini. L’amore per il disegno però si riflette nelle sue composizioni poetiche e nei romanzi, in cui si avverte una potenza espressiva che ha la stessa forza del colore sulle tavole pittoriche, specie nelle descrizioni paesaggistiche e degli spettacoli della natura, come dalla critica del tempo gli viene unanimemente riconosciuto. I suoi principali referenti letterari sono il Foscolo e il Carducci.
Maestro elementare a Lecce, con i fratelli Pietro e Raffaele fonda nel capoluogo nel 1884 una scuola privata, che era uno dei due ginnasi privati leccesi insieme a quello del Collegio Argento[4].
Nel 1880 pubblica una delle sue opere più apprezzate e conosciute: Un eco dal villaggio[5]. Quest’opera viene positivamente recensita dallo Stampacchia, da Nicola Bortone, ecc. “In quei versi freme l’animo e l’ingegno di un giovane, che sente profondamente gli affanni del proletariato, e li rende in una forma, alcune volte, rude, ma sempre efficace e solenne”, scrive La Direzione (probabilmente il fratello Pietro Marti) nelle note biografiche del libro Il Salento[6]. L’opera è dedicata “alla memoria di mio fratello Giuseppe morto giovanissimo vissuto a bastanza per conoscere e patire”. Raccoglie poesie di alto impegno civile, in cui l’autore affronta temi come le raccomandazioni, i debiti contratti con gli usurai (“L’obligazione”), la prostituzione minorile, le sperequazioni della giustizia che si dimostra debole con i forti e forte con i deboli (“Ladro di campagna”), il riposo del contadino (“Il villano”). Nell’Introduzione, “A chi legge”, scritta dallo stesso autore, Marti fornisce dei cenni esegetici della propria poesia, alla quale è dedicata la liminare lirica della raccolta (“Alla Poesia”).
Egli è anche un apprezzato giornalista ed assidua è la sua collaborazione ai giornali diretti dal fratello Pietro Marti; in particolare la sua firma compare spesso su “La Voce del Salento”, insieme a quella dell’altro fratello, Raffaele, storico e scienziato, col quale condivide gli interessi eruditi[7]. La musa della poesia invece lo accomuna al fratello Antonio, autore di pregevoli opere liriche[8]. Nel1889, pubblica La Verde Apulia[9]. Nella raccolta, che si compagina di dodici sonetti, insieme ai versi, sono presenti molte note archeologiche, geografiche e storiche, sui luoghi che via via i componimenti toccano, e inoltre disegni illustrativi di mano dello stesso autore, sicché questo libro può essere considerato una summa del talento e delle conoscenze del Nostro. Canta di Leuca e del suo Faro, di Otranto, “Niobe delle città marittime”, di Maglie, dove erano sepolti un fratello ed il padre, di Lecce, “l’Atene delle Puglie”, di Brindisi, con le sue vestigia romane e il suo porto a testa di cervo, di Taranto, di Gallipoli, “molle Sirena’ del mar Jonio”, dei grandi personaggi che hanno illustrato il Salento, come il Galateo, Liborio Romano, Giuseppe Pisanelli. Sono versi che dai critici vengono accostati al Byron e al Foscolo per la loro vigoria ed icasticità.
Nel 1889 pubblica un’altra raccolta poetica, intitolata Liriche[10]. Nella prima pagina è riportato il titolo della Prima sezione, ovvero Odi (Strofe libere), con alcuni versi in epigrafe tratti dalle “Egloghe”(IV) di Virgilio: paulo maiora canamus. Si tratta di componimenti di carattere civile, dall’intonazione sostenuta, che si rivolgono ai principali protagonisti della scena pubblica italiana dell’epoca, a cominciare da Umberto I di Savoia, cui è dedicata l’esordiale lirica, occasionata dall’epidemia di colera che si verificò nel 1884, passando per Victor Hugò (“Nel giorno della sua morte”), Garibaldi (in “Monumento a Caprera. Visione”), e Giosuè Carducci, cui è dedicata “Per i caduti in Africa”. Seguono liriche di argomento salentino, dedicate a Castro, ai Martiri di Otranto, et alia. Si apre poi la seconda sezione, Sonetti, fra i cui versi compaiono ancora personaggi di spicco dell’Italia postrisorgimentale, Garibaldi, Giuseppe Libertini, Giovanni Prati, ma anche personaggi ai quali l’autore si sente evidentemente consentaneo, come Giulio Cesare Vanini, che omaggia con due poesie, Antonio De Ferrariis Galateo, Liborio Romano e Giuseppe Pisanelli.
Accanto alle opere poetiche, produce opere di erudizione varia e disparati argomenti, come Ricordi delle conferenze del R. Provveditore agli Studi Francesco Bruni sulla Ginnastica Educativa, stampata a Lanciano, presso Rocco Carraba, nel 1881, in cui riprende le conferenze tenute dal Provveditore agli Studi della Provincia di Lecce Bruni, che in apertura di libro gli scrive una lettera gratulatoria. Fra le altre opere: Umberto I di Savoia, che è una lunga lirica al Sovrano (nella copia conservata presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, sulla prima pagina è scritta una dedica, di mano dell’autore: “Al chiarissimo Dottore Gaetano Tanzarella per stima ed affetto”)[11]; e poi ancora A Vittor Hugò[12], L’Africa a Giosuè Carducci[13], Manfredi nella Storia e nella Commedia dell’Alighieri,[14]Umberto I e la Verde Apulia[15], Manfredi nella Divina Commedia: Conferenza[16], Bonaparte e la Francia: nella mente e nelle opere di Ugo Foscolo[17]. Per motivi di insegnamento da Lecce si trasferisce a Pallanza, in provincia di Novara, dove si sposa e comunque non interrompe la sua attività letteraria.
Nel 1891 esce Un secolo di patriottismo[18]. Nel 1896 è la volta di Il Salento. Poemetto lirico[19]. Questa sua fatica letteraria è pubblicata nella collana “Il Salotto Biblioteca tascabile”, edita da Salvatore Mazzolino e diretta da Pietro Marti, il quale in Appendice scrive delle Annotazioni in cui commenta i vari sonetti con approfondimenti storici e cenni di critica letteraria. Si tratta di un excursus storico sull’antico Salento, scritto in versi: l’autore tocca le città di Lecce, Brindisi, Taranto, Otranto, evocando le antiche vestigia e la gloriosa storia di queste città, e non mancano riferimenti a personaggi illustri del passato quali Vanini, Liborio Romano e Galateo.
Nel 1902 pubblica il poema Dalle valli alle vette Cantiche[20]. La copia conservata presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, reca sull’antiporta una dedica autografa dell’autore a Cosimo De Giorgi, mentre la dedica a stampa recita: “A te che mi aleggi d’ intorno”. In epigrafe, subito dopo la dedica, è scritto: “Ho cercato alla profonda quiete delle valli, alla pura sublimità de le vette, il vigore necessario a spogliarmi delle vecchie consuetudini ed aprir l’anima a la nuova fede. Nelle Cantiche che pubblico, si riflette, con le impressioni della natura e della vita, il divenire della mia coscienza”. E la raccolta infatti si apre con “La mia arte”, quasi manifesto programmatico della poetica dell’autore. Il poema è diviso in sezioni: Valle Ossola, Valle Anzasca, Pestarena, Macugnaga, Ascensione, Tra i ghiacci, Valle del Mastellone, Riti e costumi, Valle Canobina, Emigrazioni, Valle Diveria, Ancora in alto, Inno alla natura, per un totale di 68 liriche.
Altre opere creative sono: Conflitto d’anime (Romanzo) e Verso Roma (Nuove cantiche), sulle quali non abbiamo ottenuto ancora riscontri. Inoltre scrive Orazioni, Discorsi, articoli, pubblicati in riviste e volumi miscellanei.
Da Pallanza, per motivi di lavoro, si trasferisce a Salerno, dove muore prematuramente all’età di 56 anni[21]. Questo, appena tracciato, è solo un primo parziale profilo bio-bibliografico del poeta di origine ruffanese, in attesa di ulteriori doverosi approfondimenti.
Note
[1] Alfredo Calabrese, Le memorie di Pietro Marti, in “Lu lampiune” n.1 Lecce, Grifo, 1992, pp.27-34.
[2] Sulla figura dell’erudito Pietro Marti (1863-1933) esiste una cospicua bibliografia. Tra gli altri: Carlo Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, Vallecchi, 1904, p.578 (nuova edizione Napoli, Morano, 1920, pp-137-138); Domenico Giusto, Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi (dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione fascista), Bari, Società Editrice Tipografica, 1929, pp.187-188; Aldo de Bernart, Nel I centenario della nascita di Pietro Marti, in “La Zagaglia”, Lecce, n. 21, 1964, pp.63-64; Pasquale Sorrenti, Repertorio bibliografico degli scrittori pugliesi contemporanei, Bari, Savarese, 1976, pp.375-376; Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano (1861-1999). Profilo storico, Galatina, Congedo, 1999, pp.174-175; Paolo Vincenti, Pietro Marti da Ruffano, in “NuovAlba”, dicembre 2005, Parabita, 2005, pp-17-18; Aldo de Bernart, In margine alla figura di Pietro Marti, in “NuovAlba”, aprile 2006, Parabita, 2006, p.15; Ermanno Inguscio, Vanini nel pensiero di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XX, Lecce, Argo, 2009, pp.137-148;Idem, Pietro Marti direttore di giornali, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a. VII, n. 39, 2010, p. 6; Idem, L’attività giornalistica di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXI, Lecce, Argo, 2010-2011, pp.227-234;Idem, Il giornalista Pietro Marti, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a.VIII, n.40, 2011, p.7;Idem, Liborio Romano e le ragioni del Sud nel periodo postunitario. Il contributo di Pietro Marti sul patriota salentino, in “Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici”, n.43-44, dicembre 2011, Bari, Levante, pp.147-161; Idem, Pietro Marti e la cultura salentina. Apologia di Liborio Romano, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXII, Lecce, Grifo,2012, pp.164-185; Aldo de Bernart, Cenni sulla figura di Pietro Marti da Ruffano, Memorabilia 35, Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis,2012; Ermanno Inguscio, Pietro Marti, il giornalista, il conferenziere, il polemista, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXIII, Lecce, Argo, 2013, pp.40-58; Idem, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013.
[3] Aldo de Bernart, Il Salento nella poesia di Luigi Marti, in “Nuovi Orientamenti”, Gallipoli, marzo-aprile 1984, n.85, p.25.
[4]Ermanno Inguscio, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, p.34.
[5] Luigi Marti, Un eco dal villaggio, Lecce, Tip. Scipione Ammirato, 1880.
[6] Luigi Marti, Il Salento. Poemetto lirico, Taranto, Mazzolino, 1896, p. 4.
[7] Raffaele Marti (1859-1945) fu autore di moltissime opere, quali: Foglie sparse, Taranto, Tip. Spagnolo, 1907; Gli acari o piaghe sociali. Dramma in quattro atti e cinque quadri, Lecce, Tip. Conte, 1913; Le coste del Salento Viaggio illustrativo, Lecce, Tip. Vincenzo Conte, 1924; Lecce e suoi dintorni. Borgo Piave, S. Cataldo, Acaia, Merine, S. Donato, S. Cesario ecc., Lecce Tip. Gius. Guido, 1925. L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931. Su Raffaele si rinvia a Paolo Vincenti, Un letterato salentino da riscoprire: Raffaele Marti in “Il Nostro Giornale”, Supersano, giugno 2019, pp.41-43.
[8] Fra le opere di Antonio Marti (1856-1935): Povere foglie, Lecce Tip. Editrice Sociale- Carlino, Marti e Cibaria, 1891, e Scritti vari –Novelle e Viaggi, Intra,Tipografia Bertolotti Paolo e Francesco,1893.
[9] Luigi Marti, La Verde Apulia Lecce, Stab. Scipione Ammirato, 1885.
[10] Idem, Liriche, Lecce Tip. Garibaldi, 1889.
[11] Idem, Umberto I di Savoia, Lecce, Editrice Salentina, 1884.
[12] Idem, A Vittor Hugò, Lecce, Editrice Salentina, 1885.
[13]Idem, L’Africa a Giosuè Carducci Lecce, Stab Tipografico Italiano, 1887.
[14] Idem, Manfredi nella Storia e nella Commedia dell’Alighieri Lecce, Tipografia Salentina, 1887.
[15] Idem, Umberto I e la Verde Apulia, Lecce, Editrice Salentina, 1889.
[16] Idem, Manfredi nella Divina Commedia: Conferenza, Lazzaretti, 1889.
[17] Idem, Bonaparte e la Francia: nella mente e nelle opere di Ugo Foscolo, Pallanza, Tipografia Verzellini,1892
[18] Idem, Un secolo di patriottismo, Pallanza, Tipografia Verzellini, 1891.
[19] Idem, Il Salento. Poemetto lirico, Taranto, Mazzolino, 1896.
[20] Idem, Dalle valli alle vette Cantiche, Milano, La Poligrafica, 1902.
[21] Aldo de Bernart, op.cit.,p. 26.
1 note
·
View note