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#Civiltà di Golasecca
personal-reporter · 1 year
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Miracolo del Sole 2023 a Madonna di Campagna di Verbania
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Ferragosto è alle porte e con lui anche uno degli eventi più insoliti del Lago Maggiore, con una storia antichissima… Ai piedi del Monterosso, tra Intra e Pallanza, due tra le storiche frazioni che formano Verbania, si trova la chiesa di Madonna di Campagna, già monumento nazionale. Segnalato più volte tra i beni più amati e come uno dei quali che necessita di essere conservato e tramandato; anche in occasione dell’ultimo censimento del FAI, ha raggiunto le 2899 segnalazioni. La Chiesa di Madonna di Campagna e il suo complesso monumentale, sono al centro di lavori ormai da oltre vent’anni, un impegno che ha portato a un esborso di circa 900 mila euro solo per la parte esterna. Nel 2014, i lavori sono stati ulteriormente finanziati per altri 80 mila euro, per recuperare il più possibile l’aspetto originale della volta, degli affreschi e dei dipinti risalenti al 500 e 600 e dell’altare in marmo, risalente al 700. Lavori terminati a maggio 2016 e ripartiti subito per altre opere urgenti. Per completare i restauri all’interno, occorrerebbe un’ulteriore cifra, quantificabile attorno al milione di euro. Madonna di Campagna è una chiesa in stile rinascimentale cinquecentesco, edificata su un preesistente edificio romanico (Sancta Maria de Egro) di cui restano oggi soltanto il campanile del XI  secolo e qualche traccia muraria. Presenta il così detto Miracolo del sole dove ogni anno da secoli, il 25 marzo e il 15 agosto puntualmente alle 17, attraverso il rosone della facciata, un raggio di sole illumina un dipinto dell’Immacolata. Il nucleo primitivo della chiesa è sicuramente anteriore all’anno Mille, e il “Miracolo del sole”, non è un caso, e probabilmente nemmeno voluto dalla ricostruzione cinquecentesca, ma affonda le sue radici nella storia più antica e legata ai primi abitanti del Verbano. Per collocazione, forma e morfologia il Monte Rosso, ai cui piedi sorge l’attuale edificio di Madonna di Campagna è unico sul Verbano. La sua cima è posta a quota 692 metri, consentendo una vista libera e completa a 360°, che spazia dalla valle del Toce al Cusio, dai monti della Val Grande al bacino del lago Maggiore e ai laghi varesini. La vetta è in relazione visiva con ben 12 importanti siti dove sono state rinvenute antiche incisioni rupestri considerati sacri nell’antichità. Il villaggio di Cavandone, poco distante dall’attuale chiesa, era già un punto di riferimento nell’epoca della civiltà di Golasecca, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici in diversi punti della zona, e tutto il territorio del Monte Rosso, doveva essere considerato un luogo sacro, dove svolgere i rituali che scandivano il ciclo naturale dell’anno agricolo-pastorale. I numerosi massi erratici erano considerati sacri nell’antichità e i vari ritrovamenti archeologici, tra cui alcune incisioni su pietra, testimoniano una presenza umana molto antica. La vetta era uno dei luoghi migliori per osservare gli astri e il percorso del sole, con molti luoghi destinati alla devozione al dio Belenus, divinità della luce e alla sua sposa la dea Belisama, figure assimilabili ad Apollo e Minerva. Sole che illumina e scalda il Monte Rosso da tutti i lati rendendolo fertile, tanto che fino a metà Ottocento si trovavano, ulivi, agrumeti e l’uva vi cresceva ancora rigogliosa, dando un ottimo vino. Componente importante della zona è anche la presenza di una forte devozione religiosa, testimoniata dalle tante piccole cappellette votive dislocate lungo le pendici della collina: tra queste la Chiesa del Buon Rimedio, situata lungo la strada per Cavandone, da cui si gode un panorama mozzafiato sul Lago Maggiore. Nulla è rimasto agli atti della chiesa romanica precedente all’attuale Madonna di Campagna, e nemmeno traccia di quello che c’era ancora prima. Certo è che questo punto è stato da sempre un luogo di culto. Per questa sua ubicazione già la preesistente chiesa aveva la definizione di campestre. Infatti, in un documento del 1341 viene indicata come Santa Maria de Egro cioè di campagna. Dell’antica chiesa conserva anche l’affresco della “Madonna del Latte”, datato come trecentesco. L’edificio attuale è stato costruito tra il 1519 e il 1527 seguendo il progetto di Giovanni Beretta da Brissago. La consacrazione della nuova chiesa risale però solo al 1547, la decorazione interna fu iniziata nel periodo, ma conclusa solo nei decenni successivi e nella prima metà del Seicento. La costruzione si presenta a tre navate di quattro campate ciascuna, divise da colonne ottagonali in serizzo locale. L’abside centrale si trova all’esterno ed è a forma poligonale. Al centro del presbiterio si trova la luminosa cupola a spicchi, rivestita da un tiburio ottagonale e da un elegante loggiato bramantesco, alla cui sommità è posta una lanterna sempre ottagonale. Negli ultimi anni del Cinquecento l’abside è stata arricchita con due vetrate dipinte che illustrano l’Annunciazione e dal coro ligneo suddiviso in 13 stalli. La facciata è a capanna con un rosone centrale, rivestita con blocchi squadrati sempre in serizzo grigio, molto semplice ma affascinante nelle sue linee lombardo-rinascimentali. Al centro si apre un bellissimo portale d’accesso in pietra calcarea con architrave la cui struttura esterna è ad archivolta sormontata da un timpano: le superfici sono suddivise in formelle con vari motivi decorativi e simbolici come l’Agnello nella chiave di volta. Il rosone e le due finestre monofore laterali sono in pietra gialla d’Angera. La data “10 ottobre 1527″ incisa sopra il portale, indica il termine dei lavori. Le prime pitture in ordine di tempo sono quelle degli spicchi della cupola; esse raffigurano i quattro Dottori della Chiesa intervallati da coppie di Angeli. Un’attenzione particolare merita la seconda cappella laterale sinistra, detta “Della Madonna delle Grazie”, con al centro il già citato affresco della Madonna del Latte, proveniente dalla chiesa più antica, un motivo pittorico che ricorre spesso nell’iconografia sacra. Fu chiamata anche Madonna dei Miracoli e più tardi delle Grazie perché i fedeli la ritenevano miracolosa; sono presenti diversi ex voto a dimostrare la devozione e le grazie ricevute. A testimoniare l’importanza del luogo, il 22 ottobre del 1578, il cardinale Carlo Borromeo decise di effettuare un pellegrinaggio di ringraziamento, per il termine dell’epidemia di peste. Nella cappella troviamo stucchi e pitture ad affresco del 1596 di Camillo Procaccini, artista, pittore d’importanza rilevante per la Lombardia e il Canton Ticino. Le sue capacità, al di sopra della norma, gli valsero il soprannome di “Vasari della Lombardia”. Le navate laterali terminano a sinistra con la Cappella di San Lorenzo e a destra con quella di San Bernardo. Sono opere della Bottega di Bernardino Lanino di Vercelli, terminate attorno al 1580. La tradizione ha sempre indicato nel volto del giullare di corte, il ritratto stesso di Bernardino Lanino. Di particolare pregio le opere in legno, il fonte battesimale e il coro, realizzate nel 1582 dai vigezzini di Craveggia, Giovanni e Domenico Merzagora. La parte più monumentale della Chiesa è il grandioso complesso architettonico dominato dalla cupola, i cui affreschi sono opera di Giulio Cesare Luini (1547). La chiesa di Madonna di Campagna, già nel 1582 possedeva un organo, costruito da Pietro Antonio, organaro di Pallanza, allievo di Giovanni Cacciadiavolo. Un inventario del 1618, custodito presso la Curia di Novara, descrive questo organo con “…dodici registri, con dentro vari e diversi singolari istromenti che lo rendono perfetto e raro…” Organo che con i secoli e i restauri è andato perso, sostituito da altri, uno probabilmente datato 1720 e poi dal maestoso impianto collocato sopra l’accesso principale, creato nel 1892 da Alessandro Mentasti e restaurato da Mascioni nel 1990. Compresi nel complesso monumentale, vi sono anche un minuscolo camposanto, che tale rimase sino all’inizio del secolo scorso, mentre a sud si trova un ossario settecentesco, con pregevoli inferriate in ferro battuto, oggi trasformato in archivio e piccolo museo che faceva appunto parte del cimitero. Sul lato nord un edificio d’inizio sec. XVII, già sede di seminario, per una ventina di chierici, dal 1606 al 1753. Fu chiuso, si crede, per la continua tensione, spesso degenerata in zuffe anche cruente, tra Pallanzesi e Sunesi. Litigavano perchè ognuna delle parti rivendicava, la chiesa come propria e questo sino al 1822. Quando si decise di costruirne una nuova a Suna. L’area attorno alla chiesa, era un luogo di vera campagna, dagli anni trenta venne destinata a zona industriale con il complesso che nel dopoguerra divenne la Rhodiatoce e ora si trova proprio davanti all’ingresso di una fabbrica di materie plastiche. Una zona a poche centinaia di metri dal lago che è diventata a forte urbanizzazione, vicina alla strada provinciale, tra supermercati, la Questura e il Tribunale di Verbania, vicinissima alla famosa Villa Taranto. Il “miracolo del sole” della chiesa di “Madonna in campagna”, che vede i raggi colpire un punto preciso, l’affresco dell’Immacolata, in date precise, rimanda all’osservazione dei fenomeni celesti, delle religioni antiche presenti sul territorio, quando i luoghi di culto venivano scelti con cura e “orientati”. L’affresco che raffigura l’Immacolata, vede al centro un viso a forma tonda, che richiama la forma splendente del sole. E’ stato poi incastonato da un lavoro di stucchi per opera di Camillo Procaccini. Il sole compie il suo miracolo due volte l’anno da secoli, ogni 25 marzo e 15 agosto alle ore 17, quando puntualmente  un raggio di sole attraversa il rosone e illumina il dipinto della Madonna. E i giorni nei quali si verifica il miracolo non sono stati scelti a caso, sia dal punto di vista naturale che da quello religioso. Il 25 marzo infatti segna praticamente l’inizio della Primavera e il risveglio della natura; per la religione cattolico-cristiana è il giorno in cui l’arcangelo Gabriele diede annuncio del concepimento di Gesù a Maria. Invece il 15 agosto  per la natura è il giorno in cui l’estate volta verso l’autunno, con le giornate che prendono già ad accorciarsi visibilmente e la temperatura inizia a cambiare, momento in cui la frutta arriva alla sua maturazione, così come il grano nei campi. I Celti, fedeli osservanti della sacra circolarità del tempo dell’anno e delle fasi astronomiche, celebravano in questo periodo, apice dell’estate, il Lughnasad, la quarta e ultima festa cosmico-agraria del loro calendario. La mezza estate corrisponde all’unione astronomica fra il sole e la luna, i luminari maggiori del cielo, celebrata anche dall’astrologia proprio con il segno femminile, lunare e acqueo del Cancro e quello maschile, solare e di fuoco del Leone. La quarta grande festa celtica aveva una valenza particolarmente agricola e si proponeva di garantire il favorevole andamento del ciclo con buoni e abbondanti raccolti. Per questo nell’occasione della festa di mezza estate si offrivano spighe di grano, mentre i festeggiamenti registravano fiere, con ricchi banchetti, grandi bevute e molti divertimenti. Per la religione cattolico-cristiana, si festeggia invece l’assunzione della Beata Vergine, il momento nel quale, terminata la vita terrena, Maria viene accolta in Paradiso con l’anima e con il corpo. Intorno al VII secolo, si iniziò a celebrare l’Assunzione di Maria, il cui dogma verrà riconosciuto come tale solo nel 1950. Read the full article
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colospaola · 7 years
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Dal 22 dicembre un’ampia selezione dei reperti archeologici risalenti alla fase iniziale della Cultura di Golasecca (XII-X secolo a.C.) rinvenuti durante gli scavi per la realizzazione del collegamento ferroviario tra i due terminal di Malpensa è in mostra, in maniera permanente, alla stazione ferroviaria del Terminal 2 dell’aeroporto internazionale lombardo. L’esposizione porta il nome di La Civiltà di Golasecca – Gli Insubri, primi Celti d’Italia.
E’ il risultato di un accordo tra il Segretariato regionale del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Regione Lombardia, Gruppo Fnm e Sea, è stata inaugurata alla presenza, tra gli altri, del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, dell’assessore regionale alla Cultura Cristina Cappellini, del soprintendente Luca Rinaldi, del presidente di Fnm Andrea Gibelli e del presidente di Sea Pietro Modiano.
La mostra trova la sua casa non a caso nell’aeroporto. Gli scavi per realizzare il collegamento ferroviario fra i Terminal 1 e 2 di Milano Malpensa, hanno svelato anche un tesoro archeologico antichissimo: reperti che risalgono alla fase formativa della Cultura di Golasecca. Sono state rinvenute tra l’altro 81 tombe, a detta dagli archeologi uniche sotto il profilo storico.
La Cultura di Golasecca si sviluppò nella prima età del Ferro tra la provincia di Novara, la Lombardia occidentale e il Canton Ticino, oltre che nella Val Mesolcina nel cantone dei Grigioni, in territorio svizzero, comprendendo non una sola popolazione, ma un buon numero di popoli che vivevano nell’area lombarda, piemontese e ticinese, che sembrano rappresentare in assoluto il più antico ceppo celtico più documentato della zona. Zona che è nota ancora oggi come Insubria, proprio dal popolo che per primo seppe progredire e crearsi una società stabile e continuativa.
Le origini di questa cultura si riallacciano direttamente alle precedenti fasi dell’età del bronzo recente. Nel XIII secolo a.C. in buona parte della Lombardia ci fu infatti lo sviluppo della Cultura di Canegrate, che introdusse fogge ceramiche e manufatti metallici legati a quelli tipici della Cultura dei Campi di Urne sviluppatasi a Nord, in Germania, nel territorio del Reno, nella Francia orientale, e sull’altopiano svizzero, nelle regioni che sono ritenute essere le sedi originarie dei Celti e della loro cultura.
Ai Celti golasecchiani, che la storia chiama Insubri, si deve nell’Età del Ferro anche lo sviluppo della rete di contatti commerciali tra il Mediterraneo e l’Europa centrale, oltre alla fondazione d’importanti città lombarde, come Milano.
E l’aeroporto della Malpensa, sorge letteralmente a pochi passi da Golasecca, proprio nella brughiera che fu territorio degli Insubri, e dove vennero trovati diversi reperti già a fine Ottocento.
Una mostra che è un vero trait d’union tra il passato e il futuro, considerato che gli Insubri sono i fondatori di Milano e Malpensa è diventata l’aeroporto internazionale del capoluogo lombardo. Un biglietto da visita straordinario e unico per il territorio.
L’esposizione permanente, presso il Terminal 2 di Malpensa, è un vero e proprio viaggio nella storia per i passeggeri che ogni anno attraversano i corridoi della stazione, raccontando la storia del territorio usando parte del corredo ceramico e bronzeo rinvenuto nelle sepolture.
Le tombe contenevano il cinerario, un vaso in ceramica con i resti cremati del defunto, assieme a un corredo di armille o braccialetti, fibule o spille, e anelli, per 300 reperti inventariati, catalogati e restaurati, con il contributo di Ferrovie Nord.
Il progetto, pensato e realizzato in connessione con la rete dei musei e delle aree archeologiche lombarde, si compone di diversi elementi. In particolare: un grande pannello introduttivo che riporta informazioni sui contenuti dell’allestimento, il colophon, i testi e le grafiche che delineano la storia della Civiltà golasecchiana e degli Insubri. Le fasi del ritrovamento e il percorso introduttivo e narrativo dell’esposizione; una parete espositiva, all’interno della quale sono collocate le strutture (teche) per la conservazione dei reperti originali; una parete con diorami per la rappresentazione di paesaggi e personaggi storici che conducono il passeggero in un viaggio nel tempo, a partire dal Guerriero della Malpensa, ai personaggi della civiltà di Golasecca fino a giorni nostri; la ricostruzione di due tombe che rappresentano le tipiche sepolture della civiltà di Golasecca; ledwall per la rappresentazione di filmati e immagini che, con grande suggestione, illustrano i lavori di scavo e di restauro; alcuni slim led che indicano i siti e i musei archeologici della Lombardia.
  Malpensa, al Terminal 2 inaugurata l’esposizione permanente sulla civiltà di Golasecca Dal 22 dicembre un'ampia selezione dei reperti archeologici risalenti alla fase iniziale della Cultura di Golasecca (XII-X secolo a.C.)
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storiearcheostorie · 7 years
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FOTO: © MIBACT
COMO – Per la prima volta in mostra, reperti archeologici di grande importanza storica, esito della ricerca condotta a Como negli ultimi dieci anni, vengono esposti nella suggestiva Chiesa di San Pietro in Atrio, dal 30 settembre al 10 novembre.
L’articolata rassegna “Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio” organizzata congiuntamente dalla Soprintendenza Archeologica e dai Musei Civici di Como, accanto alla panoramica sugli ultimi ritrovamenti, illustra le novità scientifiche sulle più antiche fasi di popolamento, sviluppatosi nel corso del primo millennio avanti Cristo, e mette in risalto il valore e il significato del ricco patrimonio archeologico comasco precedente alla fondazione della colonia romana.
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Guttus ornitomorfo, dal corredo della Tomba 3, Grandate, 2011 © MIBACT
Urne cinerarie e vasi per offerte dalle forme inconsuete, ornamenti in bronzo, ferro, ambra, pasta vitrea, elementi dell’abbigliamento, amuleti, simboli di status delle antiche popolazioni e preziosissime armi riferibili alla cultura protostorica detta “di Golasecca” caratterizzano il percorso espositivo, accompagnato da fotografie e disegni ricostruttivi, video e immagini 3D, che forniscono, grazie alle nuove tecnologie, informazioni approfondite finalizzate a coinvolgere un vasto pubblico.
I temi principali della mostra sono i corredi funerari della prima età del Ferro provenienti dagli scavi di S. Fermo della Battaglia, via per Mornago (2006) e di Grandate, emersi nel 2011 durante la costruzione della nuova Pedemontana; l’enigmatica area religiosa/monumentale del Nuovo Ospedale Sant’Anna (scavi 2007), risalente al VI secolo a.C., costituita da un grande circolo del diametro di 70 m, delimitato da un doppio recinto di pietre con piattaforma centrale ad emiciclo e setti radiali in materiali litici e terre diverse, di difficile interpretazione funzionale; un ripostiglio sacro dell’Età del Ferro rinvenuto sul Monte San Zeno in Val d’Intelvi; i più recenti dati archeobiologici sul clima, la vegetazione, l’alimentazione umana in età protostorica; e infine i risultati della nuova ricerca condotta sul Carro cerimoniale del V secolo a.C. della Ca’ Morta dal prof. Bruno Chaume dell’Università della Borgogna, Direttore del programma Vix et son Environnement, che ha messo in evidenza una stretta parentela con i coevi carri di ambito culturale hallstattiano, rinvenuti nel Centro Europa.
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  Vaso a tre bracci con tre coppe, dal corredo della Tomba 3, Grandate, 2011 © MIBACT
Questi ultimi ritrovamenti contribuiscono ad accrescere il ricco patrimonio archeologico del centro protostorico che ha preceduto la fondazione di Como, le cui origini risalgono al I millennio a.C. Infatti, prima della città romana, i rilievi attorno alla città attuale vedono l’insediamento di villaggi e gruppi di abitazioni: diversi reperti e resti di tombe ne conservano la testimonianza. Nei secoli successivi, in particolare il VI e il V a.C., l’abitato raggiunge la sua massima espansione e ricchezza, concentrandosi soprattutto lungo il versante meridionale della Spina Verde, il parco regionale che si estende sulla fascia collinare a nord-ovest di Como. Fondamentale per lo sviluppo del nucleo abitativo è il suo ruolo di centro di contatto e scambi tra la Pianura Padana, stabilmente occupata dagli Etruschi, e il mondo celtico e quello hallstattiano (dalla cittadina di Hallstatt, nei pressi di Salisburgo) del Centro Europa.
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  Grande vaso in bronzo (stamnos) con coperchio, cinerario della Tomba del Carro della Ca’ Morta, V sec. a.C. © MIBACT
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Carro cerimoniale protostorico, V sec. a.C. Rinvenuto a Lazzago nel 1928, esposto al Museo Archeologico di Como © MIBACT
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Spada in ferro dal corredo della Tomba 2, Grandate, 2011 © MIBACT
L’ininterrotto stanziamento delle popolazioni nella medesima area fino ai giorni nostri, unito all’intensificarsi delle attività edilizie del secondo dopoguerra, ha nascosto o cancellato segni dell’insediamento antico. Tuttavia, l’attività di tutela svolta dalla Soprintendenza Archeologica in sinergia con le Amministrazioni Comunali, consente di recuperare sempre nuove testimonianze del passato della città e dei suoi abitanti, garantendone la salvaguardia.
La ricerca scientifica – che di recente si è avvalsa della collaborazione con importanti centri di studio internazionali, quali il CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) e le Università di Berlino e di Mainz – permette ora di porre in risalto il ruolo della civiltà di Golasecca (cultura preromana che si sviluppa nel I millennio a.C. nel territorio della Lombardia occidentale, Piemonte Orientale, Canton Ticino, che deriva dalla località di Golasecca, sulla sponda varesina del fiume Ticino) nel quadro delle relazioni con le coeve civiltà mediterranee e mitteleuropee.
  La mostra è inoltre un invito a visitare i beni archeologici presenti in città e nei dintorni: il Museo Civico cittadino, dove sono conservati l’originale del Carro celtico e i reperti dei passati rinvenimenti nella necropoli della Ca’ Morta, il Parco della Spina Verde, il Circolo dell’Ospedale di S. Anna e infine, per l’epoca romana, l’area delle Terme di Viale Lecco e Porta Pretoria.
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Tomba 16 del Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, in corso di scavo © MIBACT
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Corredo Tomba 1, Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, VI sec a.C Urna cineraria troncoconica in ceramica, grande coppa su piede, boccale, fibule e altri elementi di ornamento in bronzo, due perle in pasta vitrea © MIBACT
Il progetto scientifico è stato redatto da Lucia Mordeglia, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, Marina Uboldi, Musei Civici di Como,Stefania Jorio, già Soprintendenza Archeologia della Lombardia, con la collaborazione di Marta Rapi, Docente di Preistoria e Protostoria, Università degli Studi di Milano, Mauro Rottoli, Laboratorio di Archeobiologia dei Musei Civici di Como e Mimosa Ravaglia, Archeologa, Como.
Accompagna la mostra un catalogo con testi di Lucia Mordeglia, Stefania Jorio, Mimosa Ravaglia, Bruno Chaume, Marina Uboldi, Mauro Rottoli, edito da Società Archeologica Comense.
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  Veduta generale del cantiere di scavo in occasione della costruzione del Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, 2007 © MIBACT
Il grande “circolo” cultuale del Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, in corso di scavo, 2007 © MIBACT
Il grande “circolo” cultuale del Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, in corso di scavo, 2007 © MIBACT
INFORMAZIONI
Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio
A cura di Lucia Mordeglia e Marina Uboldi
Sede Chiesa di S. Pietro in Atrio, via Odescalchi, Como
Date 30 settembre – 10 novembre 2017
Orari martedì – venerdì, ore 15-18; sabato e domenica, ore 10-18; lunedì chiuso
Ingresso gratuito
Visite guidate per le scuole solo su prenotazione: martedì e giovedì, ore 10-12
Per prenotazioni: Società Archeologica Comense, Piazza Medaglie d’Oro 6 – 22100 Como
Tel. 031 269022 – [email protected]
Informazioni: Tel. 031.252550
#MOSTRE / “PRIMA DI #COMO. NUOVE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE DAL TERRITORIO” #archeologia FOTO: © MIBACT COMO - Per la prima volta in mostra, reperti archeologici di grande importanza storica, esito della ricerca condotta a Como negli ultimi dieci anni, vengono esposti nella suggestiva…
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