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#Marco Giaconi Alonzi
pangeanews · 5 years
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“La politica è legata a impressioni e sentimenti, l’UE è uno straordinario caso di incapacità, l’uomo sarà sempre più inutile: avremo popolazioni di zombie”. Intervista estrema a Marco Giaconi Alonzi
Ci sono uomini che scrivono per l’avvenire. Anche se ti lasciano delle parole, hanno in mente la loro risonanza. Oltre te che leggi, al di là del tuo istante che dopo non esisterà più coi contorni precisi. Uno di questi uomini è Marco Giaconi Alonzi che avete imparato a conoscere in un’intervista pubblicata recentemente su questo foglio digitale. Siccome è stata gradita, ho ripreso in mano alcune carte di letteratura giaconiana che mi coinvolgono. Ci torno su per leggerle tra le righe. Le voglio approfondire in un’altra intervista, più secca questa volta.
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Giaconi è di Pisa ma potrebbe avere già vissuto in India o in Cina, forse in Corsica. In ogni caso, non ha nulla di sciamanico benché sappia di ermetismo tanto quanto di attualità. Vi faccio un esempio della sua versatilità. Leggevo Herzog poco fa e trovo queste righe salienti:
“Cercare la propria realizzazione in un altro, nelle relazioni interpersonali, era un gioco femminile. E l’uomo che prova prima una donna e poi l’altra, malgrado il suo cuore bruci d’idealismo, è già entrato nel mondo femminile. Dalla caduta di Napoleone in poi il giovane ambizioso ha trasportato nel boudoir la sua sete di potere e Herzog, accettando il disegno di una vita privata (approvata da coloro che ne avevano l’autorità) si mutava in qualcosa che rassomigliava a una concubina”.
La chiosa giaconiana è fulminante:
“Liberare la civiltà occidentale dal semplicismo psicologista e moralista delle genti del Nord è un obbligo di questi tempi. Vanno bene solo per i romanzi, dove moltiplicano per mille tratti che un uomo vero, qui al Sud, chiuderebbe con un breve sorriso. Anche le ‘rivolte contro il mondo moderno’ che abbiamo già letto erano figlie del Grande Nord. Occorre un nuovo grande meriggio, fatto di sole sul limite dell’acqua e silenzio. Ci salverà la tradizione orientale? vedremo”.
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Giaconi è fermamente convinto che bisogna sempre guardare più in là, a Oriente. Anche nel secondo conflitto mondiale lo scacchiere mirava lì: prendere e tenere l’Oriente. Con le parole di Giaconi (tenete presente che qualcuno doveva pure insegnare strategia agli operativi): “Gli inglesi sapevano che l’Oriente sarebbe stato USA, e lo lasciarono, senza troppi complimenti, agli americani, così feroci ma, in fondo, generosi prestatori per i loro vecchi padroni britannici. E Washington pensava all’Oriente come contrappasso economico della UE, con produzioni molto più economiche, e a una copertura aggiuntiva dell’Est ‘democratico’ contro Russia e Cina. Ma con molte ambiguità, fin dall’inizio, sulla Cina, di cui gli USA miracolo! capirono fin dall’inizio il potenziale antisovietico”.
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Altra certezza di Giaconi. Senza il Servizio non esisterebbe alcuna narrativa british. Ecco una delle sue rasoiate. Ditemi se non è narrativa: “Gli anglosassoni lasciano i Paesi come le donne. Non è che non gli piaccia la donna, come peraltro spesso accade, è che non hanno il senso della permanenza, che è tipicamente tedesco. Se il 25 aprile lo avessero fatto con un alleato britannico, le cose sarebbero andate più semplicemente. Un bombardamento sugli uffici centrali, e una rapidissima fuga, stile Dunkerque, per portare le truppe altrove intatte”.
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Che il Servizio inglese abbia forgiato la narrativa è un fatto. Che abbia lasciato delle scie anche nei campi sereni della poesia, è invece una felice coincidenza che verificate leggendo In parenthesis di David Jones (appena tradotto da Mondadori). Questo era il discorso di un generale sui campi della prima guerra mondiale: “I tell you your contentions is without reason, it is indeed a normality in the vicissitude of the blutty wars — moreover his Intelligences is admirable, the most notorious in all the world”.
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Non ho più altri messaggi da esporre. Cercherò di ricostruire di nuovo un senso con l’intervista (Andrea Bianchi).
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Professore, Lei predilige René Guénon. Cosa andrebbe letto di lui?
Di Guénon mi interessa soprattutto l’ipotesi della antichissima Tradizione Unitaria e l’idea, ben più complessa di quanto non si creda, del divario sapienziale tra Occidente e Oriente. Ma niente di “mistico”, beninteso. Quindi, gli Scritti sulla Crisi del Mondo Moderno (ed. Luni) le Considerazioni sulla Via Iniziatica, edito da Casini, il piccolo ma rivelatore L’esoterismo di Dante (Adelphi). Guénon è chiaro come il sole, nei suoi testi, diversamente dai finti iniziati, e delinea il motus in fine velocior del nostro mondo contemporaneo. Per ora, ha indovinato tutto.
In che modo la comprensione della civiltà islamica serve sul continente europeo?
Siamo arrivati rapidamente a una polarizzazione cretina. O c’è l’idea che l’Islam è solo “jihad della spada” (e anche “della parola”) e che tutto è iniziato con Osama, tipica riduzione all’attualità banalizzata del mondo occidentale attuale, oppure che l’Islam è sapienza antica che è naturalmente aliena dalla violenza, una sorta di antistorica Woodstock mediorientale. Altra fesseria “mistica” dei finti iniziati. O dei politici progressisti, ormai eredi più del “buon selvaggio” di Rousseau che del Marx che sosteneva l’imperialismo britannico. Quindi, occorre conoscere la logica dei versetti “abrogati” del Corano, e abrogati da chi, poi la tradizione interpretativa del testo sacro e le sue principali scuole, poi ancora la normativa sul jihad (è maschile, ditelo ai giornalisti) che è molto complessa, il nesso infine tra le norme corporali e quelle del pensiero, tutto questo è assolutamente necessario. Se no, si oscilla tra i due estremi suddetti della stupidità “western”. Ci fu una disputa durissima, per esempio, tra il “Dr. Fadl” e Osama, all’inizio di Al Qa’eda. Il medico egiziano, jihadista a modo suo, voleva che Osama rispettasse le norme coraniche sulla “guerra santa”, Osama diceva che aveva ragione lui. Ecco, di tutte queste cose non vi è traccia, nel dibattito occidentale sul jihad. Da tutto ciò deriva che l’Islam vincerà, nella nostra terra degli “infedeli”. E ricordiamoci che il “terrorismo” è solo una delle tante tecniche del jihad, non la malattia mentale di qualche “fanatico” islamista.
Forse il ripiegamento dell’Europa su sé stessa è stato opportunamente preparato dagli Stati Uniti? 
Non credo. L’UE è già molto imbecille da sola. L’UE è il più straordinario caso, nella storia moderna, di incapacità e stupidaggine geopolitica. Al massimo va bene per la dimensione dei piselli, nel senso del legume.
Però nel passato ci sono state altre ipotesi brillanti riguardo la formazione dell’unità europea. Penso a Anton Prinz von Rohan (1898-1975). Ci spiega in sintesi che cosa auspicava?
Una sintesi tra Francia e Germania, ma culturale, mi raccomando, non come quella attuale. Poi, affascinato dal fascismo (una allitterazione) si inventò una sintesi tra cattolicità, fascismo e Terzo Reich. Un tipo che non aveva capito dove stava.
Insomma Rohan era uno che negli anni Venti organizzava convegni tenendo insieme Carl  Schmitt, von Hofmannsthal, Paul Valery. Possibile che sia stato trascurato anche lui nel processo di formazione europeo?
Si, è ovvio, si era “macchiato” di rapporti con il Terzo Reich e il fascismo italiano. Ah, se il primo fascismo, prima di andare al potere, non avesse distrutto le reti coperte del PCd’I, già pronte per l’insurrezione di classe, chissà quanti democratici sarebbero stati eliminati già nel 1922…
Cerchiamo di essere chiari. Da dove deriva la predominanza delle categorie mentali dell’economia su tutti gli altri campi di attività? 
Dall’imitazione, del tutto retorica, della matematica nella analisi dei fenomeni economici, ovvero, nella mentalità attuale, unicamente degli scambi di borsa e degli equilibri monetari. Che appaiono essere tutta l’economia. Il lavoro, il capitale, le macchine, non esistono più. La gente si impaurisce e si intimidisce quando vede le formule, e il più è fatto. È una manipolazione da giocolieri contemporanei, che operano in tutti i settori.
È un processo di lungo respiro o possiamo misurarlo sugli ultimi trenta, quarant’anni? 
Temo sia il primo caso. Certo, se non mi ricordo male, non ci sono formule nei testi di Luigi Einaudi. E, nei testi rigonfi di matematiche, certe operazioni finanziarie vengono compiute usando le equazioni dei gas perfetti… Chissà se qualcuno ha già trovato l’equazione dell’insider trading…
Quando insegnava in Svizzera con Feyerabend ha mai toccato questo argomento?
Sì, Feyerabend era insofferente dell’eccesso di formalizzazione. Lui, poi, odiava massimamente quella filosofia da five o’clock tea che si chiama “analisi del linguaggio”, altra truffa concettuale, in questo caso minimalista. È la storia di Wittgenstein e Popper, con il primo che dice “esistono solo proposizioni all’indicativo, le altre non sono razionali” e Popper che risponde di no, con Wittgenstein che minaccia poi con l’attizzatoio lo stesso Popper. E lui che risponde che sì, certo che esistono, per esempio “non si minaccia con l’attizzatoio”. Wittgenstein era uno psicotico grave, come alcuni suoi seguaci genovesi, e Popper era uno che credeva che la scienza fosse assimilabile a un dizionario dei sinonimi e dei contrari. I filosofi della scienza, a parte Feyerabend, sono dei casi gravi. E soprattutto, non sanno nulla di scienza.
Ora le chiederei di seguirmi in una pausa. Le leggo un brano di un testo inedito che studiai per la mia tesi. È dello storico Delio Cantimori e risale agli anni di Rohan. È un’ipotesi continua sull’Europa. “Lo ‘storicismo’ del Prinz Rohan gli permette di usare utilmente quello che noi chiameremmo ‘austriacantismo’, cioè il senso delle necessità superiori di uno stato non strettamente nazionale, anzi sopranazionale (come deve essere ogni stato imperiale, ed in genere ogni stato democratico, sia pure anche socialista: si ricordi che le rivoluzioni nazionali, a cominciare dalla luterana, sono state il germe delle ‘democrazie’ moderne), portato all’estremo, in senso quasi ‘reazionario’. Rohan si richiama direttamente all’esperienza dell’Impero austro-ungarico, come fatto europeo in politica internazionale, come allo stato corporativo, in quanto esperienza europea per la politica interna delle nazioni”.
Non bisogna mai fare profezie ma Lei ci può dire qualcosa. In che direzione va l’Europa?
L’UE nacque come progetto nordamericano di copertura-crescita economica dell’Europa Occidentale verso il Patto di Varsavia. Espansione del benessere economico per sedurre l’Est e per “tenere dentro” una parte delle popolazioni UE, possibili oggetti della propaganda sovietica. Finita la contrapposizione tra i due blocchi dentro lo spazio europeo, l’UE ha perso la sua finalità profonda. Ed è rimasta un’area di libero scambio interno. Va bene così, ma molti Paesi europei, oggi, producono grandi flussi di merci e di capitali verso Paesi fuori dall’UE. Quindi, l’Unione o si adatta a questa nuova configurazione dell’economia dei Paesi membri, o si troverà a non contare nulla. Certo, è anche una colossale barriera tariffaria, ma oggi si trova a confrontarsi con gli Usa e la Cina, che hanno le armi e le monete sovrane, mentre l’UE non ha nessuna delle due. Se l’UE fosse un solo sistema di difesa, e se la moneta unica fosse un “prestatore di ultima istanza”, come il dollaro, allora la grande partita globale si potrebbe anche giocare. Quindi l’UE, prima o poi, fallirà e cadrà nell’irrilevanza, anche per i suoi membri.
Riguardo alla politica italiana, invece, non tocco nessun tasto. Forse ci può lasciare uno spunto dal suo Francesco Cossiga. Come vide negli anni il processo di aggregazione sul continente europeo? 
Cossiga era un tenuissimo europeista. Nel senso che vedeva nell’UE solo la possibile correzione delle distorsioni strutturali dell’economia italiana. Pure, Cossiga riteneva anche l’UE “la più ottusa e antidemocratica creatura politica”. Per lui, dopo Tangentopoli, “la politica era morta” e pensava che l’UE, autodistruggendosi sicuramente, avrebbe destrutturato anche gli Stati membri. E il risultato, nel vaticinio di Cossiga, sarebbe stata l’immigrazione di massa dall’Africa.
Lei ha viaggiato molto, come tutti possono fare oggi, tranquillamente, auspici Ryanair e McDonald’s globali. Però il suo sguardo era diverso. Ad esempio, mi dica della Russia, o anche dell’ex URSS. Loro erano veramente convinti che fosse in atto una rivoluzione lisergica: a dire che l’ottundimento globale, lavoratori disoccupati a casa e per giunta drogati, era qualcosa di orchestrato. La minaccia è ancora latente?
Si, l’ottundimento di massa sarà sempre più diffuso, e diventerà totale. Avremo popolazioni di zombi che saranno organizzati non da altri uomini, ma da sistemi automatizzati. Clockwork orange di Anthony Burgess, uno scrittore cattolico della tradizione di Lord Acton, sarà la descrizione di un piccolo particolare.
E riguardo al terrorismo informatico a che punto siamo invece? Rimane la minaccia prioritaria? Guardi, glielo chiedo oggi che si leggeva della nuova carta di credito Apple…
Certo che sarà una minaccia sempre più potente. Vale 1,5 trilioni di dollari, oggi, la sua economia mondiale. 300 miliardi di dollari statunitensi sono il volume annuale del mercato della cybersicurezza privata. Le PMI saranno le più colpite, in futuro, da attacchi cyber. È un terrorismo economico, soprattutto: conoscenza dei segreti industriali dell’avversario, ma anche, e da tempo, delle reti governative e delle strutture dell’intelligence. Sarà la nuova piattaforma della guerra futura.
Se mi segue, vorrei tornare alle caratteristiche italiane in confronto ai paesi del nord. Non trova che il Regno Unito, per non parlare degli USA, non riuscendo più a produrre delle satire su sé stesso del genere di Dickens stia dimostrando la sua sconfitta concettuale? O storica, come preferisce. 
Da quando la Gran Bretagna ha vinto e perso la Seconda guerra mondiale, ha perso anche la sua anima. Temo che la letteratura umoristica laggiù non sarà più possibile, se non al livello più basso, che è quello dell’irrisione di un dato personaggio pubblico. Il livello delle offese che la gente, ovunque nei social, lancia ai personaggi pubblici, politicanti compresi, indica un odio feroce e infinito. Ne vedremo delle belle.
Mi spiego meglio. Molti luoghi italiani, quando li ho rivisti dopo esser passato per il filtro della complessità londinese, li potevo chiamare tranquillamente un deserto: hic sunt leones. Deserti affollati quanto si vuole, ma desolati. Motivo in più per guardare ad altri modelli, all’Oriente, all’Islam, in alternativa al calvinismo laico degli amministratori delegati. O sbaglio?
L’Oriente, per quel che ne so, ha una sola idea in testa: diventare americano. Anche il loro esoterismo è ormai paccottiglia per turisti. L’Oriente è solo un brulicare di ominidi che vogliono essere Elvis. L’Islam è l’ossessione dell’Idea Unica, del deserto del mondo rispetto alla possessione dell’uomo da parte del Dio Unico. L’Italia non esiste affatto. Non è nemmeno un’idea. Il calvinismo laico degli ignorantissimi (li conosco) amministratori delegati è un caso clinico. Non vedo soluzioni turistiche, non vedo vie di fuga.
E a proposito di leoni del deserto, lei ha scritto spesso su alleo.it che il potenziale di immigrazione può trasformarsi in una pedina elettorale. Che sia di un estremo o di un altro dell’arco parlamentare, poco conta. Ha cambiato idea?
Certo che no. Lo sappiano o no (temo di no) i politicanti attuali, l’immigrazione di massa destabilizza alla radice gli Stati moderni. Fa saltare il banco del welfare, deforma il mercato del lavoro, crea immediatamente quell’area di zombi che costerà meno drogare che far lavorare. E espanderà l’economia criminale, che è già oggi una vasta parte, pure lecita, dell’economia ufficiale. La pedina elettorale, comunque, a destra come a sinistra, sarà così giocata: o il “buon selvaggio” amato dalla sinistra, la quale crede che la produttività non esista, e quindi non si cura dell’origine del reddito pubblico dei migranti, oppure dalla destra, che teme l’invasione e l’espansione della criminalità. In tutti e due i casi, la politica sarà, come sempre oggi, legata alle impressioni e ai sentimenti. La ragione è fuori moda.
Una volta le dissi che Londra è come una scacchiera. Mobilità sociale quanto si vuole, arricchiti a destra e manca, ma nell’insieme il tasso di corruzione è più alto lassù che qui. Dico della corruzione dei costumi, non quella percepita misurata per far contente le renne di santa Claus… Mentre Londra è una scacchiera, l’italiano invece sembra sia disposto sul tavolo da gioco dama. Tutti uguali, in apparenza, ma nella più totale anarchia. Una dama italiana che è magmatica: si è pedone, ma ci si deve fingere alfiere per scavalcare tronfie torri e mettere in scacco non re, ma… pedoni del tuo stesso colore. È così anche dal suo osservatorio o sto facendo il poeta? 
Per quel che mi dicono i miei “boys”, la corruzione “vera” è elevatissima ovunque, ma specie nei paesi moralisti o che fanno i bravi contro il sud “sporco” e “immorale”. L’attuale Re di Spagna prende le mazzette su tutti i grandi affari, fumando grossi sigari. Non parliamo nemmeno delle dinastie nordiche. Negli Usa è la norma. Non se ne esce, ma anche l’Italia non è l’ultima in classifica. Guardarsi poi da quelli che parlano sempre male dei “politici”: chiedono mazzette più sostanziose degli altri. Per la corruzione di cui parla Lei, sono del tutto d’accordo.
Non che Londra sia il paradiso, ribadisco: lassù ha vinto tutto ciò che è tonico (me too compreso), muscolare, darwiniano e, in fondo, violento. Però dà pace e forse un italiano lo può capire: nella scacchiera inglese non ci sono partite, ma un solo gioco a cui obbedire, fatto di mosse semplici e ripetitive, mentre ogni pezzo ha l’unico valore che ha e deve stare al suo chiaro posto. Per Chesterton, nascere in Inghilterra vuol dire essere programmati da subito come se si fosse un binario degli scambi ferroviari di Clapham (dove oggi, guarda il caso, si è trasferita la Apple nella vecchia sede delle industrie di carbone…). Esagero?
Non credo. L’inglese è pieno di regole fino a scoppiare, le accetta tutte e, per uscirne, c’è solo il pub fino a notte fonda.
Quindi i brits si sono fatti ricchi, da poverelli che erano, andando per mare con cattiveria, astuzia, criminalità. Insomma permane loro natura fondativa di pirati del Cinquecento? Davvero gli inglesi vanno controllati pesantemente, per non ripetersi e tornare a predare? È per questo che hanno bisogno di così tante regole, per poi magnificarle? Ma insomma, visto che poi lassù rimane tutto in bilico, con quella loro metafisica darwiniana sillabata da palati angelici, che però funziona solo come mito biologista e morale… Davvero i migliori sono loro?
Cero che sono rimasti pirati. E moralisti protestantici, altra pirateria, ma metafisica. Ne scorgo i tratti ovunque: nel modo di vestire, spesso troppo azzimato, segno certo del parvenu, nell’estremismo della divisione dei redditi e nel classismo estremo, altro segno indubitabile del parvenu, nel mito darwiniano, che ormai nessuno scienziato serio sostiene più, ma che rimane come mito sociale, come fortune che si autogiustifica come “razza”, e molti altri tratti, omosessualità di massa compresa.
Chiudiamo con un grammo di pepe. Come vede i giovani, sia ventenni che quarantenni di oggi? Scommetterei che per Lei la rete ha fuorviato un po’ tutti: i corpi oltre che le menti ormai inette alla riflessione… Davvero i ragazzini che si filmano tenderanno sempre più ad assomigliare, a letto, allo Chirac del “due minuti compresa la doccia”?
Il virtuale ha vinto per knock-out il reale. Non ci sarà più l’antigienico incontro tra due corpi, ma l’atto tra due terminali. La comunicazione, il mito dell’attuale epoca, ha assorbito il significato. I nostri ragazzi non sono più adatti alla produzione: basta un flusso di informazione, secondo loro; né all’ozio, che è oggi un frenetico comunicare gli stati mentali di una non-mente. L’Uomo sarà sempre più inutile. Chirac sarà un mito eroico, nel mondo dei decimi di secondo.
Grazie di nuovo, Professore.
*In copertina: una fotografia di scena da “Arancia meccanica” (1971), il film di Stanley Kubrick tratto dal romanzo di Anthony Burgess
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pangeanews · 5 years
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“La democrazia è dispotica, Kissinger va matto per i tagliolini alle vongole e il Duce, come diceva Longanesi, rimarrà in Italia, da morto, per più tempo di quanto non ci sia rimasto da vivo”: dialogo con Marco Giaconi Alonzi
Leggo l’ultimo romanzo di le Carré, A legacy of spies, tutto un gioco di specchi tra il passato del Servizio inglese e la sua realtà odierna, più semplicistica e giustizialista. A un certo punto, salto in aria come una pentola a pressione: anche le Carré, sempre a sinistra, sbotta perché c’è troppa gentucola che va a cercare i peli nell’uovo. Traduco dall’originale, sciogliendo: “Quegli avvocati civili in infradito, di alti principi, tutti lì a dar la caccia al Servizio come fossero a richiamare, fischiando, un uccel di bosco”. Stupendo. Anche le Carré, con gli anni, ha perso qualche freno.
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La battuta di le Carré mi fa ricordare qualche conversazione erudita (ma non troppo) con un compagno di Scuola Normale. Compagno è una parola grossa: diverse generazioni ci separano, né c’è stato tra noi alcun tipo di tutoraggio perché in Italia, semplicemente, non esiste. È valsa soltanto una buona intesa intellettuale e cordiale tra il pimpante che scrive qui e il professionista. Sto parlando di Marco Giaconi Alonzi, ex docente di filosofia della scienza a Zurigo nei primi anni Ottanta (quando Feyerabend faceva fischiare le orecchie un po’ a tutti), poi funzionario dello Stato. Ha visto la Prima repubblica, la Seconda (cosiddetta) e per mantenere i suoi vecchi hobby continua a leggere. E scrivere: il suo ultimo libro s’intitola Le guerre degli altri (una buona intervista qui). Credetemi: di Giaconi andrebbero lette anche le cose antiche come Spazio e potere sulla geopolitica di inizio (dominio del mare) e di fine (dominio del denaro sporco) Novecento. Se proprio non avete tempo, leggetevi in poche ore il suo lavoro sull’intelligence e le forze armate in Cina (Uccidere con una spada presa in prestito, Il campano 2017). Intanto, gli fisso un’intervista.
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Bei tempi, quando fresco di laurea lo incontrai di persona. Perché Marco Giaconi è meglio di un cocktail Maugham-Sterne-Hardy elaborato (con De Gaulle a fare d’arancia). Con classe impeccabile, da gentiluomo, mi disse una volta “quanti libri abbiamo bloccato, senza saperlo!”. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che figure come la sua sono dei veri libri viventi e semoventi, non tanto per il loro carico di storie ma perché Giaconi coincide col profilo di individuo che prende la follia di lato e la trasforma in genio. (Andrea Bianchi)
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Professore, le propongo una serie di domande per nulla intellettuali. Cosa Le hanno dato l’università e la Scuola Normale nella sua formazione? Voglio dire, anche per il gergo e la postura, diciamo così.
Poco o niente sul piano della carriera. La Scuola Normale è come l’Ente Nazionale per la Montagna, ovvero uno dei 500 Enti inutili. Non crea carriere, anzi. Mi ricordo che il Direttore della Scuola dei miei anni, un fesso iperbolico, salutandoci dopo la Laurea, ci disse che “un giorno un ex-normalista vi darà una mano”. Con questa mentalità, c’è da ringraziare il cielo che la SNS non sia diventata un argomento fisso del “Vernacoliere”. Se crei, per quattro anni, il mito per il quale “noi siamo i più bravi”, poi devi anche fornire una base di partenza accettabile, altrimenti i casi sono due: o non siamo i più bravi o tu, dirigenza della SNS, non conti nulla. E sei anche mitomane. Né vale la sequenza degli “allievi famosi”. Ogni università ce l’ha. Sul piano culturale, la SNS qualcosa, comunque, mi ha dato. Ma eravamo in anni speciali, dove tutti i grandi (Noam Chomsky, Giuseppe Galasso, Arnaldo Momigliano e tanti altri) venivano in SNS e seminavano. Ed era merito personale di tanti docenti della SNS. Ora, con il Nulla che vedo tra i professori attuali, temo il peggio anche in questo caso.
A cosa paragonerebbe Pisa?
Pisa è una città stranissima, che sembra diretta dal suo sottoproletariato. Una città cafonissima che non conta assolutamente niente. Con il dono, quasi esoterico, di mandare in rovina tutto ciò di rilevante che possiede. La stessa capacità di lavoro del Dahomey, la stessa intelligenza diffusa di una cittadina del Belgio. Un paragone possibile? Le città segrete, le ZATO, della vecchia URSS, piene di plutonio.
Parliamo di statisti. Vorrei cominciare da Tocqueville. Una volta lei ha scritto che Tocqueville viene prima della Reazione dell’Ottocento, ed è curioso perché i più dicono che l’Ottocento è il secolo della libertà. Mi spiega di più riguardo al pronostico espresso da Tocqueville ne La democrazia in America riguardo la democrazia dispotica?
La democrazia dispotica è uno dei pronostici di Tocqueville, insieme alla “dittatura della maggioranza”, previsione che si è materializzata perfettamente nel XX secolo e ora, nel Terzo Millennio. Oggi, ogni democrazia precostituisce i propri slogan e le proprie agende, e li fa votare bene, i sudditi, con la scusa della “crisi” o di altro, mentre la debolezza della rappresentanza attuale deriva proprio dalla percezione, da parte degli elettori, che nulla può smuovere gli apparatchik del Regime. La Democrazia Dispotica, comunque, fa sempre poco o nulla, ed è questo il suo vero tallone di Achille. Per Tocqueville, il nuovo dispotismo veniva dalla tendenza della democrazia all’appiattimento sociale, con la conseguente diminuzione del ruolo dell’individuo, il che fa sorgere un nuovo “dispotismo”. Si, è vero, ma oggi noi abbiamo individui-massa totalmente egolatrici, ma privi invece di qualsiasi carattere e senso della società. Lo stesso meccanismo di Tocqueville, quindi, ma attraverso l’egocentrismo di massa, l’esaltazione del gregge in quanto tale. E questo crea un nuovo dispotismo, ma proprio dell’untermensch.
Considerato che Tocqueville scrive tra 1835 e 1840, dopo un lungo viaggio sul continente americano, direi che è testimone credibile. Parliamo ora delle qualità di scrittore di Tocqueville. Dove dà il suo meglio? Nei diari dal deserto americano, nei ricordi del ’48? Leggo ad esempio nel suo diario stampato da Einaudi: “Perché, quando si diffonde la civiltà, diminuisce il numero degli uomini di valore? Perché, quando il sapere diventa appannaggio di tutti, i grandi talenti intellettuali diventano rari? Perché quando non vi sono più classi basse, non vi sono più nemmeno classi superiori? Perché quando la capacità di saper governare arriva alle masse, vengono a mancare le grandi intelligenze alla guida della società? L’America presenta chiaramente questi problemi, ma chi potrà risolverli?” La nota è del 6 novembre 1831. Siamo rimasti ancora lì o sbaglio?
Io amo molto i diari del viaggio in America, quello compiuto con De Beaumont. Mi sembrano tutte descrizioni lucide e letterariamente originali. Per quel che riguarda la necessaria polarizzazione sociale, non siamo rimasti lì, ma anzi la situazione è molto peggiorata. All’epoca, il medio che arrivava al potere in mancanza di meglio era, almeno, acculturato, seppure nei termini di Bouvard e Pécuchet. Oggi, arriva al potere solo l’uomo del gregge, e proprio in quanto tale. Le classi superiori sono tali in quanto rispondono alle gerarchie accettate, quindi non sono superiori.
In effetti Tocqueville, che ha festeggiato il compleanno lo scorso 29 luglio, è estremamente attuale. Forse più che per i suoi pensieri sulla democrazia, proprio per quel che ha scritto sulla centralizzazione dello Stato. Nel 2017 il partito comunista cinese ha tradotto ufficialmente i classici del pensiero politico europeo e cos’ha scelto? L’Antico Regime e la Rivoluzione di Tocqueville. Insomma, ai compagni cinesi importa la durata, l’idea che la Rivoluzione (cinese, francese) è solo il coronamento di un processo di accentramento che dura secoli. In altre parole, che la continuità vince, sul lungo periodo, sulle rotture e le infrazioni dell’ordine. La rivoluzione sarebbe allora il coronamento della tradizione.
Per la Cina comunista, il regime attuale è la realizzazione del ciclo plurimillenario in cui la Cina Eterna si rialza dal “secolo dell’umiliazione”, che termina proprio con la presa del potere da parte del PCC. È sempre bene ricordare che gli allievi ufficiali cinesi, nelle loro accademie, studiano anche la magia e l’esoterismo tradizionale. Mao era un taoista, più che un “marxista”. La Rivoluzione è il ritorno al potere di Mao, il nuovo “Shi Huang Ti” comunista, che riunificherà ancora una volta tutta la Cina. 
Proviamo ancora a tirare fuori Tocqueville dal recinto degli scienziati politici. Se lo leggiamo da cima a fondo, arriviamo a quei suoi appunti finali e inquieti sul pauperismo nell’Inghilterra imperiale. Eppure, nonostante le sue tare, l’Inghilterra con la sua stratificazione sociale in classi resiste ancora. Come mai?
Perché la stratificazione in classi britannica è il risultato di una società che non ha mai avuto scosse rivoluzionarie europee, salvo la decapitazione di Carlo I Stuart nel 1649. Poi, l’orgoglio di classe dei poveri non ha permesso né di acquisire né di imitare lo stile delle classi ricche ma, anzi, ha reso i poveri fierissimi delle loro tradizioni.
C’era un grande storico svizzero, Burckhardt, che a botta calda teneva lezione su Tocqueville. I suoi appunti sono raccolti nelle opere complete in tedesco, io ne tradussi una manciata quando ero alla Normale. Eccone uno sull’Illuminismo che credo le piacerà: “L’Illuminismo francese e poi la Rivoluzione francese si riempiono molto la bocca di ‘umanità’. Con la correlata ‘borghesia mondiale’ che rappresenta l’immagine, tutta europea, di vissuti generali ed interessi comuni e una volontà di ispessirsi; perciò non la nazionalità, bensì un più sano Stato-patria, che sia signore del sentire diffuso. Dove vi è già un potere, la nazionalità cresce per agglomerazione: principi e popolo sono d’accordo. Oppure un partito sovversivo sfrutta la richiesta di completare la nazionalità con una brusca svolta (come fanno gli irredentisti italiani). Uguaglianza e partecipazione tramite opinione personale sono diventati moneta di scambio concettuale – e come una volta, si può dare anche un’uguaglianza insieme al dispotismo”. Notevole, no?
Mille volte condivisibile. Anche oggi l’identità nazionale eccessiva è l’immagine di una “rivoluzione” che si consuma, appunto, solo in effigie. La partecipazione non è una garanzia di libertà, ma solo di costrizione della massa sugli individui.
Ancora una parola sulle degenerazioni dispotiche (dittatura del tweet!). Nel 1955 Auden osservava, da scrittore, che negli anni Quaranta, tra La Democrazia in America e L’Antico Regime, il nostro adotta uno stile alla Tucidide. Questo perché ha assistito alla Rivoluzione del ’48 in presa diretta e incomincia a vedere, da ex parlamentare, che l’organismo sociale passa attraverso un decorso di situazioni critiche, di malattia e di ripresa. Auden aveva ragione, considerato che Tocqueville aveva studiato bene le lingue antiche con un abate, da ragazzo?
Si, aveva ragione. Tocqueville legge la realtà che si trova a vivere con le categorie dei classici, da Tucidide a Senofonte. E vede i suoi tempi proprio con le ipotesi storico-metafisiche dei classici greci: la ciclicità delle categorie mentali e dei fenomeni storici, il Fato, il giusto ruolo delle grandi personalità, che però non possono andare oltre i limiti imposti, appunto, dal Fato agli avvenimenti storici.
Vede in giro qualche politico che abbia la stessa forza espressiva di Tocqueville? Oppure calma piatta? Se ricordo bene, per Lei non c’è filosofo della politica che tenga: se arriva uno statista preparato non ce n’è per nessuno. Da questo punto di vista, andrebbe recuperata la lezione di Kissinger. Ma chi lo legge più in Italia? Eppure quando ero in UK notavo che nelle università lo si studia ancora per bene: insomma, non era l’avvocatino di destra che mangia solo ciambelle. Kissinger è stato una specie di Tocqueville remastered, uno studioso del congresso di Vienna, l’artefice della Casa Bianca che chiude l’URSS nella morsa del maoismo e la sinistra europea nella stretta del gauchismo. Un uomo capace di organizzare la trattativa di Parigi per chiudere la guerra nel Vietnam, il trucco meglio riuscito di Cina e Russia dopo la seconda guerra. È ancora troppo presto per valutarlo?  
Politici alla Tocqueville oggi? Nemmeno l’ombra. Nemmeno quelli professionalmente bravi, come Putin e Xi Jinping (in occidente nemmeno l’unghia dei nostri “vecchi”) che hanno la tecnica del potere, ma non la sua necessaria metafisica. Legarsi all’economia come arte del governo non è il modo migliore di tenere il potere, mai. Forse no, è già il momento di rivalutarlo, anche se Kissinger è ancora vivo e lavora a tutt’oggi come consulente del governo cinese. Tutto quello che ha detto Lei è esatto. Ma forse manca, nella Sua breve ricostruzione, lo spessore storico del personaggio, la sua idea, tocquevilliana, appunto, che i Paesi vivono in un contesto ristretto e ciclico di idee e di simboli. Mao Zedong può credere di essere un capo marxista-leninista, ma se si gratta sotto la crosta c’è Qin Shi Huang, l’imperatore che riunifica la Cina, ferocissimo uccisore dei suoi nemici, che si appoggerà alla scuola “legista”, come in futuro le Guardie Rosse.
Mi diceva che chi va a trovare Kissinger, oggi a New York, dice che il maestro accetta sempre volentieri un invito in un ristorante italiano e si mette a parlare: si capisce lontano un miglio che sta traducendo, faticosamente, dal tedesco che ha ancora in testa. E come tutti quelli che hanno comandato davvero, parla per apologhi. Senza mai citare Nixon in vita sua. Facciamo un esercizio di scrittura apocrifa: cosa racconta Kissinger per spiegare i movimenti nel Golfo Persico?
L’Iran vuole riprendersi il Golfo Persico, che ha ormai lasciato da troppo tempo in mani altrui. Chi vuole riprendere qualcosa, è bene che non la lasci mai. Kissinger, comunque, va matto per i tagliolini alle vongole.
Vuole deliziare i lettori di Pangea affilando un aforisma per definire il libro ‘stregato’ di Scurati?
Ha seguito il principio di Leo Longanesi: il Duce rimarrà in Italia, da morto, per più tempo di quanto non ci sia rimasto da vivo.
Grazie Professore
L'articolo “La democrazia è dispotica, Kissinger va matto per i tagliolini alle vongole e il Duce, come diceva Longanesi, rimarrà in Italia, da morto, per più tempo di quanto non ci sia rimasto da vivo”: dialogo con Marco Giaconi Alonzi proviene da Pangea.
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pangeanews · 5 years
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“La natura della politica è tragica. Per capire dove va il mondo bisogna conoscere i movimenti esoterici, la Teosofia, la Massoneria, la Kabbala. E leggere Henry Corbin”
La strategia è nell’aria stasera. Indulgo al piacere dei ricordi, ripesco vecchie lettere, email rimaste a svernare, rileggo e torno indietro a quando l’analista geopolitico Marco Giaconi Alonzi, che avete imparato a conoscere su questo sito, mi scriveva i suoi epigrammi fosforescenti sui più svariati argomenti attuali. Eccovi le sue considerazioni.
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Cosa è politica. La natura stessa della politica è tragica, perché è un artificio, necessario, ma comunque un artificio, e lo godo per me e anche per gli altri, ma so che è una costruzione intellettuale necessaria ma debole, artificiosa, instabile – ovvero è, per natura, il contrario di quel che dice di essere, e forse sarebbe bene riprendere quei bellissimi studi di Miglio, poco prima di morire, sull’antropologia culturale dell’agire politico, sul nesso biofisiologico e etologico tra comportamento umano e categorie del politico.
Marx. Non era così scemo come i suoi allievi. Alcune sue visioni, più che previsioni, sono oggi esatte. Il mercato globale, la finanziarizzazione del capitalismo, il passaggio alla rendita, etc. Il problema è che oggi le categorie vere sono sparite e quelle finte vanno per la maggiore. Pensi alla evaporazione dei concetti tradizionali con l’analisi del linguaggio, ai tempi della “filosofia analitica”, portata sulle punte delle baionette della Buffalo Division. I filosofi sembravano diventati dementi da ospedalizzare, tutti si interessavano di quanti modi si può usare la parola “quando” o si ridicolizzava l’idea che si potesse usare il termine “anima” o “pensiero”. Ancora oggi il neopositivismo è insegnato ad Harvard come una cosa sacra. Marx non serve più, ma certamente non è utilizzabile il paradigma delle vecchie culture. Ricardo… glielo devo dire? Mi sembra un bischero. Pensare che il prezzo del grano sia la base della teoria del salario. Casomai era meglio prendere il prezzo del gin, della birra, degli affitti o dei salsicciotti che i british subjects continuano a mangiare, in attesa del loro cancro d’ordinanza… L’economia classica è l’insieme della mentalità british, che pensa una cosa sola per volta e con fatica, e degli interessi degli investitori nel sistema di fabbrica. Meglio Aristotele.
Strategie cinesi. Ecco alcuni argomenti, ma bisogna sempre vedere come uno ragiona. Tenga conto che la sapienza è il lampo: “Chen” è il trigramma cinese e esoterico del Tuono. Crescita e Movimento. La forma vitale che risveglia. Il suo organo è il piede. Si deve vedere tutto subito. A Roma, un collega mi ha fatto una analisi in dieci righe della questione coreana: “la Cina lo tiene perché blocca gli Usa nel Pacifico. La Russia lo sostiene perché ritarda le operazioni Nato in Polonia e Cechia”. Ecco, in quattro secondi, l’occhio clinico. Bisogna aver mangiato tanta pappa, per arrivare al Tuono, che sembra ovvio per quelli che non hanno senno. Trakl, se lo rileggo, mi annoia. Roba da sciampiste, mediata dalla Kultura. Soffro, diomio, quanto soffro, ma io preferisco, da uomo di destra, i canti anarchici. Viva Giordano Bruno e Sante Caserio.
Cosa c’è in Medio Oriente. L’Afghanistan rimane la terra delle malefatte degli hashishin incontrati da messer Marco Polo, e questi “assassini” ritornano negli alawiti, riconosciuti in extremis da Musa al-Sadr come sciiti. Mentre nelle reti sciite si aggirano mistici sufi e probabilmente maroniti che ospitano culti cristiani monofisiti.
Società di consulenza. Io sono scettico verso queste cose, mi capita spesso di leggere i lavori di McKinsey e non mi trovo affatto contento. Facce ridenti anglosassoniche, ottimismo da PIL in crescita, Pangloss spiegato da Candide. Gli ottimisti mi fanno sempre girare le palle. Comunque, uno stipendio è uno stipendio è uno stipendio.
*
Ho sfregato la lampada del genio. Le risposte questa volta si sono fatte attendere ma sono esaustive. Buona lettura. (Andrea Bianchi)
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AB Professore, le propongo un’intervista sulla strategic culture italiana. Parleremo di Estremo Oriente, Medio Oriente, mondo anglosassone e paesiello europeo, infine di esoterismo politico. Procederemo così: prima le lancio una domanda frizzante, partendo dai suoi epigrammi. Dopodiché gliene faccio un’altra sullo stesso argomento, ma in modo serio. Incomincio chiedendole dettagli su come possiamo scandalizzare gli uomini dal pensiero omologato con l’aneddoto della bandiera tibetana. Bandiera che si trova su ogni palazzo alla Richard Gere, proTibet, quando è proprio un simbolo della divisione Waffen SS tibetana che si sacrificò ritualmente a Berlino prima dell’arrivo dei sovietici.
MGA A Berlino c’erano circa 1000 tibetani, inseriti nella Divisione SS “Wiking”, che si sacrificarono ritualmente alla notizia che Hitler era stato, probabilmente, ucciso dai sovietici. I nazisti inviarono, è bene ricordarlo, ben cinque spedizioni in Tibet. L’dea della Ahnenerbe delle SS, la società che si occupava di etnologia, storia, simbolismo interna alle SS, le Schűtz Staffeln, era che gli Arii provenissero, all’origine, proprio dall’Himalaya. Centro della Terra (Agarthi, lo vedremo), Vetta della Terra, l’Himalaya, Centro del Mondo (lo Hearthland). Tout se tient, nel mito ario, di origine martinista e poi teosofica, dell’esoterismo nazista. Si ricordi, qui, che anche D’Annunzio era martinista, come gran parte dell’élite culturale europea (Baudelaire, per esempio). La Massoneria “rivoluzionaria” del Trinomio del 1789, come la conosciamo, era una sorta di copertura materialista e quasi profana della Teosofia, di cui erano praticanti, per esempio, i membri della famiglia reale britannica. O i membri della Golden Dawn, fondata da un vero satanista, Alesteir Crowley, a cui partecipò la moglie di Oscar Wilde. Senza queste dottrine non si capisce niente di Pessoa, appassionato cultore di “scienza sacra”. Un aneddoto: quando, molti anni, fa, chiesi all’amico Antonio Tabucchi se ci fossero cose massoniche nei tanti documenti di Pessoa ancora ignoti, lui mi rispose: “Ah! La Massoneria, la P2, Gelli”. Ecco la cultura politica dei nostri più famosi letterati. È noto che quelli della Golden Dawn, presenti a Cefalù per i loro riti di magia sessuale, furono buttati fuori da Mussolini, che odiava tutto quel che sa di esoterico. Certo, Crowley, ogni tanto, faceva anche qualche lavoretto per l’Intelligence Service.  Inoltre, gli studiosi della Ahnenerbe volevano scoprire il regno sotterraneo di Agharti. La terra cava, che ospita il regno sotterraneo, è un tema fisso della tradizione alchemica e esoterica europea, dai Martinisti fino alla “Società Thule” che sarà all’origine del Partito Nazional-socialista. Prima, la Thule Gesellschaft aveva finanziato largamente anche i Freikorps, avendo come ispiratore Dietrich Eckart, un “mago nero” che dirigeva una rivista fortemente antisemita intitotata “Auf Gut Deutsch”. Se volete l’antisemitismo moderno, non cercatelo nel positivismo da quattro soldi delle misurazioni craniali, ma nella magia nera otto e novecentesca. All’inizio della Glasn’ost, aprì a Mosca la sede della Teosophical Society, che aveva la sua altra sede solo a New York. Solo un caso? Non credo. Nulla è mai un caso, nemmeno il caso. C’è quindi un legame profondo tra magia nera e antisemitismo. La Kabbala ebraica è una tecnica per comprendere la parola di Dio, e per portare l’uomo alla conoscenza di una Realtà Superiore, mentre la magia nera è la tecnica per il potenziamento delle facoltà umane, senza collegarle ad un progetto non-umano a cui l’Uomo può però partecipare. È qui che avviene l’accordo con il maligno. La magia nera è allora una prassi filosofica utile per esaltare gli istinti pre-razionali e la parte materica dell’Io, che assorbe, infine, tutto lo spazio del Super-Io. Freud queste cose le sapeva benissimo, basta vedere i testi che aveva e le statuette che, forse, utilizzava magicamente, nel suo studio di Berggasse 19. La gestione di Casa Freud ha, nel sito dedicato, guarda caso, l’immagine della Loggia Madre di Vienna. Freud era membro del B’nai B’rith, struttura paramassonica per Ebrei, ma fondata da un cristiano. Tutte le ideologie del Moderno, a cominciare da quelle della Rivoluzione Francese, nascono, allora, da una tradizione esoterica, massonica o meno. Come ci ha insegnato Giorgio Galli, non vi è politica alcuna senza tradizione sapienziale, debitamente nascosta da una velatura di “modernità”, laicismo, magari anche materialismo. Si pensi alle teorie sapienziali che vennero utilizzate per la “conquista dello spazio” da parte dei sovietici e all’occultista Barcenko che è all’origine della cultura, anche professionale, della polizia segreta sovietica, senza nemmeno mettere nel conto Il Maestro e Margherita di Bulgakov. Mark Clark, il generale Usa comandante della V Armata che risaliva dalla Sicilia a Roma, da prendere assolutamente prima dello sbarco in Normandia e evitando gli inglesi, appena arrivato nella Penisola ricostruì il Grande Oriente, che era stato fatto chiudere da Mussolini. La Seconda Guerra Mondiale è anche la storia di una Massoneria “regolare”, illuminista, laicista e culturalmente “profana”, contro le Fratellanze eterodosse che nascono dopo la abolizione degli Illuminati di Baviera. E che operano da sempre tra Gran Bretagna, Germania e Francia.
AB Chiaro. Risalendo nel tempo, veniamo ad anni più recenti. Nelle sue pubblicazioni dei primi del Duemila lei ha posto l’accento su Karl Haushofer e sul suo libro giapponese, Dai Nihon. Testo elaborato da un geopolitico nazionale-socialista in Giappone. Ci spiega cosa è vivo e cosa è morto di quel testo fondativo? Va rispolverato? Bisogna farlo risorgere per decifrare la Cina e non più soltanto il Giappone?
MGA Dai Nihon, “il Grande Giappone”, è lo studio che Haushofer dedicò al Giappone dell’era Meji, quella della “grande modernizzazione” forzata. E qui c’è una similitudine non con la Cina comunista in genere, ma proprio con le “Quattro Modernizzazioni” di Deng Xiaoping. Che iniziano con la riforma agraria, il punto in cui sono caduti tutti i comunismi, e finisce con la modernizzazione delle Forze Armate. Chiaro, no? Certo, Haushofer studia, nel suo testo nipponico, i fattori della potenza di una nazione, cosa che oggi farebbe sorridere. Ma che non è affatto sbagliata, in linea di massima. La chiave della Potenza è la forza intima di una élite, che domina tutti i fattori della Potenza, appunto. Soprattutto quelli invisibili. Altro che PIL! Qui occorrono tecnici che leggano la trina del futuro. Ma la geopolitica della potenza (mi viene qui in mente Lo Yoga della Potenza di Julius Evola) è politicamente scorrettissima, anche se tutti i vincitori antichi e attuali la praticano. La mette in azione la Cina, che si prende le isole Senkaku-Diaoyu in lotta sorda contro il Giappone, l’Iran che sobilla gli sciiti in tutto il Medio Oriente per destabilizzare tutti i Paesi sunniti, come in Yemen, ma anche la Federazione Russa, che si sta prendendo tutto il Grande Medio Oriente, mentre gli americani cercano i fiorellini della Pace Perpetua. La Pace Eterna esiste solo al cimitero, e di solito quelli che credono negli Alti Ideali ci finiscono prima degli altri. Ecco, la Geopolitica della Potenza, come il suo Yoga, è tecnica del Vincitore, mentre il Perdente si fa sempre intortare dal “Teatro delle Ombre” (era questo il termine sovietico per la guerra psicologica) che lo porta inevitabilmente alla fine. La sua. La Potenza necessita, per svilupparsi, di una quota di classe dirigente non elettiva, quindi, che risponde solo a sé stessa o, meglio, ai suoi ideali. La Sapienza è sempre, all’inizio, lo sguardo freddo e impassibile sulla “realtà effettuale della cosa”, come la chiamava un frequentatore del circolo neoplatonico fiorentino degli Oricellari, Niccolò Machiavelli.
AB Rimaniamo allora sull’attualità, sull’Oriente. Mi diceva che non abbiamo buoni romanzieri occidentali che abbiano decifrato la natura vera dell’Oriente: senza dire poi della recente adelphina di Ventura su L’esoterismo islamico, un dettato scolaresco. Certo resta Chatwin che però va letto in lingua. Ma che romanzieri italiani sono mai esistiti che avessero un’apertura mentale del calibro anglosassone? Conto Soldati per l’orientamento americano, ma non basta perché lei mi diceva che Soldati capiva di esoterismo come di vino: niente. Con le sue parole: “Era un uomo bravo, e perfino onesto, almeno quanto possa essere onesto uno scrittore, che si era creato, grazie anche alla sua simpatia umana, alcune maschere: l’intenditore di vino, lo storico delle tradizioni popolari, lo scrittore ottocentesco. Nessuna era vera, ma era, le dicevamo, simpaticissimo”. Vede qualche uscita dal labirinto o la letteratura rischia di rimanere autoreferenziale e self-accomplished?
MGA Non vedo niente di profondo, per l’Oriente, scritto da italiani. L’ISMEO, Istituto di Studi per il Medio e Estremo Oriente, fondato da Giuseppe Tucci, maestro di Maraini, il Tucci che era “l’esploratore del Duce”, è ormai allo stremo. Certo, ci sono i testi, meravigliosi, di Fosco Maraini, tra Ore Giapponesi e Il Segreto Tibet, che ebbe l’onore di una presentazione, nel 1951, di Bernard Berenson. Esoterico è poi il testo di Maraini sul rito di iniziazione dell’imperatore del Giappone, L’Agape Celeste, un vecchio libro che ho nell’edizione di Scheiwiller. Maraini sapeva leggere i segnali profondi della realtà, le costanti invisibili, perché non sensibili, non certo irrazionali, della Realtà. Quando gli ufficiali giapponesi vanno, in segreto, a comprare la bandiera con i raggi rossi, quella che divenne vessillo nazionale nella Restaurazione Meji, proibita da MacArthur, dimostrano di essere ancora eredi dell’Impero. Quando Hirohito morì, tutto il popolo si volse, in tutto il Giappone, nella direzione del feretro dell’Imperatore. Ecco perché il Giappone tiene e ancora, altro che PIL! Quanto ai romanzieri italiani, comunque, non mi viene in mente niente. Ci sono ancora i vecchi libri di Lionello Lanciotti, il maestro dei sinologi italiani, oppure le cose iniziatiche orientali, ma con un occhio all’Europa Nascosta, di Pio Filippani Ronconi, vecchio milite delle SS italiane. Non dimentichiamo nemmeno Giorgio Mantici, fratello di Alfredo, la più bella testa analitica del SISDE, ai suoi tempi. Aneddoto: quando il gen. Mori era direttore del Sisde, si seppe che l’ambasciata cinese stava ristrutturandosi. Indovinate ora chi erano gli operai addetti alle costruzioni… Poi ci sono testi involontariamente comici, come quelli di Tiziano Terzani, bravissimo cronista capace di vedere comunisti ovunque, e quindi di adorarli. Letteratura come tale, niente. Non c’è, in Italia, il tipo alla Bruce Chatwin, o come il grande filosofo-sinologo Jullien; qui i letterati, o quelli che si credono tali, sono tutti lì a scrivere di sesso (fatto male, qui servirebbe casomai lo Yu Gui Hong, il vecchio romanzo erotico cinese dell’era Ming) oppure di vite di provincia, a contemplare il proprio piccolissimo Io. Poca cosa. Ventura, comunque l’ho letto, e si tratta di un testo illuminista ma non illuminato.
AB Ci spieghi meglio. Posto che Ventura, come l’abbiamo letto, non ha le carature esoteriche necessarie, rimanendo un libro illuminista e artificialmente “dotto”, potremmo sperimentare meglio la vertigine dei manuali sciiti, o cos’altro? il solito Titus Burckhardt?
MGA Certo che Titus Burkhardt è una chiave utilissima. C’è, però, nel sufi svizzero (non sembri una contraddizione in termini) un certo tono esaltativo, soprattutto in certi testi, come in Considerazioni sulla conoscenza sacra o in La sapienza dei profeti che talvolta infastidisce. Un tono da turista dell’Ignoto, insomma. Certo, anche un mago accattone di Herat, come quelli che invariabilmente trovava nel deserto l’ambasciatore Guillet, vale molto di più di un pastore svizzero, e non mi riferisco ai cani. Sembra la narrazione di un turista contento. E gli svizzeri sono inossidabili turisti, peggio degli inglesi. Ibrahim Izz-al-Din, come si chiamava dopo la conversione Burkhardt, era convinto, come Evola e Guénon, che non esistessero più centri iniziatici in Occidente, e occorresse quindi rivolgersi all’Islam e all’Oriente ario.  Errore. Non ci sono mai “buchi” nella trasmissione sapienziale, quindi certe conversioni all’Islam, anche se raffinate e colte come quelle di Burkhardt, o perfino di Guènon, sbagliano, perché non vedono il sottilissimo filo d’oro della iniziazione in Occidente. Se ci fossero dei buchi, vuol dire che la trasmissione non è sapienziale, ma profana. L’iniziazione occidentale vera e propria c’è sempre stata. Altrimenti non si sarebbe presentata nemmeno prima. Certo, la Massoneria oggi è il “grande niente” come la definì Federico di Prussia. Le altre tradizioni sembrano cessate, insieme con il famoso “illuminismo” dei miei stivali. Ma non è, non può essere così. Consigli? Leggere Henry Corbin. Un caso strano di mistico e sapiente sciita che andava al Procope con tutta la solfa degli “intellettuali” francesi dell’epoca: Sartre, Camus, Breton, e anche con tutti gli altri cantori della vera contro-iniziazione satanica novecentesca, il comunismo. Massone sui generis, Corbin rivela l’aspetto gnostico dello sciismo, che ha anche una normazione formale, che è proprio quella che viene fuori dalla rivoluzione del 1979 di Qomeini. Così come diceva Guénon che il Taoismo è l’asse mistico del Confucianesimo, e Mao Zedong era un poeta taoista e mistico, allora il “partito di Alì”, la Shi’a, ha il suo Confucio, l’Imam Qomeini. Ma con le parole non si mantengono gli Stati, come diceva Machiavelli. Altro neoplatonico, ricordiamo.
Continua
*In copertina: Aleister Crowley (1875-1947)
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