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#Paolo Ferrucci
cinquecolonnemagazine · 3 months
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Al via il Pride Park di Napoli
Ha aperto i battenti a Piazza Carlo III, la seconda edizione del Pride Park di Napoli. Anche quest’anno, nello storico palazzo monumentale si alterneranno eventi culturali, politici e artistici nel segno dell’inclusione e della condivisione. L’Albergo dei Poveri ospiterà anche, martedì 25 giugno, alle ore 10.00, alla presenza del Sindaco Gaetano Manfredi e dell’Assessore Emanuela Ferrante, la conferenza di presentazione del Napoli Pride 2024 in programma a Napoli, sabato 29 giugno. "L’adesione del Comune al Pride – ha affermato l’Assessora Ferrante – è il segnale di quanto questa Amministrazione sia sensibile al rispetto delle persone e pronta a condannare qualunque forma di discriminazione. Con i tempi che corrono, è necessario manifestare e diffondere tale messaggio con un segnale forte e colorato, affermando con determinazione l’impegno e la costanza nella difesa dei diritti" Pride Park di Napoli, seconda edizione La seconda edizione del Pride Park di Napoli, fortemente voluta dal Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, è organizzata dal comitato Napoli Pride (Antinoo Arcigay Napoli, ALFI le Maree, Associazione Trans Napoli e Pride Vesuvio) in collaborazione con il Comune di Napoli.Tra gli ospiti della prima giornata l’ex Presidente della Camera, Roberto Fico, da sempre vicino alle istanze delle persone LGBTQIA+, e ad aprire il Pride Park l’Assessora per le Pari Opportunità Emanuela Ferrante. Sabato 22 giugno, alle ore 17:30, nella sala conferenza del Pride Park, avrà luogo un talk su CENTRI ANTIDISCRIMINAZIONE E STRUTTURE D’ACCOGLIENZA PER PERSONE LGBTQIA+ a cui interverranno: SERGIO MAZZOCCA (Servizio antiviolenza e pari opportunità del Comune di Napoli), ALESSANDRO BATTAGLIA (Presidente associazione Quore e referente progetto ToHousing), GIORGIO ZINNO (Sindaco di San Giorgio a Cremano), ANTONELLO SANNINO (Casa delle Culture e dell’Accoglienza delle persone LGBTQIA+ di Napoli e Codice Rainbow Caivano), CARLO CREMONA (Casa accoglienza LGBT Questa casa non è un albergo), PAOLO RUSSO (Centro antidiscriminazione LGBT Pomigliano d’Arco). Da remoto, si collegheranno i delegati dei Centri d’accoglienza di diverse città italiane. Nella stessa giornata, alle ore 21:00, un gruppo di attrici e attori del format di successo DIGNITÀ AUTONOME DI PROSTITUZIONE, creato e diretto da LUCIANO MELCHIONNA, irromperà con la sua consueta esuberanza iconoclasta nello spazio del Pride Park. Il programma per domenica La giornata di domenica 23 giugno sarà dedicata, invece, a tematiche connesse alla scuola e alla legalità. Dalle 18:00 alle 19:00, nella sala conferenze, si svolgerà un talk su scuola, identità alias e bullismo, a seguire avrà luogo l’evento centrale della giornata, dedicato al lavoro e al drammatico fenomeno dell’usura a partire dall’opera teatrale CRAVATTARI del drammaturgo e regista FORTUNATO CALVINO, pièce che, proprio quest’anno, festeggia trent’anni di successi. Sarà l’occasione per assistere al film tratto dallo spettacolo teatrale e per approfondire l’argomento con un talk a cui parteciperanno lo stesso FORTUNATO CALVINO (drammaturgo e regista), GILDA CERULLO (Scenografa  e insegnante all'Accademia di Belle Arti di Napoli), VITTORIO CICCARELLI (Direttore generale per la Campania della Fai), ROSARIO D’ANGELO (referente regionale FAI), NINO DANIELE (Presidente del Premio Amato Lamberti , LUIGI FERRUCCI (Presidente FAI -Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiana), DIEGO GUIDA (editore), RENATO LORI (Scenografo e insegnante dell'Accademia di Belle Arti di Napoli) e alcuni attori del cast di Cravattari.  Coordinano il talk Mara Biancamano e Claudio Finelli. La due giorni di lunedì e martedì Le giornate di lunedì 24 e martedì 25 giugno, dedicate rispettivamente alla Transizione ecologica e all’immigrazione (24 giugno) e alla Costituzione (25 giugno), recepiscono il supporto organizzativo dell’Associazione Aperitivo Resistente. Lunedì 24 giugno, alle ore 19:00, dopo lo svolgimento di una conferenza internazionale organizzata dall’associazione iKen, sarà la volta del talk LA PACE PER L’AMBIENTE: CRISI CLIMATICA, GIUSTIZIA AMBIENTALE E DIRITTI a cui parteciperanno: ANNAMARIA ARNESE (Greenpeace), ANTONELLA CAPONE (Alfi Le Maree), ANNA FAVA (Italia Nostra), MARIA LIONELLI (Slow Food), ROBERTO MEZZALAMA (Ingegnere Ambientale) , GUIDO SANNINO (Rigenera) , ANTONELLO SANNINO (Antinoo Arcigay Napoli). Modera: VINCENZO CAPUANO (Aperitivo Resistente). Diritti e Costituzione Martedì 25 giugno, sempre alle 18:00, si discuterà di Costituzione con l’evento: DIRITTI E COSTITUZIONE: NON VOGLIAMO CAMBIARLA VOGLIAMO ATTUARLA, Tavola Rotonda organizzata da Aperitivo Resistente con FRANCESCO AMORETTI (ANPI), MAURIZIO DE GIOVANNI (Scrittore), EMMA FERULANO (Chi Rom E Chi No), ANDREA MORNIROLI (Dedalus), CHIARA PICCOLI (Alfi Le Maree), MASSIMO VILLONE (Coordinamento Per La Democrazia Costituzionale), NOOR SHIHADEH (Attivista). Modera e interviene per Antinoo Arcigay Napoli: Vincenzo Capuano. Martedì 25 giugno sarà la volta anche dell’evento dedicato alla GIORNATA INTERNAZIONALE DEL RIFUGIATO con la presenza di MATTIA PERADOTTO, coordinatore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La conclusione Dal 26 al 28 giugno, il calendario diventerà ancora più fitto d’eventi con OMAGGIO A ENZO MOSCATO a cui prenderanno parte ISA DANIELI, CRISTINA DONADIO, IMMA VILLA, GINO CURCIONE, EMILIO MASSA e GIUSEPPE AFFINITO (mercoledì 26 giugno alle 18:30); con la giornata dedicata al corpo e alla libertà (giovedì 27 giugno); con gli eventi politici e culturali imperdibili dell’ultimo giorno del Pride Park, dedicato a politica e diritti. Read the full article
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giancarlonicoli · 10 months
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26 nov 2023 21:00
“LA MORTE DI MOANA? HA RAGIONE LA MADRE QUANDO INDICA IN SCHICCHI IL RESPONSABILE" – DAGO SI CONFESSA CON FERRUCCI E RACCONTA DI QUANDO FECE DA GHOST WRITER DEL LIBRO IN CUI MOANA POZZI DAVA I VOTI AI SUOI AMANTI: “CRAXI RICEVETTE UN BEL 7 NONOSTANTE CI SIA STATA SOLO MASTURBAZIONE, MA CON I VOTI BASSI NON LO AVREBBE PUBBLICATO NESSUNO. UNA STORIA CON LEI? MAI, PER ME NON AVEVA UN GRAMMO DI SENSUALITÀ” - IL DOCU-FILM “ROMA SANTA E DANNATA”, LA STANZA DEI CAZZI ACCANTO ALLA CAPPELLA SISTINA, LA CAPITALE A CUI HA “SEMPRE PORTATO RISPETTO” E L’UNICA PAURA: “QUANDO VADO IN TV, HO PAURA DI DIRE CAZZATE, ESAGERARE E DELUDERE MIA MOGLIE E MIO FIGLIO…” - VIDEO
Alessandro Ferrucci per “il Fatto quotidiano”
“Mi hanno censurato!” è il grido di battaglia. Non c’è buongiorno, come va, mannaggia che vento, non c’è più la mezza stagione ad attenuare la verve di Roberto D’Agostino.
Chi è stato?
Piazzapulita.
Com’è possibile?
In un’intervista ho spiegato: “Come diceva è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine...”. A quel punto la giornalista mi ha domandato “chi?”.E lei, D’Agostino...Ho risposto: “... ‘sto cazzo”.
(Roberto D’Agostino è un mix incredibile di alto e basso, di alto e magari bassissimo. Ma il punto è un altro: è lui a decidere cos’è alto e cosa è basso o bassissimo, e con l’autorevolezza di rendere credibile il basso e ridicolo l’alto. Questo è Roberto “Dago” D’Agostino e questo è il docufilm che ha presentato all’ultima Festa del CinemaRoma, Santa e Dannata– girato insieme a Marco Giusti, regia di Daniele Ciprì –, dove in un’ora e mezza riesce a dare un filo logico a Vaticano e pornostar; politica e localini equivoci; storici protagonisti della notte capitolina e la stanza accanto alla Cappella Sistina “dove c’è la più grossa collezione di piselli”).
ROMA SANTA E DANNATA - TRAILER
Per una battuta non si fanno prigionieri.
La migliore era quella di Elsa Morante a Natalia Ginzburg, durante un appuntamento allo Spazio Cultura: “Meglio un culo gelato che un gelato nel culo”; (pausa) lì era bello il contesto, tra capoccioni molto seri come Alberto Moravia, Ruggero Guarini, Angelo Guglielmi e Corrado Augias; ridevano come scemi.
È soddisfatto del suo documentario...
Sono stanco morto, sono pronto ad annamene a letto (sono le 11 del mattino); il problema è che ho girato di notte anche perché di giorno ho Dagospia, devo lavorare, così siamo usciti dalle nove di sera in poi.
Divertito?
Sì, però il divertimento è quello teorico; cambia tutto quando entri nel lato pratico.
Ma è soddisfatto?
Poteva venire meglio; il problema è che non sono mai soddisfatto di niente: mi capita da sempre e da sempre cerco di essere onesto con me stesso; (resta in silenzio) il primo libro l’ho pubblicato nel 1985 e se lo riprendo tra le mani e leggo, poi penso: “Questo va picchiato”.
Come è nato Roma, Santa e Dannata?
Avevo visto un documentario molto bello di Martin Scorsese su Fran Lebowitz e New York; allora Alessandra Mammì, moglie di Marco Giusti, disse “l’unico che può cucinare Roma è Dago”. Ne parliamo durante una cena a casa di Paolo Sorrentino, come il rovescio de La grande bellezza e pensiamo che il film di Paolo finisce sul Tevere e proprio dal Tevere dovevamo ripartire.
Con quali paletti?
Che fosse un documentario basato su racconti di alcuni protagonisti, evitando pippe sull’Impero Romano; alla fine la cultura occidentale si basa su due libri: Le mille e una notte e il Decamerone; tutta la formazione dell’essere umano è fondata sui racconti e Roma non è mai stata una metropoli, ma un paesone dove ognuno è pronto a pettegolare. Roma è una portineria.
DISCORSO DI DAGO ALLA PRIMA DI ROMA SANTA E DANNATA, ALLA FESTA DEL CINEMA
Il portiere è un collante.
Una sorta di bollettino del palazzo e non solo del palazzo.
Qual è lo spirito di Roma?
È nella domanda iniziale: perché Dio, con tutto quello che aveva da fare, si è inventato  una Città Santa con il Diavolo accanto? Roma ha Gerusalemme e Babele, la città di Dio e quella degli uomini: Caput Mundie, come sosteneva Gioacchino Belli, chiavica der monno; (pausa) per chi non lo sapesse il Belli era un funzionario del Vaticano.
Roma non si domina.
Dai tempi di Cesare siamo sempre in attesa dell’arrivo dei Barbari, ma siamo pure tranquilli perché certi di un dato: una volta qui, si attovagliano in uno dei classici ristoranti del centro o vanno in qualche locale come il Jackie O’. E a quel punto non ci vorrà nulla per corromperli, non ci vorrà nulla a tramutarli in un’altra manica de stronzi romani.
Il celebre generone.
A Roma chi arriva e non si romanizza poco dopo è costretto a fare la valigia e tornare a casa, come è successo a Carlo De Benedetti, Gianni Agnelli o a Tronchetti Provera.
ROMA SANTA E DANNATA - PROIEZIONE A MILANO
A Berlusconi, no.
È l’unico. Nel primo governo, senza Gianni Letta, è crollato dopo pochi mesi; il secondo esecutivo, con dentro Gianni Letta e soprattutto con al fianco un’altra persona fondamentale, colui che collegava Palazzo Chigi con il potere invisibile, quello vero, composto da Corte dei Conti, Quirinale, Consulta, Servizi segreti, Ragioneria dello Stato. Ecco il secondo esecutivo è durato molto più a lungo.
Chi era questa persona?
Franco Frattini.
A Roma contano più il potere o i soldi?
Chi vuole uno sposalizio tra potere e soldi o potere e fica è destinato a finire nella pattumiera: il potere non accetta questo binomio. Berlusconi ha capito e ha metabolizzato il primo comandamento di Andreotti: il nemico non si combatte, ma si compra; perché i nemici, una volta coalizzati, poi ti fanno il culo.
I segreti sono potere?
No, il potere è una patata: quando vai nei campi e la sradichi scopri che quel tubero ha radici lunghissime; quei filamenti rappresentano la vera forza del potere. In Italia democristiani e comunisti hanno impiegato decenni per costruire i loro filamenti. Chi è arrivato dopo, da Renzi a Salvini a Conte, non aveva radici del genere. Il Pd le ha ed è questa la sua forza.
Nel documentario definisce i funerali come un momento fondamentale...
Non c’è niente di più vivo; a Roma davanti al caro estinto si riunisce quella sorta di filiera, di nomenclatura, di loggia massonica, di amici che rinsaldano il loro legame. Esattamente in quel momento si fissano appuntamenti o cene.
Il funerale di maggior impatto?
Sono tre: Giulio Andreotti, Mario D’Urso e Angelo Rizzoli. A me ha sempre colpito un aspetto: se nelle grandi città esistono due o tre circoli, a Roma ce ne sono venti. Ed è pure difficilissimo iscriversi; quando entri, sei parte di una sorta di loggia massonica dove il primo comandamento è sempre lo stesso: “È affidabile?”.
Nel documentario racconta di una collezione formidabile di peni. L’ha vista?
Negli anni 80 sono stato dei mesi appresso a Federico Zeri; un giorno mi chiama: “Vieni con me alla Cappella Sistina”. La Cappella era appena stata restaurata ed era tutta per noi e con noi c’erano anche Ernst Gombrich e Corrado Augias. Zevi la conosceva alla perfezione: era stato cinque anni chiuso in Vaticano per studiare il suo patrimonio artistico. Una volta dentro non ci indica il soffitto, Il giudizio universale, ma il pavimento. A quel punto si rivolge a Gombrich: “Sa perché la Cappella è stata edificata così lontano dal corpo delle altre chiese di San Pietro? E perché si entra da viale Vaticano?”
Risposta?
Resta in silenzio per alcuni secondi e poi con una voce grave risponde: “Perché qui c’è Satana”. Ancora zitto. E poi: “Venite con me”. Si alza, raggiunge il centro della Cappella e spiega: “Qui c’è un tombino e qui sotto c’è il Diavolo. Perché quando edificarono questo edificio, assegnato alla parte amministrativa, scoprirono il più grande tempio pagano, quello dedicato a Mitra”.
Insomma, ma questi peni?
In una stanza vicina alla Cappella sono stati piazzati i cazzi asportati nei secoli da tutte le statue, sostituiti dalle foglie di fico; parcheggiati lì, dentro a contenitori in legno con sopra tanto di targhetta.
Nel doc rivela di essere l’autore del celebre libro di Moana Pozzi dove lei dà i voti ai suoi amati celebri...
Quel libro in origine assegnava giudizi completamente diversi, come nel caso di Bettino Craxi: lui ricevette un bel 7 e nonostante ci sia stata solo masturbazione...
LA PRIMA A MILANO DI ROMA SANTA E DANNATA DI DAGO E MARCO GIUSTI
In realtà?
Con i voti bassi non lo avrebbe pubblicato nessuno, per questo li abbiamo gonfiati; (sorride) all’epoca lavoravo all’Espresso e scrivevo i primi pezzi sui locali scambisti, i locali di Schicchi, su Cicciolina in Parlamento, caso unico...
E...?
L’Italia ha anticipato di vent’anni il resto del mondo; (sorride) il primo locale per le feste del Muccassassina era della Chiesa.
Casualmente?
Quel posto era pieno di preti e poliziotti, tutti sapevano tutto, ma era come L’abbraccio del Bernini: la Chiesa accoglie e perdona chiunque .
Ha avuto una storia con Moana?
Mai e l’ho conosciuta prima della sua carriera nell’hard, quando era la fidanzata di Luciano De Crescenzo, quando ancora non si era rifatta il culo, il naso, la mascella e pure i gomiti.
Rifatta, ma bella.
Per me non aveva un grammo di sensualità; stava spesso a casa mia, per ore, era perspicace, leggeva, ma per lei il sesso era una questione meccanica; (pausa) secondo me ha ragione la madre di Moana quando indica in Schicchi il responsabile della sua morte.
In che modo?
C’è una questione di tempi: alla fine degli anni 80 lo stallone per eccellenza, John Holmes (morto nel 1988), diventa sieropositivo e ovviamente crollano le sue quotazioni nel mondo dell’hard statunitense; Schicchi che fa? Lo porta a Roma, costava poco, e lo ingaggia per dei film, pure con Moana...
Di tutto quello che ha raccontato nel documentario, cosa le manca maggiormente?
Dado Ruspoli, uomo con una vita grandiosa.
Ce la racconti.
A Roma c’erano due rockstar: una era lui, l’altra era Mario Schifano. Venivano da New York o da Londra per incontrarli, e mi riferisco a big come Mick Jagger o Keith Richards. (pausa) La Dolce Vita nasce dai rampolli dell’aristocrazia capitolina, erano gli unici nel dopoguerra ad avere dei mezzi: loro hanno portato coca, oppio, qualsiasi sostanza. Dopo di loro si è accodato il cinema. E tra di loro Dado è stato il protagonista. Con i suoi segreti, il suo potere, le sue stanze.
Roma le ha mai suscitato paura?
(Si ripete la domanda) No, ma l’ho sempre rispettata; anzi le ho portato rispetto.
Sembra una logica mafiosa.
Se dico che passiamo ore e ore attovagliati, lì siamo alle prese con il lavoro più importante: tessere rapporti; sono i “ponti” che quando arriva il momento della caduta, e arriva per tutti, trovi una rete per salvarti. Questo è fondamentale, e se ripeto il concetto di “portare rispetto”, intendo non tradire, non comportarsi da arrivista, da paraculo, da chi se ne approfitta.
Comunque non ha mai avuto paura...
(Cambia tono della voce) Solo di mia moglie e di mio figlio quando vado in televisione: ho paura di dire cazzate, di esagerare e di deluderli.
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lamilanomagazine · 2 years
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Pisa, grande successo per le sculture di Gianfranco Meggiato
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Pisa, grande successo per le sculture di Gianfranco Meggiato. Grande entusiasmo per le sculture monumentali di Gianfranco Meggiato che animano il cuore della città di Pisa. Il pubblico si confronta con le opere e si lascia provocare dal loro messaggio; un vivace dialogo tra arte antica e contemporanea che approfondisce la poetica dell’artista, induce alla riflessione e lancia un forte messaggio di pace. La notevole esposizione "Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma", voluta e ospitata dal Comune di Pisa fino al 4 dicembre, offre al pubblico un evento che vede quattordici opere di grandi dimensioni installate nel centro storico della città e una significativa personale nella suggestiva Chiesa di Santa Maria della Spina.  La Rassegna, curata da Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini, indaga la fragilità umana, fisica e spirituale oltre alla forza positiva che induce ogni uomo a vivere, resistere e crescere; questi concetti racchiusi nelle opere di Meggiato, si legano idealmente alla città e in particolare al suo simbolo più famoso la Torre di Pisa, emblema universale di resilienza che, con la sua apparente instabilità e fragilità, rappresenta una metafora della condizione umana. La mostra, promossa dal Comune di Pisa, con il patrocino della Regione Toscana, della Scuola Normale Superiore e della Scuola Superiore Sant’Anna è organizzata dall’associazione culturale C.R.A. (Centro Raccolta Arte), in collaborazione con Casa d'Arte San Lorenzo. Meggiato, da anni attento ai temi sociali come la lotta alle mafie, la cooperazione tra gli uomini e la violenza sulle donne, attraverso i suoi lavori esprime il concetto di "introscultura", invita a porre lo sguardo verso l’interiorità dell’opera, ad andare oltre le tortuose superfici esterne per trovare se stessi e la propria sfera interiore. In Piazza dei Miracoli si ammira Lo Specchio dell’Assoluto una porta verso un’altra dimensione che mette in contatto l’uomo con l’Universo, invita a una visione contemplativa e si pone in  dialogo con i contenuti simbolici dei monumenti storici che la circondano. In piazza dei Cavalieri, dove ha sede la Scuola Normale di Pisa, si incontra L’Uomo Quantico, (alto 5 metri) rappresentazione di un "uomo nuovo" in cammino verso il futuro, ogni singolo elemento è realizzato indipendentemente e assemblato all’unisono in modo da richiamare le ultime teorie della fisica quantistica; in San Paolo a Ripa d’Arno Oltre evoca un angelo bianco che avvolge una sfera e invita a seguirlo per superare la materialità. La Chiesa di Santa Maria della Spina, importante esempio di gotico pisano, ospita undici lavori di medie dimensioni, che inducono a riflettere e ad acquisire una nuova consapevolezza. Gran parte delle sculture di Meggiato possono essere ruotate dai visitatori creando un movimento di alternanza tra pieni e vuoti che l’artista descrive come "respiro delle opere". Per Gianfranco Meggiato ogni esistenza è collegata alle altre e ne ricerca l’origine nella convinzione che siamo tutti cellule dello stesso organismo: troviamo Germinazione, una catena di elementi intrecciati che crescono uniti e riportano all’origine dell’esistenza; la scultura Dio è Madre, a forma di uovo, simbolo della nascita, è composta da numerosi anelli vibranti e multiformi con all’interno tre sfere che, secondo l’artista, compongono l’essenza umana formata da razionalità, istinto e anima; Mondo Interiore, invita a non lasciarsi sopraffare dagli eventi, a trovare il coraggio di ascoltare il proprio Io e a non fermarsi alle apparenze. La mostra offre l’occasione per visitare l’affascinante Centro storico di Pisa, alla scoperta dell’arte di Gianfranco Meggiato, attraverso i QR code posizionati vicino alle opere e sui manifesti, è possibile accedere a una mappa virtuale che indica la posizione delle sculture e ne racconta il significato. L’uomo Quantico, Piazza dei Cavalieri; Sfera Quantica, chiesa di Santa Maria della Spina, Lungarno Gambacorti; Lo Specchio dell’Assoluto, Piazza dei Miracoli; Oltre, chiesa di San Paolo a Ripa d'Arno; Triade, Via S. Maria - Piazza Cavallotti; Cubo con Cubo, Piazza San Matteo antistante il museo; Il Soffio della Vita, chiostro dei Gesuati, Scuola Superiore di Sant’Anna, Piazza Martiri della Libertà; Anima Latina, Corso Italia, da P.zza Vittorio Emanuele; Doppio Totem, Corso Italia angolo Via Toselli; Taurus, Lungarno Simonelli, area pedonale di pertinenza del museo delle Navi; Sfera Sirio e Il Mio Pensiero Libero,  Piazza Terzanaia; Sfera Antares, chiesa di San Michele in Borgo, Borgo Stretto; Disco Tensione, Piazza XX Settembre. A fine mostra verrà presentato un’importante volume bilingue, italiano e inglese, edito da Editoriale Giorgio Mondadori, a cura e con testi di Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini. All’interno troveranno spazio altri contributi critici di personalità del mondo dell’arte e della cultura, oltre che una testimonianza dell’artista stesso. Gianfranco Meggiato nasce a Venezia nel 1963, frequenta l’Istituto Statale d’Arte studia scultura in pietra, bronzo, legno e ceramica. Guarda ai grandi maestri del 900 come Brancusi per la ricerca dell’essenzialità, Moore per il rapporto interno-esterno delle sue maternità e Calder per l’apertura allo spazio. Artista internazionale dal 1998 partecipa a numerose fiere e mostre personali e collettive in Italia e nel mondo - USA, Canada, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Belgio, Olanda, Francia, Austria, Svizzera, Spagna, Portogallo, Principato di Monaco, Ucraina, Russia, India, Cina, Emirati Arabi, Kuwait, Corea del Sud, Singapore, Taipei, Hong Kong, Australia -. In particolare nel 2011 e 2013 viene invitato alla Biennale di Venezia nei padiglioni nazionali, dal 2017 decide di trattare temi a carattere scientifico e sociale mediante l’esposizione di grandi installazioni in luoghi pubblici: "Il Giardino delle Muse Silenti"(Catanzaro 2017) simbolicamente posto a difesa di valori e cultura dal terrorismo. "La Spirale della Vita"(Palermo 2018) all’interno di "Manifesta 12" dedicata alle vittime innocenti della mafia; "Il Giardino di Zyz" (Matera Capitale Europea della Cultura 2019) vuole essere punto di incontro tra culture in contrasto. "L’Uomo Quantico, non c’è futuro senza memoria" (Valle dei Templi di Agrigento 2021) una grande mostra personale con lavori monumentali che unisce archeologia, filosofia e fisica dei quanti; "La Spirale della Vita" (Comune di Prato e il Museo Pecci 2022) ripropone l’installazione dedicata alle vittime della mafia. Queste installazioni gli valgono il PREMIO ICOMOS-UNESCO "per aver magistralmente coniugato l'antico e il contemporaneo in installazioni scultoree di grande potere evocativo e valenza estetica". Vive e lavora a Gran Canaria. Coordinate mostra Titolo Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma A cura di Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini Sede Chiesa di Santa Maria della Spina, Centro storico Date evento 22 ottobre - 4 dicembre 2022 Date mostra Chiesa della Spina 22 ottobre - 20 novembre 2022 Orari Mostra dal mercoledì al venerdì ore 15 -19 sabato domenica e festivi ore 10 -13; 15 - 19  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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pangeanews · 4 years
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Voglio succhiare tutto il midollo della vita. Poi mi metterò a scrivere. Il caso Stendhal e gli esordi precoci di Enrico Brizzi e Paolo Giordano
1. I dati, l’esempio. Anche se sono passati due secoli da allora, il mio personaggio è Stendhal. Nato nel 1783, scrive il primo libro, una guida turistica a Roma Napoli Firenze nel 1817 a 34 anni. Fino allora Stendhal aveva servito nell’armata di Napoleone. In seguito a 39 anni pubblica un trattato sull’amore, decisamente inservibile oggi. Venendo alle cose serie, c’è il suo primo romanzo pubblicato a 44 anni, Armance, storia di amore romantico abortito dall’impotenza. Il secondo romanzo è una bomba e lo pubblica di getto a 47 anni: è La certosa di Parma. In sintesi, Stendhal si lancia da solo. Nessuno lo sponsorizza. Il pubblico dei romanzi è praticamente solo femminile. Un uomo che scrivesse romanzi era un caso misterioso all’epoca. Anche questo spiega il relativo ritardo di Stendhal.
*
2. Le considerazioni di Stendhal sul suo ritardo sono pressoché infinite e per non annoiare il lettore lo rimando ai due malloppi Ricordi di egotismo e alla più ammiccante e artistica Vita di Henry Brulard. In sostanza Stendhal fa del suo ritardo una scusa e una pretesa a scrivere per i posteri. In effetti andò così: lo lessero a ondate generazionali mentre i suoi contemporanei gli preferivano altri.
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3. Le considerazioni di un lettore di Stendhal sul ritardo si sprecano. A voi scegliere. Vorrei fare un elogio retorico del ritardo letterario ma a rovescio, denigrando i talenti precoci che spesso sono stati un business che oggi esibito palesemente per quello che è: affare di estetica, carineria, presa sul pubblico giovane (o allupato).
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4. Elogio tramite Stendhal il ritardo creativo ma non perché sia uno di quelli che dice che il passato era meglio, solo perché anch’io ero più giovane. Ma perché la propria gioventù non può essere annoverata né tra i progressi né tra i regressi dell’umanità. Qui sta il punto…
*
Paragrafi senza numero.
Ecco il cuore del dramma di Stendhal e di un suo lettore a caso: nella sua gioventù lo riempirono di passato (culto degli autori classici ed illuministi) che in realtà erano già fuori moda passata la Rivoluzione francese, quando lui era sui banchi dell’accademia napoleonica.
Sicché mentre i  programmatori-precettori di Stendhal gli parlavano di La Fontaine, di Rousseau e di D’Holbach in realtà rimpiangevano la loro gioventù.
*
L’unica cosa che posso e so fare, come lettore di Stendhal e avvocato del ritardo, è fare con voi dei calcoli combinatori su quello che l’intensa programmazione subita ha lasciato a Stendhal:
*un vastissimo amore per la letteratura (questo era inteso, d’accordo);
*l’esercizio potente della memoria, quindi in filigrana torna tutto nella sua pagina e voi ritrovate Tacito mentre nella Certosa parla del suo rivale, lo sugar daddy Conte Mosca;
*la conoscenza ragionata di molte cose, per cui un tramonto non è mai un tramonto ma l’ora dell’avemaria, dei pronostici e delle flebili speranze;
*l’ansia per la vita.
*
A dirla in un altro modo, a Stendhal l’accademia napoleonica e l’esercito prendono tutti i suoi vent’anni dandogli in cambio un sacco di libri. Ma la cosa non è poi così terribile, dal punto di vista di uno stendhaliano, perché nel far ciò hanno fatto di Stedhal proprio lo Stendhal che conosciamo.
*
E a vederla un po’ cinicamente (o per mero calcolo statistico) non si potrebbe fare altro nella vita che leggere libri, scrivere libri, o leggere e scrivere qualcosa su altri libri. Da stendhaliani di ferro, difensori del ritardo, si dovrebbe fare una delle tre cose (non importa di cosa trattino i libri e se uno lo fa da allievo o insegnante) e, nel tempo libero, dare sfogo ai suoi bisogni, a quella che Stendhal chiama con eufemismo l’energia.
*
Ritardo a parte, direi che non ci si dovrebbe preoccupare di null’altro, che di poesia, umanità ed energia. Siamo al punto: avendo meno di trentacinque anni ed essendo i bisogni primari assolutamente impellenti (nella lunghissima postadolescenza che ci attanaglia tutti), forse è meglio che si cerchi prima di soddisfare i bisogni e poi fare poesia.
*
Anzi, poiché negli anni di cui sopra uno ha digerito moltissima letteratura di eccellente qualità, ci si può anche permettere di fare poesia proprio partendo dal soddisfacimento dei bisogni o fare letteratura per soddisfare la propria energia e tutte le combinazioni che scaturiscono dal mettere insieme i molti libri letti, i non ancora trent’anni e l’universo mondo che ci circonda.
*
Alla fine, come vedete, invece di un petalo di critica d’arte ci sta rovinando addosso una frana di macigni: per colpa dei ritardi il futuro è terribilmente incerto e per questo è il più bello di tutti i futuri, perché è tanto meno presente e possibile. La qual cosa sa di libertà, più di ogni altro costringimento.
Andrea Bianchi
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Secondo Andrea, di giovane generazione, nella vita è bene aver soddisfatto (o aver lottato per) certi bisogni primari ed esistenziali prima di fare poesia, ovvero letteratura. E non ha torto. Dunque, sapendo che i talenti precoci non sempre reggono il peso di dover mantenere le promesse, merita la massima attenzione l’arte che emerge nella maturità, preformata e scolpita. Ma nella mia gioventù, l’esordio clamoroso di un Enrico Brizzi non ancora ventenne offrì una spinta e una visione che si allargavano verso una prospettiva evidente, che aveva i suoi contorni, era leggibile e poteva ben essere ascritta a un progetto. Era il 1994 e Jack Frusciante è uscito dal gruppo fu un’esperienza travalicante, sicura nella sua innovatività, che poneva una serie di premesse allettanti. I personal computer non erano ancora in tutte le case, la Rete praticamente non esisteva, tutto manteneva una dimensione decifrabile, dunque proiettabile, secondo un’inclinazione simile a quella degli antichi che amavano incastonare le loro storie nel cielo. L’ambiente bolognese, oltretutto, dava una spinta caratteristica e alternativa; lo stesso Brizzi si concedeva piccole guasconate, come inventarsi di essere nato a Nizza e di essere studente di Fisica. Eravamo nel Novecento, e all’esplosione del suo best-seller generazionale seguirono le dinamiche che conosciamo, dove le suggestioni mantenevano un percorso di curiosità, di ricerca, di possibilità.
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Poi, una quindicina d’anni dopo, arriva l’esordio del ventiseienne Paolo Giordano – con l’esplosione di oltre un milione di copie vendute – in un’epoca in cui comincia a dominare la Rete, col trionfo dei blog e della partecipazione diffusa e iper-narrativa, ancora indenne dai social ma già pronta a una ricezione molto diversa. Qui, il mondo giovanile narrato ne La solitudine dei numeri primi è il prodotto di una borghesia agiata che intende consolidare le proprie istanze e i propri codici, soffocando ciò che può nascere dagli spiriti più sensibili. L’omologazione è fatta per stritolare, e le linee delle vie da seguire vengono fortificate come confini. Così, il nuovo fenomeno letterario viene subito catturato nelle maglie del sistema: dopo il premio Campiello Opera Prima e il premio Fiesole Narrativa Under 40, al romanzo viene assegnato subito il Premio Strega 2008, il massimo trampolino, urgente e necessario, per tutte le operazioni programmatiche che si andavano formando.
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Secondo Wikipedia, il titolo del romanzo viene scelto da Antonio Franchini di Mondadori, mentre la copertina riporta un’immagine di grande suggestione – l’autoscatto di una ventenne olandese che ritrae l’espressione di un viso quasi incompiuto – ritenuta uno dei fattori dell’enorme successo del romanzo. L’altro fattore, com’è intuibile, è l’innocente avvenenza del giovane autore, un vero dottorando in Fisica (mentre Enrico Brizzi ne millantava lo studio); ma con questo non si vuole sminuire il valore dell’opera, che qui non è in discorso.
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Proprio a quell’epoca, nell’allora sito-blog di Giulio Mozzi, l’intervento senza filtri di una scrittrice che anni dopo sarebbe stata finalista a un Premio Strega iniziava così: «Ormai per essere pubblicati bisogna passare un casting. Sei interessante? Sai parlare in pubblico? Sei un attore/attrice? Sei strano/a? Trasgredisci, porti le giarrettiere, sei sexy? Hai la faccia giusta, incuriosisci, puoi andare in tv, hai i denti a posto? Manca poco al Grande Fratello degli scrittori, in questo spaventoso vuoto pneumatico della progettualità editoriale. Da tempo non si leggono i libri ma si guardano le facce degli scrittori, li si chiama, nelle riunioni editoriali o nelle cene fra addetti, per cognome: ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Siamo figurine dei calciatori. E poiché non tutti vendiamo le cifre che agli editori fanno comodo, siamo spesso calciatori di serie B. Quello non lo voglio perché c’ha troppa storia (cioè ha segnato poco, un’intera stagione in panchina), quella la tengo come fiore all’occhiello anche se mi va sempre in fuori gioco. Ovviamente nell’editoria (italiana) non ci sono in gioco le cifre del calcio, ma hai voglia a star lì a scrivere davvero, a lavorare tutti i giorni, a non fare la velina della letteratura: hai perso. C’è una schiera di bellocci, furbastri e manovratori che ti passa avanti».
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Non c’è molto da aggiungere per inquadrare i nostri meccanismi editoriali, oggi diventati ancora più necessari e brutali. All’epoca non c’erano i social network, a trainare erano ancora la televisione e i giornali; ora, con la dittatura consolidata dei social, che scandisce la vita di una spaventosa quantità di persone, la necessità di certi meccanismi si è fatta ancor più granitica. Nel giro di alcuni anni Paolo Giordano viene cooptato nel sistema dei media e viene fatto funzionare a pieno regime, come componente “aggiornato” del gruppo dominante, che deve replicare sé stesso e ha trovato un perfetto esemplare per la successione. C’è il sospetto che l’autentica potenzialità artistica dell’uomo, il suo vero progetto individuale siano stati condizionati per farli confluire in un disegno generale: produrre narrativa per il mercato e articoli sul Corriere della Sera e sui rotocalchi, con presenze televisive insistite e coordinate, per offrire un format complessivo di appeal e credibilità. Una strategia per costruire una figura autorevole giovane e attraente, dunque attendibile, uno studioso integro che possa toccare anche argomenti sensibili legati alla scienza: come dimostra la pubblicazione del libretto di 80 pagine per Einaudi – proposto come “saggio riflessivo di scrittore” che è anche un fisico – sul fenomeno della pandemia, un instant book confezionato di corsa nelle prime due settimane di emergenza da “coronavirus”, senza che nessuno potesse averne un’esperienza vera; un’operazione dettata dalla sola urgenza di mercato, per sfruttare al massimo il bacino dei lettori finché si era in tempo, che ha portato Paolo Giordano al secondo record: oltre a essere il più giovane scrittore ad aver vinto uno Strega, è anche il più veloce ad aver prodotto un libro sulla pandemia del 2020, bruciando sul tempo chiunque altro.
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Qui si vede la potenza dell’industria editoriale che conta, quando avvista i profitti a portata di mano. A differenza di Enrico Brizzi, che ha seguito una sua strada, Paolo Giordano sembra esser stato “trombonizzato” da un pezzo di classe dirigente cultural-editoriale che prima o poi dovrà passare il testimone, e vuole forgiare le generazioni successive a propria immagine. «Le riflessioni di Giordano da una parte assomigliano a quelle di tutti, e al contempo se ne diversificano», si legge in un articolo che illustra Nel contagio, il volumetto einaudiano sponsorizzato dal Corsera. E grazie al ca**o, direbbe causticamente qualcuno, visto che ogni individuo può essere simile ma non identico. Ma qui si rischia di entrare nel sincretismo della scienza nazional-popolare, i cui interpreti è bene che vengano formati nelle sedi opportune.
Paolo Ferrucci 
*In copertina: Stefano Accorsi è Alex in “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, film del 1996 di Enza Negroni
L'articolo Voglio succhiare tutto il midollo della vita. Poi mi metterò a scrivere. Il caso Stendhal e gli esordi precoci di Enrico Brizzi e Paolo Giordano proviene da Pangea.
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paneliquido · 5 years
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La casa di Elisabetta Trenta e l’Europa che il conformismo non ama raccontare
Fra tutte le sentenze di Mao Tse Tung una ho sempre trovato ripugnante: “bastonare il cane che affoga”. Sì, è una metafora che insegna a colpire il quartier generale del nemico quando questi si trovi a essere in difficoltà (non crediate appartenga al solo feroce secolo scorso: i 99 Posse la citarono riferendosi a Berlusconi), ma è una metafora orrenda e, alla lettera, impietosa. Nel nostro bell’idioma abbiamo un modo di dire assai più generoso, anche perché legge la metafora con lo sguardo della vittima e le sue parole: quelle pronunciate quasi cinquecento anni fa da un Francesco Ferrucci inerme davanti a Maramaldo che stava per finirlo: “tu uccidi un uomo morto”.
Bene, vedo sui giornali grandi titoli e servizi sull’alloggio goduto dall’ex ministro della Difesa Trenta per pochi euro al mese, e sui maldestri tentativi di continuare pur da ex a goderne l’usufrutto facendo intestare al marito, maggiore dell’Esercito, l’assegnazione.
Bene, notizie vere e dovute. Resta qualche dubbio: la notizia ha inevitabilmente come fonte qualche militare che non amava particolarmente il ministro, ed è per così dire condita dal dettaglio del cane della Trenta portato al ministero e dogsitterato da qualche impiegato (come si è capito amo i cani ed è un dettaglio che casomai mi rende più umana un ministro del resto molto italiano nell’indossare i panni del privilegio, compreso quello nobile di tenere il cane anche sul posto di lavoro).
Ma è impossibile non domandarsi quale spregiudicatezza improvvisa abbia baciato il rospo dell’informazione italiana trasformandola in una principessa dell’inchiesta? Come molti giornalisti che hanno percorso le strade polverose di Nassiriya, conoscevo almeno per sentito dire il passaggio della Trenta al Governatorato, quale ufficiale della riserva selezionata.
Sapevo che era stata congedata senza troppi complimenti, e conoscevo persino i soprannomi che le avevano affibbiato, su cui sorvolo per eleganza. Quando venne nominata ministro me ne stupii, e archiviai la cosa come un segno dei tempi, todos Caballeros.
Ma perché quel curriculum non ci venne raccontato dall’informazione italiana? Era pur sempre un ministro in carica, e forse non bisogna svegliare il ministro che dorme, meglio aspettare che si agiti sul filo dell’affogamento. Ma non è che adesso torna utile, quella notizia vera e necessaria, per dimostrare che quello era un vecchio governo e adesso c’è un’aria nuova, e la questione Trenta è solo una piccola pietra d’inciampo per i 5 Stelle, e un retaggio dell’ancien régime? Allora vorrei segnalare al conformismo di un’informazione che è riuscita a ricordare il crollo del Muro di Berlino come se non fosse appartenuto a nessuno, non imponesse dei ripensamenti, delle riflessioni sul passato (morto il muro e scomparsi i muratori…) una questione di non poco conto: alla Farnesina c’è un inquilino, Di Maio, che evidentemente conosce poco i dossier, ed è persino poco appassionato di politica estera, preferisce temi interni.
E dunque il potere di continuità sta tutto nelle mani del Segretario Generale.
Che è un’ottima persona, che è stata la prima donna a dirigere l’Unità di Crisi e la prima responsabile della Cooperazione, ma non ha mai retto un’ambasciata. Che è stata nominata in articulo mortis da Paolo Gentiloni, ma anche protagonista di indiscrezioni che la candidavano a un ruolo di ministro in un governo tecnico o in un governo con i 5 Stelle. E allora se facessi ancora il giornalista è a Lei, non al ministro in carica, che rivolgerei la domanda: è vero che il drone italiano (un po’ troppo grosso per essere addetto alla sola sorveglianza dell’area in cui si trova l’ospedale italiano) è stato abbattuto in Libia da un missile terra aria di produzione francese? Capirlo ci aiuterebbe a capire che se Egitto e Arabia Saudita e Francia stanno con il generale Haftar, noi stiamo con Serraj, con l’ottimo Erdogan, il generoso Qatar e con la benedizione della Nazioni Unite, dall’altra parte, non solo con medici e infermieri. Questa è l’Europa che il conformismo non ama raccontare.
Tony Capuozzo
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f1 · 2 years
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Alonso a little bit surprised to beat McLarens after qualifying deficit | RaceFans Round-up
In the round-up: Fernando Alonso was pleasantly surprised by his car’s pace in the French Grand Prix after qualifying half a second off Lando Norris’s McLaren. In brief Alpine pace surprises Alonso Alonso admitted he was “a little bit surprised” to lead the midfield home at Paul Ricard after Norris’s strong showing in the upgraded McLaren. “We saw on Friday in the long runs as well we were quite okay on the sustainable lap,” he told RaceFand and other media in France on Sunday. “So we seemed that we missed a little bit of the one-lap performance here this weekend. So we need to fix that. “Obviously, Budapest is going to be crucial to have a good Saturday. It was a good surprise today, the car.” “It was a well-executed race from our side,” he added. “We were a little bit concerned at the beginning of the weekend that our pace was not great, but we ended up just behind the top three teams like in our normal position so far this year: top seven, top six, when there are retirements in front of us. Today it was Leclerc. So we benefit from that, top six, and I think a very solid race.” Ferrucci on standby to replace Newgarden Josef Newgarden has been released from hospital following his fall at Iowa on Sunday. It occured after he had been released from the infield care centre, where he had been taken following the crash which ended his race. Penske has confirmed that if Newgarden does not pass a medical evaluation by IndyCar on Thursday his place at this weekend’s race at Indianapolis Motor Speedway will be taken by Santino Ferrucci. If that happens, it will be the fourth team Ferrucci has driven for this year, joining RLL, Dreyer & Reinbold and Juncos Hollinger. Ferrucci has made 43 IndyCar starts, the first of which came at Detroit in 2018, shortly after his controversial departure from Formula 2 in which he was banned by the series and fired by his team. Advert | Become a RaceFans supporter and go ad-free Advert | Become a RaceFans supporter and go ad-free Happy birthday! Happy birthday to Unitedkingdomracing, Oscar Jean Diaz Bustamante and Paolo! On this day in motorsport 30 years ago today Nigel Mansell won the German Grand Prix despite cutting one of the Hockenheimring’s chicanes as he passed Ayrton Senna via RaceFans https://www.racefans.net
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Meet Music: tutti i vincitori dei Contest. E un bilancio dell'edizione 2022
Si è conclusa da poche ore l'edizione 2022 di Meet Music, incontro totalmente gratuito tra giovani talenti, artisti e professionisti della musica che prende vita ogni anno al Teatro Fonderia Leopolda di Follonica (GR). 
Il bilancio dell'evento organizzato da Luca Guerrieri, due intensi pomeriggi in teatro e una bella notte di musica allo storico Tartana, è senz'altro positivo. Tra le 15 del 2 luglio e le 20 circa del 3 luglio a Follonica il ritmo della musica è stato decisamente alto.
"Dopo due anni di streaming oline, finalmente, ci siamo potuti guardare negli occhi", Luca Guerrieri, l'organizzatore di Meet Music. "Ho imparato anche quest'anno molto dal Meet Music. Il mio ringraziamento va a tutti coloro che hanno dedicato tempo ed energie ad una manifestazione che è ormai arrivata alla sesta edizione".
Siccome Meet Music nasce soprattutto per dare opportunità concrete a giovani artisti e professionisti, è giusto partire dalla qualità musicale, decisamente alta, di chi ha suonato o cantato al Teatro Fonderia Leopolda.
Gli artisti che sono saliti sul palco per far ascoltare il loro sound nei diversi Contest a pubblico e giuria, hanno infatti proposto performance di ottimo livello, spesso mettendo in difficoltà la giuria. Non sempre è andato tutto liscio, ma come ha più volte detto Mauro Ferrucci, dj e produttore con tanti successi internazionali all'attivo, le incertezze non sono mai un problema. Sul palco e in console, il pubblico sente l'emozione. Non la tecnica.
Venendo ai vincitori dei diversi Contest legati a Meet Music '22, Riccardo Plan e Veive sono i dj chill out selezionati per esibirsi durante lo storico jazz festival toscano Grey Cat. Il pugliese Andrea Fiusco è stato invece selezionato tra i dj dance e si esibirà a Polignano a Mare, durante l'evento Red Bull Cliff Diving. HG Rainbow Contest, in collaborazione con la label Highersound, ha invece premiato tre artisti: Rimpianto, Kroma e Younghito si esibiranno al festival Follsonica, durante le serata a cui parteciperà Highersound. 
Tra gli interventi sul palco di sabato 2 luglio, dopo l'apertura dedicata alla comunicazione e ai falsi miti tra djing e musica dance a cura di Lorenzo Tiezzi e Riccardo Sada, Paolo Franchini e Pierangelo Mauri hanno cercato di raccontare i problemi e le grandi opportunità che offre l'editoria musicale. Tra i tanti, uno spunto interessante da tenere a mente: quando un editore o un manager chiedono soldi ad un artista, è quasi sempre una fregatura. La giornata si è chiusa con l'intervento di Franco Fraccastoro, che ha mostrato le infinite possibilità che offre il software musicale Cubase Pro 12. 
In nottata, spazio prima al live dei Graave e poi al dj set back to back che Mauro Ferrucci e Luca Guerrieri che hanno regalato al pubblico del privé del Tartana. Tra melodie potenti e ritmi a volte ipnotici e a volte solari, in molti si sono ritrovati a muoversi a tempo quasi senza accorgersi, fino alle 4 del mattino. 
Nel pomeriggio di domenica 3 luglio ecco poi agli interventi di due addetti ai lavori che la notte prima erano impegnati a far divertire la gente, ognuno con il suo ruolo. Renato Tanchis (Sony Music) ha raccontato problemi ed opportunità della discografia tra concerti e streaming. Fabrizio Perdomi (FPWS artist hub), che tra gli altri in Italia rappresenta Bob Sinclar, ha invece parlato soprattutto della passione assoluta che è necessaria per vivere di show business. Matteo Fedeli, Direttore della Divisione Musica di SIAE (e da gennaio '23 nuovo direttore generale di questa realtà) è invece partito dalla licenza SIAE per dj.  Il suo intervento ha dato vita ad interessante scambio di opinioni su mash up ed usi innovativi della musica nell'era digitale. 
Meet Music '22 si è chiuso a ritmo di musica live, alla Leopoldina: i Radio Lausberg ed I Matti delle Giuncaie hanno incontrato il pubblico e raccolto fondi  per l'Associazione Tumori Toscana in nome di Enrico Greppi in arte Erriquez, poeta e cantante della Bandabardò scomparso nel 2021.
https://www.meetmusic.it
https://www.instagram.com/meet_music_/
PHOTO HI RES MEET MUSIC 2022
https://www.dropbox.com/sh/rnabdwpm91q59ww/AABU5GEDgQBsQjfUhCoWsBGOa?dl=0
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tarditardi · 2 years
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Meet Music: tutti i vincitori dei Contest. E un bilancio dell'edizione 2022
Si è conclusa da poche ore l'edizione 2022 di Meet Music, incontro totalmente gratuito tra giovani talenti, artisti e professionisti della musica che prende vita ogni anno al Teatro Fonderia Leopolda di Follonica (GR). 
Il bilancio dell'evento organizzato da Luca Guerrieri, due intensi pomeriggi in teatro e una bella notte di musica allo storico Tartana, è senz'altro positivo. Tra le 15 del 2 luglio e le 20 circa del 3 luglio a Follonica il ritmo della musica è stato decisamente alto.
"Dopo due anni di streaming oline, finalmente, ci siamo potuti guardare negli occhi", Luca Guerrieri, l'organizzatore di Meet Music. "Ho imparato anche quest'anno molto dal Meet Music. Il mio ringraziamento va a tutti coloro che hanno dedicato tempo ed energie ad una manifestazione che è ormai arrivata alla sesta edizione".
Siccome Meet Music nasce soprattutto per dare opportunità concrete a giovani artisti e professionisti, è giusto partire dalla qualità musicale, decisamente alta, di chi ha suonato o cantato al Teatro Fonderia Leopolda.
Gli artisti che sono saliti sul palco per far ascoltare il loro sound nei diversi Contest a pubblico e giuria, hanno infatti proposto performance di ottimo livello, spesso mettendo in difficoltà la giuria. Non sempre è andato tutto liscio, ma come ha più volte detto Mauro Ferrucci, dj e produttore con tanti successi internazionali all'attivo, le incertezze non sono mai un problema. Sul palco e in console, il pubblico sente l'emozione. Non la tecnica.
Venendo ai vincitori dei diversi Contest legati a Meet Music '22, Riccardo Plan e Veive sono i dj chill out selezionati per esibirsi durante lo storico jazz festival toscano Grey Cat. Il pugliese Andrea Fiusco è stato invece selezionato tra i dj dance e si esibirà a Polignano a Mare, durante l'evento Red Bull Cliff Diving. HG Rainbow Contest, in collaborazione con la label Highersound, ha invece premiato tre artisti: Rimpianto, Kroma e Younghito si esibiranno al festival Follsonica, durante le serata a cui parteciperà Highersound. 
Tra gli interventi sul palco di sabato 2 luglio, dopo l'apertura dedicata alla comunicazione e ai falsi miti tra djing e musica dance a cura di Lorenzo Tiezzi e Riccardo Sada, Paolo Franchini e Pierangelo Mauri hanno cercato di raccontare i problemi e le grandi opportunità che offre l'editoria musicale. Tra i tanti, uno spunto interessante da tenere a mente: quando un editore o un manager chiedono soldi ad un artista, è quasi sempre una fregatura. La giornata si è chiusa con l'intervento di Franco Fraccastoro, che ha mostrato le infinite possibilità che offre il software musicale Cubase Pro 12. 
In nottata, spazio prima al live dei Graave e poi al dj set back to back che Mauro Ferrucci e Luca Guerrieri che hanno regalato al pubblico del privé del Tartana. Tra melodie potenti e ritmi a volte ipnotici e a volte solari, in molti si sono ritrovati a muoversi a tempo quasi senza accorgersi, fino alle 4 del mattino. 
Nel pomeriggio di domenica 3 luglio ecco poi agli interventi di due addetti ai lavori che la notte prima erano impegnati a far divertire la gente, ognuno con il suo ruolo. Renato Tanchis (Sony Music) ha raccontato problemi ed opportunità della discografia tra concerti e streaming. Fabrizio Perdomi (FPWS artist hub), che tra gli altri in Italia rappresenta Bob Sinclar, ha invece parlato soprattutto della passione assoluta che è necessaria per vivere di show business. Matteo Fedeli, Direttore della Divisione Musica di SIAE (e da gennaio '23 nuovo direttore generale di questa realtà) è invece partito dalla licenza SIAE per dj.  Il suo intervento ha dato vita ad interessante scambio di opinioni su mash up ed usi innovativi della musica nell'era digitale. 
Meet Music '22 si è chiuso a ritmo di musica live, alla Leopoldina: i Radio Lausberg ed I Matti delle Giuncaie hanno incontrato il pubblico e raccolto fondi  per l'Associazione Tumori Toscana in nome di Enrico Greppi in arte Erriquez, poeta e cantante della Bandabardò scomparso nel 2021.
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freedomtripitaly · 4 years
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Frontino è uno dei borghi più belli d’Italia. Il suo territorio rientra nei confini del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello. Una perla sita nel cuore delle Marche, con una ricca storia alle spalle. Un luogo che racchiude romanticismo e fascino, in grado di garantire una ricca offerta turistica, sia questa ambientale o ricettiva. A dimostrazione di ciò vi è la bandiera arancione conferita dal Routing Club Italiano. Mettere piede in questo borgo vuol dire cimentarsi in un’atmosfera d’altri tempi, circondati da scenari da fiaba. Lo sguardo non può che essere rapito dalle mura del castello di Frontino, ben ancora a uno sperone roccioso, che si staglia su una verdeggiante valle, caratterizzata dal torrente Mutino. Tutt’intorno vi sono invece colli e svariate alture, dal Carpegna al Catria, dal Nerone ai Sassi Simone e Simoncello. Un angolo di paradiso, benedetto dall’opera naturale e dal duro lavoro dei propri abitanti nei secoli. Il centro storico di Frontino Nel centro storico, soprattutto nelle giornate dal cielo chiaro, è possibile lasciarsi travolgere da una miriade di colori. Dalla vegetazione alle tonalità delle case storiche, le cui infinite tonalità incantano. L’una di fianco all’altra, per un sapore antico tutto da gustare, nella migliore tradizione architettonica medievale. Se si parla di colorazioni vive e intriganti, non si può però che far riferimento alla Torre Civica. È uno degli elementi che maggiormente caratterizzano il borgo. L’antica struttura è totalmente ricoperta di rampicanti, che ne modificano l’aspetto di stagione in stagione. Nel corso dell’anno dunque è possibile apprezzare la torre virare dal verde al rossastro, per poi passare all’oro e infine all’ambra nei periodi più freddi. La storica torre volge lo sguardo su una placida piazzetta, dov’è possibile individuare una targa. Questa riporta un evento entrato nella leggenda, risalente al 1451. Si tratta della battaglia dei coppi, che vide gli abitanti del borgo unirsi contro le truppe armate di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Queste erano state inviate per assaltare il castello, contro gli accordi di non belligeranza stipulati con il Duca urbinate. Impensabile non cimentarsi nella scoperta del Teatro Titano, situato a ridosso di Piazzale Leopardi, sotto lo sguardo attento della torre medievale. Si tratta di un teatro all’aperto, al quanto simile ai più celebri anfiteatri romani, almeno per quanto concerne la conformazione. Si tratta di una creazione d’epoca moderna, essendo stato realizzato nel 1975. Un luogo di ritrovo per la maggior parte del tempo e uno sfondo di pregio per tutte le manifestazioni cittadine. La Chiesa cittadina di Frontino è intitolata ai Santi Pietro e Paolo, che vanta al suo interno svariate tele di pregio. Tra queste spicca di certo una Madonna col Bambino, realizzata nella celebre bottega del Barocci, realizzata da uno dei suoi allievi migliori, Antonio Cimatori, meglio noto come Visaccio. Convento di Montefiorentino Al di fuori delle mura del castello di Frontino, a pochi chilometri dal borgo, sorge il Convento di Montefiorentino. Un luogo ricco d’arte e storia, fondato nella prima metà del Duecento. Si tratta di uno dei conventi francescani più antichi e grandi delle Marche. Conservato ottimamente l’arco d’ingresso, superato il quale si accede alla chiesa, caratterizzata da un’unica navata. Questa ha subito un profondo restauro nel corso del XVII secolo, che le ha donato le fattezze barocche oggi ammirate. Svariati gli elementi pronti a rapire lo sguardo dei visitatori, come ad esempio la Cappella dei Conti Oliva. Questa è stata realizzata nel 1484 da Francesco De Simone Ferrucci, seguendo linee e concetti prettamente rinascimentali. Al suo interno vi sono due inginocchiatoi originali dell’epoca e sarcofagi marmorei scolpiti da mani d’artista. La pala d’altare è invece realizzata da Giovanni Santi, padre del più celebre Raffaello, raffigurante una Madonna con Bambino, tra i Santi Giorgio, Francesco, Girolamo e Antonio Abate. Tra i luoghi da segnalare all’esterno delle mura vi è di certo il Monastero di San Girolamo, oggi in parte adattato a struttura ricettiva. A questo si affianca il Mulino di Ponte Vecchio, che merita una visita in quanto racchiude in sé il significato ultimo di Frontino. Non si tratta soltanto di un luogo di lavoro, essendo un mulino fortificato. Vanta un’alta torre di sorveglianza e un passaggio segreto che doveva collegare a Palazzo Vandini. È oggi stato tramutato in un museo, tra i più visitati dell’area. Il Museo Franco Assetto Impossibile mettere piede a Frontino, anche solo per un weekend nelle Marche, e non restarne immediatamente folgorati. È quanto accaduto al celebre artista torinese Franco Assetto, pittore e scultore che ha deciso di donare al Comune un’ingente quantità di sue opere. Ecco dunque com’è nato il Museo Franco Assetto, al cui interno vi sono svariate sale che riportano la sua produzione in ordine cronologico, al fine di comprendere l’evoluzione del suo stile. All’esterno, sotto lo sguardo di cittadini e visitatori, vi è la scultura d’acqua, realizzata da Assetto per adornare ulteriormente Piazzale Leopardi. Una fontana che incastra un po’ di modernità all’interno di un cuore architettonico antico, tipicamente medievale. Questa è dedicata all’insegnante Caterina Remis Forlani, mentre nei pressi di Montefiorentino è possibile apprezzarne una seconda, dedicata a San Francesco. https://ift.tt/2JigkJz Cosa vedere nel borgo di Frontino Frontino è uno dei borghi più belli d’Italia. Il suo territorio rientra nei confini del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello. Una perla sita nel cuore delle Marche, con una ricca storia alle spalle. Un luogo che racchiude romanticismo e fascino, in grado di garantire una ricca offerta turistica, sia questa ambientale o ricettiva. A dimostrazione di ciò vi è la bandiera arancione conferita dal Routing Club Italiano. Mettere piede in questo borgo vuol dire cimentarsi in un’atmosfera d’altri tempi, circondati da scenari da fiaba. Lo sguardo non può che essere rapito dalle mura del castello di Frontino, ben ancora a uno sperone roccioso, che si staglia su una verdeggiante valle, caratterizzata dal torrente Mutino. Tutt’intorno vi sono invece colli e svariate alture, dal Carpegna al Catria, dal Nerone ai Sassi Simone e Simoncello. Un angolo di paradiso, benedetto dall’opera naturale e dal duro lavoro dei propri abitanti nei secoli. Il centro storico di Frontino Nel centro storico, soprattutto nelle giornate dal cielo chiaro, è possibile lasciarsi travolgere da una miriade di colori. Dalla vegetazione alle tonalità delle case storiche, le cui infinite tonalità incantano. L’una di fianco all’altra, per un sapore antico tutto da gustare, nella migliore tradizione architettonica medievale. Se si parla di colorazioni vive e intriganti, non si può però che far riferimento alla Torre Civica. È uno degli elementi che maggiormente caratterizzano il borgo. L’antica struttura è totalmente ricoperta di rampicanti, che ne modificano l’aspetto di stagione in stagione. Nel corso dell’anno dunque è possibile apprezzare la torre virare dal verde al rossastro, per poi passare all’oro e infine all’ambra nei periodi più freddi. La storica torre volge lo sguardo su una placida piazzetta, dov’è possibile individuare una targa. Questa riporta un evento entrato nella leggenda, risalente al 1451. Si tratta della battaglia dei coppi, che vide gli abitanti del borgo unirsi contro le truppe armate di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Queste erano state inviate per assaltare il castello, contro gli accordi di non belligeranza stipulati con il Duca urbinate. Impensabile non cimentarsi nella scoperta del Teatro Titano, situato a ridosso di Piazzale Leopardi, sotto lo sguardo attento della torre medievale. Si tratta di un teatro all’aperto, al quanto simile ai più celebri anfiteatri romani, almeno per quanto concerne la conformazione. Si tratta di una creazione d’epoca moderna, essendo stato realizzato nel 1975. Un luogo di ritrovo per la maggior parte del tempo e uno sfondo di pregio per tutte le manifestazioni cittadine. La Chiesa cittadina di Frontino è intitolata ai Santi Pietro e Paolo, che vanta al suo interno svariate tele di pregio. Tra queste spicca di certo una Madonna col Bambino, realizzata nella celebre bottega del Barocci, realizzata da uno dei suoi allievi migliori, Antonio Cimatori, meglio noto come Visaccio. Convento di Montefiorentino Al di fuori delle mura del castello di Frontino, a pochi chilometri dal borgo, sorge il Convento di Montefiorentino. Un luogo ricco d’arte e storia, fondato nella prima metà del Duecento. Si tratta di uno dei conventi francescani più antichi e grandi delle Marche. Conservato ottimamente l’arco d’ingresso, superato il quale si accede alla chiesa, caratterizzata da un’unica navata. Questa ha subito un profondo restauro nel corso del XVII secolo, che le ha donato le fattezze barocche oggi ammirate. Svariati gli elementi pronti a rapire lo sguardo dei visitatori, come ad esempio la Cappella dei Conti Oliva. Questa è stata realizzata nel 1484 da Francesco De Simone Ferrucci, seguendo linee e concetti prettamente rinascimentali. Al suo interno vi sono due inginocchiatoi originali dell’epoca e sarcofagi marmorei scolpiti da mani d’artista. La pala d’altare è invece realizzata da Giovanni Santi, padre del più celebre Raffaello, raffigurante una Madonna con Bambino, tra i Santi Giorgio, Francesco, Girolamo e Antonio Abate. Tra i luoghi da segnalare all’esterno delle mura vi è di certo il Monastero di San Girolamo, oggi in parte adattato a struttura ricettiva. A questo si affianca il Mulino di Ponte Vecchio, che merita una visita in quanto racchiude in sé il significato ultimo di Frontino. Non si tratta soltanto di un luogo di lavoro, essendo un mulino fortificato. Vanta un’alta torre di sorveglianza e un passaggio segreto che doveva collegare a Palazzo Vandini. È oggi stato tramutato in un museo, tra i più visitati dell’area. Il Museo Franco Assetto Impossibile mettere piede a Frontino, anche solo per un weekend nelle Marche, e non restarne immediatamente folgorati. È quanto accaduto al celebre artista torinese Franco Assetto, pittore e scultore che ha deciso di donare al Comune un’ingente quantità di sue opere. Ecco dunque com’è nato il Museo Franco Assetto, al cui interno vi sono svariate sale che riportano la sua produzione in ordine cronologico, al fine di comprendere l’evoluzione del suo stile. All’esterno, sotto lo sguardo di cittadini e visitatori, vi è la scultura d’acqua, realizzata da Assetto per adornare ulteriormente Piazzale Leopardi. Una fontana che incastra un po’ di modernità all’interno di un cuore architettonico antico, tipicamente medievale. Questa è dedicata all’insegnante Caterina Remis Forlani, mentre nei pressi di Montefiorentino è possibile apprezzarne una seconda, dedicata a San Francesco. Frontino è un borgo delle Marche ricco di storia e di testimonianze di epoche antiche, dalla Torre Civica al Castello fino al Museo cittadino.
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giancarlonicoli · 5 years
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11 GEN 2020 19:04
“LA GENTE CREDE CHE SIA MORTO…” – COCHI PONZONI SI RACCONTA IN UNA BIOGRAFIA: "TRA ME E RENATO NON C' È STATA ALCUNA LITE, SIAMO SEMPRE AMICI" – LE NOTTI DEL DERBY, LA MALAVITA “ROMANTICA”, GABER, JANNACCI (“QUANDO E’ MORTO E’ COME SE AVESSI PERSO UNA GAMBA”), ALBERTO SORDI E QUELLA SCAZZOTTATA DI TEO TEOCOLI IN UN CIRCOLO DI FASCISTI - 'LA GALLINA'? ANCORA OGGI NÉ IO NÉ RENATO ABBIAMO CAPITO DEL PERCHÉ LA CANZONE È COSÌ AMATA" – VIDEO
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Alessandro Ferrucci per “il Fatto Quotidiano”
Alla classica agitazione, magari ansia da prestazione (attoriale), all' immancabile reflusso gastrico, alle scaramanzie, alle cene dove è opportuno presenziare, ai dati di ascolto o di botteghino, Cochi Ponzoni risponde stupito: "Non ho mai un incubo. Mia moglie sostiene che ogni tanto la notte scoppio a ridere; spesso anche i miei sogni sono umoristici".
Quindi riflette, prima con gli occhi, poi con la testa, e continua: "Mi sono veramente divertito".
E così la vita (l' è bela) del 78enne Cochi è come una perenne parte ragionata di un copione cesellato oltre le sue aspettative, quasi da diventare una commedia in stile hollywoodiano: l' amico d' infanzia è ancora tale (Renato Pozzetto), poi il gruppetto del bar composto dal gotha dell' intellighenzia milanese (Lucio Fontana, Dino Buzzati, Luciano Bianciardi e Piero Manzoni); alcuni "maestri" niente male (Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e Dario Fo) e alla fine "ho realizzato esattamente la carriera che desideravo".
Aggiungiamo: dopo cinquanta e passa anni di palco, televisione e cinema, il duo Cochi e Renato resta sinonimo di avanguardia della risata, di sperimentazione, di surrealismo non ancora superato, tanto da dedicargli studi, puntate sulla Rai (benedetto Techetechetè), libri, l' ultimo dei quali è La biografia intelligente (di Andrea Ciaffaroni e Sandro Paté per Sagoma editore), nel quale oltre a parlare con i due protagonisti, si dà voce agli amici e ai colleghi del periodo.
Senza ansia, è una rarità.
Sempre stato un incosciente, non ho mai subito particolarmente le difficoltà; eppure l' esordio è arrivato prestissimo: già a 14 anni mi esibivo all' oratorio con canzoni popolari, alcune anarcoidi.
E andava per locali
Quello poco dopo: a 16 anni uscivo la sera con Renato; noi due avevamo molta libertà di movimento, forse troppa, tornavamo a casa tardissimo, e solo ogni tanto ho preso qualche cazzotto da mia madre. Ma veramente ogni tanto, perché non si preoccupava, infatti è morta a 101 anni (riflette). E così ho conosciuto sia Gaber che Jannacci.
Gaber era il suo insegnante di chitarra.
Esatto, ed è stato proprio Giorgio a presentarmi Enzo: una sera entro in un locale e lo trovo avvolto dal suo pianoforte. Appena l' ho sentito cantare, me ne sono innamorato, le sue parole arrivavano da un' altra dimensione personale, culturale e morale.
Addirittura.
Enzo è stato un punto di riferimento, ci ha regalato la sua amicizia e ci ha insegnato la disciplina; e poi ci passava dei testi importanti da leggere come Mrozek, Ionesco o gli autori russi.
Scuola di vita.
All' inizio teneva anche i contatti per noi, ci aiutava nella produzione e senza mai interessarsi a un ritorno economico. Era solo per amicizia. Ed è grazie a lui se siamo riusciti a firmare per la Rca, a Roma.
Allora, una potenza.
Ricordo un appuntamento proprio a Roma, e dai discografici: Enzo porta Vengo anch' io, no tu no, e noi La gallina. Entrambi i brani li ascolta un celebre conduttore radiofonico e resta totalmente inorridito.
E …
Organizzano una riunione con tutti i dirigenti, e lì Enzo parte con un monologo di dieci minuti, un monologo completamente incomprensibile, una sorta di supercazzola in stile Amici miei, dove ogni tanto si comprendeva un vocabolo, solo uno, fino a concludere il tutto con un moto d' imperio: "Per noi va bene così". Discorso chiuso.
Aveva ragione Jannacci.
Eccome, poi si sono tramutati in due grandi successi anche se ancora oggi né io né Renato abbiamo capito del perché La gallina è così amata (cambia tono). Davvero, Enzo ci seguiva solo per amore, una volta ho sentito una telefonata paradossale, nella quale rifiutava un paio di ingaggi importanti e solo "perché devo stare con Cochi e Renato".
Anche Jannacci partecipava alle vostre prime esibizioni al bar?
Era un ambiente multicolore: c' era quello di passaggio, quello stabile, il gruppo di amici, amici improvvisati, e lì si creava inconsapevolmente e altrettanto inconsapevolmente acquisivamo i primi rudimenti di un mestiere, fino a quando ci hanno consigliato di riproporre su un palco vero le scenette che improvvisavamo tra quei tavolini.
Vi interessava la politica?
In quegli anni tutto era politica (ride). Comunque allora potevi cadere in qualunque situazione: ci ingaggiano per una serata ad Arezzo, era di lunedì, quindi giorno di pausa, e con un buon cachet. Ci ritroviamo sul palco di un circolo culturale, io e Renato iniziamo, ma neanche una risata. Gelo in sala.
Tocca a Jannacci che intona Il primo furto non si scorda mai, in cui c' è una strofa che recita "quel tacchino micidiale era un' aquila imperiale", con chiaro riferimento ironico al fascio.
E qui applausi, ad Arezzo.
Al contrario iniziano a piovere monetine e insulti sempre più pesanti, un crescendo, fino a quando Teocoli, presente in platea, si lancia in una scazzottata incredibile. Da solo. E conclusa con un bel viaggio insieme alla celere.
Addirittura.
Non avevamo capito che quello era un circolo di fascisti che si chiamava "Giovani d' Italia": eravamo finiti in una trappola.
Che trappola?
Scritturati per umiliarci.
Qualcosa di simile la racconta Jacopo Fo nel libro dedicato ai genitori.
Allora poteva accadere (cambia tono). Dario ci ha regalato momenti irripetibili e, dietro alla reale bellezza o apparente leggerezza, nascevano vere lezioni di teatro che si tramutavano in strumenti di vita.
Un esempio.
All' inizio dell' estate, io e Renato scappavamo da Milano per raggiungere Dario e Franca Rome a Cesenatico; un giorno, in spiaggia, proprio Dario si alza in piedi, si piazza sul bagnasciuga e poco dopo inizia a gridare di un naufragio all' orizzonte. Ed era convincente.
Quindi I turisti iniziano a fermarsi e in pochissimo tempo si raduna un gruppetto di persone; noi due capiamo la situazione, ci alziamo e offriamo il nostro contributo: qualcuno dei presenti ipotizzava la presenza reale di quel naufragio, una sorta si suggestione collettiva e indotta.
Così all' improvviso siamo stati protagonisti di una grande lezione di recitazione: l' attore deve far credere, credendoci. Ah, ovviamente c' era Jannacci.
Sempre insieme.
Come dicevo, eravamo un gruppo indissolubile di amici, sodali, parenti non di sangue. Quando è morto Enzo è come se avessi perso una gamba (Sorride). Un anno siamo partiti per l' India e il viaggio è durato un mese, ci sentivamo come i Beatles.
Torniamo al bar: in quel gruppo c' erano Manzoni, Fontana e Buzzati Ed era normale proseguire insieme fino a mattina, invertire la notte con il giorno e magari crollare per il sonno sui banchi di scuola. Manzoni folle.
Aveva una concezione propria del pericolo, da artista sentiva l' esigenza di affrontare in faccia i rischi; personalità come la sua hanno gonfiato il nostro coraggio con la loro filosofia di vita e relativizzato una concezione del mondo che già a Milano si stava avviando verso una mera valutazione economica.
Il "Derby".
Un successo esagerato, ma i nomi in scena allora erano importanti: su uno stesso palco salivamo io e Renato, poi Felice Andreasi, Lino Toffolo, Enzo Jannacci e Bruno Lauzi. In certe fasi avevamo tre spettacoli nella stessa serata e la fila fuori di due o trecento persone.
Come avete impiegato i primi soldi guadagnati?
Ci siamo sposati tutti e due e a distanza di una settimana: non potevamo insieme per non interrompere il lavoro.
Nel libro dichiara: "Perfino la malavita era romantica".
Di alcuni sapevamo che erano ladri o truffatori, ma possedevano uno spirito dissacrante e una forza rara; era gente del popolo, era antropologia, personalità di ringhiera, e da loro abbiamo "rubato" parte del nostro linguaggio.
Un suo difetto?
Sono pigro, se potessi non combinerei nulla: per me il massimo è restare in casa per suonare la chitarra.
Con voi la chitarra è stata spesso protagonista in tv In quel contesto non sempre ci hanno capito.
All' inizio non sempre era semplice. A volte potevamo suscitare sentimenti di fastidio, apparire come dei pazzi, ma siamo riusciti a far passare dei messaggi per allora rivoluzionari.
Tipo?
Negli sketch dedicati alla scuola, i dirigenti della Rai non avevano capito che una delle scenette era incentrata su un professore povero che cercava di farsi corrompere da un genitore facoltoso, quella del "bravo 7+". Ancora sorrido se penso agli occhi sbarrati del pubblico seduto in platea.
Quando è tornato in tv nel 1992, Paolo Rossi ha detto: "Nella vita dell' uomo ci sono tre misteri: cosa ha fatto Gesù da 12 ai 30 anni; cosa ha fatto Silvio Berlusconi dal 1960 al 1975; cosa ha fatto Cochi Ponzoni dal 1979 a oggi".
Poco prima della trasmissione gli avevo confidato un episodio del giorno precedente: ero entrato in un grande magazzino, e mi sentivo osservato. Nulla di strano, ero abituato. Però la commessa insisteva e con uno sguardo strabuzzato: "Perché mi guarda così?", le domando. E la ragazza: "Credevo fosse morto".
Conta la tv
Sì, la televisione è il parametro, e su di me in parte lo capisco: dal 1968 al 1974 come Cochi e Renato, siamo stati molto presenti, con programmi da 30 milioni di telespettatori, numeri che oggi non esistono più.
E poi?
Io e Renato abbiamo preso strade differenti, ma in amicizia, ognuno con le sue scelte, e in quel periodo avevo scoperto il teatro di prosa, avevo conosciuto Ennio Flaiano.
Mentre Pozzetto ha puntato sul cinema.
I film li hanno proposti anche a me, qualcuno l' ho accettato, ma erano gli scollacciati dell' epoca, quelli con la Fenech perennemente sotto la doccia, e mi sono subito fermato.
Prima però ha partecipato a Il Marchese del Grillo con Alberto Sordi.
Con Sordi anni prima avevo girato Il comune senso del pudore, e già allora avevo scoperto un uomo con un lato umano spiccatissimo, lontano da quella leggenda di tirchio.
Solo leggenda.
Un giorno gli ho domandato di questa storia, e lui: "Mo' te lo spiego: la mia è stata una gavetta pazzesca, ero un morto di fame. Quando sono diventato famoso hanno iniziato a rompermi le palle, tutti avevano una nonna malata da curare, e così sono stato costretto a difendermi".
Lei si è difeso?
Per me è differente, negli anni Settanta la svolta professionale mi ha portato altrove, e come ho raccontato prima, per alcuni non sono esistito più.
Non le è dispiaciuto.
E perché? È stata una scelta consapevole, e come entrambi abbiamo ripetuto all' infinito, tra me e Renato non c' è stata alcuna lite, siamo sempre amici come a pochi capita.
Lei si sente un 78enne?
(Ride a lungo) No, assolutamente, e questo è il mio problema.
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lamilanomagazine · 2 years
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YesMilano premia gli “ambasciatori” della città
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YesMilano premia gli “ambasciatori” della città. Si è svolto ieri, a Palazzo Giureconsulti, storico edificio in via Mercanti che ospita gli uffici di Milano&Partners, l'agenzia di promozione della città, l'edizione 2022 del Milano Ambassador Programme, l'evento annuale dello YesMilano Convention Bureau dal duplice obiettivo: da un lato, creare un momento di confronto tra stakeholder del territorio sul posizionamento della città come destinazione ideale per organizzare i grandi eventi fieristici, associativi e sportivi e, dall'altro, premiare i soggetti che hanno contribuito a portare a Milano grandi manifestazioni nazionali e internazionali. L'edizione 2022 del Milano Ambassador Programme rientra nel piano di promozione Turismo Milano MICE. Il progetto è realizzato da Promos Italia per la Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi in collaborazione con YesMilano Convention Bureau e il Comune di Milano. Nel corso di un pomeriggio di lavori, che ha visto i partecipanti prendere parte prima a workshop tematici, poi a una sessione plenaria dal titolo "Milano, the place to meet", è stato presentato uno studio della Graduate School ASERI, Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica, da cui emerge che Milano ha guadagnato una posizione importante rispetto al 2019 portandosi al terzo posto tra le destinazioni che anche nel 2021 sono rimaste al vertice della classifica europea per numero di eventi con almeno mille partecipanti. Attualmente, la città occupa la seconda posizione per le manifestazioni attinenti ai subject Technology, Economics e Commerce, la quarta per gli eventi riferiti al Management e la quinta per quelli dedicati a Medical Sciences e Industry.  Lo studio ha registrato un posizionamento rilevante di Milano anche come meta di eventi nell'ambito delle Scienze Umane. Il capoluogo lombardo ha infatti ospitato il 22% del totale di questi eventi rilevati nelle 11 città prese in esame dallo studio, con particolare riferimento al subject Arts (40% del totale). I premiati di quest'anno: - Professor Cesare Piazza per ELS 2023 European Laryngological Society Congress; - Professor Fabio Mosca per WCPM 2023 World Congress of Perinatal Medicine; - Professor Mario Paolo Colombo per CICON 2023 International Cancer Immunotherapy Conference; - Professor Pier Francesco Ferrucci per CICON 2023 International Cancer Immunotherapy Conference - Professor Roberto Bellucci per ESCRS 2022 European Society Of Cataract & Refractive Surgeons; - Professor Danilo Notara per EAS 2022 European Astronomical Society; - Professor Marco Teli per EUROSPINE 2022 Congress; - Professor Andrea Giustina per ECE 2022 European Society of Endocrinology; - Marco Fichera, Presidente Comitato Organizzatore Campionati Mondiali Assoluti di Scherma Milano 2023; - Angelo Binaghi, Presidente Federazione Italiana Tennis e Padel per Intesa Sanpaolo Next Gen ATP FINALS 2022.... Read the full article
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pangeanews · 4 years
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Analisi chirurgica dell’opera della Cavaliera Mazzantini, quella della “letteratura con la L maiuscola” e delle “polluzioni fuori programma”
«Guardi, io faccio letteratura con la L maiuscola», Margaret Mazzantini.
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A livello generale, sull’alta caratura artistico-letteraria di Margaret Mazzantini non c’è stata discussione. Subito vincitrice del Premio Campiello (Selezione Giuria dei Letterati) al suo esordio narrativo nel 1994, poi assegnataria del Premio Strega e del Premio Grinzane Cavour per il romanzo Non ti muovere (Mondadori 2002), ha avuto un’importante carriera come attrice, nel cinema e in teatro, e ha scritto diverse sceneggiature felicemente trasposte nel grande schermo.
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La fase più significativa della sua ascesa si può far risalire al 2003, quando viene nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Di conseguenza, come per Silvio Berlusconi si è ritenuto naturale l’appellativo di Cavaliere, qui riteniamo corretto menzionare lo stesso titolo, sia per parità di genere sia come giusto riconoscimento.
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Del romanzo Non ti muovere si è parlato molto all’epoca, come anche della sua trasposizione cinematografica. Resta interessante l’attività di sceneggiatrice della Cavaliera Mazzantini, che vede molti suoi script portati sul grande schermo: oltre a Non ti muovere, diretto e interpretato da suo marito, abbiamo Libero burro, diretto nel 1999 dal marito e interpretato da lei stessa insieme al marito; poi La bellezza del somaro, diretto e interpretato dal marito; poi Venuto al mondo, tratto da un suo romanzo e trasposto in film da suo marito, che vi ha recitato una parte; Poi Nessuno si salva da solo, anch’esso tratto da un suo romanzo e portato al cinema da suo marito; infine, Fortunata, un film diretto dal marito, premiato con un David di Donatello.
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Molti hanno parlato di “impresa familiare”, in cui la moglie scrive raccogliendo appoggi e premi, e il marito provvede a fare i film raccogliendo appoggi, finanziamenti e premi. Ma su questo punto dissentiamo: non si tratta d’impresa familiare, bensì di impresa familistica, perché mentre l’impresa familiare funziona per produrre con risorse e strumenti propri, in un contesto dato e accessibile, l’impresa familistica funziona sostanzialmente per raccogliere privilegi in un contesto chiuso e condizionato.
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Ma la celebrità più significativa della Cavaliera Mazzantini resta quella letteraria, di cui ci vogliamo occupare. Pare che il suo consolidamento sia seguito alla famosa affermazione che fece davanti alle telecamere, quando al microfono di un giornalista mise subito in chiaro: «No, guardi, io faccio letteratura con la L maiuscola». Una dichiarazione tanto chiara e perentoria che non fece nemmeno sensazione, ma suonò come un dato programmatico acquisito e insindacabile: un modo per stabilire a priori il primato di fronte a qualsiasi realtà alternativa, che evidentemente venne preso sul serio da molti. Ma qui intendiamo valutare le cose senza preconcetti o intenti programmatici.
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Nel romanzo Nessuno si salva da solo (Mondadori 2011) si descrive la pesante crisi di una giovane coppia contemporanea, narrata nell’arco di una serata trascorsa al ristorante per riallacciare i discorsi rimasti in sospeso e analizzare le cause della separazione. Lì l’autrice ripropone – prevedibilmente – gli stilemi dei romanzi precedenti, che tanto successo avevano avuto, calcando però la mano sulla crudezza del linguaggio e sulla velocità e brutalità espressiva, nell’evidente tentativo di dare spinta all’effetto sul lettore.
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«Durante i primi baci con la lingua gli aveva fatto sentire i denti consumati dall’acidità del vomito».
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L’incompatibilità maturata fra i due personaggi, che è al centro dell’impianto narrativo, viene dispiegata e descritta con espressioni forti, a tratti volutamente scabrose, in una sorta di “esibizione dello sgradevole”, che vorrebbe puntare a un estetismo letterario originale: «lo esaltavano le deformità, le macroscopie, le gravidanze plurigemellari dove i feti sembravano formiche nei buchi». Ma questa corsa alla mimesi del narrato, al realismo spinto, alla ricerca della verosimiglianza a tutti i costi porta a eccessi che, alla resa dei conti, rivelano una debolezza di fondo che si fa sentire: «diarrea da diluire in sei puntate»; «anche le lingue erano piene di rabbia, due spade medievali. Come si fa a fare l’amore con il ferro? Ci vorrebbe il cazzo di Iron Man».
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Dunque, la letteratura con la L maiuscola. Che qui, purtroppo, si riduce a una rozza ricerca di originalità e finisce per produrre l’effetto opposto. Sembra di rivedere le prodezze della cosiddetta letteratura “cannibale” che fu brevemente in voga vent’anni fa; ma neanche questo paragone può reggere, perché l’esperienza pulp di allora era comunque permeata da un distanziamento ironico, qualcosa che invece in Mazzantini è assente. Qui l’autrice s’impegna credendo davvero nella drammaticità di queste performance, rendendole pesanti, come se stando chiusa nella sua camera creativa non si rendesse conto di scivolare nel grottesco: «polluzioni fuori programma per sogni bagnati»; «Ore di baci. (…) Vermi caldi, incollati di torpore, che si lasciano cadere, scivolare. Lui s’infilava in quella bocca e ci cadeva, muoveva la lingua come una pala nella polenta». Come una pala nella polenta. Sembra quasi di leggere passi del noto montanaro che scrive libri e va sproloquiando nella tv di Stato, il cui cognome – in questi tempi di pandemia – si fatica a pronunciare perché infausto.
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In sostanza, abbiamo una storia d’amore che viene analizzata nel suo naufragio attraverso una scrittura che vuol essere “corporale” a tutti i costi, con un’ansia di realismo “impattante” che, purtroppo, non riesce a trovare una naturalezza espressiva. Che è fondamentale per fare letteratura. In più, a differenza delle prove narrative precedenti, qui la psicologia della coppia non riesce ad assumere spessore, ma si appiattisce nella volgarità di due persone che si ripiegano sull’ombelico dei loro bisogni e dei loro fallimenti, apparentemente ciechi verso tutto ciò che è stato il loro terreno di coltura.
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L’altro titolo apparso lo stesso anno, Mare al mattino (Einaudi 2011), non è migliore. Lì si offrono due storie a confronto, che provengono da due mondi diversi, uno al di qua e l’altro al di là del mare, con il dramma dell’immigrazione clandestina a fare da nerbo all’impianto drammatico. Il libro, molto breve, risulta un insieme di pennellate sparse, più che un quadro compiuto. La sensazione è che l’autrice si senta ormai un’artista affermata che non necessita più di dare organicità all’opera, essendo sufficienti i suoi pochi gesti – non necessariamente coordinati – per creare una legittimazione creativa riconoscibile e riconosciuta.
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«La gente privata di se stessa perde i confini, messa al muro può confessare un omicidio che non ha commesso».
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Ogni pennellata, qui, sembra intendersi come gesto artistico in sé, al di là della plausibilità letteraria, che si dà per assodata (si veda la nota dichiarazione programmatica). In questo, sembra che Mazzantini tenda a scimmiottare – forse inconsapevolmente – alcuni criteri espressivi di Erri De Luca, del cui minimalismo spinto d’impronta ideologica ci siamo già occupati. Il problema è che qui l’effetto ricercato nelle parole – frasi brevi, stile asciutto e sorvegliato – prevale sulla sostanza della storia, quasi dissolvendola. La brevità, esercitata programmaticamente, non dà modo di costruire e compiere un percorso, e somiglia più a un esercizio stilistico-estetico fine a sé. La storia narrata, pur struggente nella concezione, rimane frammentata e poco approfondita, con i personaggi che restano nell’aura del diafano.
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«Gli anni passarono in quella lotta vana. Perché vane diventano le parole ripetute troppe volte. I pensieri sono un gas cattivo».
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L’argomento della mamma e del bambino fuggiti dalla Libia su una carretta del mare sembra scelto per essere struggente e per colpire; ma ciò che essi provano durante il viaggio viene narrato per sprazzi visionari, che appaiono mere proiezioni dell’autrice. Cosa più che legittima, trattandosi di un’operazione somigliante a un esperimento artistico, che è fatto – appunto – di pennellate. E non sfugge che il tema “terzomondista” appare consono alla collana Einaudi Stile Libero, in cui il libro è stato ospitato. Ma tutto questo non è sufficiente.
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Quanto all’ultimo romanzo della Cavaliera Mazzantini, Splendore (Mondadori 2013), così è stato definito in una vetrina promozionale: «un libro che fa male, come un taglio in bocca, un’afta che non si riesce a fare a meno di stuzzicare con i denti». «Un romanzo che è un grande, trionfale, omaggio all’amore omosessuale. Una superba prova di scrittura da parte di un’autrice che ha saputo cogliere le sfumature di un sentimento ibrido, violentemente maschile eppure intensamente femmineo». «La scrittura forbita di Margaret Mazzantini, ricca di iperboli e grandi volute, si asciuga e si affina in questo suo ultimo romanzo, diventa liscia, cristallina eppure rovente come piombo fuso».
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Bastano le ultime note – scrittura forbita, iperboli, grandi volute, cristallina, piombo fuso – per arguire che i carri della promozione avevano ben armato i loro cannoni. E le ambizioni restavano alte, a cominciare dalla trama: uno dei due protagonisti, figlio del portiere dello stabile in cui l’altro protagonista abita al quarto piano, vive nel tanfo di cavolo e di fumo, ovviamente al piano terra. Già si vede un’apertura immediata al luogo comune della condizione sociale modesta rapportata a quella medio-alto-borghese; e a questo luogo comune si aggiungono quelli successivi, imperniati sulla condizione dell’omosessualità sofferta e celata. Una complessa storia d’amore che si dipana «lungo quarant’anni e mezza Europa», con i protagonisti che sono innamorati riluttanti da ragazzi e diventano amanti clandestini per tutta la vita, fra mille traversie, allontanamenti e riavvicinamenti.
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Anche qui la scrittura vuol essere colta e forbita, fatta di ricerca estetica, ma risulta – quasi inevitabilmente – fredda e slegata dalla consistenza della storia. E anche qui, per dare robustezza all’operazione, si esercita una crudezza espressiva che a tratti sconfina nella volgarità: non in considerazione di una “convenienza” stilistica, ovviamente (all’arte non si comanda), ma per l’insufficienza della resa estetico-espressiva messa in rapporto con l’autenticità e l’urgenza di ciò che si narra. Quando l’autenticità e l’urgenza sono carenti, la resa espressiva non può essere all’altezza, soprattutto se condizionata da intenzioni artistico-estetiche che preesistono e non s’incardinano nelle istanze di base. Qui, l’unica “urgenza” che si lascia intravedere è quella di confezionare un nuovo prodotto narrativo da inserire nel segmento “letteratura”, per non lasciar trascorrere troppo tempo fra una pubblicazione e l’altra e non rischiare di veder appannare l’appeal e la trazione commerciale di cui era capace l’autrice. In altre parole, il racconto appare calato dall’alto, anziché scaturire da queste istanze, cioè da un ribollire artistico che viene dal basso. Così, il libro parte con buone intenzioni ma si arena in questi condizionamenti artificiosi, richiamando il già visto, al punto che a molti sono tornati in mente, nel dipanarsi della storia, i due cowboy omosessuali del famoso film I segreti di Brokeback Mountain.
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Concludendo, la produzione narrativa di Margaret Mazzantini risulta ferma a sette anni fa; ciò può far supporre che l’auto-attribuzione della letteratura con la L maiuscola abbia dato appagamento sufficiente per potersi mettere a riposo. Anche perché mantenere alto il livello artistico è spesso difficile e, a quanto dicono, sono soprattutto i geni a poterselo permettere.
Paolo Ferrucci
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niconote · 7 years
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GRAZIEGRAZIE • THANKYOUTHANKYOU•DANKEDANKE•MERCIMERCI!! Thanks to all my raisers and supporters!
GRAZIEGRAZIE • THANKYOUTHANKYOU•DANKEDANKE•MERCIMERCI!! Thanks to all my raisers and supporters!
Thanks to Riccardo Rossi, Loris Riccardi, Maurizio Marotta, David Love Calò, Fulvio Mennella, Veronica Azzinari, Catia Carla Chiti, Annamaria Carrieri, Lele Torsani, Maria Angela Perna, Pier Pierucci, Andrea Bianchi, Valentina Grilli, Federica Zacchi, Marco Magalotti, Roberta Gelpi, Charlotte Rohrhofer, Susanna La Polla, Francesco Cavalli,Edda Valentini, Paolo Bonfiglioli, Paola Proietti, Pino De Salvo, Massimo Conti, Debora Achille, Lina Prosa, Gioia Costa, Cristina Brolli, Kati Gerola, Rachel Leurini, Noretta Forlani, Giampaolo Proni, Marco Celeri, Simona Faraone, Lucia Biondelli, Rossana Ardini, Leonardo Militi, Matteo Leoni, Leonardo Fabbri, Marina Meccanica, Martina Ciavatta, Eleonora Gnot, Francesco Vincenti, Andrea Felli, Daniela Muratori, Maude Dreano, Silvano Voltolina, Agnese Marchetti, Leonardo Montecchi, Arnaldo e Mary Ciavatta, Marcella e Stefano Cicchetti, Sabrina Zanetti, Giovanni Casadei, Marco Bertozzi, Davide Montecchi,Alberto Giardini, Stefano Ferroni, Luca Simonetti, Giorgia Simonetti, Michele Orvieti, Andreas Biolinsky, Sabine Rohrhofer, Laura Gemini, Massimiliano Gardini, Andrea Compagnucci, Silvia Calderoni, Simona Diacci Trinity, Stefania Monaco, Gerald Kurdian, Daniela Nicolò,Barbara Magalotti, Roberto Baroncini, Damir Ivic, Dino Ponti, Andrea Parma, Edoardo Sanchi, Daniela Leardini, Zamira Di Carlo, Edoardo Sanchi, Clelia Tonini, Sabrina e Franco Rocchi Naddei, Giorgia e Luca Simonetti, Stefano Bernabei, Cesarina Monti, Alfredo Ferrucci, Maurizio e Viviana, Claudio Bacchelli, Gabriella Fabbri, Gabriella Pallotta, Red e Vilma, Francesca Sancisi, Demetrio Chiappa, Ciro Colonna, Giovanna Montaini, Leonardo Monti, Roberta Baldaro, Bertrand Cauchois, Carlo Mojardo, Giuseppe Vaglienti, Morgann Cantin, Piero Savio, Gianni Jasimone, Mikael Plunian and to everybody supports me in releasing this project.
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tmnotizie · 5 years
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ASCOLI – I progetti portati avanti ormai da anni da Unione Sportiva Acli Marche ed Associazione Hozho sono stati al centro di un incontro al quale ha partecipato anche responsabile nazionale del settore sport e salute dell’U.S. Acli Massimo De Girolamo.
Da diversi anni, infatti, le due associazioni portato avanti iniziative di vario genere presso la Casa Albergo Ferrucci con una buona partecipazione di cittadini.L’Unione Sportiva Acli Marche è un ente di promozione sportiva riconosciuto dal Coni, è associazione di promozione sociale riconosciuta dalla Regione Marche ed è iscritta all’albo della Regione Marche delle associazioni che si occupano di tutela della salute dei cittadini.
L’Associazione Hozho, da decenni, si occupano di prevenzione e di azioni concrete riguardo alla patologia del tumore al seno. Da questa collaborazione, che il dottor De Girolamo ha particolarmente apprezzato, nel corso degli anni sono scaturite varie iniziative.
Attualmente, ad esempio, presso la sala polivalente della Casa albergo Ferrucci in via Tucci, si svolgono ogni martedì dalle ore 16,30 alle ore 18,30 corsi e le partite libere di burraco. L’iniziativa viene realizzata nell’ambito del progetto “La ginnastica della memoria” dall’U.S. Acli Marche col sostegno di Banca Intesa San Paolo e con il patrocinio dell’amministrazione comunale di Ascoli Piceno.
Il progetto “La ginnastica della memoria” è finalizzato a promuovere un invecchiamento il più sano ed attivo possibile, preservando le capacità mnemoriche attraverso una serie di giochi ed attività di carattere socializzante che aiutano a non perdere mai di vista l’importanza delle relazioni sociali nel mantenimento del benessere della popolazione anziana.
Oltre a corsi e partite libere di burraco il martedì dalle 18,45 alle 19,45 si svolge un corso di respiro consapevole, mentre il giovedì sono previsti due appuntamenti. Dalle 17 alle 18,30 si svolge un corso di pittura mentre a seguire “Equilibrio e movimento per la salute”, un corso di ginnastica a corpo libero.
Informazioni al numero 3295439141, sul sito www.usaclimarche.com oppure sulla pagina facebook Unione Sportiva Acli Marche.
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tarditardi · 2 years
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Meet Music: tutto a Follonica è pronto per l'edizione 2022, il 2 e 3 luglio
Meet Music è ormai alle porte. L'incontro musicale totalmente gratuito tra giovani talenti e professionisti che prende vita ogni anno a Follonica (Grosseto) prende infatti vita il pomeriggio del 2 e 3 di luglio 2022, come sempre al Teatro Fonderia Leopolda.
Finalmente Meet Music torna ad essere "live", ovvero un incontro tra persone in carne, ossa ed idee, dopo ben due anni di eventi streaming. Tutto questo è possibile grazie al continuo supporto di MINI Italia e del Comune di Follonica e ovviamente all'energia di Luca Guerrieri. 
«Ringrazio Luca Guerrieri per il lavoro che svolge – dice il sindaco Andrea Benini – Dopo due anni di limitazioni quest'anno, finalmente, il Meet Music torna in presenza e dal vivo. Oggi più che mai il mondo dello spettacolo deve essere sostenuto. Le tante eccellenze nazionali che saranno presenti e l'altissima qualità dell'offerta dell'evento dimostrano come Follonica continui a puntare molto sugli artisti, grazie a un costante lavoro culturale».
Le novità quest'anno, per il Meet Music, sono tante: ad esempio i vincitori dei 4 contest legati alla manifestazione quest'anno, non sono definiti solo dal parere alla giuria di professionisti dell'industria musicale. Il voto di chiunque presente in sala al Teatro Fonderia Leopolda è altrettanto fondamentale.
I contest in realtà sono 3, ma uno è doppio: oltre a quello in collaborazione con Red Bull, che cerca un/una dj dance e il contest hip hop / trap in collaborazione con la label Highersound, raddoppia quello legato al Grey Cat. 
Lo storico festival jazz toscano quest'anno grazie al Meet Music non sceglie solo uno ma due dj, per due diverse esibizioni durante il festival. "E' stata una scelta artistica. Ci siamo accorti, mentre ascoltavamo la musica che ci hanno inviato i dj, che la qualità in ambito chill out era davvero alta ed era giusto dare spazio al talento" spiega Luca Guerrieri.
Non è tutto. La notte tra sabato 2 e domenica 2 luglio va in scena un party tutto da ballare  al Tartana, storica discoteca di Marina di Scarlino (GR). Dopo un live dei Graave, storico gruppo rock toscano, ecco in console Mauro Ferrucci e Luca Guerrieri, due dj molto esperti, per inedito dj set 'back to back' , ovvero un disco a testa.
La giuria di Meet Music 2022, presieduta da Luca Guerrieri, come sempre è formata da professionisti del settore musicale. Quest'anno ecco Mauro Ferrucci (dj producer), Pierangelo Mauri (editore musicale), Riccardo Sada (Giornalista, autore e comunicatore), Ylenia Laconi (Area 94 Records, SWM Publishing),  Marco Roncetti (editore e discografico, Claps Records) e Lorenzo Tiezzi (ufficio stampa musicale e blogger).
SITO UFFICIALE: https://www.meetmusic.it //  
MEDIA INFO + PHOTO HI RES  https://lorenzotiezzi.it/meet-music-follonica-gr/
IL PROGRAMMA DI MEET MUSIC 2022 @ TEATRO FONDERIA LEOPOLDA 
Meet Music 2022 inizia il 2 luglio alle 15. Dopo una breve introduzione di Luca Guerrieri, spazio alla comunicazione musicale ed alla sostanza di ciò che davvero conta per far crescere la propria carriera di artista e dj. Prima parlerà Lorenzo Tiezzi, dal 1996 attivo come ufficio stampa musicale: regalerà ai partecipanti due suoi ebook, cercando di raccontare ed arginare la smania social di questo periodo. Spazio poi all'intervento di Riccardo Sada. Attivo da trent'anni, terrà un intervento di "debuking" intitolato '101 miti da sfatare sulla musica dance'.
 Alle 16:30 circa, finalmente, inizia il primo dei contest, quello con un cui Red Bull cerca un/una dj dance. Ognuno dei tre partecipanti avrà 12 minuti di tempo per colpire la giuria con il suo sound e la sua tecnica.
 Alle 17:20 spazio all'editoria musicale: un professionista dall'infinita esperienza come Pierangelo Mauri, e Paolo Franchini presidente FEM (Federazione Editori Musicali) saranno a disposizione per trattare una materia davvero ostica, spesso anche per gli stessi addetti ai lavori.
 Alle 18 e 10, ecco il secondo contest, in collaborazione con la label Highersound. Ognuno dei 5 cantanti Trap / Hip Hop pre - selezionati dalla giuria avrà a disposizione palco e microfono per la propria performance. Gli artisti si esibiranno sullo stesso beat creato per l'occasione da Highersound.
 Poco dopo le 19, ecco l'ultimo intervento della prima giornata di Meet Music 2022: è dedicato a Cubase, uno dei software più usati per produrre musica elettronica. Alle 18:20, Franco Fraccastoro, Product Specialist e Education Development di Steinberg Media Technologies, svelerà segreti e novità per quel che riguarda questo software.
 Alle 20 la giornata si chiude con la proclamazione dei vincitori dei primi due contest, quello legato a Red Bull e quello legato ad Highersound.
 Anche domenica 3 luglio Meet Music inizia alle 15, sempre al Teatro Fonderia Leopolda di Follonica (GR), ma si conclude un po' prima, alle 19 circa. Il primo intervento è quello di Renato Tanchis, A&R di Sony Music. Sarà a disposizione dei partecipanti per capire come lavora una major discografica e come seleziona i suoi artisti.
 Alle 15:50 circa, ecco la prima parte del contest in collaborazione con lo storico Grey Cat Festival, che ha riservato ben uno slot a testa per due dj. Si esibiscono i primi tre dj chill out, ognuno per 12 minuti. 
Alle 16:40 invece spazio a SIAE, la Società Italiana Autori ed Editori. Gli artisti, giovani e non, hanno tante domande su diritto d'autore e dintorni. Matteo Fedeli direttore della sezione Musica di SIAE, insieme a Pierangelo Mauri, coinvolgeranno i presenti cercando di chiarire ogni dubbio. 
 Alle 17:30 ecco la seconda parte del contest, con l'esibizione di altri 3 chill out. 
Alle 18:20 ecco l'intervento di Fabrizio Perdomi,  l'ultimo di Meet Music '22. Con la sua FPWS si occupa da anni di booking e management e tra gli altri lavora spesso con un top dj come Bob Sinclar. 
 Intorno alle 19 vengono proclamati i vincitori del doppio contest legato al Grey Cat e Meet Music 2022 si conclude, dando ovviamente appuntamento al 2023.
C'è poi un piacevole evento di chiusura: alla vicina Leopoldina si esibiscono in un doppio showcase i Radio Lausberg e I Matti delle Giuncaie, band da sempre sospese tra folk e rock. Entrambe le band saranno anche protagoniste di un firmacopie benefico. E' una una raccolta fondi per l'Associazione Tumori Toscana in nome di Enrico Greppi in arte Erriquez, poeta e cantante della Bandabardò scomparso nel 2021.
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italianaradio · 5 years
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Maledetto Modigliani, al cinema il 30 e 31 marzo e l’1 aprile
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/maledetto-modigliani-al-cinema-il-30-e-31-marzo-e-l1-aprile/
Maledetto Modigliani, al cinema il 30 e 31 marzo e l’1 aprile
Maledetto Modigliani, al cinema il 30 e 31 marzo e l’1 aprile
Maledetto Modigliani, al cinema il 30 e 31 marzo e l’1 aprile
In occasione delle celebrazioni a 100 anni dalla morte di Modigliani, arriva al cinema solo il 30 e 31 marzo e l’1 aprile Maledetto Modigliani, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital. Diretto da Valeria Parisi e scritto con Arianna Marelli su soggetto di Didi Gnocchi, il docufilm racconta la vita e la produzione di Amedeo Modigliani (1884-1920), un artista d’avanguardia diventato un classico contemporaneo amato e imitato in tutto il mondo.
Livornese dalla vita breve e tormentata, Dedo o Modì, come fu soprannominato, viene qui narrato da un punto di vista originale: quello di Jeanne Hébuterne, l’ultima giovane compagna, che si suicidò due giorni dopo la morte dell’amato, avvenuta all’Hôpital de la Charité di Parigi il 24 gennaio del 1920. All’epoca Jeanne era incinta e lasciava una figlia di un anno. È proprio a partire dalla sua figura e dalla lettura di un passo dai “Canti di Maldoror”, il libro che Modigliani teneva sempre con sé, che si apre il nuovo docufilm della stagione 2020 della Grande Arte al Cinema. Il docufilm trae ispirazione anche dalla mostra “Modigliani – Picasso. The Primitivist Revolution” curata da Marc Restellini che aprirà all’Albertina di Vienna nel settembre del 2020 ed è arricchito dalle immagini di opere esposte sia all’Albertina, sia alla National Gallery of Art di Washington, nei musei e nelle collezioni di Parigi e nella grande mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse” del Museo della Città di Livorno.
Per comprendere Modigliani, quarto figlio di una famiglia di origini ebraiche sull’orlo di una crisi finanziaria, bisogna partire proprio dalla sua Livorno e da una provincia italiana che sin dagli albori gli è troppo stretta. Modigliani decide di partire e andare in cerca di altro. Va a Firenze, poi a Venezia. Arriva a Parigi nel 1906, a 21 anni. Sembrerebbe un approdo. È qui che nasce la sua leggenda: tombeur de femmes, alcolista, artista maledetto. In realtà è un uomo che maschera una malattia, che si aggrappa alla vita e alla propria arte. Ha una verità da trasmettere: valori universali racchiusi nella semplicità di linee e volti che ne fanno uno dei maggiori esponenti di primo Novecento e un classico del XXI secolo.
Nel docufilm sono proprio i suoi dipinti ripresi in set dedicati, da “La Filette en Bleu” al ritratto di Jeanne Hébuterne, a parlarci. Giocando tra riprese della città di oggi e foto e filmati d’archivio in bianco e nero, la voce narrante di Jeanne racconta di quella Parigi di inizio secolo: la ville lumière, la metropoli, il centro della modernità, già mercato d’arte e polo d’attrazione per pittori e scultori da tutta Europa. Quelli che allora facevano la fame e oggi valgono milioni, primo fra tutti proprio Modigliani. Durante il suo errare da un alloggio di fortuna all’altro, Amedeo Modigliani, povero, affamato, ma pieno di entusiasmo, incontra un’aspirante poetessa russa, la ventenne Anna Achmatova, e la giornalista e femminista inglese Beatrice Hastings. Tutte donne che raffigura e i cui volti, tra cariatide e ritratto, diventano icone stesse della sua arte. Il suo orizzonte immaginativo – comune a Pablo Picasso, a Constantin Brancusi e a molti altri – è del resto quello del primitivismo: l’interesse per le culture extraeuropee e antiche, un altrove nello spazio e nel tempo in cui gli artisti delle avanguardie cercano il ritorno alla natura, minacciata dalla modernità. Ma Modigliani declina il primitivismo in una maniera unica, fondendolo con la tradizione classica e rinascimentale.
Il docufilm percorre le tracce dell’artista nei suoi luoghi più tipici: le strade, le piazze, il quartiere livornese della Venezia Nuova, la sinagoga, il mercato centrale, le montagne vicine e la campagna in cui aveva imparato il mestiere di pittore coi macchiaioli e dove trova poi materia per le sue statue, l’arenaria e il marmo. Scopriamo poi Modigliani nel confronto con le opere degli altri artisti a lui coevi, primi fra tutti proprio Brancusi e Picasso raccontati attraverso opere e spazi (l’Atelier Brancusi del Centre Pompidou e il Musée Picasso Paris). Tra i pittori dell’École de Paris, c’è anche Soutine, ebreo come lui, con il quale per un periodo condivide una casa-studio ancora rimasta inalterata. Ritroviamo Modigliani anche al caffè La Rotonde con Jean Cocteau che ne fissa per sempre la presenza sulla “terrace” insieme a Picasso, André Salmon e Max Jacob. Di nuovo riusciamo a individuare tracce di Modigliani nella Parigi di oggi: il vagare notturno scendendo le scalinate di Montmartre verso Montparnasse nuovo centro di aggregazione, le passeggiate intorno al Pantheon, le cancellate chiuse del Jardin du Luxembourg. E poi i carri immaginifici della nuit blanche parigina che rappresentano possibili allucinazioni provocate dalle droghe – l’hashish, l’oppio e l’assenzio – che aprono le porte della visione. Ci sono poi i suoi mercanti e collezionisti: Paul Alexandre, il medico mecenate; Paul Guillaume il dandy parvenu ritratto più volte; Léopold Zborowski, l’ultimo mercante dell’artista, un poeta avventuriero, capace – grazie alla conoscenza del collezionista Jonas Netter – di garantirgli un piccolo salario mensile.
Modigliani, però, morirà povero e non riconosciuto. Solo in seguito diventerà uno degli artisti più quotati al mondo. E tra i più copiati. Il suo stile sembra facile, ma è solo apparenza. Lo scopriremo al porto franco di Ginevra, nel laboratorio di Marc Restellini, tra i maggiori esperti al mondo di Modigliani che nel docufilm racconta la cifra dell’arte di Modigliani e la sua evoluzione. E a Londra, tra le fiere d’arte e lo studio di un pittore – falsario dichiarato – che ora firma le sue opere d’imitazione alla luce del sole. Solo pochi decenni fa – nel 1984, a 100 anni dalla nascita dell’artista – le teste ripescate nei fossi livornesi hanno sconvolto il mondo con una delle truffe più celebri che la storia dell’arte ricordi.
Tra gli interventi del docu-film, oltre a quelli dello storico dell’arte e specialista di Amedeo Modigliani Marc Restellini, quelli di Ann L. Ardis, professoressa e Dean al College of Humanities and Social Sciences della George Mason University, esperta di letteratura modernista inglese; Chloe Aridjis, scrittrice e studiosa di poesia francese dell’Ottocento; Harry Bellet, giornalista di Le Monde, studioso e critico d’arte; Giovanni Bertazzoni, Co-Chairman Impressionist and Modern Art Department Christie’s; Laura Dinelli, responsabile Musei Civici di Livorno; Pier Francesco Ferrucci, Direttore Unità di Bioterapia dei Tumori, IEO che da studente è stato tra gli autori della famosa “beffa delle teste” del 1984 a Livorno; l’ebraista Paolo Edoardo Fornaciari; lo scrittori Simone Lenzi, attualmente assessore alla Cultura del Comune di Livorno; il gallerista David Lévy; la pittrice Mira Maodus; lo stilista, costumista e artista Antonio Marras; la pittrice Isabelle Muller; la curatrice del Musée d’Art Moderne de Paris Jacqueline Munck; l’artista John Myatt che grazie al suo talento per l’imitazione, tra il 1986 e il 1995 ha falsificato e collocato sul mercato – insieme al suo complice John Drewe – 200 opere di maestri moderni; il collezionista Gérard Netter; l’artista Jan Olsson; la curatrice del Musée Picasso Paris Emilia Philippot; il Direttore Generale dell’Albertina di Vienna Klaus Albrecht Schröder; il Vicepresidente della Comunità Ebraica di Livorno, Guido Servi; il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico Paolo Virzì.
La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital.
Nel 2020 la Grande Arte al Cinema è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it, Arte.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Maledetto Modigliani, al cinema il 30 e 31 marzo e l’1 aprile
In occasione delle celebrazioni a 100 anni dalla morte di Modigliani, arriva al cinema solo il 30 e 31 marzo e l’1 aprile Maledetto Modigliani, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital. Diretto da Valeria Parisi e scritto con Arianna Marelli su soggetto di Didi Gnocchi, il docufilm racconta la vita e la produzione di Amedeo Modigliani (1884-1920), un artista d’avanguardia diventato un […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
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