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#La commedia cosmica
cinquecolonnemagazine · 9 months
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Natale al cinema, tutti i film in arrivo in sala
(Adnkronos) - Adnkronos/Cinematografo.it - Tante nuove uscite al cinema per accogliere il pubblico nei giorni delle festività natalizie. Si va dal ritorno di Kaurismaki e un nuovo classico di animazione targato Walt Disney, fino al ritorno in sala del primo cinepanettone della storia, 'Vacanze di Natale', che si potrà rivedere restaurato e rimasterizzato sul grande schermo solo il 30 dicembre nei cinema di tutta Italia. Arriverà anche il film di Beyoncè, il documentario sul tour da record della cantante che ha toccato 39 città di 12 paesi del mondo. E poi le nuove pellicole tutte italiane di Pio e Amedeo e di Alessandro Siani. Festività di Natale al cinema: tutti i film in arrivo in sala Tra i film appena usciti c'è 'Foglie al vento' di Aki Kaurismäki, con Alma Pöysti, Jussi Vatanen, Janne Hyytiäinen (Commedia, Finlandia, 2023, 81'). Due persone sole si incontrano per caso una notte a Helsinki. È l'ultima occasione per trovare il primo, unico e definitivo amore della loro vita. Il percorso è però intralciato dall'alcolismo di lui, dai numeri di telefono persi, dal non conoscere nomi o indirizzi reciproci e dalla tendenza generale della vita a porre ostacoli a chi cerca la propria felicità. Wish, il nuovo classico Disney Sempre da pochi giorni in sala al cinema un nuovo classico Disney, 'Wish' di Chris Buck, Fawn Veerasunthorn (Animazione-Fantastico-Musicale, U.S.A., 2023, 92'). La brillante sognatrice Asha esprime un desiderio così potente che viene accolto da una forza cosmica, una piccola sfera di sconfinata energia chiamata Star. Insieme, Asha e Star affrontano un nemico formidabile – il sovrano di Rosas, Re Magnifico – per salvare la sua comunità e dimostrare che quando la volontà di un umano coraggioso si unisce alla magia delle stelle, possono accadere cose meravigliose. E ancora: 'One Life' di James Hawes, con Anthony Hopkins, Johnny Flynn, Helena Bonham Carter (Drammatico, G.B., 2023, 110'). La vita di Nicholas Winton, definito dai media "l'Oskar Schindler britannico", per aver salvato 669 bambini dai nazisti poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1938 Winton si rese protagonista di una vicenda straordinaria: riuscire a portare fuori da Praga un numero incredibile di bambini, appena prima che le frontiere venissero chiuse, rimanendo tuttavia tormentato dal senso di impotenza e di colpa rispetto a tutti quelli che non riuscì a salvare.  Un marito meraviglioso, due figlie perfette, un fiorente studio dentistico 'Tutti a parte mio marito' di Caroline Vignal, con Laure Calamy, Vincent Elbaz, Jonathan Darona (Commedia, Francia, 2023, 104'). Un marito meraviglioso, due figlie perfette, un fiorente studio dentistico: tutto va bene per Iris. Ma da quanto tempo non fa l'amore? Dietro consiglio di una conoscente, la donna si iscrive a una app di dating… e scoperchia il vaso di Pandora! Appuntamento dopo appuntamento - tra buffi fraintendimenti, foto scabrose non richieste e una varietà impressionante di uomini pronti alle performance più bizzarre - Iris rientra in contatto con il suo corpo e la sua sensualità. Ma una volta trovata se stessa, si renderà conto, forse, di aver perso qualcosa per strada e dovrà fare di tutto per recuperarlo.  'Renaissance: A Film by Beyoncé' di Beyoncé (Concerto-Documentario, U.S.A., 2023, 168'). Un viaggio attraverso il tour da record che ha toccato, con 56 spettacoli, 39 città di 12 paesi. Dalla sua nascita allo show di apertura a Stoccolma, in Svezia, fino al gran finale a Kansas City, nel Missouri: un racconto sugli intenti, il lavoro, il coinvolgimento totale di Beyoncé in ogni aspetto della produzione, ma anche sulla sua mente creativa e sul proposito di creare la sua eredità artistica e di padroneggiare il suo mestiere. La produzione ha accolto più di 2,7 milioni di fan da tutto il mondo. Il nuovo film di Pio e Amedeo Da giovedì 28 dicembre arriverà nelle sale di tutti i cinema italiani 'Come può uno scoglio' di Gennaro Nunziante, con Amedeo Grieco, Pio D'Antini, Francesca Valtorta (Commedia, Italia, 2023). Alla morte di suo padre, Pio eredita la gestione di svariate attività. Ora vive nell'agio di Treviso con la sua famiglia, ed è in corsa per diventare sindaco. Finché Amedeo, un ex carcerato fatto assumere dal parroco del paese come autista personale, non irrompe nella sua vita come un tornado. Ma i due hanno in comune molto più di quello che sembra. Grazie ad Amedeo, Pio riscoprirà le sue passioni e la verità sulla sua famiglia, in un viaggio di riconciliazione con sé stesso. Sempre giovedì, 'Ricomincio da me' di Nathan Ambrosioni, con Camille Cottin, Léa Lopez, Thomas Gioria (Drammatico, Francia, 2023, 96'). Antonia, detta Toni, è una mamma single che ha cresciuto da sola i suoi cinque figli, lasciandosi alle spalle una promettente carriera musicale. A vent'anni, infatti, aveva inciso una hit di grande successo. In casa ha sempre molto da fare e solo raramente si concede una sera libera con gli amici. Finalmente i suoi ragazzi più grandi iniziano l'università e lei si chiede cosa farà quando lasceranno il nido? A quarantatré anni avrà ancora il tempo di riprendere in mano la sua vita? Intanto si iscrive a sua volta all'università. Il ritorno di un grande classico: "Vacanze di Natale" 'Vacanze di Natale' di Carlo Vanzina, con Jerry Calà, Christian De Sica, Claudio Amendola (Commedia, Italia, 1983, 92') sarà nelle sale invece per un solo giorno, il 30 dicembre. A 40 anni dall'uscita il primo cinepanettone della storia torna sul grande schermo in versione restaurata e rimasterizzata. Uno speciale appuntamento nelle sale pensato per radunare tutti i fan che conoscono a memoria le battute e le scene più esilaranti della commedia-cult e che ne ricordano perfettamente la colonna sonora in cui sono presenti alcuni dei brani più celebri di tutti gli anni Ottanta.  Il Maestro Miyazaki "sotto l'albero" al cinema Da lunedì 1 gennaio, invece, arriverà al cinema 'Il ragazzo e l'airone' di Hayao Miyazaki (Animazione-Fantastico, Giappone, 2023, 124'). Spinto dal desiderio di rivedere sua madre, Mahito, un ragazzo di 12 anni, si avventura in un regno abitato dai vivi e dai morti. un luogo fantastico dove la morte finisce e la vita trova un nuovo inizio. 'Succede anche nelle migliori famiglie' di Alessandro Siani, con Alessandro Siani, Cristiana Capotondi, Dino Abbrescia (Commedia, Italia, 2024) sarà sul grande schermo dal giorno di Capodanno. Davide Di Rienzo è la persona meno realizzata di una famiglia all'apparenza perfetta. La morte del padre, eccellente professionista e modello inarrivabile, sconvolge gli equilibri e le certezze di tutti: di Davide, di mamma Lina e dei fratelli Renzo e Isabella. Ma con i Di Rienzo i drammi fanno ridere e le tragedie familiari diventano una scatenata commedia, con un imprevisto da risolvere. Tanti colpi di scena e segreti svelati saranno per Davide, da sempre pecora nera della famiglia, l'occasione per dimostrarsi il più sincero e talentuoso di tutti.  [email protected] (Web Info) Read the full article
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scienza-magia · 1 year
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La sfuggente natura matematica dello spaziotempo
Spaziotempo: è reale e fisico o solo uno strumento di calcolo? La relatività di Einstein ha rovesciato la nozione di spazio e tempo assoluti, sostituendoli con un tessuto spaziotemporale. Ma lo spaziotempo è davvero reale? La maggior parte di noi pensa  agli oggetti materiali che sono nell’universo senza rendersi conto che la materia collassa sotto la sua stessa gravità per formare strutture cosmiche come le galassie, mentre le nubi di gas si condensano per formare stelle e pianeti. Le stelle quindi emettono luce bruciando il loro combustibile attraverso la fusione nucleare, quella luce viaggia attraverso l’Universo, illuminando tutto ciò con cui entra in contatto. Ma c’è di più nell’Universo oltre agli oggetti al suo interno. C’è anche il tessuto dello spaziotempo, che ha il proprio insieme di regole in base alle quali gioca: la Relatività Generale. Il tessuto dello spaziotempo è curvato dalla presenza di materia ed energia, e lo stesso spaziotempo curvo dice alla materia e all’energia come muoversi attraverso di esso. Ma qual è, esattamente, la natura fisica dello spaziotempo? È una cosa reale, fisica, come lo sono gli atomi, o è semplicemente uno strumento di calcolo che usiamo per dare le risposte giuste per il movimento e il comportamento della materia all’interno dell’Universo? È una domanda eccellente e difficile da capire. Inoltre, prima che arrivasse Einstein, la nostra concezione dell’Universo era molto diversa da quella che abbiamo oggi. Per rispondere, torniamo indietro nell’Universo a prima che avessimo il concetto di spaziotempo, e poi andiamo avanti a dove siamo oggi.
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A un livello fondamentale, avevamo a lungo supposto che se si prendeva tutto ciò che era nell’Universo e lo si tagliava in componenti sempre più piccoli, alla fine si sarebbe raggiunto qualcosa di indivisibile. Letteralmente, questo è ciò che significa la parola “atomo”: dal greco ἄτομος: non tagliabile. Questa idea risale a circa 2400 anni fa a Democrito di Abdera, ma è plausibile che possa risalire ancora più indietro. Queste entità “non tagliabili” esistono; ognuna è nota come particella quantistica. Nonostante abbiamo preso il nome di “atomo” per gli elementi della tavola periodica, in realtà sono le particelle subatomiche come quark, gluoni ed elettroni (così come le particelle che non si trovano affatto negli atomi) che sono veramente indivisibili. Questi quanti si uniscono per costruire tutte le strutture complesse che conosciamo nell’Universo, dai protoni agli atomi, dalle molecole agli esseri umani. Eppure, indipendentemente dai tipi di quanti con cui abbiamo a che fare – materia o antimateria, strutture massicce o prive di massa, fondamentali o composite, su scala subatomica o cosmica – quei quanti esistono solo all’interno dello stesso Universo in cui siamo noi. Questo è importante, perché se vuoi che le “cose” nel tuo Universo interagiscano, si leghino insieme, formino strutture, trasferiscano energia, ecc, ci deve essere un modo per le diverse cose che esistono all’interno dell’universo di influenzarsi l’un l’altra. È come avere una commedia in cui tutti i personaggi sono delineati, tutti gli attori pronti a interpretarli, tutti i costumi pronti per essere indossati e tutte le battute scritte e memorizzate. L’unica cosa che manca, eppure molto necessaria perché lo spettacolo abbia luogo, è un palcoscenico. Qual è questo palcoscenico in fisica? Prima che arrivasse Einstein, il palcoscenico era stato allestito da Newton. Secondo lui, tutti gli “attori” nell’Universo potrebbero essere descritti da un insieme di coordinate: una posizione nello spazio tridimensionale (una posizione) così come un momento nel tempo (un istante). Puoi immaginarlo come una griglia cartesiana: una struttura tridimensionale con un asse x, y e z, dove ogni quanto può avere una quantità di moto, descrivendo il suo movimento attraverso lo spazio in funzione del tempo. Si presumeva che il tempo stesso fosse lineare, passando sempre alla stessa velocità. Nell’immagine di Newton, sia lo spazio che il tempo erano assoluti.
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Spesso visualizziamo lo spazio come una griglia 3D, anche se questa è una semplificazione eccessiva dipendente dal frame quando consideriamo il concetto di spaziotempo. In realtà, lo spazio-tempo è curvato dalla presenza di materia ed energia, e le distanze non sono fisse ma piuttosto possono evolvere man mano che l’Universo si espande o si contrae. Prima di Einstein, si pensava che lo spazio e il tempo fossero fissi e assoluti per tutti; oggi sappiamo che questo non può essere vero. ( Credito : Reunmedia/Storyblocks) Tuttavia, la scoperta della radioattività alla fine del XIX secolo iniziò a mettere in dubbio l’immagine di Newton. Il fatto che gli atomi possano emettere particelle subatomiche che si muovono vicino alla velocità della luce ci ha insegnato qualcosa di eccitante: quando una particella si muove vicino alla velocità della luce, sperimenta lo spazio e il tempo in modo molto diverso da qualcosa che si muove lentamente o è a riposo. Particelle instabili che decadono molto rapidamente a riposo vivono tanto più a lungo quanto più si avvicinano alla velocità della luce mentre si muovono. E se provassi a calcolare l’energia o la quantità di moto di una particella in movimento, osservatori diversi (ovvero persone che osservano la particella e si muovono a velocità diverse rispetto ad essa) calcolerebbero valori incoerenti tra loro. C’è qualcosa che non va nella concezione di spazio e tempo di Newton. A velocità vicine a quella della luce, il tempo "si dilata", le lunghezze si contraggono e l’energia e la quantità di moto dipendono davvero dal moto relativo. In breve, il modo in cui vivi l’Universo dipende dal tuo movimento attraverso di esso. Einstein fu responsabile della notevole svolta del concetto di relatività, che identificava quali quantità erano invarianti, e non cambiavano con il moto dell’osservatore, e quali erano dipendenti dal moto dell’osservatore. La velocità della luce, ad esempio, è la stessa per tutti gli osservatori, così come la massa a riposo di ogni quanto di materia. Ma la distanza spaziale che percepisci tra due punti dipende fortemente dal tuo movimento lungo la direzione che collega quei punti. Allo stesso modo, anche la velocità con cui il tuo orologio corre mentre viaggi da un punto all’altro dipende dal tuo movimento. Lo spazio e il tempo non erano assoluti, come intuiva Newton, ma erano vissuti in modo diverso da osservatori diversi: erano relativi, da cui deriva il nome “relatività”. Inoltre, c’era una relazione specifica tra il modo in cui ogni particolare osservatore sperimentava lo spazio e il modo in cui sperimentava il tempo: qualcosa che fu messo insieme, un paio di anni dopo che Einstein espose la sua teoria della relatività ristretta, dal suo ex professore, Hermann Minkowski, che espose un struttura matematica unificata che comprende insieme spazio e tempo: lo spaziotempo. Come disse lo stesso Minkowski, “D’ora in poi lo spazio in sé e il tempo in sé sono destinati a svanire in mere ombre, e solo una sorta di unione dei due conserverà una realtà indipendente.” Oggi, questo spaziotempo è ancora comunemente il nostro palcoscenico utilizzato ogni volta che trascuriamo la gravità: lo spazio di Minkowski.
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Un esempio di cono di luce, la superficie tridimensionale di tutti i possibili raggi di luce che arrivano e partono da un punto nello spaziotempo. Più ti muovi nello spazio, meno ti muovi nel tempo e viceversa. Solo le cose contenute nel tuo cono di luce passato possono influenzarti oggi; solo le cose contenute nel tuo cono di luce futuro potranno essere percepite da te in futuro. Questo illustra lo spazio piatto di Minkowski, non lo spazio curvo della Relatività Generale. ( Credito : MissMJ/Wikimedia Commons) Lo spaziotempo è reale? Ma nel nostro vero universo, abbiamo la gravitazione. La gravità non è una forza che agisce istantaneamente attraverso i confini dello spazio, ma piuttosto si propaga solo alla stessa velocità a cui si muovono tutti i quanti privi di massa: la velocità della luce. (Sì, la velocità di gravità è uguale alla velocità della luce). Tutte le regole che sono state formulate nella relatività ristretta si applicano ancora all’Universo, ma per portare la gravità nell’ovile, era necessario qualcosa in più: l’idea che lo spaziotempo stesso avesse un’intrinseca curvatura che dipendeva dalla presenza di materia ed energia al suo interno. È semplice, in un certo senso: quando metti una serie di attori su un palco, quel palco deve sopportare il peso degli attori stessi. Se gli attori sono abbastanza massicci e il palcoscenico non è perfettamente rigido, il palcoscenico stesso si deformerà per la presenza degli attori. Lo stesso fenomeno è in gioco con lo spaziotempo: la presenza di materia ed energia lo curva, e quella curvatura influenza sia le distanze (spazio) sia la velocità del tempo. Inoltre, colpisce entrambi in modo intricato, dove se si calcolano gli effetti che materia ed energia hanno sullo spaziotempo, l’effetto “spaziale” e gli effetti “temporali” sono correlati. Invece delle linee della griglia tridimensionali che abbiamo immaginato nella relatività ristretta, quelle linee della griglia sono ora curve nella Relatività Generale.
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Invece di una griglia vuota, vuota e tridimensionale, mettere giù una massa fa sì che quelle che sarebbero state linee “dritte” si incurvino invece di una quantità specifica. La curvatura dello spazio oltre una certa distanza, al di fuori di una grande massa, rimane invariata anche se si varia il volume occupato dalla massa interna. Visivamente, si noti che queste linee sembrano trascinarsi verso, anziché allontanarsi dalla massa in questione. ( Credito : Christopher Vitale di Networkologies e Pratt Institute) Puoi, se vuoi, concettualizzare lo spaziotempo come uno strumento puramente di calcolo e non andare mai più in profondità di così. Matematicamente, ogni spaziotempo può essere descritto da un tensore metrico: un formalismo che permette di calcolare come qualsiasi campo, linea, arco, distanza, ecc., possa esistere in modo ben definito. Lo spazio può essere piano o curvo in modo arbitrario; lo spazio può essere finito o infinito; lo spazio può essere aperto o chiuso; lo spazio può contenere qualsiasi numero di dimensioni. Nella Relatività Generale, il tensore metrico è quadridimensionale (con tre dimensioni spaziali e una dimensione temporale), e la curvatura dello spaziotempo è determinata dalla materia, l’energia e le sollecitazioni presenti al suo interno. In parole povere, i contenuti del tuo Universo determinano come è curvato lo spaziotempo. Puoi quindi prendere la curvatura dello spaziotempo e usarla per prevedere come ogni quanto di materia ed energia si muoverà e si evolverà nel tuo Universo. Le regole della Relatività Generale ci consentono di prevedere come la materia, la luce, l’antimateria, i neutrini e persino le onde gravitazionali si muoveranno attraverso l’Universo, e queste previsioni si allineano perfettamente con ciò che osserviamo e misuriamo. Ciò che non misuriamo, però, è lo spaziotempo stesso. Possiamo misurare le distanze e possiamo misurare gli intervalli di tempo, ma queste sono solo sonde indirette dello spaziotempo sottostante. Possiamo misurare qualsiasi cosa interagisca con noi – i nostri corpi, i nostri strumenti, i nostri rilevatori, ecc. – ma un’interazione si verifica solo quando due quanti occupano lo stesso punto nello spaziotempo: quando si incontrano in un “evento”. Possiamo misurare tutti gli effetti che lo spaziotempo curvo ha sulla materia e sull’energia nell’Universo, tra cui: - lo spostamento verso il rosso della radiazione dovuto all’espansione dell’Universo, - la flessione della luce dovuta alla presenza di masse in primo piano, - gli effetti del trascinamento del fotone su un corpo rotante, - l’ulteriore precessione delle orbite dovuta agli effetti gravitazionali che vanno oltre quanto previsto da Newton, - come la luce guadagna energia quando cade più in profondità in un campo gravitazionale e perde energia quando ne esce, ...e molti, molti altri. Ma il fatto che possiamo misurare solo gli effetti dello spaziotempo sulla materia e sull’energia nell’Universo, e non lo spaziotempo stesso, ci dice che lo spaziotempo si comporta in modo indistinguibile da uno strumento puramente di calcolo.
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La gravità quantistica cerca di combinare la teoria della relatività generale di Einstein con la meccanica quantistica. Le correzioni quantistiche alla gravità classica sono visualizzate come diagrammi ad anello, come quello mostrato qui in bianco. Se estendi il Modello standard per includere la gravità, la simmetria che descrive CPT (la simmetria di Lorentz) può diventare solo una simmetria approssimativa, consentendo violazioni. Finora, tuttavia, non sono state osservate tali violazioni sperimentali. ( Credito : SLAC National Accelerator Laboratory) Ma ciò non significa che lo spaziotempo stesso non sia un’entità fisicamente reale. Se hai degli attori che recitano uno spettacolo, chiameresti giustamente il luogo in cui si svolge lo spettacolo “il loro palcoscenico”, anche se fosse semplicemente un campo, una piattaforma, un terreno spoglio, ecc. Nell’Universo fisico, almeno per come lo intendiamo noi, non è possibile avere quanti o interazioni tra di loro senza lo spaziotempo in cui possano esistere. In un certo senso, il “nulla” è il vuoto dello spaziotempo vuoto, e parlare di ciò che accade in assenza di spaziotempo è privo di senso – almeno dal punto di vista fisico – quanto parlare di un “dove” che è al di fuori dei confini dello spazio o un “quando” che è al di fuori dei confini del tempo. Una cosa del genere può esistere, ma non ne abbiamo una concezione fisica.
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Uno sguardo animato su come lo spaziotempo risponde quando una massa si muove attraverso di esso aiuta a mostrare esattamente come, qualitativamente, non sia semplicemente un foglio di tessuto ma tutto lo spazio stesso che viene curvato dalla presenza e dalle proprietà della materia e dell’energia all’interno dell’Universo . Invece tutto lo spazio 3D stesso viene curvato dalla presenza e dalle proprietà della materia e dell’energia all’interno dell’Universo. Più masse in orbita l’una intorno all’altra causeranno l’emissione di onde gravitazionali. ( Credito : LucasVB) Forse la cosa più interessante è che quando si tratta della natura dello spaziotempo, ci sono tante domande che rimangono senza risposta. Lo spazio e il tempo sono intrinsecamente quantistici e discreti, dove essi stessi sono divisi in “pezzi” indivisibili, o sono continui? La gravità è intrinsecamente quantistica in natura come le altre forze conosciute, o è in qualche modo non quantistica: un tessuto classico e continuo fino alla scala di Planck? E se lo spaziotempo è qualcosa di diverso da ciò che la Relatività Generale impone che dovrebbe essere, in che modo è diverso e in che modo saremo in grado di rilevarlo? Ma nonostante tutte le cose che lo spaziotempo ci consente di prevedere e conoscere, non è reale nello stesso modo in cui è reale un atomo. Non c’è niente che tu possa fare per “rilevare” lo spaziotempo direttamente; puoi solo rilevare i singoli quanti di materia ed energia che esistono nel tuo spaziotempo. Abbiamo Read the full article
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abatelunare · 3 years
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Parodie mal riuscite
Cercherò di essere breve. Perché non vale la pena che parole io ne spenda troppe. Esiste - purtroppo - un film intitolato Non è un'altra stupida commedia americana. Il titolo originale è Not Another Teen Movie. Vorrebbe proporsi come una parodia dei film adolescenziali ambientati nelle scuole americane. Vorrebbe, ma non può. Riesce solo a essere un brutale coacervo di volgarità verbali e non solo. Non c’è nulla che faccia ridere. Ma non perché ambientato in una realtà che noi italiani non conosciamo a fondo. Questa immane cagata cosmica sarebbe idiota anche se si svolgesse a Bovarina sul Po. Non è una questione di superficie. Ma di essenza. Questa, francamente, è una eau de merde. E meritava solo che io ne parlassi in questi termini.
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unfilodaria · 4 years
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L’amore, se posso dire come la penso, è una malattia della dignità. Agisce per picchi e inabissamenti. Compra e vende. Ha dei sintomi, come dire, dei sintomi che non ti sbagli.
Intanto ti fa sentire un eletto. Ti manda in giro a osservare la gente per compatirla. Sotto sotto, lascia passare l’idea che non siamo tutti uguali.
Non è vero che quando sei innamorato il mondo ti sembra più bello. E’ solo che lo tratti dall’alto in basso. Guardi la gente che passa e pensi:
"Poveracci, vedi come vanno avanti e indietro nelle loro scialbe vite. Vedi come s’affannano, lavorano, s’imbottigliano nel traffico, si mettono in coda alla cassa?".
In altre parole, quando t’innamori diventi un qualunquista di merda.
Peggio: un cafone arricchito, che appena fa un po’ di soldi scopre di apprezzare le cose che schifava quando non se le poteva permettere; e poi se ne va in giro a contrabbandarsi per un’anima sensibile, portata per il bello e l’immateriale.
Ma è inutile che dici di ammirare i tramonti, perché se non ti piacevano prima non ti piacciono neanche adesso.
Come è inutile che respiri a pieni polmoni per sentire il sapore dell’aria, perché a te di respirare come il veterinario dell’Amaro Montenegro non te n’è mai fregato niente, altrimenti non fumeresti.
Come è inutile che vai in libreria a leggere risvolti e quarte di copertina, perché lo sai benissimo che non vedi l’ora di uscire di lì.
Come è inutile che saluti tutti quelli che incontri, pure la gente che non conosci, un altro poco; e stai a sentire fino in fondo ogni frase che ti rivolgono, facendoti implicitamente quei discorsi che tutti in fondo hanno una cosa interessante da dire, basta sapere ascoltare, perché gli altri, a te non t’interessano.
Come è inutile che parli e parli, perché tanto non lo pensi quello che stai dicendo.
Come è inutile che riprendi a suonare, perché se hai smesso più di quindici anni fa ci sarà un motivo.
Questo tipo di coglionaggine, che coniuga rigurgito qualunquista e anelito metafisico, oltre a compromettere reputazioni faticosamente costruite e interrompere amicizie ventennali, può avere ricadute molto serie in circostanze di elezioni politiche, per cui bisogna preoccuparsi del voto degli innamorati.
E poi c’è la malinconia cosmica, che minaccia l’evoluzione.
Metti che ti trovi alla stazione e aspetti il treno. Sei innamorato e fidanzato. Lei però è a casa o al lavoro.
Stai leggendo il giornale, normalmente. Intorno altra gente aspetta. Non piove, non fa caldo né freddo.
In una situazione del genere, ad esempio, può capitare che dall’altoparlante annuncino un ritardo di dieci minuti, oppure che una signora ti chieda se è da li che parte il treno per Bologna, e tu, senza motivo, così, ma da un momento all’altro proprio, ti senti sprofondare dentro una delusione completamente priva di costrutto, una tristezza fondata sul nulla, e le difese immunitarie danno le dimissioni in blocco, e il mondo all’improvviso diventa il posto meno indicato dove vivere.
E inizi a vedere grigio, e vuoi la mamma, e ti curvi nelle spalle, diventi un triangolo, allora porti la mano al taschino interno della giacca all’affannosa ricerca dell’antidoto, lo trovi, digiti il numero e dai il colpo di grazia alla tua povera dignità.
Uno squillo, due tre. Risponde.
"Ciao", le dici.
E lei: "Oh", come a dire: "Che è stato?".
E tu dici "Sono io".
E lei: "lo so" (giustamente cosa vuoi che ti dica).
E tu allora taci e fai pure un po’ l’offeso, lei vagamente se ne accorge ma non ne è così sicura (perché se lo fosse ti manderebbe dove sarebbe più giusto che andassi) e a quel punto te lo domanda a chiare lettere, cos’è successo.
E tu: "Niente".
Ma lo dici in Re Minore, con l’accordo nostalgico nella voce, l’intonazione ambiguo-colpevolizzante che nelle tue subdole intenzioni dovrebbe far sì che lei si squagliasse dall’altro capo del telefono e ti rispondesse: "Ahhhhhhh, ho capito amore mio, vuoi che ti dica che ti amo, ma certo che è così, sono felice che mi hai chiamato, fallo ancora, ogni volta che vuoi, ti prego!".
E invece lei giustamente dice: "Ah".
Che poi significa: "E allora che mi hai chiamato a fare, se non hai niente da dirmi?".
Al che la frase ti fa rinsavire con l’immediatezza di una secchiata, la schiena si raddrizza, la stazione torna stazione e tu ti vergogni come un molestatore di quindicenni, nel realizzare appieno la bassezza del livello a cui sei appena sceso, perché sai benissimo che la dignità andrebbe salvaguardata da queste iniziative inqualificabili che fra l’altro non c’entrano niente con l’amore, essendo piuttosto piagnistei annunciati, ricattucci indecenti, richieste di stare in braccio o farsi portare al parco a vedere le papere.
Un altro capolavoro dell’amore è che s’inventa le coincidenze e i rapporti di causa effetto.
Costruisce geometrie inverosimili fra eventi che non sono legati in nessun modo, plagiando il senno di poi e provocando discorsi tipo:
"Ti rendi conto che se quella mattina non mi si fosse scaricata la batteria della macchina sarei partito per, invece di accettare l’invito di, che mi ha chiesto di raggiungerlo a, dove poi ho incontrato te, e tutto quello che poi è successo?".
Che poi va bè, può anche essere vero. Nel senso che nessuno può negare che un fatto s’è svolto in un certo modo, se s’è svolto in quel modo lì.
Solo che le batterie delle macchine si scaricano, e si scaricano tutti i giorni, non è che si scaricano in un modo particolare quando stai per legarti sentimentalmente a qualcuno.
Il fatto che un giorno ti fidanzi non ti autorizza a mettere la batteria scarica in relazione di causa-effetto con il tuo fidanzamento, perché (a parte il fatto che si sarebbe scaricata lo stesso) la tua batteria può essere la causa di una molteplicità di altri eventi ben più degni di considerazione di quello di cui vai così orgoglioso.
Senza contare che, ai fini del fidanzamento, la batteria scarica ha quantomeno la stessa rilevanza degli altri eventi che hanno fatto in modo che tu ti fidanzassi (l’accettazione dell’invito, mettiamo: avresti tranquillamente potuto declinarlo e tanti saluti alla tua attuale ragazza).
E quindi non si capisce perché, fra le altre cose, perché tutta la vicenda dovrebbe originare proprio dalla batteria.
Fra l’altro, se uno ragionasse con il metro della batteria scarica, e non solo quando vuole dimostrare che la sua storia d’amore è stata scritta da un destino che quel giorno ha complottato per lui, e pensasse che tutti i miliardi di circostanze che compongono la sua vita hanno un rapporto significativo l’una con l’altra, come minimo gli andrebbe a puttane il cervello, impegnato come sarebbe, a scoprire continuamente delle relazioni significative fra le cose.
E comunque, senza neanche stare a dilungarsi con tutti questi discorsi, non stai raccontando chissà cosa.
Non è che la tua ragazza stava seduta sull’orlo di un palazzo e tu, che t’eri affacciato per caso alla finestra di sotto, ti sei accorto dei piedi che ti penzolavano sulla testa, hai ingaggiato con lei una lunga discussione sul valore della pena di vivere, l’hai fatta scendere di là e da allora non vi siete più separati.
Se fosse andata in questo modo allora sì che avresti ragione a parlare di regie occulte, perché fra una batteria scarica e un suicidio sventato è chiaro che non c’è partita.
Ma non è mica andata così. È successo semplicemente che hai incontrato una che ti piaceva, tu sei piaciuto a lei e adesso state insieme.
Questa voglia di protagonismo tardivo, che spinge la gente a ritoccare copioni virtuali a commedia finita, è giustappunto un guasto della dignità causato da amore, perché è ovvio che se uno avesse rispetto di sé e dei discorsi che si accinge a fare, non parlerebbe così seriamente di una batteria scarica.
E poi c’è l’ultimo sintomo, il peggiore, dove la dignità è talmente bistrattata che la possibilità di risalire è proprio meglio che te la levi dalla testa, ed è la dipendenza dall’umore di qualcun altro.
Questo fenomeno attiene alla fase in cui il rapporto si sta sgarrupando e lei non è più così sicura volerti intorno, anzi è più di là che di qua, per cui ci sono volte che è affettuosa e altre che ti tratta una merda.
La verità (che tu conosci perfettamente) è che hai smesso di interessarle, anzi, ad essere completamente sinceri, le sei salito proprio un pochettino sul cazzo, solo che ogni tanto si sente un pò in colpa e allora, colpa dei transitori accessi di pena, ridiventa gentile e dispiaciuta e tu, ce pensi vergognosamente dalle sue labbra, appena senti odore di rivalutazione, scodinzoli come un Fox Terrier e te la canti come vuoi con tutta l’orchestra.
Inutile dire che a questo punto la tua storia d’amore ha già una croce sopra, perché poi, alla fine, lo sai che quando una donna ti vuole ti cerca, e quando smette di cercarti è perché non ti vuole più, e non ci sarebbe nient’altro da aggiungere.
Tu invece ti trascini in questa specie di metadone dei sentimenti, nella speranza che le cose s’aggiustino, ma per questo genere di guasto non c’è cura e non c’è riparazione e, a parte le chiacchiere, non si è mai dato il caso, ma mai, che nessuno abbia riparato niente del genere.
Questo dipendere dall’umore di un altro, questo fatto che se lei è gentile tu riesci ad arrivare vivo alla fine della giornata, e se invece ti tratta con indifferenza sei un uomo distrutto e non riesci a combinare niente e accumuli lavoro e altri debiti di vario genere, è veramente una porcheria, un’ignominia di cui non ci si dovrebbe mai macchiare, per nessuna ragione al mondo.
E la faccenda più penosa è che, a questo punto, l’amore è bello che finito.
Cosa vuoi amare con una dignità così ridotta?
Eppure tu è ancora d’amore che parli.
Sei diventato l’equivalente di un fan di Elvis, un disadattato incapace di vivere nel presente che nel vestirsi, nel parlare, nel sentire musica, nel leggere, nello scrivere, perfino nell’andare a letto con qualcuno, cerca una cosa che ha smesso di esistere.
Tutto qui.
Vincenzo Malinconico
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Il 25 marzo l’Italia celebra il suo primo Dantedì
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Il consiglio dei ministri ha recentemente deciso di dedicare un giorno al nostro poeta nazionale: il 25 Marzo sarà quindi il Dantedì. Sull’opportunità o meno di questa decisione rimandiamo nel link all’articolo di Stefano Jossa, noi ci limitiamo a promuovere questa iniziativa, consapevoli che le nostre forze sono assolutamente impari all’impresa. Ricorriamo perciò alle parole di Borges che così sintetizza la grandezza del poema dantesco: “Non c’è cosa sulla terra che non sia anche lì, ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà, la storia del passato e quella del futuro”. Insomma un’opera enciclopedica, una summa, con in più, rispetto a Iliade e Odissea, il valore aggiunto del riferimento all’attualità, presenza costante nelle tre cantiche, che fa della Divina Commedia un vero e proprio epos moderno (e della Commedia come “paradigma moderno” si parla anche in questo articolo). 
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Appunto sulla modernità di Dante, citiamo anche questo interessante articolo di Corrado Bologna che definisce la comedìa “il più moderno dei libri, il più novecentesco. Così, nel Discorso su Dante (1933), forse il saggio dantesco più profondo e originale di tutto il Novecento, Mandel’štam volge in straordinarie immagini metaforiche, che Dante avrebbe amato, la struttura cosmica della Commedia. In faccia alla morte, nel gulag di Stalin, questo poeta-glossatore di genio traduceva in russo per i suoi compagni di sventura Dante, Petrarca e Ariosto”. 
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E a proposito di Ariosto, non vi pare che l’incipit dell’Orlando furioso (Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto) ricordi i versi danteschi: Le donne e ' cavalier, li affanni e li agi / che ne 'nvogliava amore e cortesia (Pg XIII 109-110)? Ma, va da sé, tutti i nostri grandi scrittori hanno risentito in qualche misura dell’influsso di Dante, da Petrarca, che ostentava di non averlo mai letto, mentre i Trionfi abbondano di richiami alle terzine dantesche, a Boccaccio, che lo adorava al punto da tenere letture pubbliche della Commedia nella Badìa fiorentina (un po’ come hanno fatto Benigni e Sermonti), a Leopardi, a Montale.
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Ma se Osip Mandel’štam leggeva Dante nel gulag, non possiamo certo dimenticare Primo Levi che ad Auschwitz per annullare la cieca disumanità del campo di concentramento ricorreva a Dante, ricordando che gli uomini non sono stati creati per viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza (If XXVI 119-120).
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Molti attori si sono cimentati nella lettura della Divina Commedia, tra i quali Carmelo Bene, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Roberto Herlitzka, Arnoldo Foà, Tino Carraro, Romolo Valli, Tino Buazzelli, Anna Proclemer, Ernesto Calindri.
Per quanto riguarda il cinema, citiamo i due estremi: da Inferno, del 1911 (“Nel cinema muto degli anni Dieci, La Divina Commedia. Inferno della Milano Films detiene i primati di altezza culturale, di lunghezza e non solo. Nel 1911 cade il 50° anniversario dell’Unità d’Italia: Dante, già mito risorgimentale, diventa simbolo delle aspirazioni irredentiste e nazionaliste. Inferno è stato restituito alla sua edizione princeps, alla corretta successione delle inquadrature, alla pienezza della sua luce da un lungo lavoro di restauro. Cent’anni dopo, lo spettatore si trova nuovamente avvolto nella visione orrida e meravigliosa di figurazioni ispirate a Gustave Doré e ad altri illustratori, ma come rivisitate da un Méliès crudele: desolazione delle lande bucate dai sepolcri aperti, bagliori repentini, la petrosità degli orridi, l’acume dei roveti secchi, dannati striscianti o che procedono decapitati mutilati sventrati, le fattezze bizzarre delle creature mitologiche, le mostruose metamorfosi...”), a Woody Allen che in Harry a pezzi (1997) fa interpretare al suo antagonista la parte del diavolo, in un contesto in cui evidenti sono i richiami all’Inferno di Dante (in questo articolo si cerca di sciogliere tutti i riferimenti culturali presenti nel film, vero modello del famoso ‘citazionismo’ di Allen).
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Per le immagini, citiamo il volume La Divina Commedia di Dante Alighieri di Doré che raccoglie tutte le 135 illustrazioni, corredate da “brevi note che intendono inquadrare la singola illustrazione nel disegno del poema dantesco, allo scopo di aiutare a leggere e capire l’immagine, ma anche di invitare il lettore a prendere o a riprendere in mano il testo originale”. Il volume è arricchito dalla preziosa prefazione di Théophile Gautier. Più recente (2018) il libro Dante per immagini, di Lucia Battaglia Ricci, che accompagna il lettore dalle miniature dei manoscritti trecenteschi fino all’arte contemporanea.
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Vogliamo concludere rinfrescando la memoria con qualche citazione, come: Capo ha cosa fatta (If XXVIII 107), ne la chiesa / coi santi, e in taverna co’ ghiottoni (If XXII 14-15) ormai entrate nell’uso comune; pensa che questo dì mai non raggiorna! (Pg XII 84), Vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede (Pg IV 9), perder tempo a chi più sa più spiace (Pg III 78) sulla fugacità del tempo, tema assai caro al poeta; e due meravigliose similitudini:
E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata, così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. (If I 22-27)
Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre, e l’altre stanno timidette atterrando l’occhio e ’l muso; e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, addossandosi a lei, s’ella s’arresta, semplici e quete, e lo ’mperché non sanno. (Pg III 79-84)
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pangeanews · 5 years
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Nuovo Vocabolario del Virus: “Andrà tutto bene”. In verità dovremmo chiederci dove stiamo andando tutti quanti e… che cos’è il bene? Nel tabernacolo delle nostre case, qualcuno costruisce una sedia…
“Andrà tutto bene”: Forse è più opportuno domandarsi – non per vieta filosofia, ma per radicalità del reale – se stiamo tutti andando verso il bene. Andare è verbo d’origine incerta, d’altronde è incerto anche il suo orientamento, la sua postura. Dove stiamo andando? Intanto, si va, chi vivrà vedrà. Con quale andamento andiamo, qual è l’andazzo? Un andare senza direzione non è il vagabondaggio del folle di Dio – il suo zenit non riguarda l’orizzonte degli eventi, la sua sola ‘meta’ è lassù, è Dio; ciò che ai nostri occhi è un vagare in lui si chiama provvidenza – è semplicemente – disperatamente –, vagare nella vaghezza. Ad esempio. Ci è chiesto, anzi, ci è imposto un sacrificio, a causa di una emergenza – l’emersione dell’imprevisto. A un sacrificio, però, non si obbedisce: un sacrificio si compie. Senza parole accurate, adatte – e si è parlato, finora, di norme, restrizioni, punizioni, coercizioni – al sacrificio manca il sacro. Cioè, è inutile. Certo, la vita è sacra, ma la vita si può anche sacrificare – chiusi nel tabernacolo delle nostre case siamo ostie o una lacerazione in acido, simulacri, meridiane frustrazioni?
*
Non andrà tutto bene perché per alcuni è andata male. Il bene non è mai per tutti, non è dappertutto – non ha a che fare con il tutto. E poi, così è il bene? Il sommo bene, il benessere, il benestare, il perbenismo? L’avverbio connesso all’aggettivo buono – ma… siamo tutti buoni? – significa, appunto, “in modo buono, retto, giusto, o conveniente, opportuno, vantaggioso, in modo insomma da dare soddisfazione piena”. Perché dovrebbe andare tutto bene? Piuttosto, siamo certi che tutto non deve andare come prima, come se niente fosse. Anzi, nulla sarà come prima. Siamo in grado di maneggiare parole che ustionano come bene e bontà? “Esisteva un uomo buono? E se esisteva, come doveva essere? Era qualcuno che se ne stava in disparte oppure poteva muoversi liberamente in mezzo agli altri, reagire alle loro sfide ed essere ugualmente buono?”, si domandavano Elias Canetti ed Hermann Broch. Come si sa, i due riconoscono il prototipo del buono nel fatidico “dottor Sonne”. Costui, sapiente elettrizzato e pudico, poeta in oscurità di fama, “aveva riguardo verso tutto ciò che gli fosse vicino… il suo rispetto verso i limiti altrui era assoluto”. Sonne non parla del tutto, non specula sul bene, non ha dove andare: resta. Immutabile, in sé. Il suo andare nel bene, in relazione con il tutto, è verticale, in picchiata.
*
Lucilio Santoni mi scrive una lettera sul perché non andrà tutto bene.
Everything is gonna be ok è la frase ricorrente nei filmacci americani. E noi l’abbiamo ripresa pari pari come fedeli sudditi di quella cultura: “andrà tutto bene”. Non ci siamo sforzati neppure di esprimere qualcosa in parole nostre. Tutti luoghi comuni e frasi fatte che ci piacciono molto. Con un lieto fine anticipato che ci rassicura. Invece, probabilmente, nothing is gonna be ok. Ci sono e ci saranno lacrime e sangue. Rimarranno ferite nella nostra anima e nella nostra mente.
Questo per dire che sono arcistufo di chi mette bandierine arcobaleno sui balconi, cioè di chi guarda la vita solo da lontano. Certo, se la guardi solo da lontano, la vita, con i suoi strepiti e le sue risate, è una commedia. Ma, se la guardi da vicino, ti accorgi che è una tragedia: di questo bisognerà cominciare a farsene una ragione, e nella tragedia quasi mai ‘va tutto bene’.
Tragedia è lo spaesamento di trovarsi al mondo, gettati sulla terra senza uno straccio di fondamento. Allora il deserto, la cancellazione, la cenere, il silenzio, diventano compagni di viaggio. Si preferisce rimanere zitti e in disparte. All’ubriacatura da immagini si sostituisce la sete di domande con le quali interrogare in primo luogo se stessi. E poi rifiutare il senso offerto bello e pronto; diffidare di tutto ciò che viene dato per certo; essere precari per stare più vicini agli altri. Inquietudine che diventa dialogo, accoglimento e comunità. Occupare uno spazio vuoto che, proprio in quanto tale, l’universo dell’uomo e l’infinito della sua anima vi trovino posto.
Se si è tragici, si può camminare nei cimiteri costituiti dai nostri cuori senza essere lugubri, anzi, si può danzare leggeri ai margini della sofferenza e del lutto, stando spensierati sull’uscio della casa segreta della morte prima che essa ci raggiunga.
Qualsiasi progetto di vita, per essere autentico, deve contemplare gli anfratti, le crepe, i terreni sconnessi. Non potendo più contare sulla solidità del sociale e sull’emancipazione, dobbiamo cercare lingue diverse, rudi, dialetti incomprensibili; dobbiamo accogliere gli indisciplinati, i claudicanti, coloro che camminano a un metro dal baratro e dalla poesia. In mancanza di governi stabili e di amministrazioni intelligenti, vanno coltivati i viandanti, i furibondi, i contemplativi. Guardare e divagare; abbandonando ogni riparo sicuro per abitare, invece, case dalle finestre rotte, con porte fuori dai gangheri, in un tempo che è fuori dai gangheri, come diceva il tragico Amleto.
In definitiva, quando la vita è davvero una questione aperta, fanno sorridere le incurie della politica, gli imbrogli delle istituzioni, le furbizie dei vicini di casa; quando l’instabilità della vita è strutturale, la fermezza dello spirito raggiunge vette impensate. Non importa se intorno ci sarà poca gente, ci saranno erbacce e tuguri, animali randagi e negozi chiusi; scuole cadenti e spiagge deserte. È lì che potremo frugare per cercare il nostro vitalizio di dignità. Nella disperazione cercheremo la speranza, nella solitudine una promessa di vita.
*
Priva di cinismo e di istinto predatorio da provocazione, questa lettera dice, con sgargiante limpidezza, che c’è una regalità nel soffrire, che la vita va ammirata senza finzioni, come ciò che dilania e ama. Annientare la verità della vita con lo slogan spiccio non fa bene.
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Nelle strade vuote di uomini gli alberi sembrano camminare – per scavalcare il sonnifero del soffocamento dobbiamo guardare le stelle, che fiammano. Ricomporne le storie, austere, che come nodi legano le nostre caviglie all’indifferenza cosmica. Nel Mathnawi il grande poeta persiano Jalal-alDin-Rumi – cito la traduzione di Gabriele Mandel per Bompiani, 2006 – scrive:
Tranne l’amore del Signore generoso, tutto è in realtà tortura dello spirito, anche se sembra delizioso come zucchero. Che cos’è la tortura dello spirito? È avanzare verso la morte e non riuscire a prendere l’Acqua della Vita. Le persone fissano il loro sguardo sulla terra e sulla morte: hanno cento dubbi sull’Acqua e sulla Vita. Fa sì che quei cento dubbi diventino novanta. Va’ nella notte, poiché così, se dormi, la notte si allontanerà da te. Nella notte nera, cerca il Giorno; segui la Ragione che dissipa l’oscurità. Nella notte dal colore sgradevole c’è un bene grande: l’Acqua della Vita si trova nelle tenebre.
Leggo frammenti di Rumi frantumandoli all’aria, sventolandoli dal balcone, perforando l’anonimo della sera. Le luci nelle case mi sembrano lettere di fuoco: qualcuno, nel garage, costruisce una sedia.
*
Per andare a fare la spesa passo da un parco, nel gorgo di Riccione. Ora è chiuso. Pare un pezzo di giungla. Gli aironi stendono vasti nidi sugli alberi. Gridano. Il loro grido fa sanguinare il cielo – appena l’airone grida accade il tramonto. Un airone vola, con l’eleganza di una pittura. Ecco, la vita, il tutto, qualcosa che ha l’indecente parvenza del bene. (d.b.)
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staipa · 5 years
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Ricordarci dove siamo per imparare ad amarci. Tutti.
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Ricordarci dove siamo per imparare ad amarci. Tutti.
L’evoluzione ci ha portati a essere, o a credere di essere, gli animali più intelligenti del cosmo. A costruire cose che all’apparenza ci allontanano dalla natura, e questa presunzione di allontanamento ci fa sentire superiori ad essa. Ma avete mai visto come in un pollaio i galli spadroneggino e si sentano i più forti? O come i gatti in una casa, ignari dell’esistenza di un mondo all’esterno, facciano lotte di potere per dimostrare chi tra loro sia il vero leader? Avete mai visto come i bengalini in una gabbia che è di fatto il loro mondo lottino e a volte si uccidano a vicenda per il proprio piccolo spazio vitale?
Si tratta solamente di prospettive. Inconsapevoli delle dimensioni reali del mondo in cui vivono gli animali lottano per le risorse, che siano spazio, cibo, potere fine a sé stesso poco importa. Per noi che conosciamo il pianeta è semplice sorridere a quelle situazioni e considerare questi animali come inferiori, a volte come stupidi. In fondo lottano per cose inutili. Il cibo glie lo daremo sempre, l’acqua pure, se ne staranno al caldo tutta la vita. No?
Un giorno, forse, sarà più naturale guardare il nostro pianeta per quello che è, averne una visione come dovremmo tutti avere. Nel 1990 la sonda Voyager 1 (https://it.wikipedia.org/wiki/Voyager_1) su idea dell’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan (https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Sagan) è stata ruotata per fare una foto della terra dai confini del sistema solare. La foto è denominata Pale Blue Dot (Pallido puntino azzurro).
Pale Blue Dot
E il nostro pianeta è quel puntino indicato dal cerchio. La foto in realtà sarebbe ben più ampia ed orientata diversamente. In questa versione il nostro pianeta è quel puntino luminoso sulla fascia rosata più a destra.
Difficile vederlo? Sembra un granello di polvere disperso nel nulla.
Eppure è lì sopra che ognuno di noi litiga a lavoro e si sbatte per uno stipendio, è lì che ognuno di noi si sente un grande perché prende dei like su Instagram, è lì sopra che il presidente degli Stati Uniti ordina di lanciare missili, o alcuni si preoccupano di minuscole barchette che arrivano su infinitesime spiagge, è lì che il vostro vicino di casa vi sta antipatico. Peggio, è lì che sono vissuti tutti quelli che avete mai incontrato, e i vostri genitori, nonni, bisnonni. Lì sopra si è sentito un semidio Giulio Cesare, lì sopra Einstein ha definito le leggi della Relatività e Dante ha scritto la Divina Commedia, lì sopra promuoviamo guerre fisiche o psicologiche per difendere Dei che stanno a guardare quel puntino e a giudicare ogni briciola che ci vive sopra, lì sopra abbiamo fatto genocidi e stragi per ognuno dei motivi per cui siano mai stati fatti genocidi e stragi.
Siamo su quel minuscolo bruscolino di materia che ruota in un universo infinito. Così grande che neppure il sistema solare dal cui confine è stata fatta la foto è nulla più di un microscopico spazio. E su quella briciola invece di pensare alla serenità, alla felicità reciproca, a trovare il modo di condividere quello spazio piccolo e delicato molti di noi non hanno di meglio che lottare per sentirsi migliori di altri, prevaricare altri, accumulare infinitesimi oggettini che dopo poche decine di anni finiranno distrutti o in mano ad altri che si sentiranno altrettanto al centro dell’universo.
Come i bengalini in gabbia, come formichine che generano epiche battaglie contro ragni, uccelli o lucertole per conquistare e mantenere quei pochi metri quadrati che riescono ad occupare. Ignare di quanto attorno a loro esista e di quanto sia insignificante visto da fuori quello che fanno.
Intanto nell’agosto del 2012 la Voyager 1 è uscita dall’eliopausa ed è diventato il primo oggetto costruito dall’uomo ad entrare nello spazio interstellare ed ora si trova a più di 22 miliardi di km. 22.000.000.000 di km.
Siamo in grado di fare cose così grandiose, siamo in grado di farci un Selfie dai confini del sistema solare ma non siamo in grado di capire quanto sia delicato e piccolo il nostro pianeta, quanto sia più importante salvare quella briciola che ruota nell’universo che litigare con la propria suocera. Siamo in grado di vedere quanto siamo insignificanti per l’universo ma vogliamo sempre che qualcuno su questa terra sia più insignificante di noi per discriminarlo e sentirci migliori.
Carl Sagan, nel suo libro Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space scrisse questo commento della foto che aveva fortemente voluto.
Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.»
Carl Sagan – Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space
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italianaradio · 5 years
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Gli Eterni: Kumail Nanjiani in trattative, ecco chi interpreterà Angelina Jolie
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/gli-eterni-kumail-nanjiani-in-trattative-ecco-chi-interpretera-angelina-jolie/
Gli Eterni: Kumail Nanjiani in trattative, ecco chi interpreterà Angelina Jolie
Gli Eterni: Kumail Nanjiani in trattative, ecco chi interpreterà Angelina Jolie
Gli Eterni: Kumail Nanjiani in trattative, ecco chi interpreterà Angelina Jolie
Come riportato in esclusiva dall’Hollywood Reporter, Kumail Nanjiani è entrato in trattative per ottenere un ruolo nel film sugli Eterni targato Marvel Studios, cinecomic attualmente in sviluppo che vedrà dietro la macchina da presa l’acclamata regista indipendente Chloe Zhao (The Rider) e, se le trattative dovessero concludersi positivamente, Angelina Jolie nel cast.
L’attore, star della serie Silicon Valley e protagonista della commedia romantica The Big Sick, sarà presto al cinema con Men In Black: International, spin-off del franchise originale con altri due membri del MCU, ovvero Chris Hemsworth e Tessa Thompson.
E se per quanto riguarda Nanjiani non è chiaro quale personaggio potrebbe interpretare nel film, il sito conferma che la Jolie si calerà nei panni di Sersi, eroina creata da Jack Kirby nel 1963 e membro della quarta generazione degli Eterni.
Sersi è figlia di Helios e Perse, nacque ad Olimpia, in Grecia, qualche tempo dopo il Grande Cataclisma che distrusse i continenti di Atlantide e Lemuria durante l’era glaciale conosciuta come l’Era Hyborea. Durante il periodo trascorso nell’antica Mesopotamia, la donna incontra per la prima volta Captain America, che aveva viaggiato indietro nel tempo.
Insieme a lei potrebbe comparire anche Hercules, personaggio creato nel 1940 e pubblicato all’epoca dalla Timely Comics (divenuta più tardi la Marvel Comics), rilettura della mitologia del Dio Greco attraverso la storia dello scienziato idealista Dottor David, che abbandona la civiltà per allevare suo figlio in nome della perfezione fisica e mentale. Il ragazzo crescerà sull’Isola Artica, fortificando il proprio corpo e imparando a sopportare la fatica, il clima rigido, e sviluppando un’intelligenza pari a quella del padre. E dopo la morte di quest’ultimo, il personaggio viene rintracciato da circensi che lo catturano e lo portano in America per farlo esibire nei loro spettacoli come Hercules, il titano più alto di tutti i tempi.
Gli Eterni: nuovi dettagli sui personaggi del prossimo film Marvel
Il progetto, secondo gli ultimi aggiornamenti, includerà nel MCU gli esseri superpotenti e quasi immortali conosciuti dai lettori come Eterni e i mostruosi Devianti, creati da esseri cosmici conosciuti come Celestiali. Le fonti hanno inoltre rivelato al The Hollywood Reporter che un aspetto della storia riguarderà la storia d’amore tra Ikaris, un uomo alimentato dall’energia cosmica, e Sersi, eroina che ama muoversi tra gli umani.
La sceneggiatura è stata scritta da Matthew e Ryan Firpo mentre l’uscita nelle sale dovrebbe essere stata fissata al 2020, con il cinecomic che potrebbe vedere in azione il primo eroe apertamente gay della storia.
Fonte: THR
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Gli Eterni: Kumail Nanjiani in trattative, ecco chi interpreterà Angelina Jolie
Come riportato in esclusiva dall’Hollywood Reporter, Kumail Nanjiani è entrato in trattative per ottenere un ruolo nel film sugli Eterni targato Marvel Studios, cinecomic attualmente in sviluppo che vedrà dietro la macchina da presa l’acclamata regista indipendente Chloe Zhao (The Rider) e, se le trattative dovessero concludersi positivamente, Angelina Jolie nel cast. L’attore, star della serie Silicon Valley e protagonista della […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Cecilia Strazza
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shewalksinthebeauty · 7 years
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Ciao carissimi! Oggi super lunghissimo book tag con una marea di domande che coinvolgono tutti noi lettori, speriamo vi piaccia e soprattutto fateci sapere quali sono le vostre abitudini letterarie visto che siete come sempre tutti invitati a rispondere a questo tag!
Visto che la lunghezza è già notevole così, apriamo le danze con le domande!
1. Come scegli i libri da leggere? Ti fai influenzare dalle recensioni?
Mh… come scegliamo i libri da leggere, ci facciamo influenzare molto dalla copertina, ovviamente dalla trama e sì anche dalle recensioni quelle dei nostri bloggers fidati, il cui elenco lo trovate qui!
2. Dove compri i libri? In libreria o online?
Questo già lo dovreste sapere, nel caso in cui vi foste persi il tag dove ne parliamo qui trovate tutto! Comunque compriamo i libri in libreria. Ci piace girare tra i libri, sfogliarli, anche perché così possiamo conoscerne di nuovi e allungare la nostra chilometrica wishlist.
3. Aspetti di finire un libro prima di comprarne un altro? O hai una scorta?
Ehm, la prima domanda praticamente non ha senso! Ovvio che ne abbiamo una scorta, scorta che reclama la nostra attenzione. Ora in coda abbiamo una ventina di libri ecco. In realtà senza sapere cosa leggere dopo non siamo capaci a stare, ci viene l’ansia se non abbiamo una scorta fornita!
4. Di solito quando leggi?
Il momento in cui leggiamo in genere è la mattina o la sera quando stiamo giù a casa, quindi in vacanza. Quando siamo nella capitale e dobbiamo lavorare/studiare in genere leggiamo il pomeriggio subito dopo pranzo perchè tendiamo ad essere produttivi solo la mattina o sui mezzi.
5. Ti fai influenzare dal numero di pagine quando compri un libro?
No, assolutamente. In generale preferiamo libri non lunghissimi, ma non è mai stato un elemento discriminante. La cosa che ci influenza è semmai l’autore, la trama, ma se un libro c’interessa va bene se abbia 3 pagine o 3000 ecco.
6. Genere preferito?
Iniziano le domande scomode, allora no io non penso di avere un genere preferito e l’avvocato annuisce. Ci piacciono tutti i libri purché ci facciano emozionare e ci lasciano qualcosa, forse siamo più attratti da libri ambientati in altre epoche, che fanno viaggiare il lettore anche a livello temporale, quindi possiamo buttarci sui romanzi storici se proprio messi alle strette.
7. Hai un autore preferito?
Questo sì e dovreste ormai saperlo anche voi che l’autore che più amiamo in assoluto è Umberto Eco.
8. Quando è iniziata la tua passione per la lettura?
Non penso ci sia una data precisa, ho ricordi di me che leggo topolino dalla seconda elementare (anche se dalla regia familiare mi ricordano prontamente che sapevo leggere già all’asilo) e poi non mi sono più fermata. Per quanto riguarda l’avvocato ha talmente tanti anni sul groppone che non ce la fa a guardarsi indietro e pensare all’infanzia.
9. Presti i libri?
Non è una cosa che faccio proprio a cuor leggero e comunque dipende dalla persona, presto solo a gente fidata che non rovini i miei bambini.
10. Leggi un libro alla volta o più libri insieme?
Assolutamente un libro alla volta, leggiamo molto velocemente in realtà, ma preferiamo concentrarmi su una sola storia e un solo stile per recepirlo al meglio.
11. I tuoi amici e familiari leggono?
Alcuni dei miei amici sono lettori super forti, altri non aprono un libro neanche sotto tortura. Per quanto riguarda i familiari siamo messi abbastanza bene dai, mio padre per esempio è un grandissimo lettore di fumetti e stiamo contagiando anche la cuginanza.
12. Quanto tempo ci metti mediamente a leggere un libro?
Diciamo che la media è di una cinquantina di pagine ogni mezz’ora, siamo molto veloci, ma tutto dipende dal libro ovviamente. Se è scorrevole e soprattutto se ci conquista magari non ci stacchiamo proprio, diverso è se invece è una palla cosmica.
13. Quando vedi una persona che legge, ti metti a sbirciare il titolo?
Sì, per forza! Qualsiasi lettore lo farebbe e tenderebbe anche a giudicare la persona da quel titolo eh! (So che lo fate anche voi!)
14. Se tutti i libri del mondo fossero distrutti e tu ne potessi salvare solo uno quale sceglieresti?
Oddio questa domanda è difficilissima. All’inizio di comune accordo, pensavamo a qualche romanzo significativo o magari ad opere immense come l’Odissea, la Divina Commedia, The Waste Land, poi però pensandoci se tutti i libri del mondo fossero distrutti io salverei un buon libro di storia.
15. Perché ti piace leggere?
Innanzitutto perché mi rilassa, perché leggendo mi ritaglio del tempo che è mio soltanto. Poi perché permette di arrivare in posti e in tempi in cui non riusciremmo mai ad andare. Leggere ti mette in contatto con sensibilità e punti di vista nuovi e diversi e perché la lettura arricchisce, sempre.
16. Leggi libri in prestito da amici o biblioteca o solo quelli che compri?
Siamo lettori onnivori, leggiamo sempre e tutto, non ci facciamo davvero problemi a leggere libri in prestito, anzi è solo un modo per leggere e nutrirsi comunque anche se le possibilità economiche non sono rosee.
17. Qual è il libro che non sei mai riuscita a finire?
In realtà sono tre, i miei grandissimi scogli che ho iniziato anche più volte, ma che non sono mai riuscita a terminare ovvero: Ragazzi di vita di Pasolini, Il rosso e il nero di Stendhal e I fratelli Karamazov di Dostoevskij, se li avete letti fino in fondo svelatemi i vostri oscuri segreti.
18. Hai mai comprato un libro solo perchè ti piaceva la copertina? E cosa ti piace della copertina?
Io compro spesso libri solo guardando la copertina. La copertina è il biglietto da visita del libro, se ti colpisce già si è creato un feeling con quel libro. Mi piacciono molto le copertine che riprendono quadri o opere d’arte e quelle con i fiori, ma niente che sia troppo pacchiano. Ci piacciono i libri con edizioni minimal e raffinate.
19. C’è una casa editrice che ami particolarmente e perchè?
Allora se ve le elencassimo tutte questo post sarebbe infinito, ci sono molte case editrici che ci piacciono tantissimo. Possiamo dirvi che ci piacciono molto di più le case editrici indipendenti perché generalmente ognuna di essa si occupa di un ramo ben preciso seguendo una direttrice definita e perché da parte delle case indipendenti c’è una cura diversa per l’oggetto libro e per il lettore stesso.
20. Porti i libri dappertutto? O li tieni al sicuro in casa?
Dipende dal libro, se è un’edizione resistente lo portiamo dovunque, altrimenti lo teniamo al sicuro. Quello che non portiamo mai in giro sono i fumetti, ci teniamo troppo per rischiare anche solo di graffiarli.
  21. Qual è stato il libro che ti hanno regalato che hai gradito maggiormente?
Beh non sono molte le persone che mi regalano libri, molti hanno sempre temuto di comprare libri che già avevo. Chi mi ha spesso regalato libri è stata mia zia che ha sempre incontrato i miei gusti e tra i suoi doni i più graditi sono stati Harry Potter e Il mondo di Sofia di Jostein Gardeer, insomma libri meravigliosi.
22. Come scegli un libro da regalare?
Beh ovviamente cerco di prendere libri che possano piacere al festeggiato. Regalo libri molto, molto spesso. Leggendo tanto, spesso mi capita di leggere qualcosa e pensare “Mh questo libro potrebbe piacere moltissimo a …” quindi mi porto avanti.
23. La tua libreria è ordinata secondo un criterio o in ordine sparso?
La mia libreria, quando è ordinata, è ordinata per editore in modo da avere le edizioni e quindi nella maggior parte dei casi formati uguali vicini ed anche per creare una certa continuità di colori grazie alle costine che sono sempre simili tra le varie c. e.
24. Quando leggi un libro che ha le note le leggi?
Sì, specialmente per i libri esteri che hanno note che spiegano magari significati di termini particolari o danno indicazioni geografiche/storiche.
25. Leggi le prefazioni, postfazioni, introduzioni?
In genere leggo solo le postfazioni, per quanto riguarda le introduzioni ho sempre paura di qualche spoiler e poi vedo l’introduzione come qualcosa che mi allontana dal fulcro del libro!
Bene giovini questo super tag è finito, noi speriamo di avervi tenuto in buon compagnia e non dimenticateci di farvi avere le vostre risposte eh! Come al solito ci trovate anche  su facebook e instagram ❤
Indiscrete domande letterarie Book Tag! Ciao carissimi! Oggi super lunghissimo book tag con una marea di domande che coinvolgono tutti noi lettori, speriamo vi piaccia e soprattutto fateci sapere quali sono le vostre abitudini letterarie visto che siete come sempre tutti invitati a rispondere a questo tag!
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pangeanews · 6 years
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“Dio, patria e famiglia proteggono l’uomo. Senza quei principi è il caos”: dialogo con Marcello Veneziani
Della battaglia non restano neanche i frammenti con cui “ho puntellato le mie rovine” – era il 1922, un secolo fa, e dalla Terra desolata dell’Occidente Thomas S. Eliot, il poeta, dopo una gita sulla riva del Gange, tentava di salvare il salvabile. Ora, un secolo dopo, anche dei frammenti è scempio, Dio è morto da un pezzo, lo storico è sostituito dall’influencer, il poeta dall’opinionista, l’epos dalle news, l’apoftegma dai tweet. Serafico, allora, Marcello Veneziani non istituisce battaglia; piuttosto, ha la statura di un monaco, in grado di ricostruire il geroglifico che salda le costellazioni agli alberi, che conosce il verbo capace di dare carisma alle pietre. Nostalgia degli dei (Marsilio, 2018), tutt’altro che un libro nostalgico, ha la tensione di un libro definitivo nel corpo bibliografico di un pensatore costantemente anomalo, apolide all’ovvio. La formula del libro è provocatoria: Veneziani estrae dieci parole che fanno venire la lebbra ai progressisti, alle cicale perbeniste (“Patria”, “Famiglia”, “Tradizione”, “Destino”, “Anima”…), con un intento, tuttavia, per nulla polemico, bensì filosofico. Esempio. La parola “Destino”, gettata nello scantinato delle cose desuete, perché, d’altronde, con la muscolosità degli idioti, siamo noi a farci, a forgiare il nostro futuro (come se esistesse, di per sé, l’entità ‘futuro’): “Il fato conferisce senso all’accadere; indica il disegno intelligente del divenire. Il destino non segna il rifugio nel guscio della necessità ma, al contrario, è tornare a esistere a cielo aperto, sfondando il tetto della casa… Accogliere il destino è offrirsi allo sguardo che viene dall’alto, svelarsi”. Con un linguaggio ostinatamente contrario al blabla televisivo, alla spocchia giornalistica, propria degli individui privi di individualità, invidiata dai beoti, Veneziani tenta di innescare il pensiero, e offre una lettura della tragedia patria – la disaffezione, la rottura del patto implicito con la propria origine, che è origine di ‘questa’ Italia – di armato nitore: “A Piazzale Loreto mancò un Priamo che avesse la forza, il carisma, il coraggio di recarsi dal vincitore ancora schiumante di rabbia, inginocchiarsi al suo cospetto e implorare la restituzione dei corpi, così purificando l’odio e placando i demoni della vendetta, innalzando la storia al rango dell’epica, la volontà degli uomini al disegno del fato. Ci sarebbe voluto un re, un sacerdote, un padre della patria ferita, in grado di compiere quell’atto pietoso. I riti sono importanti, le civiltà lo sapevano. Mancò nel furore della guerra civile un pater a ricomporre il corpo martoriato della nazione, rimarginare la ferita e curare le sue letali infezioni”. Insomma, è un libro controcorrente, questo, della meditazione senza mediazioni, con quella solarità data a chi, senza rimozioni né timori, tenta di ricostruire. Ci sono, anche, tanti passi da sottolineare. Per deviazione estetica, ho segnato questa, che riguarda il senso profondo della poesia: “Il Poeta è un tornante; torna alle radici dell’esistenza, guidato da angeli misteriosi, svelando le segrete corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo. Il travaglio che lo accompagna in questo viaggio a ritroso è la nostalgia di perfezione, quasi un rivivere nella sua anima la gravidanza del mondo che viene alla luce. La sua opera è il tentativo di nominare, di battezzare le cose. La potenza di un verso è nella capacità evocativa di far tornare alla luce ciò che è nascosto e appare come dissipato, perduto, dimenticato. Dietro le Muse c’è Mnemosine, colei che fa tornare alla mente”. Eccolo, Veneziani. Nell’intemperia dell’oscurità, stana l’alba, il suo cranio bianco, come una bestia dal volto di bimbo. (Davide Brullo)
Quale delle parole centrali, definitive che allinei ti sembra la più abusata e la più bistrattata, oggi?
Il filo conduttore che le accomuna è che nel Canone dominante sono viste tutte, in varia misura, con diffidenza, sospetto, fastidio. Non sono parole neutrali, del resto, indicano orizzonti preclusi al pensiero globale; non ce n’è una in particolare più bistrattata e abusata delle altre.
Come si concilia il concetto di Patria con quello di Europa: ti piace l’idea di Europa? Che cosa ti fa dire di essere italiano, abitante di un paese, scrivi, che ha “Grande personalità, modesta statura”, che è “Una civiltà, più che uno Stato”?
La patria riguarda la nazione e la tua terra, l’Europa è invece una civiltà; tra le due idee non c’è conflitto o incompatibilità. Anzi credo che si debbano declinare in progressione i tre patriottismi, locale, nazionale ed europeo. L’Italia poi ha uno status speciale, perché fu una civiltà prima che una nazione e una nazione prima che uno stato unitario. L’Italia è una nazione culturale, più che politica, unita dalla sua lingua, dalla sua arte, dalla sua letteratura e dal pensiero; un paese con una spiccata personalità seppure modesta come forza economica, demografica, tecnologica, militare.
La trimurti Dio-Patria-Famiglia “erano e sono gli argini di sicurezza per fronteggiare la paura di perdersi, di soffrire e di morire”, scrivi. A volte, però, quei mastici della sicurezza sono sentiti come una prigionia da cui evadere, per rilanciare. Alessandro Magno fa esplodere la sua ‘civiltà’, si orienta a Oriente; San Paolo fa della ‘patria’ un concetto mentale e non più geografico, concettualizza il patto; i monaci fanno patria tra loro; d’altronde, Edipo snatura il concetto di ‘famiglia’. Forse bisogna perdersi, perdere, per capire a cosa si appartiene… Dimmi.
Considero gli dei di cui scrivo, e Dio, patria e famiglia in particolare, come proiezioni e protezioni dell’uomo. Ovvero come aperture al cielo e legami con la terra, aperture di senso e argini di sicurezza. Segnano la trascendenza e insieme il limite della nostra vita e della nostra libertà. Senza quei principi siamo in balia del caso/caos, del tempo, della morte, e della solitudine individuale. Poi, certo, come tutti i principi possono anche degenerare, diventare dispotici e bugiardi, ma non si possono identificare i principi con le loro possibili degenerazioni.
“Una società equilibrata ama conservare e pratica l’innovazione; da tempo accade il contrario, si ama e si declama l’innovazione e si pratica poi la conservazione; e non di princìpi ed esperienze vitali, ma la stagnazione, il conformismo, la coazione a ripetere per allineamento, pigrizia, uniformità”: al concetto di ‘tradizione’, che a orecchie comuni rimanda a ‘tradizionalismo’, ‘tradizionalisti’, l’atteggiamento di chi dice, a priori, che è meglio ciò che è stato, con beota chiusura all’ora, alla vita, dai un significato, direi, ‘rivoluzionario’, di spinta verso il futuro. Spiegaci.
Potrei suggerire il richiamo a un ossimoro, rivoluzione conservatrice, per spiegare cosa intendo: innovazione dei mezzi e tradizione dei principi, cambiamento degli assetti, circolazione delle élite e permanenza dei principi, continuità dei patrimoni; coscienza che indietro non si torna, aspettativa verso un futuro che si avvale dell’esperienza. La tradizione, sostengo, non è il culto del passato ma il senso della continuità e perciò aggiungo che la tradizione sta ai tradizionalisti, come il fuoco alle ceneri. È cosa viva, non è reliquia, la ripetizione pigra è il kitsch, non è la tradizione che è invece “fedeltà creatrice”.
“Cosa c’è al posto di Dio? C’è la libertà, si risponde. Cos’è la libertà in assoluto? È nessun tetto all’io. Dio perde la testa: decapitato, Dio è solo io”. Anche leggendo Ovidio, in effetti, si sente la ‘nostalgia degli dèi’: gli dèi sono lo scintillio di una fiaba, non sono più atto, presenza, morso. Cosa dobbiamo rispondere a questa nostalgia?
La nostalgia degli dei a cui mi riferisco io non è l’effusione romantica, l’elegia decadente di chi sospira il tempo andato ma è un mito che trae spunto dal passato per fondare il futuro, è nostalgia dell’avvenire. La libertà ha senso se è compito, impegno, responsabilità e non pura liberazione, emancipazione, cupio dissolvi. Libertà per fare e non puro disfare, libertà e destino, non libertà contro il destino, protesa solo nel desiderio. La libertà smisurata si perde nel nulla e si rovescia nel suo contrario, nella schiavitù, personale e politica.
Perché parli di nostalgia degli dèi e non di Dio, del Dio biblico? Dove lo trovi, lo odori, ora, il sacro?
Perché il mio non è un trattato teologico e nemmeno un testo confessionale, gli dei in questione sono metafore, figurazioni dell’essere, idee e simboli. Per chi ha fede quegli dei sono le scale che portano poi al Dio Unico. Il cristianesimo qui è affrontato come civiltà cristiana, non come fede. La nostalgia del sacro non si identifica con la religione, ma attraversa anche altri territori, evoca la trascendenza e si pone sulle tracce del divino. Dunque gli dei non sono in alternativa al Dio biblico, affrontano gli dei sul piano del pensiero vivente, non della professione di fede e della devozione.
Quando parli del ritorno accenni al poeta, “un tornante; torna alle radici dell’esistenza, guidato da angeli misteriosi, svelando le segrete corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo”. Di certo, l’atto letterario ha mantenuto, nei secoli, un legame con la carnalità dei misteri, ma… ora? Cosa leggi, ora? A cosa torni?
Il tornare accompagna la vita e non solo le letture, è la chiave di comprensione più profonda dell’esistenza, il conato di ritorno verso l’origine, l’inizio. Premesso il ritorno come dimensione cosmica ed esistenziale, spirituale e vitale, la letteratura del ritorno è una compagna preziosa per il viaggio: dall’Odissea alla Divina Commedia, da Plotino – che fu il filosofo antico del ritorno – a Vico, che fu il filosofo del ritorno agli albori della modernità fino all’eterno ritorno di Nietzsche. C’è poi la poesia del ritorno, per esempio in Borges, la letteratura moderna del ritorno, con Proust… Io torno a quei libri, ma torno pure al mio paese natale, torno ai miei cari, torno nei luoghi elettivi…
Alla fine del libro, ipotizzi un decalogo, una specie di disciplina per “rifondare la vita, nel cammino dall’esistenza all’essenza”. Come primo punto, imponi di tornare a pensare piuttosto che ad agire: a una politica ‘del fare’, mi vien da dire, meglio una politica del ‘capire’. Ecco, ti chiederei un consiglio da dare al principe e al governante o al capo di governo, oggi.
Non so dare consigli ai politici, anche perché so che non li ascoltano, E in fondo il mio libro non vuole suggerire nulla alla politica, è un viaggio nella conoscenza per trasformare gli uomini, che solo indirettamente diventa anche un modello di comportamento con implicazioni storiche, politiche, civili. Teniamo aperta la doppia possibilità di salvare il mondo o salvarsi dal mondo. Se volessi però tradurre nel gergo del presente le parole chiave che sostanziano la nostalgia degli dei, ne userei due: sovranità e confine, che rappresentano il cielo e la terra, le espressioni della proiezione e della protezione di cui abbiamo bisogno per ripararci dal nulla e dal caos. La sovranità come senso verticale e ideale, il confine come senso del limite e della misura.  Poi non resta che far precedere il pensare all’agire, la visione all’azione, e la visione del mondo alla mutazione permanente.
L'articolo “Dio, patria e famiglia proteggono l’uomo. Senza quei principi è il caos”: dialogo con Marcello Veneziani proviene da Pangea.
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