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#Detto irlandese
fallimentiquotidiani · 11 months
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diceriadelluntore · 10 months
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Juice Sanguinis
Francesco Paolo de Ceglia è stato già protagonista di uno dei miei post bibliofili, qualche anno fa, quando scrisse un libro eccezionale sulla Storia del Miracolo di San Gennaro, che fu una lettura entusiasmante. È con lo stesso spirito di curiosità che ho comprato il suo ultimo, lavoro, dal titolo, non si può dire altro, gotico:
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Anche in questo caso si tratta di una Storia Naturale, intesa come studio e descrizione dei componenti della natura, che stavolta riguarda i vampiri. Dico subito una cosa: non esiste una traduzione precisa del concetto di “vampiro” e persino la sua etimologia è oscura e misteriosa (va da sé, visto l’argomento, si potrebbe pensare), ma è chiaro che la nostra idea di “Vampiro” un succhiasangue spesso ben vestito che abita un castello terrificante sta al termine come Babbo Natale sta alla Coca-Cola. E lo spiega, con la sua scrittura precisa e barocca, il professore de Ceglia, che insegna Storia della Scienza presso l’Università di Bari, intraprendendo un percorso affascinante che parte da un dato storico: a metà del 1700, un po’ per pruderie editoriali un po’ per motivi politici, alcuni resoconti di ufficiali dell’Impero Austro-Ungarico, mandati da Vienna in sperduti angoli orientali dell’Impero, scoprirono che le popolazioni locali avevano “problemi” riguardanti dei “ritornati”, persone cioè morte ma che continuavano a disturbare la popolazione, soprattutto i familiari. Si fecero indagini, autopsie, e tra il preoccupato e lo scettico quei documenti arrivarono a Vienna, e segretamente poi pubblicati e ripresi da numerose Riviste Scientifiche e letterarie che accesero la miccia sui morti viventi dell’Europa orientale. Da qui, con un lavoro filologico e storico impressionante (oltre 1000 note, più di 400 tra Autori e Testi citati) de Ceglia indaga a ritroso sulle tradizioni legate a queste presenze, al ruolo che la Chiesa ha giocato sulla loro diffusione o sul loro confinamento, sulle problematiche teologiche, storiche e persino economiche. E si scopre che sotto la definizione vampiro si annidano figure che adesso definiamo con altri nomi, come gli zombie, ma che a seconda del contesto avevano caratteristiche specifiche, e molte altre comuni, che attraversano per centinaia di anni alcune zone dell’Europa. La storia è, il più delle volte, sempre la stessa: dopo il suo decesso, un membro marginale della comunità, spesso segnato da caratteristiche fisiche peculiari, ritorna col proprio corpo (e non semplicemente come spettro evanescente) a tormentare la popolazione del proprio villaggio, del tutto indifferente alla ratio che vorrebbe un corpo sepolto, e riesumato solo per accertarne l’assenza di decomposizione o eventualmente arderlo, inamovibile e del tutto incapace di vagare quando cassa e terra lo abbracciano. Ma non fu sempre così, e la categorizzazione delle varie differenze è meravigliosa, come lo scoprire perchè, e nel libro è prontamente spiegato, ci sono intere fasce di territorio europeo dove questo fenomeno non si riscontra. 
Ma Dracula? Beh, questo lo posso svelare: fu un bellissimo ma cagionevole di salute scrittore irlandese, che nel 1890 stava scrivendo un libro, dal titolo provvisorio di Conte Wampyr lo inventò. Si imbattè in un libello nascosto in una biblioteca, Resoconto sui principati di Valacchia e Moldavia, nel quale aveva letto: “Dracula in lingua valacca significa Diavolo. I Valacchi avevano l’abitudine all’epoca, e ce l’hanno ancora oggi, di dare questo soprannome a tutte le persone che si distinguono per coraggio,. azioni crudeli o abilità”. Persino il riferimento a Vlad III Dracula, detto l’Impalatore (Tepes,  nomignolo che si sarebbe affermato dopo la sua morte) è piuttosto occasionale. Quando uscì il suo romanzo, nel 1897, il clamoroso successo e l’imperitura trasfigurazione in opere teatrali e soprattutto cinema e televisione (potere dell’immagine, punto dell’era contemporanea) Dracula si trasformò in un elegante mordicollo, che odia la luce, che preferisce le tenebre e che trasforma chi morde in vampiro (che leggendo il libro sono caratteristiche che non si riscontrano, se non in minima parte, nelle storie dei vampiri “naturali” e sono tutta farina del sacco di Stoker).
Soprattutto, e qui sta la bellezza secondaria, è un grande affresco sul ruolo storico, culturale, politico e simbolico del rapporto con l’altro, con il diverso e, en passant, con la morte. E ci sono delle osservazioni che davvero entusiasmano (per chi leggerà il libro, raccomando particolare attenzione all’introduzione dell’idea del Purgatorio o come, per evitare pericolose contaminazioni, i segnali di santità sui corpi cambino repentinamente per non confondersi con quelli dei “non morti”).
È una lettura impegnativa, sia per l’argomento, per il tono da pubblicazione accademica (ma molto ironica e in alcuni passaggi esilarante) e anche per il prezzo del volume (34€) ma che scandaglia la storia dai miti greci fino a Buffy L’ammazzavampiri e True Blood o Twilight, nuovi fenomeni che cambiano ancora radicalmente la figura del vampiri, regalandole nuove e inaspettati rappresentazioni. D’altronde il possesso della conoscenza non uccide il senso di meraviglia e mistero. C’è sempre più mistero (Anaïs Nin).
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chez-mimich · 1 year
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GLI SPIRITI DELL'ISOLA
Rompere un'amicizia è sempre una cosa spiacevole, a volte anche molto spiacevole, ma qualche volta può addirittura sfociare in un vero e proprio dramma, specie se si vive su una sperduta isola di un arcipelago irlandese. Ci troviamo nel 1923 (non è fatto da poco che nemmeno esistessero né i social, né il web ad alleviare la pesantezza del vivere) e, come si è già detto, sulla remota isola irlandese (immaginaria) di Inisherin, accade che Colm (intepretato da Brendan Glee) decida all'improvviso di interrompere la frequentazione di Pàdriac (Colin Farrell) il suo più caro amico, senza nessun plausibile motivo, almeno all'apparenza, mentre Pàdriac non sopporta il rapporto danneggiato e il mutismo dell'ormai ex amico. La vita sull'isola continua prevedibilmente a scorrere monotona, tra il pub sulla scogliera, la chiesa e il porto dalle acque grige e tempestose di quelle latitudini. Ma Pàdriac non si rassegna e, come il più molesto degli stalker, non molla la presa di Colm che, uomo burbero e scontroso, decide di tagliarsi un dito di una mano ogni qual volta Pàdriac gli rivolgerà la parola. Detto fatto, il (povero) Colm si ritrova senza tutte le dita della mano destra. Colm è un violinista-compositore e il suo gesto appare ancora più masochistico, ma darà anche luogo successivamente alla rappresaglia contro Pàdriac, con l'uccisione della asinella di quest'ultimo. Pàdriac, a sua volta, brucerà la casa di Colm che tuttavia casualmente resterà incolume. Naturalmente il focus di tutto il film è centrato sulle motivazioni che spingono Colm, parrebbe insensatamente, a rompere l'amicizia con Pàdriac. Perché Colm si chiude in una sorta di autismo nei confronti dell'amico? In realtà è lo stesso Colm a spiegarlo anche piuttosto esplicitamente: l'amicizia di Pàdriac, ormai, non è più in grado di offrirgli nulla e quindi preferisce di gran lunga la composizione musicale e il violino alla compagnia di Pàdriac, uomo gentile, ma di quella gentilezza un po' asfittica ed appiccicosa di cui si può benissimo fare a meno, anche se con una certa dose di cinismo. Quanto c'è in noi di Pàdriac e quanto c'è di Colm? Al di là delle piccole storie dell’isola irlandese e delle sue inquietanti presenze, è proprio questa domanda che rende interessante la pellicola di un regista disincantato e crudo come Martin McDonagh (suo era il magnifico "Tre manifesti a Ebbing Missouri"). Ognuno potrà rispondere secondo una propria tavola di valori : Pàdriac reclama di essere un uomo gentile, Colm risponde che la gentilezza non trapasserà nei ricordi dei posteri, mentre certamente arriverà la musica, nella fattispecie quella da lui composta. E allora la domanda investe noi tutti: vale la pena dedicare il proprio tempo coltivando una affettuosa, ma asfittica, amicizia o meglio spenderlo coltivando i propri interessi anche a scapito dei rapporti interpersonali?
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abatelunare · 1 year
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Ci vorrebbe un amico qui per sempre al mio fianco
C’è questa isoletta irlandese sulla quale l’esistenza degli abitanti scorre immota e perfino un poco monotona e ripetitiva. Detto in termini brutali: non succede mai un cazzo. Almeno fino a quando Colm decide, letteralmente dall’oggi al domani, che il suo migliore amico Padraic non gli va più a genio. Perché lo distrae dalle sue ambizioni artistiche. Da quel momento, qualcosa nella coscienza degli abitanti va in pezzi. Ne risulta una paradossale reazione a catena che ne travolge la quotidianità, generando una serie di piccoli conflitti paralleli alla guerra civile che infuria sulla terraferma. Nonostante l’ironia con cui tutto sommato vengono raccontate le ripicche nella piccola comunità, aleggia su tutto e tutti un senso di insensatezza della tragedia. Da una parte la teatrale coerenza di un uomo che pur di convincere l’ex amico a non rimpergli più le palle è disposto a mutilarsi in maniera irreversibile. Dall’altra l’infantile ostinazione di un altro uomo che non intende rassegnarsi alla perdita dell’amicizia, più per puntiglio, temo, che per reale dispiacere. Ci saranno dei morti. E delle incomprensioni. E dei distacchi più dolorosi delle amputazioni di cui sopra. Perché su quest’isola uomini e soprattutto animali si sentono spaventosamente soli. Niente, comunque, sarà più come prima. Senza, poi, dei gesti effettivamente eclatanti. Gli spiriti dell’isola è un film inconsueto. Spesso non capisci se rattristarti o divertiti. Va preso per quel che è. Come tutto ciò che ci circonda, in fondo.
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Oscar per il migliore attore a Cillian Murphy
L’Oscar per il migliore attore alla 96/a edizione degli Academy Awards è andato all’attore irlandese Cillian Murphy. E’ il protagonista di Oppenheimer di Christopher Nolan. “Viviamo nel mondo di Oppenheimer: dedico il premio a tutti i peacemakers del mondo”, ha detto l’attore irlandese accettando il suo primo Oscar.     Riproduzione riservata © Copyright ANSA source
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retelabuso · 2 months
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Il capo dei gesuiti irlandesi risponde alla sconcertante denuncia di abusi
DUBLINO (OSV News) – Il capo dei gesuiti in Irlanda ha detto di “vergognarsi” per il fallimento dell’ordine nell’affrontare gli abusi dopo la pubblicazione di un nuovo rapporto che rivela 93 denunce di abusi sessuali, fisici ed emotivi contro un sacerdote ormai deceduto. L’ordinanza ha anche rivelato i nomi di altri due membri della sua provincia irlandese contro i quali afferma di aver ricevuto…
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giancarlonicoli · 6 months
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10 nov 2023 09:48
“IL 7 OTTOBRE È FINITO IL MITO DELL’INVINCIBILITÀ DI ISRAELE. ORA NETANYAHU TRATTI” - WALID JUMBLATT, EX LEADER DEL PARTITO SOCIALISTA LIBANESE: “L’IRAN DIETRO HAMAS? QUALE MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NEL MONDO NON HA CERCATO ASSISTENZA DALL’ESTERO. L’FLN IN ALGERIA HA CHIESTO ALL’EGITTO DI NASSER, MANDELA IN SUDAFRICA ALL’URSS. PIUTTOSTO C’È DA CHIEDERSI PERCHÉ I PALESTINESI CHE SONO AL 70% SUNNITI NON HANNO TROVATO SPONDE ARABE E SI SONO DOVUTI RIVOLGERE ALL’IRAN? - ISRAELE DICE CHE DEVE SRADICARE HAMAS? SE NON SI CHIAMERÀ HAMAS, SARÀ QUALCOSA D’ALTRO A CHIEDERE IL DIRITTO DI VIVERE DIGNITOSAMENTE E LIBERI…” -
Estratto dell’articolo di Andrea Nicastro per il “Corriere della Sera”
Walid Jumblatt è il grande vecchio della politica mediorientale. È stato amico e nemico di tutti. A vent’anni era il golden boy di Beirut con un castello dei crociati come casa di montagna, motociclette e ragazze mitiche. A 28 anni gli uccidono il padre e lui eredita il partito dei drusi. «Non si sceglie il proprio destino» è la sua frase più celebre. Sopravvive a un’autobomba. Kalashnikov alla mano attraversa la guerra civile. E ce la fa. Da qualche mese ha ceduto il Partito socialista progressista al figlio Tamayur.
Jumblatt, l’attacco del 7 ottobre sta cambiando il Medio Oriente?
«È presto per dirlo. Di certo ha aperto una guerra che sarà lunga, sanguinosa per palestinesi e israeliani. Il primo risultato è stata la distruzione del mito dell’invincibilità d’Israele. Comunque, le radici di ciò che sta avvenendo sono profonde».
Lei è di appena un anno più giovane di Israele, è quello l’inizio a cui pensa?
«Ancora prima, nell’800 quando i primi sionisti si trasferirono qui».
Anche per lei, come per Hamas, Israele non deve esistere?
«Molti hanno continuato a dire di voler espellere gli ebrei dal fiume Giordano al mare.
Io no. Secondo me Israele dentro i confini del Mandato Britannico del 1948 e uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza nei confini del 1967 della Risoluzione Onu 242, sarebbero la soluzione corretta. Poi c’è Gerusalemme».
Altro nodo soffocante.
«[…] De Gaulle, un grand’uomo, nel novembre 1967 chiese il ritiro di Israele dai territori occupati e l’internazionalizzazione di Gerusalemme. […]».
Sia Hamas a Gaza sia Hezbollah qui in Libano sostengono che l’Iran non abbia partecipato al 7 ottobre.
«Non è rilevante. Mi dica quale movimento di liberazione nel mondo non cerca assistenza dall’estero. L’Fln in Algeria ha chiesto all’Egitto di Nasser, Mandela in Sudafrica all’Urss, l’Ira irlandese, l’Eta basca… tutti hanno cercato aiuti. Piuttosto c’è da chiedersi perché i palestinesi che sono al 70% sunniti non hanno trovato sponde arabe e si sono dovuti rivolgere all’Iran?».
Paragonare Hamas a Mandela è provocazione o offesa?
«Mandela veniva definito terrorista. Come Arafat con cui poi hanno firmato accordi. Dipende sempre da chi vince».
Quindi il terrorismo è cosa buona e giusta?
«Non ho detto questo. Dico: dategli un’alternativa. Dategli un cessate il fuoco e poi trattate. Magari gli ostaggi saranno rilasciati in cambio dei palestinesi in prigione. Se Netanyahu non lo fa significa che vuole continuare a uccidere civili e bambini con la scusa di Hamas. È morale questa sua violenza?».
Israele dice che prima di tutto deve sradicare Hamas.
«Possono distruggere Gaza, cosa che in gran parte è già fatta, uccidere i leader principali di Hamas, ma non l’idea, non un’intera nazione. Se non si chiamerà Hamas, sarà qualcosa d’altro a chiedere il diritto di vivere dignitosamente e liberi». […]
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alonewolfr · 7 months
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Perché i cani vivono meno delle persone??
Ecco la risposta (da un bambino di 6 anni):
Essendo un veterinario, mi hanno chiamato per esaminare un cane irlandese di 13 anni chiamato Belker.
La famiglia del cane, Ron, sua moglie Lisa e il suo piccolo Shane, erano molto uniti a Belker e aspettavano un miracolo.
Ho esaminato Belker e ho scoperto che stava morendo di cancro. Ho detto alla famiglia che non potevo fare niente per Belker, e mi sono offerto di eseguire la procedura di eutanasia a casa sua.
Il bambino sembrava accettare la transizione di Belker senza difficoltà. Ci sediamo per un momento chiedendoci perché lo sfortunato fatto che la vita dei cani sia più breve di quella degli esseri umani.
Shane, che aveva ascoltato attentamente, disse: ''So perché...''
Quello che ha detto dopo mi ha sorpreso: non ho mai sentito una spiegazione più confortante di questa!
Questo momento ha cambiato il mio modo di vedere la vita.
Ha detto: ''La gente viene al mondo per imparare a vivere una bella vita, come amare gli altri tutto il tempo ed essere una brava persona, giusto?''
"Beh, visto che i cani sono già nati sapendo come fare tutto questo, non devono restare a lungo come noi.''
La morale della storia è:
Se un cane fosse un insegnante, insegnerebbe cose come:
• Quando i tuoi cari torneranno a casa, corri sempre a salutare.
• Non lasciare mai passare la possibilità di andare a spasso;
• Fai esperienza dell'aria fresca e del vento;
• Corri, salta e gioca ogni giorno;
• Migliorate la vostra attenzione e lasciate che la gente vi tocchi;
• Evitate di "mordere" quando solo un "ringhio" sarebbe sufficiente;
• Nei giorni caldi, sdraiatevi sull'erba.
E non dimenticare mai: "Quando qualcuno ha una brutta giornata, resta in silenzio, siediti vicino e dolcemente fai sentire che ci sei...
Questo è il segreto della felicità che i cani ci hanno insegnato ogni giorno.
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kritere · 9 months
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Caro voli, il ministro Urso dice che se Ryanair taglierà le rotte le riempiranno altre compagnie
DIRETTA TV 12 Agosto 2023 Il ministro Urso interviene nuovamente sul caro volo e risponde a Ryanair, che minaccia di tagliare alcune tratte. “L’Italia è il primo mercato della compagnia, il più appetibile d’Europa. Se taglieranno rotte, le riempirà qualcun altro”, dice Urso. 0 CONDIVISIONI Non si abbassano i toni tra il governo e Ryanair. Dopo che la compagnia low cost irlandese aveva detto…
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Nuovo ordine record di Ryanair
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Ryanair sta scommettendo sulla ripresa dei viaggi aerei post-pandemia.Il contratto, composto da 150 ordini fermi e dello stesso numero di opzioni, ha un valore di 40 miliardi di dollari, hanno dichiarato Boeing e Ryanair in un comunicato. Per Boeing ordine record da una low cost  Ryanair ha affermato che l’accordo è il più grande ordine mai effettuato da una società irlandese per prodotti fabbricati negli Stati Uniti.«Oltre a garantire entrate significative e crescita del traffico in tutta Europa, prevediamo che questi nuovi aeromobili, più grandi, più efficienti e più ecologici, consentiranno ulteriori risparmi sui costi unitari», ha dichiarato il ceo Ryanair Michael O'Leary in un comunicato. Le consegne inizieranno nel 2027 e nel 2033 e andranno a sostituire i B737NG più datati. Questi nuovi aerei avranno il 21% in più di posti (228 rispetto agli attuali 189) che garantiranno un fatturato aggiuntivo del 20%, ha detto O’Leary durante la conferenza stampa con il management di Boeing tra cui il ceo Dave Calhoun in Washington. Questa ultima versione del Max consumerà il 20% in meno di carburante e sarà molto più silenzioso. Per il traffico aereo l'era Covid è alle spalle  Ryanair è il principale acquirente di Boeing in Europa per gli aerei narrow body , avendo costruito la sua intera flotta di aerei a corto raggio attorno agli aerei del produttore americano fin dal 1996. La fine dell’era Covid e il ridimensionamento di altri vettori ha creato aperture per Ryanair. O’Leary ha citato la crescita in Italia, dove Alitalia è stata sostituita dalla più piccola ITA, in Portogallo, dove la TAP controllata dallo stato è ora in vendita, e nei mercati in Irlanda e Spagna, dove gli operatori storici sono stati lenti a ripristinare la capacità offerta, dando a Ryanair ampie possibilità di crescita. La compagnia aerea low cost è tra i vettori ad avere previsto un aumento delle prenotazioni estive, in particolare sulle rotte a corto raggio verso destinazioni vacanziere come la Spagna o l'Italia. Uno scenario che sta favorendo i vettori aerei che stanno rivedendo al rialzo le previsioni per l’intero anno: IAG (British Airlines e Iberia) ha alzato le previsioni per il 2023. In ripresa anche la tedesca Lufthansa che ha dichiarato di volere acquistare 22 nuovi velivoli wide body da Airbus e Boeing in un ordine del valore di 7,5 miliardi di dollari. A sua volta Air India ha annunciato un ordine di 470 aerei con i due produttori in quello che è considerato il più grande ordine nella storia dell'aviazione commerciale fino ad oggi. Boeing, i ritardi nelle consegne non sono ancora superati  Il ceo di Boeing, Dave Calhoun durante la cerimonia di firma del contratto ha citato i problemi nella catena di approvvigionamento causa dei ritardi nelle consegne «lavoriamo in trasparenza con i nostri clienti conoscono quali sono i problemi». O’Leary si è detto fiducioso nelle “promesse” di Boeing che finora ha rispetto al 95% i termini delle consegne, ma nel 2022 lo stesso O'Leary aveva duramente accusato Boeing proprio per i ritardi nelle consegne. Tuttavia, ad aprile erano attesi 51 737 Max, probabilmente ne saranno consegnati 48-51 entro luglio: «Forse a luglio avremo sul mercato meno posti di quanto previsto, ma questo non causerà cancellazioni di rotte», ha aggiunto. Per Ryanair 300 milioni di passeggeri al 2034  I nuovi aerei che si aggiungeranno all'attuale flotta di 540 velivolo (B737-300 e B737 Max) serviranno alla crescita della compagnia low cost che prevede entro di raggiungere 300 milioni di passeggeri trasportati entro il 2034 e di conquistare una quota di mercato del 30% in Europa oltre a creare 10mila posti di lavoro nel settore del trasporto aereo. Read the full article
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edida · 1 year
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Il vuoto nella canna
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:: di Stefano Angelo ::
Fish and chips
Mi ritrovo seduta al tavolo di un fish and chips, tenendo tra le mani una tazza di tè irlandese per cercare di incontrare un po’ di calore. Dall’altro lato del tavolo non c’è nessuno. Solo un oggetto inconsueto appoggiato in bella vista, come fosse l’arnese più banale del mondo. Invece no. Si tratta di un fucile. Forse un fucile da caccia, di quelli a otturatore girevole. Così mi hanno detto. Ho una sensazione di disagio, di nausea e una rabbia celata da uno sguardo perso nel vuoto. Dopo un po’, fisso il fucile. Lo avevo trovato sulla soglia di casa qualche giorno prima. Lasciato da chi? Da mio fratello… Intanto rimugino sulla cosa che mi aveva irritata di più: non era quell’arma, apparentemente più ossidata di me, ma il biglietto che l’accompagnava e che non ho ancora avuto il coraggio di strappare. Il calore della tazza inizia finalmente a sortire qualche effetto mentre un’accozzaglia di pensieri intasano il mio cervello. Io non vorrei uccidere lui, mio fratello, con quel fucile ossidato e carico del mio dolore. Ma suo figlio, mio nipote. Un ragazzo (fastidiosamente) perfetto, (apparentemente) adorabile, con tanta gioia di vivere; dicono. Non so se lo amo, almeno un po’. Ma so che odio mio fratello. Alla follia. Il nipote sarà la mia lama, la mia vendetta. Che deliri… Intanto medito sul dopo. Sulla sofferenza inflitta a mio fratello. Sulle sue lacrime. Sul suo sudore. Sul vuoto. Suo. Mio. Di entrambi. In alcuni momenti immagino lo sparo, l’odore della polvere, il rumore assordante. Un fischio nella testa mi disturba. Resto attonita. Penso alla vita interrotta. Ma è un lampo. Poi ripenso a mio fratello. A quanto lo odio, a come lo odio e a quanto soffrirà con me. Penso alla mia vita bruciata. Penso a mio padre, che se ne è andato molto prima, sfuggendo alla mia croce. Penso alla mia casa. A come era prima che si ammalasse mamma. A come era durante la malattia, con un letto in cui era apparsa una crocifissa, con le scatole di medicine sparse ovunque. Penso al disordine, agli odori. Penso alla routine a cui ero costretta, ai tempi scanditi da esigenze non mie, alle inutili visite dei dottori. Penso a me, al figlio che avrei potuto avere… mi si annebbia la vista. Resto catatonica, per diversi istanti. Una voce un po’ stridula mi ridesta dal mio torpore. È la cameriera che mi chiede se voglio qualcosa da mangiare. Un cheesecake, rispondo meccanicamente. In fondo non ho nemmeno fame. In fondo ho le budella attorcigliate. Nell’attesa piombo di nuovo nel mio passato… * * *
Passeggiate
Le mie giornate erano tutte uguali, da sette anni oramai. La casa era sempre più vuota e sporca, dopo la morte di mio padre. Il giardino era uno schifo. Le erbacce invadevano in maniera arrogante i miei spazi. Tutti i colori intorno a me erano sbiaditi. Anche io ero sbiadita. I miei occhi guardavano in maniera sfuggente la mia immagine nello specchio. Non ero più io? No, non ero più io. A trentotto anni avevo dovuto lasciare il mio lavoro per occuparmi “meglio” di mia madre. Il mio lavoro di maestra mi piaceva, forse. Già non lo ricordo più. Ma almeno, al mattino, prima di uscire di casa mi lavavo, mi vestivo in maniera pensata. Ero decorosa e rispettata. 
Pochi alunni in quella cittadina persa nella polvere, avevano un futuro incerto ma questa consapevolezza non mi demotivava. Alcuni bambini, con le loro famiglie, se ne erano già andati, la vita nei campi era dura e la fabbrica di armi della città vicina era una promessa. I negozi lì luccicavano. Le vetrine erano colme… Ci andavo spesso e mi piaceva vedere il mio riflesso per niente sbiadito in quelle vetrine. Mi piaceva proprio andare in quella città. Era una promessa anche per me. Lì viveva un avvocato di origine russa. Si era trasferito nella Città delle armi (così la chiamavo) dopo la Grande Guerra. Si chiamava Nikolay Melnikov. Melnikov significa mugnaio, ma ero l’unica a saperlo in quella città. Era serio, imponente. La sua mole un po' intimidiva. Era abile, molto abile. Aveva fatto amicizia con il sindaco e aveva già molti clienti. Nella Città delle armi si scatenavano diverse dispute. In altri tempi non ci sarebbe stato bisogno di un avvocato, pensavo. Oggi sì. Con Nikolay passeggiavamo spesso per le strade della Città delle armi, perfettamente asfaltate, perfettamente illuminate, soprattutto nei giorni di festa. Passeggiavamo sfiorandoci spesso, senza mai toccarci in maniera evidente. Era prematuro. Eravamo due persone rispettate. Con un ruolo, un obiettivo, un senso. Ma i dorsi delle nostre mani si cercavano e si incontravano. Complici. E bastava questo per farmi stare bene. * * *
Il giardino
Grande Guerra a volte ripetevo nella mia testa. Cosa avrà mai di grande una guerra. Io ero mite, a quel tempo. Coltivavo il mio giardino con precisione maniacale. Nessun cespuglio invadeva l’area del vicino. Io non invadevo l’area di nessuno. Ero riservata. Il mio sguardo non era ancora schivo. Scrutavo in maniera discreta le cose e le persone. Pensavo di capirle ma preferivo gli animali. Avrei voluto un laghetto con dei pesci. Non sapevo ancora che tipo di pesci. Piccoli, silenziosi, non invadenti. Ne avevo parlato timidamente con mio padre. Ancora mi metteva soggezione. Parlava poco, meno degli altri reduci. Spesso era assente. Non avrò mai lo sguardo come il suo, pensavo. * * *
La prigione
Le mie giornate trascorrevano serene. La mia routine lavorativa mi piaceva. Ma ultimamente mi piacevano di più le passeggiate nella Città delle armi. Lui non veniva mai qui. A lui non piacevano le strade polverose. A lui piacevano le camicie ben stirate, le cravatte e aveva una passione smodata per le bombette. Adorava quei cappelli… e io adoravo lui. Ma poi, tutto cambiò. Quando mamma si ammalò il mio tempo libero si sfumò. I primi tempi della malattia passavo i pomeriggi nei centri medici e nelle farmacie. I fine settimana, invece di andare a trovare Nikolay, provavo a scrivergli delle lettere. Non sempre ci riuscivo. Lui i primi tempi mi rispondeva, poi meno, poi in maniera distratta. Mio fratello, sfuggente, quasi mai mi concedeva un fine settimana di riposo. Lui aveva la sua famiglia, il suo lavoro. In uno di questi fine settimana “liberi” riuscii ad andare da Nikolay. Notai subito, dal suo sguardo, che qualcosa era cambiato. Era rigido, forse per nascondere il suo imbarazzo. Provai ad avvicinarmi a lui e percepii un odore estraneo, un profumo di donna appiccicato sulla sua camicia. Ricordo un brivido e la sensazione di un pugno nello stomaco. Ancora, però, conservavo il mio orgoglio. Tornai a casa senza batter ciglio. Ancora il mondo non mi era caduto addosso e mantenevo viva la speranza di una riscossa. Mi sbagliavo. La malattia di mia madre peggiorò. Nel giro di poco non fu più capace di alzarsi dal suo letto. Mio fratello, con un sorrisetto difficilmente interpretabile, appoggiò subito l’idea di mio padre: dovevo lasciare il mio lavoro. Ero l’unica che poteva occuparsi di mamma. Io, solo io. Il mio senso del dovere, verso la mia famiglia, mi impedì di vedere le conseguenze e diedi le dimissioni. L’adrenalina si alternava alla frustrazione. Poi i sensi di colpa, anche verso i miei pochi alunni, ma prima viene la famiglia, mi dicevo. * * *
Il fantasma
Dopo alcuni mesi mio padre morì, in maniera silenziosa, senza preavviso, durante una notte un po’ afosa. Gli ultimi anni con lui non erano stati di certo piacevoli ma nemmeno spiacevoli. Semplicemente era assente. Si affacciava di tanto in tanto da uno stipite della porta della stanza in cui viveva mia madre, senza mai entrare, senza mai parlare. La guardava per qualche istante per poi sparire nel buio del corridoio. Non lo notavi arrivare e non lo notavi andare via. Percepivo a volte il suo sguardo ma ormai non mi giravo più verso di lui, per invitarlo a entrare. Vagava per casa. Ultimamente non usciva nemmeno più in giardino. A volte gli portavo da mangiare in stanza, quando non si presentava spontaneamente a tavola all’ora abituale. Quasi lo preferivo. Stare a tavola con un fantasma, che nemmeno ti guarda, mi metteva a disagio. Stringevo forte le posate, ma non avevo il coraggio di rivolgergli la parola. Ero stufa di non ricevere risposte. Da un lato lo compiangevo per i traumi subiti in guerra, dall’altro lo odiavo per la sua rinuncia alla vita. Possibile che nella nostra casa non avesse trovato nessun conforto? Nessun motivo per reagire? Per riprendere a vivere? Almeno un po’. Così dopo la sua morte non dico che mi sentissi sollevata, ma nemmeno affranta. E poi c’era ancora mia madre. Dovevo ancora pensare a mia madre. * * *
La morte
La morte di mia madre arrivò cinque anni dopo quella di mio padre. Una morte diversa. Tra spasmi e lamenti. Bava e rantoli. Alla fine la sua faccia rimase quasi pietrificata in una smorfia di dolore. Non ebbi, alla prima, il coraggio di pulire e ricomporre il suo viso. Non volevo più toccarla. Dopo che per anni mi ero occupata di lei, di tutto il suo corpo. La parte più profonda di me non ne poteva più, malgrado l’amore. Era finita, ma ero finita anche io. Libera? Di fare cosa? Mi sentivo come un recluso che dopo trent’anni viene sbattuto fuori dalla prigione. Il trauma di uscire, da una tua prigione, a volte è più duro di quello che hai provato al momento di entrare… Con un dolore si può imparare a convivere, ti puoi convincere della sua “necessarietà”. Ma quando te lo tolgono all’improvviso? Che fai? Hai le forze per reagire? Per tornare a vivere? In quel momento vedevo, capivo, mio padre… ma la cosa per nulla mi allietava. * * *
Il testamento
Qualche settimana dopo venni convocata insieme a mio fratello dal notaio. Ero distrutta, logora e non solo per il dolore. Mio fratello aveva sempre quel sorrisetto un po’ impertinente. Mi dava fastidio anche il suo modo di “darmi coraggio”, come se la donna morta da poco non fosse anche sua madre. Ma c’era qualcos’altro, anche se ancora non riuscivo a capire. Il notaio, in maniera solenne, iniziò il suo rito, dopo averci spiegato alcuni dettagli sulla procedura. Prese un elegante tagliacarte, d’argento, con un manico ricco di incisioni e iniziò ad aprire la busta. I suoi movimenti erano lenti, troppo lenti. Io non vedevo l’ora di fuggire via da quella stanza e di rinchiudermi nuovamente nella “mia” casa. Finalmente, dopo aver disteso il contenuto del plico sulla sua scrivania, il notaio diede inizio alla lettura. Ascoltavo e non ascoltavo. Ero in uno stato di torpore. Pensavo fosse una pura formalità e continuavo a sentire forte l’impulso di andar via. Il mio disagio nel “mondo esteriore” era già marcato. A fatica mi ero ricomposta e vestita in maniera decente per l’occasione. Mio fratello era impeccabile come sempre e stranamente rilassato. Ecco ci siamo, il notaio stava per concludere ma la frase finale mi diede un sussulto. La maggior parte dell’eredità andava a mio fratello. A me restava solo la parte legittima. Ma come? Dopo anni di sacrificio, nemmeno il “diritto” all’equità! Cercai di balbettare qualcosa. Ma non avevo nemmeno la forza per protestare. E poi, cosa mai avrei potuto dire o fare rispetto alla volontà, presunta, di mia madre. Pensai per pochi istanti a Nikolay, avrei tanto voluto un braccio, in quel momento, su cui appoggiarmi. Mi alzai, invece, barcollante con le mie poche forze e mi trascinai senza fiatare verso l’uscita. * * *
Fish and chips (parte seconda)
Mi ritrovo adesso nel fish and chips, con quel fucile e con quel biglietto. Con una gran voglia di piangere ma non ho più lacrime da spargere per nessuno, nemmeno per me. Sul biglietto, scritto a mano, una sola parola: sparati. Come se la mia vita fosse già finita e priva di valore. Sarà anche così, ma che sia un’altra persona a ricordarmelo e a propormi una “soluzione” mi manda fuori di cervello. Sul dorso del biglietto una seconda opzione: quel cane di mio fratello, pieno del suo ego e del suo egoismo, mi invita a lasciargli la mia parte di casa il prima possibile, in cambio di una modesta cifra. Ma io non sono obbligata a vendergli la mia parte. Ma che diamine deve farsene di un’altra casa! Lui già ha la sua, comprata in parte con i soldi di mio padre, di nostro padre. La sua avidità mi lascia sbalordita. Come avrà fatto a convincere mia madre. Forse con la bella faccia del nipote? Poco dopo la morte di mio padre, avevamo convenuto che l’eredità di mia madre sarebbe stata divisa equamente e che con i miei risparmi avrei poi potuto comprare la parte della casa di mio fratello. Insomma, la casa sarebbe toccata a me. Quando mio fratello fece firmare a mia madre il testamento e lo portò dal notaio io mi fidai. Pensavo ingenuamente di conoscerne il contenuto. Perché mi fidai? Una parte di me ribolle di rabbia, come un magma represso e compresso nelle mie viscere. Ma sono ormai troppi gli strati di apatia da attraversare. Così mi ritrovo seduta da sola, in compagnia di un oggetto estraneo, a questo tavolo, con le mani intiepidite da una tazza di tè e con lo sguardo perso nel vuoto, nascosta da inutili strati di fard appiccicati sul mio volto in maniera distratta. Mi ritrovo aspettando… senza sapere esattamente cosa. © Testo – Stefano Angelo :: Editing a cura di Salvina Pizzuoli :: Immagine di copertina di Martin Kollar, modificata. :: Nota: Questo racconto, ispirato da una foto (di Martin Kollar) mostrataci da Mattia Grigolo durante un suo corso di scrittura creativa del 2019 (organizzato da ItaliaAltrove Francoforte), è un frammento di una raccolta – I racconti della donna con il fucile – che avrebbe dovuto dare vita a una pubblicazione cartacea. Purtroppo, causa COVID e impedimenti vari, il progetto si è arenato. Di tanto in tanto pubblicheremo alcuni di questi frammenti per rievocare un’esperienza, quella del corso, che ha comunque dato il “la” a nuove avventure su questo blog :: Read the full article
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stefandreus · 2 years
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Orchestra inutilizzata dentro camera --- teoricamente potrei farci un disco da solo...ma infatti a che serve ormai altra gente????
-Pianoforte B21 verticale YAMAHA
-Chitarra acustica
-Chitarra elettrica Eko vintage
-Chitarra semiacustica Ibanez AS73
-Tastiera Orla pesata (master keyboard)
-Sintetizzatore FM DX 21 YAMAHA (1985) sopra:
Doppio cavalletto e sopra ancora:
-Controller midi/tastiera muta Alesis attualmente alimentata con cavo USB IPOD CLASSIC (quanto lo amo, mi ha salvato da una marea di HD rotti)
-Detto controller controlla un Korg Analogico (levette e dotato di sequencer)
-Flauto contralto YAMAHA diteggiatura barocca
-Flauto soprano in legno HOHNER
-Flauto sopranino YAMAHA
-DIDGERIDOO
-Flauto cinese tradizionale stile traverso (carino)
-due flauti bansuri indiani in bamboo, uno traverso e uno dritto
-Sax contralto YAMAHA (my first <3...anzi no era una chitarrina classica vabb)
-Ocarina, scacciapensieri o marranzano o quel che vi pare, altri flauti come il famoso TIN WHISTLE in latta tipico irlandese
-ah poi percussioni, maracas originali di Cuba, batteria elettronica di mio fratello INUTILIZZATA ovviamente, ovetto fatto in casa con mappamondo metallico salvadanaio di mio padre riempito di riso
ah, poi sono un baritono credo decente dai, magari anche quello ci sta
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Villa di Maser. Storia di una casa e di una famiglia
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Mercoledì 5 ottobre, presso la sua sede milanese in via San Marco 22, la maison Cambi batterà all’asta i lotti di Villa di Maser. Storia di una casa e di una famiglia, la nuova prestigiosa house sale con un catalogo composto da arredi, oggetti d'arte e abiti appartenuti a Marina Volpi di Misurata. Villa di Maser e l'UNESCO La Villa Barbaro di Maser è uno dei capolavori massimi dell’architettura mondiale, Patrimonio dell'Umanità UNESCO, opera di Andrea Palladio che la realizzò tra il 1554 e il 1560 e che si avvalse per la decorazione dei due più grandi artisti suoi coevi, Paolo Caliari detto il Veronese per gli affreschi e Alessandro Vittoria per le decorazioni in stucco. Nel 1934 Giuseppe Volpi di Misurata acquistò la Villa per farne dono alla figlia Marina che vi si stabilì e ne intraprese l’opera di restauro affidando l’incarico all’amico architetto Tomaso Buzzi. Il dopoguerra Nel dopoguerra la villa si rimoderna con le nuove lampade disegnate da Caccia Dominioni e Gardella per Azucena di Milano, complice l’amicizia della famiglia con l’architetto Corrado Corradi Dell’Acqua. Marina Volpi commissiona a Piero Fornasetti oggetti curiosi pervasi dall’immagine dell’antico e di Palladio. Di particolare importanza anche la collezione di abiti e accessori firmati dei più grandi couturier dell'epoca come Hermes, Roberta di Camerino e le Sorelle Giunta di Milano. I lotti in asta non rappresentano soltanto un’importante collezione, ma raccontano la storia della Villa e della famiglia che l’ha abitata durante il XX secolo. Accanto a pezzi unici come la terracotta Tragedia Greca di Arturo Marini (stima: 25.000 – 30.000 €), troviamo infatti un Abito lungo con strascico realizzato con tecnica del merletto irlandese per le nozze di Nerina Pisani con Giuseppe Volpi di Misurata nel 1906, successivamente indossato dalla figlia Marina Volpi per i suoi 50 anni nel 1958 (stima: 2.500 - 3.000 €) e la Scatola lastronata in lapislazzuli con decoro di pesci a smalti policromi di Alfredo Ravasco, la quale presenta al suo interno una dedica per i venticinque anni di matrimonio tra Nerina Pisani e Giuseppe Volpi di Misurata festeggiati nel 1931 (stima: 60.000 - 80.000 €). Ricavato dell'asta Come stabilito da Vittorio Dalle Ore, proprietario della Villa, il ricavato dell'asta sarà destinato al restauro e alla valorizzazione dello splendido edificio. L'esposizione degli arredi, degli oggetti d'arte e del guardaroba di Marina Volpi sarà visitabile a Milano, presso la sede della Casa D'Aste Cambi in Via San Marco 22, da venerdì 30 settembre a martedì 4 ottobre 2022 negli orari 10-19. Read the full article
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Ryanair, 'niente gara tra scali sardi, i rivali sono fuori'
Meglio non pensare alla gara tra gli aeroporti sardi. È il consiglio di Jason McGuinness, Cco della compagnia Ryanair, per lo sviluppo del traffico passeggeri e quindi del turismo in Sardegna.     “C’è una buona fetta di mercato da aggredire – ha detto il manager della compagnia irlandese a Cagliari in un incontro con la stampa – ma anche trecento scali che si contendono i passeggeri. La vera…
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levysoft · 2 years
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Il sospetto, nutrito da molti fisici e matematici nel corso dei decenni ma raramente perseguito attivamente, è che la peculiare panoplia di forze e particelle che compongono la realtà scaturisca logicamente dalle proprietà di numeri a otto dimensioni chiamati "ottonioni".
Man mano che i numeri vanno, i numeri reali familiari - quelli che si trovano sulla linea numerica, come 1, π e -83.777 - iniziano le cose. I numeri reali possono essere accoppiati in un modo particolare per formare "numeri complessi", studiati per la prima volta nell'Italia del XVI secolo, che si comportano come coordinate su un piano 2-D. Aggiungere, sottrarre, moltiplicare e dividere è come tradurre e ruotare le posizioni attorno al piano. Numeri complessi, opportunamente accoppiati, formano "quaternioni" 4-D, scoperti nel 1843 dal matematico irlandese William Rowan Hamilton, che sul posto cesellava estasiamente la formula nel Broome Bridge di Dublino. John Graves, un avvocato amico di Hamilton, ha successivamente dimostrato che coppie di quaternioni producono octonioni: numeri che definiscono le coordinate in uno spazio astratto 8-D.
Lì il gioco si ferma. Nel 1898 emerse la prova che i reali, i numeri complessi, i quaternioni e gli ottonioni sono gli unici tipi di numeri che possono essere aggiunti, sottratti, moltiplicati e divisi. Le prime tre di queste "algebre di divisione" avrebbero presto gettato le basi matematiche per la fisica del XX secolo, con numeri reali che appaiono onnipresenti, numeri complessi che forniscono la matematica della meccanica quantistica e quaternioni alla base della teoria della relatività speciale di Albert Einstein. Ciò ha portato molti ricercatori a interrogarsi sull'ultima e meno compresa algebra di divisione. I octonioni potrebbero contenere i segreti dell'universo?
"Gli ottoni sono per la fisica ciò che le sirene erano per Ulisse", ha detto Pierre Ramond, fisico delle particelle e teorico delle stringhe all'Università della Florida, in una e-mail. […]
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