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#Francesco Somigli
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Somigli un casino a Francesco Sole ahahah non mi piace molto lui, con gli anni mi è scaduto un po' ma la somiglianza è pazzesca fisicamente ahaha
Ahah vabbè quelli son gusti. Anche mamma e un mio ex compagno di classe hanno notato la somiglianza ahah
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forzaitaliatoscana · 4 years
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Palestre, dalla conferenza in diretta nasce un documento
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Palestre, dalla conferenza in diretta nasce un documento. Le proposte per il settore sviluppate insieme a Forza Italia Toscana Per dare continuità ai temi e alle proposte emerse durante la diretta di venerdì scorso, Forza Italia Toscana ha prodotto un documento. Gli Azzurri chiedono ristori immediati per ASD e SSD e anche l’estensione del Superbonus agli impianti sportivi ma sottolineano, inoltre, l’importanza che dovrebbe essere riconosciuta alla pratica sportiva per la salute e il benessere dei cittadini. In tal senso propongono l’inserimento dell’esercizio fisico adattato tra i LEA (livelli essenziali di assistenza) e l’istituzione della palestra della salute. Alla diretta Facebook, organizzata dall’Avvocato Federico Dabizzi e moderata dal giornalista Lorenzo Somigli, hanno partecipato il Senatore Massimo Mallegni, Coordinatore Regionale, e tre imprenditori del settore, Francesco Annunziata, vicepresidente Fitwess, Francesca Bufalini, titolare Twenty fitness club, Gianna Meoni, titolare Palestre Universo. A questo incontro e al documento prodotto seguiranno altre iniziative dedicate al settore palestre. Di Seguito il documento: Palestre, un settore da salvare: proposte emerse dall’incontro online di venerdì 5 marzo Premessa Lo sport in Italia tutto vive una situazione critica da un anno ad oggi e le prospettive sono ancor più fosche. Read the full article
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ildiariodibeppe · 4 years
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Convertire… la periferia
Giovedì santo
(Es 12, 1-8. 11-14 / Sl 115 / 1Cor 11, 23-26 / Gv 13, 1-15)
Il legame tra la celebrazione dell’Eucaristia e il gesto della lavanda dei piedi come parabola assoluta di un amore sempre già dato e sempre da darsi nuovamente, è riassunto dalle parole dell’apostolo Paolo: <Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga> (1Cor 11, 26). Il tempo presente, il tempo intermedio della nostra vita è sospeso tra la memoria del grande amore, che abbiamo ricevuto in Cristo Signore, e quell’amore la cui pienezza attendiamo come dono nel futuro presente della nostra relazione con l’Altissimo. Il testamento del Signore Gesù non solo non lascia dubbi, ma sembra non lasciare scampo: <Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi> (Gv 13, 15). Tutta la tensione e il senso stesso della storia sembra essere racchiuso in questo cammino che coincide con tutta la vita, momento dopo momento: imparare a fare della nostra esistenza un dono d’amore che somigli a un pezzo di pane offerto, a un sorso di vino consumato insieme, per scaldare il cuore e liberare la mente dalle pesantezze del rammarico.
Il segno del pane e del vino che sono la materia dell’Eucaristia che celebriamo non solo questa sera, ma ogni volta che <si fa sera> nella nostra vita. Questo segno, solenne ed intimo al contempo, è chiamato ad assumere i tratti propri della parabola di un gesto che accompagna la Liturgia del Giovedì Santo: mettersi un grembiule, chinarsi ai piedi per lavarli con acqua profumata e fresca e dare il bacio che promette l’amore non come sentimento, ma come servizio al bisogno e alla vulnerabilità dell’altro per quello che è in verità. Il mistero della Pasqua di Cristo – Signore e Maestro – è l’occasione di fare Pasqua nel nostro cuore: passare dall’idea di un amore fantasticato, e talora così irreale, alla pratica di un amore incarnato,piegato…un amore che sa stare in ginocchio davanti al mistero di ogni persona nel suo essere per noi – come ci ricorda papa Francesco – periferia da riconoscere, accogliere e visitare. Pertanto accogliere la periferia dell’altro include – talora molto più dolorosamente – di riconoscere e assumere che noi stessi siamo periferici. In realtà siamo s-centrati ogni volta che non riusciamo a ri-centrare la nostra vita su un amore capace di impastare il sogno con la realtà come fosse un pane. Siamo “fuori”, come dicono i giovani nel loro linguaggio fiorito, ogni volta che non siamo più in grado di far maturare il vino della tenerezza nelle botti della lunga – talora troppo lunga – pazienza dell’attesa, e della speranza sempre vigile alla porta del cuore di Dio, degli altri e di noi stessi.
Allora la prescrizione rituale diventa ben reale: <Preso un po’ del sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno> (Es 12, 7). Siamo noi questa casa protetta dal sangue di una vita offerta come dono e che diventa <segno in vostro favore> (Es 12, 13) secondo la parola dell’Altissimo rivolta a Mosè alla vigilia dalla partenza dalla <terra d’Egitto> (12, 12). Dobbiamo anche noi lasciarci alle spalle l’Egitto interiore… saremo riconosciuti diversi dagli “egiziani” solo dal sangue… vale a dire dalla nostra capacità di scegliere, ogni giorno, di darci piuttosto che di prendere. Nella notte veglieremo davanti il segno così forte e così fragile dell’Eucarisitia per contemplare il massimo dell’immaginabile di un Dio che si fa amore: <Et Verbum amor factum est!>.
Signore Gesù, nella notte in cui venivi tradito tu hai scelto di darti nel modo più completo e nel modo più assoluto. Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo di questo vino in cui hai nascosto il segno del tuo mistero, siamo chiamati a cingerci i fianchi con il grembiule del servizio, un servizio che comincia sempre dai piedi che sono il segno della periferia di ogni nostra umanità che attende di essere accolta. Kyrie eleison!
http://www.lavisitation.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2239:convertire-la-periferia&catid=10:oggi-e-la-parola&Itemid=113&lang=it
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pangeanews · 4 years
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Elogio di Francesco Pippo, cioè Pippo Franco, a suo modo un genio. (Ha da poco compiuto 80 anni)
Un genio. Non ci sono altre parole: in pieno periodo degli yuppie e all’inizio dei cinepanettoni gli danno la sigla di Sanremo. Era il 1982. Pareva trash, ovvio, con quella canotta scura su cui sono stati stampati pettorali e addominali scolpiti. Ha fatto centro: l’anno successivo sale sul palco dell’Ariston con un pezzo che grazie all’intuito de La zanzara, la trasmissione condotta da Giuseppe Cruciani e David Parenzo su Radio 24, è stato innalzato a manifesto. Di più: un monumento di un’Italia sgarruppata, cazzara, attenta alle tinture per capelli degli eterni non invecchiati, alle cene a base di bollicine francesi, alle corse in macchina. Ai capodanni bianchi: un’illusione da donare a chi non se lo poteva permettere. Giovani rampanti, quelli della “Milano-Cortina due giri di Rolex”, e ovviamente “Alboreto is nothing”. Bei tempi…
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Non ne erano affatto consapevoli. Pirandellianamente, insomma, non si vedevano vivere. C’è voluto il suo guizzo per “fermare” in due o tre 45 giri un Paese di animali vestiti da finti signori. Di fichi (non i frutti dell’albero) che andavano in giro a spiattellare un lusso di spille, stelline, giubbotti di pelle, t-shirt con le spalline. E che attaccavano adesivi ovunque. Anche sui diari di scuola, o nei cessi.
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Tra i brani più famosi ritroviamo Cesso, parodia delle canzoni d’amore giocata su terminologie scatologiche in forma di calembour (“Cesso di amarti questa sera (…) / cesso di dirti che t’adoro / però io resto qui e mi sforzo / a non pensarti più”) ma anche Ninna nanna. Non quella tradizionale ma una rivisitazione: “Più ti guardo e più ci penso / che somigli a don Lorenzo / il buon padre confessore / a cui mamma apriva il cuore / (…) Dormi, dormi, bimbo bello / che tuo padre è un cornutello / e tu’ madre è una bigotta / dormi, fio de na’ mignotta…”. Poi c’è America, pezzo pioneristico (in ogni senso) che ha anticipato le rime di Renzo Arbore. “La minestra nell’Ohio, la si mangia col… cucchiaio / (…) Il cavallo nel Nevada fa la… cacca per la strada / E persino in Carolina ci son figli di… puttaina”. Nessuna forzatura e nessuna volgarità. Nemmeno se ci strofini la carta igienica profumata.
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Certo, la visibilità gliel’ha data la televisione. Cinema, quello (sulla carta) minore, quello delle B-movies, con carrellate di coscelunghe e popò al vento, zizze e completini intimi capaci di far venire, a chi li vedeva (ed erano in tanti), “tutti i pensieri del mondo, dai quasi casti ai quasi reato” (soprattutto i secondi), per dirla con le parole di Stefano Benni.
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Però è stato anche un eccezionale cantante. Un cantautore. “Alto”, a modo suo. E lungo e sottile come un fuso. Più o meno doveva ragionare così: musica ingannevole e orecchiabile – oggi li chiamiamo “tormentoni” – e parole leggere. Poi, come il Chimico di De André, li faceva sposare senza farli reagire. Brani “infantili” per raccontare ai bambini il mondo dei grandi, i loro difetti, i loro vizi, la loro incoscienza di appartenere al circo umano. Non è da tutti: giocare con gli opposti, affilare la lama per andare più a fondo. E ridicolizzare i soggetti presi di mira. Che, in fondo, sono più o meno quelli di quella volta.    
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Ha studiato al liceo artistico a Roma, quello in via Ripetta. Tra i suoi insegnanti vi sono Renato Guttuso e Giulio Turcato. Insomma, se hai buone orecchie e un briciolo di sensibilità, qualcosa di bello te lo metti a fare.
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Aveva già compiuto 40 anni – anche se da poco – quando ha sfornato una manciata di brani nazionalpopolari che solo apparentemente erano dedicati ai più piccoli: in realtà erano purissima satira. Nel cortile della politica razzolavano i galli che cantano, le galline che rispondono, le oche che ocheggiano in cerca di un riccone e di un vip e i “matti”, gli scemi del villaggio. Lui ha inventato una “Spoon river” romanesca. Ed è tanta roba.
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“Non tutti sanno che Chì chì chì cò cò cò fu il primo esempio di rap in Italia” disse l’artista.
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Pippo Franco, il 2 settembre, ha compiuto 80 anni. Auguri Francesco. Pippo è il cognome.
Alessandro Carli
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spaziozut · 7 years
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Re: act Rassegna di teatro contemporaneo 2017/18 All’interno del Progetto di Residenza Foligno InContemporanea con il contributo di: Comune Di Foligno Regione Umbria MiBACT Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno a cura di ZoeTeatro e ZUT Re: act 2017-18 è la rassegna di teatro contemporaneo di Foligno, è una proposta dell'Associazione culturale Zoe in collaborazione con lo Spazio ZUT!, ed è giunta al suo quarto anno. Sei spettacoli, sei tappe, sei punti di domanda, sei tentativi di risposta intorno alla società odierna proposte dal teatro contemporaneo. L’ASTA DEL SANTO 22 Dicembre h 21,15 GLI OMINI Un mercante in fiera sulle vite dei santi Carte di Luca Zacchini. Scritture di Giulia Zacchini Con Luca Zacchini e Francesco Rotelli biglietto intero 10 euro ridotto 7 euro Il maggior nemico del riso è l’emozione. Il comico esige dunque, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa che somigli a un’anestesia momentanea del cuore. Henri Bergson Lo sapevate che Sant’Antonio da Padova era di Lisbona? E che Santa Barbara è il nomignolo degli esplosivi perché suo babbo morì fulminato subito dopo averla decapitata? Sapete a chi chiedere aiuto in caso di geloni? E chi è il patrono dei rosticcieri? E sapete il perché? E che spesso i perché sono fuori dalla grazia di Dio? L’Asta del Santo non è solo un gioco. Eppure non si può nemmeno dire sia uno spettacolo teatrale. Di certo c’è un mazzo di carte. E le vite dei santi. Un uomo solo di fronte alla folla. Un uomo che renderà Natale ogni giorno dell’anno. Che per la gente ha selezionato 52 santi tra i 4000 esistenti per narrarne vita, gesta, miracoli e poi farne un gioco da tavola, o da bettola, o da teatro. Ogni Santo ha una sua storia di straordinarie avventure, sovrannaturali peripezie, impensabili morti, superpoteri. E sta dipinto su una carta. Gli Omini sono una compagnia teatrale nata nel 2006 con il primo obiettivo di avvicinare le persone al teatro e di far nascere il teatro dalle persone. Tra il 2010 e il 2011 Gli Omini lavorano alla stesura del libro "Il pesce spada non esiste-interviste, racconti, frasi fatte, fiori fritti, in memoria del tempo presente", edito da Titivillus, in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo. Dal libro nasce la lettura-spettacolo "Il pesce spada non esiste". Nel 2014 debuttano con La famiglia Campione, spettacolo prodotto in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola e il sostegno della Regione Toscana. Sempre nel 2014, Gli Omini diventano compagnia residente all'Associazione Teatrale Pistoiese e ricevono il Premio Enriquez come "Compagnia d'innovazione" per la ricerca drammaturgica e l'impegno civile. A fine 2014 Gli Omini iniziano a lavorare al Progetto T, progetto triennale prodotto dall'Associazione Teatrale Pistoiese, che punta al rilancio della Ferrovia Porrettana attraverso eventi e spettacoli. Nel 2015 Gli Omini vincono il premio Rete Critica come miglior compagnia dell'anno. Nel 2017 debuttaGran Glassé, una serata di parole sudate e punk da balera. Prima dello spettacolo (ore 20 circa) sarà possibile partecipare alla Cena di Stagione nella ZUT Gallery. Prenotazione Obbligatoria (limitata disponibilità di posti) al 389 0231912 DI TERRA E D’ORO Elena Bucci, Le Belle Bandiere - FUORI ABBONAMENTO 23 Settembre ore 21.30 - 10 euro intero, 7 euro ridotto* ELLA Nerval Teatro 10 Novembre ore 21.15 - 10 euro intero, 7 euro ridotto* TODI IS A SMALL TOWN Livia Ferracchiati 6-7-8 Dicembre ore 21.15 - 10 euro intero, 7 euro ridotto* L'ASTA DEL SANTO Gli Omini 22 Dicembre ore 21.15 - 10 euro intero, 7 euro ridotto* Proiezione film "VITA AGLI ARRESTI DI AUNG SAN SUU KYI" Teatro delle Albe A seguire incontro con Roberto Magnani 28 Gennaio ore 18:15 - ingresso gratuito R. OSA Silvia Gribaudi - in collaborazione con TSU 4 Febbraio ore 18.15 - 10 euro intero, 7 euro ridotto* GIANNI La Società dello Spettacolo 3 Marzo, ore 21.15 - 10 euro intero, 7 euro ridotto* ZUT! CULTURA ACCESSIBILE Da quest'anno grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio, la stagione Re: Act sarà ancora più la stagione di tutta la città, grazie anche ai Voucher ZUT che verranno distribuiti con l'obiettivo di coinvolgere anche le fasce deboli. Con i Voucher sarà possibile assistere a tutti gli spettacoli gratuitamente. BONUS CULTURA e/o CARTA DEL DOCENTE Iscivendosi a Bonus Cultura (rivolto a chi compie 18 anni nel 2017) e/o Carta del Docente (riservato agli insegnanti) è possibile richiedere l'abbonamento alla stagione teatrale Re: Act dello Spazio ZUT in maniera gratuita INFO E PRENOTAZIONI t. 389 0231912 (orario biglietteria 15-19) [email protected] Si ringraziano: Music Outlet Foligno, Music Service Calderini, www.umbrianet.it Holiday Inn Express, Moretti Omero Azienda Agraria, Casale1485
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ohneort · 11 years
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Si replica col Tour cinematografico
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Per chi se lo fosse perso due settimane fa, ecco un nuovo appuntamento per scoprire quali stazioni di Berlino sono state coprotagoniste in molti famosissimi film girati nella capitale tedesca! Ovviamente vi faccio da Cicerone io personalmente e il tutto è organizzato in collaborazione con Berlino Explorer. Ci vediamo Domenica 15 Dicembre alle 14:00 alla stazione di Zoologischer Garten (di fronte alla Raise Bank). Per dare la vostra conferma, ecco la pagina Facebook dell'evento con tutte le informazioni: https://www.facebook.com/events/708668809143636/
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pangeanews · 5 years
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“Siamo noi, proprio noi, a destare i nostri mostri”: 100 anni fa l’incontro tra Rilke e la sua musa assoluta, Baladine Klossowska
Nel 1919, un secolo fa, il poeta, Rainer Maria Rilke, sente il dovere di fare pulizia. Deve perfezionare il suo eremitaggio artistico. La guerra è finita – a Parigi, l’amico André Gide si è premurato di salvaguardare i suoi documenti, dacché il poeta è esule – e il poeta ha la gola marmorizzata nel silenzio. Non scrive. Non scrive – come intende lui, nel gorgo dell’opera – da molti anni, dal 1913. Il “Malte”, quella sorta di magmatico testamento, è pubblico dal 1910. Nel 1919, con una sorta di angelica ferocia – ma l’arte, se è tale, chiede ogni spasmo – Rilke si congeda dalla figlia Ruth, avuta dalla scultrice tedesca Clara Westhoff. Non la rivedrà mai più. Clara, cresciuta artisticamente con Rodin, aveva sposato Rilke nel 1901 – quasi subito il matrimonio si avviò al naufragio. Ruth ha 18 anni quando perde misticamente il padre per sempre. Di queste potature sentimentali bisogna tenere conto leggendo Rilke, quel poeta che sembra rivelare, con indubbia lucidità, il segreto dell’uomo, del creato, a discapito della vita – la propria, l’altrui. Il 2 giugno del 1919, Rilke si congeda per sempre da Lou Salomé, l’antica amata, con cui esattamente vent’anni prima aveva fatto l’indimenticabile viaggio in Russia, culminato con la visita a Lev Tolstoj e a Leonid Pasternak, il padre di Boris, che sarà suo futuro seguace. Tuttavia, a Lou continuerà a scrivere, il poeta.
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In questa specie di ordalia, per trovare l’adatta postura, per fronteggiare la disciplina e predisporsi al ritorno – che sarà entusiasta e prepotente – della poesia – il poeta è strumento al canto, è mezzo concesso al linguaggio, per questo il corpo è tutto, lo stato eretto, la statura – accade l’incontro con Baladine. Si erano sfiorati a Parigi, distrattamente, nella spirale di amici comuni, ma è nel tardo giugno del 1919, a Ginevra, all’Hotel Richmond, che prendono ad amarsi. Baladine fa di cognome Klossowska, perché è la moglie dello storico dell’arte Erich Klossowski: Pierre, il primo figlio, nato nel 1905, sarà il demonico scrittore de Il bafometto e del ciclo “Le leggi dell’ospitalità” – oltre che traduttore di Nietzsche, Heidegger, Kafka, Virgilio, lanciere di Sade ed esegeta di Carmelo Bene. L’altro, Balthasar, meglio noto come Balthus, nato nel 1908, diventerà uno dei pittori più alti e ambigui del secolo, supportato e consigliato, fin da giovanissimo, proprio da Rilke – che farà in modo di finanziargli il viaggio in Italia, dove è folgorato dalla ieratica grandezza di Piero della Francesca. Balandine è nata a Breslavia come Elisabeth Dorothea Spiro, da famiglia ebraica, il papà è cantore nella sinagoga, lei ha doti da pittrice; dal 1917 è separata dal marito Erich. In alcune fotografie, Baladine ha la faccia quadrata e gli occhi virili, consapevoli che amare è il baratro; Rilke ti ipnotizza, mentre è arcangelico e astratto il piccolo Balthus. In altre fotografie, di profilo, spicca l’inafferrabile bellezza di Baladine, capace, forse, di agili metamorfosi – Rilke è sempre uguale nelle fotografie, lei mai. “Longilinea ed elegante col viso illuminato da uno sguardo intensamente espressivo, Baladine sfiorò anche il mondo della danza. Il fratello Eugen – pittore a sua volta – la ritrasse nel 1901 mentre accennava un passo alla maniera di Isadora Duncan e in quell’immagine la ragazza compare con il nome di Merline: una creatura magica e fantasiosa dunque” (Enzo Restagno). In ogni caso, l’incontro è fatale, tra chi si riconosce dopo ere immerse alla ricerca: Rilke ha 43 anni, Baladine ne ha 33.
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Gli incontri tra Rilke e Baladine sono tra i rari momenti in cui il corpo del poeta – lui, monaco all’evanescente – riconosce un altro corpo, e lì si salda – l’oceanico epistolario di Rilke, piuttosto, parla di una pattuglia di affetti del tutto verbali, metafisici. Nel tardo agosto del 1920, a Berna, ad esempio, “il loro amore conosce un’epoca particolarmente intensa e felice” (nella Cronologia delle Poesie di Rilke curate da Andreina Lavagetto per Einaudi). Baladine sa chi è Rilke e a cosa è votato: lo aiuta a cercare casa e soprattutto ad allestire il castello di Muzot, per renderlo adatto allo studio e alla scrittura. Capisce, perfino, quando bisogna allontanarsi, perché il poeta è allevato in una claustrale solitudine. Il giorno in cui Werner Reinhart, tra i tanti mecenati del poeta, compra per lui il castello, nel maggio del 1922, la figlia di Rilke, Ruth, si sposa con Carl Sieber: naturalmente, il padre, che quell’anno ha preso ad amare Paul Valéry, non c’è al matrimonio. Proprio a Muzot, come si sa, avviene il miracolo. Rilke, preparato anche dalla dedizione discreta con cui lo ama Baladine, trova la voce, ed è l’Himalaya della lirica europea: tra il 2 febbraio e il 23 febbraio, colto da maniaca folgorazione, il poeta ‘risolve’ le Elegie duinesi, lì da un decennio, e scrive i Sonetti a Orfeo. Il momento micidiale accade il 9 febbraio del 1922, e ne scrive così, sommariamente, alla sua Baladine-Merline: “Merline, sono salvo! Ciò che più mi pesava e angustiava è fatto, e splendidamente, credo. S’è trattato solo di pochi giorni: ma mai ho sopportato un simile uragano di cuore e di spirito. Ancora ne tremo – questa notte ho creduto di non farcela; ma eccomi vincitore… E sono uscito per accarezzate questo vecchio Muzot, un istante fa, al chiar di luna”.
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L’amore tra Baladine e Rilke è testimoniato da un lago di lettere – 167 di Rilke e 189 di lei – nell’opera di un compulsivo scrittore di lettere, quando le lettere misuravano l’abisso di una relazione (il 16 dicembre 1920 a Baladine: “pensate – le ho appena contate questa mattina – ho scritto 115 lettere… non una che sia inferiore alle quattro pagine e molte che ne contano otto o addirittura dodici”). Alcune sono raccolte nelle Lettere a Merline stampate da Archinto (2015; traduzione di Francesco Bruno e prefazione di Enzo Restagno), altre sono nelle Lettres françaises à Merline, edite da Seuil. I due si scrivevano in francese, a volte Rilke si dava al tedesco. A volte, Rilke si dona all’amare in modo totale, impareggiabile: “L’istante in cui mi guardavi con occhi ‘di fanciulla’. Il tuo volto abbandonava di colpo ogni espressione, abdicava, si liberava di tutto, d’ogni compiacimento, d’ogni amabilità, d’ogni suo incanto abituale, diventava scuso, vacuo per la millesima parte di un secondo… e in quello spazio appena fatto, che era quello di un momento di creazione, nasceva, sorgeva quella chiarità nuova, oh, una chiarità che mai uomo o Angelo saprebbe descrivere e che solamente un bambino potrebbe concepire nell’aria mattutina del suo giorno d’estate più innocente. Io ho visto ciò. A partire da quell’istante, quanto alla vita, posso morire”.
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Amare il compito cui è disposto l’amato, che supera ogni avvenimento, ogni fatto, ogni progetto quotidiano. Il 22 febbraio 1921 Rilke pretende la solitudine, perché a quello lo stringe la poesia. “Perciò lasciami, Adorata, nei prossimi mesi, lasciami mettere ordine e far chiaro nella mia vita, fintatoché mi sarà concesso questo rifugio. (Non saprei sopravvivere in questa oscurità che dura da anni!)… Il tuo amore in certi momenti ha contribuito infinitamente a fortificarmi: in certi giorni sento che devo ad esso il mio avvenire, alla sua vastità e magnificenza. Ma le decisioni si pronunciano soltanto in solitudine, e occorre ch’io mi riappropri della mia e la colmi, che la sottometta a quelle grandi corrispondenze cui aspiravo fin dall’infanzia, oh infinitamente di più che a qualsivoglia felicità!”.
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In effetti, qualche mese prima, il 18 novembre 1920, Rilke condivide con l’amata la sua concezione d’arte.
Rilke e Merline a Muzot, nel 1923
“Oh Cara, quante volte nella mia vita – e mai come adesso – mi son detto che l’Arte, così come la concepisco, è un movimento contro natura. Senza dubbio Dio non ha mai previsto che qualcuno di noi potesse compiere questo terribile esame di coscienza, consentito solo al Santo, giacché pretende d’assediare il suo Dio attaccandolo da questo lato imprevisto e maldifeso. Ma noi, a chi ci avviciniamo noi, volgendo le spalle agli eventi, al nostro stesso avvenire, per gettarci nel gorgo della nostra anima che c’inghiottirebbe senza quella sorta di fiducia che colà ci accompagna e che sembra più forte della gravitazione della nostra natura? Se l’idea del sacrificio è che il momento di maggior pericolo coincida con quello in cui si viene salvati, non v’è certamente nulla che più somigli al sacrificio di questa terribile volontà dell’Arte. Quanto è tenace, quanto insensata! Tutto ciò che gli altri dimenticano, per rendersi possibile la vita, sempre noi lo andiamo cercando e perfino ingigantendo; siamo noi, proprio noi, a destare i nostri mostri, ai quali non siamo abbastanza contrapposti per farcene vincitori; giacché in un certo senso ci troviamo d’accordo con loro: sono essi, quei mostri, che detengono il sovrappiù di forza indispensabile a chi deve superare se stesso”. Dio colpito nel lato imprevisto, il sacrificio – che fa dell’amore un unico amore, all’opera – la marcia con il mostro. In Baladine, Rilke precisa se stesso e il suo voto.
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Baladine ama l’uomo, poi il poeta, infine l’eremita dell’arte. Ama il talento di Rilke, la sua disposizione al destino, la grammatica della gloria. Più che al proprio, è interessata al dono: ama il micidiale di Rilke, la cosa di cui è preda. Poco dopo la morte del poeta, nel 1927, uno stampatore di pregio pubblica Les Fenêtres: una manciata di poesie di Rilke, in francese, illustrate da Baladine – immagine, forse, del loro amore tra i vetri e le tende, dallo squarcio di una finestra. Il 23 dicembre del 1926 il poeta scrive l’ultima lettera alla sua amata, una settimana prima di morire. Il 13 dicembre ha scritto l’ultima lettera a Lou Salomé. Era molto malato da un anno, il poeta. L’ultima volta che vede Baladine è l’11 settembre del 1925. Baladine, invece, sopravvive distillando i ricordi: muore nel settembre del 1969, cinquant’anni fa, cinquant’anni dopo l’incontro con Rilke.
Davide Brullo
*In copertina: Rainer Maria Rilke, Baladine Klossowska e il piccolo Balthus
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ohneort · 11 years
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La Berlino metropolitana e il tour cinematografico
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Domenica 1 Dicembre alle ore 14:00 siete invitati al nuovo tour della Berlino "metropolitana" che tengo in collaborazione con Berlino Explorer! L'appuntamento è alla stazione di Zoologischer Garten e da lì partiremo con un percorso in metro che segue le tracce di alcuni dei film più famosi girati a Berlino... Da "Goodbye, Lenin" a "Berlin Alexanderplatz" passando per "Bourne Supremacy" (per non farsi mancare un po' d'azione...) non perdetevi quest'occasione! Questa è la pagina Facebook dell'evento: https://www.facebook.com/events/180418582153797/
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ohneort · 11 years
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Con me e con Berlino Explorer alla scoperta della Berlino metropolitana
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Domenica 17 Novembre alle ore 14:00 inizia una (spero...) lunga serie di Tour guidati alla scoperta delle stazioni della U-Bahn di Berlino: io e Zuleika Munizza vi racconteremo in prima persona le storie dimenticate della metro berlinese direttamente sul posto. Il punto di ritrovo è Heinrich Heine Straße, il costo è di 15 euro a persona (biglietto della metro escluso) e se volete prenotarvi contattate Zuleika all'indirizzo z.munizza[at]berlino-explorer.com Questa invece è la pagina Facebook dedicata all'evento: https://www.facebook.com/events/546429605436820/?hc_location=stream
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ohneort · 11 years
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La mia breve intervista a Marco Magnone autore di Bim Bum Berlin
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Marco Magnone
D: Dato che il mio blog tratta di questo argomento, inizierei con la domanda più classica: avendo vissuto a Berlino, qual è la stazione che preferisci e quella che odi di più? Se puoi dirmi anche i perché sarei più che contento…
R: Non riesco a sceglierne una. Penso a Kotti, per il contesto di turchetudine in cui è immersa e il carico di controcultura che ha rappresentato come ombelico di Kreuzberg. E poi alla vicino Goerlitzer Bahnhof: i suoi tralicci di ferro arrugginito che escono dalla notte mi hanno colpito quella prima volta per caso a Berlino, di cui accenno all’inizio del libro. Quella dell’Alex: con tutte le sue correnti umane che si incrociano e shakerano, su e giù ai diversi piani. Businessmen e turisti di giorno, ragazzini in rotta verso Friedrichshain o Neukoelln la notte. A ogni ora, l’odore dei chioschetti cinesi, thai e di currywurst che si mischia a quello del treno non cambia mai. Da lì esci e sbatti contro la gigantesca colonna della Telespargel, dalla cui cima la palla gigante che sembra la Morte Nera ti gira sempre sopra la testa, anche se spesso la intravedi appena, nascosta tra le nuvole o la nebbia. E infine la stazione della S-Bahn di Treptower Park, soprattutto d’inverno: la pensilina, un iceberg che a fatica emerge dalla neve, mentre i binari corrono tra il bianco e il nulla. Non ci sono mai stato, ma il Nebraska cantato da Springsteen lo immagino un po’ così. La stazione che invece odio di più? Mah non saprei, mi viene in mente quella di Jakob-Kaiser-Platz: non tanto perché è davvero anonima… ma è quella da cui prendo il bus per Tegel. Arrivo lì, è tutto squallido, impersonale e in più… Auf Wiedersehen Berlin! D: Perché “Bim Bum Berlin”? Come mai hai sentito la necessità di tornare nella capitale tedesca e ambientarci un libro itinerante? R: Ho lasciato Berlino nel 2006. Da allora, almeno una volta all’anno ci sono sempre tornato: ma a trovare i vecchi amici, rilassarmi un po’, senza ragionare troppo sulla città. E per di più, fino a ora non ero mai riuscito a scrivere qualcosa che la riguardasse, non so perché, forse mi era sempre mancata la giusta distanza. Così ho colto l’occasione. Perché oggi, soprattutto in Italia, Berlino è sulla bocca di tutti: da qua tutto ciò che la riguarda sembra più bello, più giovane, più economico, più cool e allo stesso tempo più alternativo. Temevo che tutta quest’attenzione potesse bruciarla, trasformando la sua natura un po’ selvaggia in uno zoo dove ogni emozione è preconfezionata, studiata a tavolino per esaudire i desideri dei turisti. E allora stavolta ci sono tornato per provare a farmi un’idea di cosa stava succedendo: da una parte, alla comunità italiana, dall’altra, alla città in sé. E poi ho messo insieme i pezzi. Il titolo deriva da bim bum bam, perché trovo che la città chiami chiunque ci passi a mettersi in gioco, scommettere su di sé e su di lei per averla vinta. E poi perché, proprio come in una mano di bim bum bam, l’esito non dipende mai solo da te, ma anche da lei, data la velocità con cui cambia. D: Mi hai raccontato che hai vissuto a Berlino per parecchio tempo: c’è qualcosa della città che ti manca in particolare e che addirittura ti farebbe tornare qua ad occhi chiusi? R: Anche qui trovare una cosa sola è dura. Dovendo proprio scegliere, direi la leggerezza nel vivere le cose, qualunque cosa, lasciandosi sorprendere dalle novità e trasformando le imperfezioni in punti di forza, anche grazie a un po’ di pazzia. Questa cosa genera una congiuntura credo unica tra libertà individuali, stimoli creativi, tolleranza sociale e prezzi bassi. Ecco perché chi vive in città è riuscito ad apparecchiarsi un domani tagliando il cordone ombelicale con un passato che non passa: ogni riferimento all’Italia è puramente voluto. Per queste ragioni la città mi è sempre mancata, mi manca ancora. Solo che quando stavo qua, era prima per l’Erasmus, poi per un lavoro all’istituto italiano di Cultura. Ma sia la borsa che lo stage sono finiti, così a 25 anni ho dovuto scegliere tra vivere qui aggiustandomi in qualche modo o tornare in Italia a giocare le mie carte con quello che davvero avrei voluto fare, scrivere. Entrambe le cose non si potevano avere, anche perché la moda degli scrittori sgrammaticati e stranieri era già stata sfruttata. Per cui, eccomi qua. Anche se non è detto che le cose non possano cambiare, no? Visto che, se è vero che nel frattempo Berlino è cambiata, quella sua eccezionalità si è un po’ normalizzata e i prezzi stanno salendo, non mi pare che qui vada proprio alla grande… D: Dall’alto della tua esperienza passata di italiano a Berlino, come descriveresti gli italo-berlinesi di oggi? R: All’epoca la città andava di moda, certo, ma non ancora nel modo così mainstream di oggi. La comunità dei “berlinofili” cresceva grazie agli ex Erasmus, ai fan dell’alternativa culturale ben simboleggiata dal Tacheles o dall’SO36, oppure attratti da locali come il Berghain, il Kaffeeburger, il Maria am Ostbahnhof, la Kulturbrauerei, sparsi tra Kreuzberg, Friedrichshain o Prenzlauerberg, ancora una meta notturna chic e non un bioquartiere per famiglie. C’erano i Flohmarkt, i second hand e il mito dell’Est, al Palast der Republik, vivo, vegeto e occupato, si andava a ballare e sballarsi. Mangiare fuori casa costava quasi meno che fare la spesa... La parte sotterranea della stazione di Kottbusser Tor era ancora una repubblica dello spaccio dai muri scrostati. In questi anni le cose sono un po’ cambiate e io per primo volevo vederci chiaro. Credo che un buon quadro emerga incrociando le risposte delle persone che ho incontrato e che vivono oggi la città. Dove c’è una replica perfetta dell’Italia fuori dall’Italia, anche se molti sono inconsapevoli Gastarbeiter, come dice Andrea D’Addio. Anche se forse manca ancora una vera e propria comunità di nostri connazionali, perché molti continuano a farsi i fatti propri, dice Valerio Bassan, direttore de Il Mitte. Infatti qui molti italiani sono attirati dalla possibilità di fare ciò che vogliono senza sentirsi giudicati, osserva invece Christopher Haarbeck. Anche se le tonnellate di adolescenti che Easyjet rovescia in città hanno contribuito a creare una Berlino meno magica e pazza ma più turistica, osserva Elena Origliasso. Ma forse è inutile lamentarsi di come cambi la città, anche se sarebbe spontaneo e tutti lo fanno, perché ognuno ha la pretesa che la “sua” Berlino fosse quella autentica, conclude Christopher. Questa città è il place to be degli anni zero e degli startupper, una specie di Swinging London del Terzo Millennio, perfetta per divertirti e fare festa. Ma c’è qualcos’altro: ovunque, i rigurgiti della storia, sono pronti a tornare in superficie e sbatterti in faccia cos’è stato, gli orrori e gli eccessi, la solitudine e la divisione. Questo è il punto di vista del filosofo Massimo Palma, che trovo illuminante, e forse proprio nella tensione tra euforia e malinconia in cui oscilla la città, si può individuare il filo rosso, attraverso cui collegare la Berlino di oggi alla mia e a quella di chiunque altro ci sia passato, anche in periodi molto diversi. D: Come mai pensi che la rete della metro berlinese possa essere rappresentativa della città? R: Perché secondo me Berlino cambia troppo velocemente, tanto nei suoi simboli maggiormente visibili, i grandi palazzi e monumenti di cui non ci si preoccupa di fare tabula rasa, quanto nelle persone, che arrivano e partono con una frequenza e velocità impressionanti. Così quello che resta sono le sue facce secondarie, quelle che nel libro ho definito “ritagli senza importanza, coordinate inconsapevoli del mio sottomondo urbano”, tanto piccole da non essere toccate dall’ansia di rinnovamento della Grande Storia. La metro è una di queste, e in più è qualcosa che si muove sottoterra, non la vedi, poi di colpo sbuca fuori. E ti lascia in un punto della città completamente diverso da quello da cui sei partito, tanto che non sembra neppure la stessa città, oppure ti lascia nello stesso punto dov’eri stato qualche anno fa, che nel frattempo è cambiato completamente. E tu sei lì, a bocca aperta. D: E infine una curiosità del tutto personale: come mai mi hai fatto la domanda sull’odore della metro? R: Quando sono andato via da Berlino, una serie di sensazioni mi hanno accompagnato in Italia. La maggior parte erano immagini: locali, stazioni della metro, persone, mercatini delle pulci. Tutti fotogrammi dolorosi da ricordare, che tornavano a trovarmi spesso, e che non poche volte mi hanno spinto a mettere in dubbio la mia scelta di tornare in Italia. Col tempo, tutte le immagini si sono appannate, eccetto una. L’ultimo stimolo, molto fisico e istintivo, a resistere, è stato proprio quell’odore. Un odore con una temperatura, perché è un odore che sa di caldo. Un odore in cui c’è la terra scavata dai tunnel e il ferro dei binari che la tagliano, i lubrificanti dei freni e l’alcol degli ubriaconi, il rancido dei rifiuti e il candore della neve.
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