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#ch: demien
darcyelmxr · 8 years
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aesthetic 4/? ↳ demien redwood
necromancy noun | nec·ro·man·cy | \ˈne-krə-ˌman(t)-sē\ Conjuration of the spirits of the dead for purposes of magically revealing the future or influencing the course of events.
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darcyelmxr · 8 years
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                                   A WOMAN OUT OF TIME
Richmond Park, London  | Midnight  ⁞ 10.08.2016
✘Demien Redwood (Aria & Ethan)
Notte fonda, Richmond Park, sede di numerose sparizioni solo nelle ultime due settimane. Fino ad ora sono state contate cinque persone scomparse, una coppietta sulla trentina, una giovane andata lì a fare jogging, e due uomini. L'ultima sparizione - di una dei due ultimi uomini- ha catalizzato l'attenzione degli esorcisti per via delle strane voci giunte fino alle sue numerose orecchie. Pare che durante la passeggiata serale in compagnia di Mister Smith - l'ultimo scomparso - ci fosse un suo amico, tale Rupper Evans che è stato lui ad avvisare la polizia della sparizione dell'amico. La cosa strana, è che durante le dichiarazioni pare che il duo sia entrato in contatto con una creatura non definita, ben celata dal crepuscolo e dalla vegetazione del parco. Non è chiara la dinamica dell'intervento, ma Smith improvvisamente spaventato è corso via verso il lato opposto. Evans lo ha richiamato diverse volte, e nella corsa, mentre lo seguiva ha visto l'amico “sparire nel nulla”. E lì, ha ben controllato che non ci fosse qualche fossa o dislivello nel terreno ma dal rapporto della polizia, il terreno non presentava alcun buco o antro misterioso. Mister Evans è stato sottoposto ad esami tossicologici che ne hanno rivelato la totale assenza di droga, alcool o medicinali. Era pulito, quindi, la polizia continua ad indagare in quel parco, ma stavolta gli esorcisti sono stati mandati sul campo per un controllo. Ben più addestrati e preparati ad affrontare una situazione del genere. Casi di sparizione non sono poi così lontani da quelle che sono le loro conoscenze.  
Il gruppo è stato fornito di un furgone nero, al cui interno sono disposte diverse telecamere e apparecchiature di monitoraggio, sia audio che visivo. Alla guida, ci sta uno degli esorcisti, un tale Bill, appartenente alle nuove leve ma piuttosto grosso, di colore mentre gli altri quattro membri sono stati divisi in due squadre diverse. Quella di Ethan e Darcy - che si muoverà per prima durante la perlustrazione - e quella di Aria e Demien, che per il momento monitorerà la situazione da dentro il furgone parcheggiato appena fuori dal parco. Due sensitivi assieme sarebbero un pasto troppo lauto per un'entità e per il momento, le direttive sono state quelle di accertarsi della natura della creatura, se davvero ce ne fosse una.
« State attenti.. » è la voce so british di Demien a parlare, è chiaramente rivolta principalmente alla sua amata ma come al solito, il loro è un segreto benché i due fratelli ne siano a conoscenza. Posiziona lo sguardo prima verso Ethan concedendo un cenno del capo ed in ultimo verso la Giustiziera. « Prendi questo.. » glielo dice, mostrando un ciondolo piuttosto rudimentale, semplice, fatto di corda fine intrecciata al quale pende una piccola gemma verde acqua « Tienilo sempre con te. Ti proteggerà… » glielo sussurra attendendo che sia lei stessa ad indossarlo oppure sarà lui a farlo direttamente, sfiorandole la nuca con le sue dita abili ma senza dare una vera e propria spiegazione sulla sua funzione.
Aria si avvicina a suo fratello, rassicurandolo con lo sguardo e sorridendogli come fa sempre “ Niente azioni sprovvedute, Eroe. Ti conosco.. ” lo reguardisce posando poi lo sguardo su Demien e infine su Darcy, strizzandole l'occhiolino e poi prendendo posto su uno sgabello “ Abbiamo sia le cimici, sia i localizzatori. Vi terremmo sempre sotto controllo, se serve qualcosa parlate pure vi sentiamo ” detto questo Ethan farebbe per aprire la portiera, uscendo per primo dal furgone e attendendo che Darcy lo segua subito dopo.
✘ Darcy Elmer.
Nei giorni passati, al Covo, ha studiato un fascicolo piuttosto scarno. Il caso riguarda quattro sparizioni, avvenute entro il perimetro di uno dei parchi più frequentati di Londra, seguiti da un quinto episodio ― l’unico ad essere accompagnato da una testimonianza: un uomo letteralmente ‘vanished into thin air’ e una creatura non meglio identificata intravista tra la vegetazione. Nel complesso, la faccenda è sufficientemente sospetta e innaturale da essere finita nello spettro di monitoraggio della St. Paul ma, al momento, hanno a disposizione troppi pochi indizi per trovare una soluzione tra i libri. È giunto, dunque, il puntuale ordine di investigare sul campo, con un team nuovo di zecca.
All’interno del furgone, la Giustiziera se ne sta seduta a metà contro uno dei ripiani a sostegno dei computer, mentre ruota il tamburo della sempre ben oliata rivoltella. Con il fare svelto e pratico di chi è abituato a maneggiare armi, infila l’ultima cartuccia; quindi, chiude il tamburo, inserisce la sicura e sistema il revolver nella fondina, agganciata alla coscia destra. Alla sinistra, invece, è assicurata una grossa tasca di pelle nera: contiene le ricariche per la rivoltella ― sei proiettili caricati a sale e sei con olio sacro; tre ampolle di acqua benedetta; e un grosso gesso bianco, perché è sempre una buona idea evitare di svenarsi nell’eventualità di dover disegnare trappole, simboli o sigilli. Il bracciale con la lama è legato all’avambraccio sinistro. Alla cintura della fondina, sono agganciati una piccola torcia e un coltello da caccia. 
‹ Io sono nata attenta. › ribatte al Necromante, con un mezzo ghignetto sulle labbra struccate.  Lui rivela avere qualcosa per lei ― una collanina etnica? ― e lei lo fissa. Innalza un sopracciglio scuro, scuotendo impercettibilmente quel viso incorniciato dai corti capelli neri, spartiti al centro, animati da qualche pigra ciocca arricciata. ‹ ... › Lascia che sia Demien ad allacciare il ciondolo al collo, ma in quanto a spiegazioni par doversi accontentare di quel ‘ti proteggerà.’  
Con uno scatto di reni, si solleva dal ripiano. Fa un cenno del capo verso Aria, in un muto ‘roger that’ riguardo ai sistemi di comunicazione, e molla una pacca sul roccioso avambraccio di Ethan. ‹ Forza, Christopher Lambert. Tocca a noi... ›
Non appena lo sportello del furgone viene aperto, l’umida frescura dell’estate inglese si fa sentire di prepotenza. Darcy si volta in cerca dello sguardo di Demien. Non può fare altro, né dire nulla. C’è solo quell’incrociarsi di sguardi. Poi, salta giù, atterrando con mollezza sul terreno. Indossa abiti comodi e pratici: calzoni neri, aderenti, ma elasticizzati; una leggera felpa grigia sotto ad una giacca di pelle, il cappuccio che cade sulla schiena; scarponcini dalla suola bassa e adatta al terreno; e il ciondolo di giada, nascosto sotto la zip della felpa. Lo Smartphone è nella tasca della giacca.
✘Demien Redwood (Aria & Ethan)
Demien si limita ad osservare Darcy mentre sistema le armi, una volta, lo sguardo è intenso. Gli occhi grigi si affilano come delle lame, rimangono imperterriti fissi sulla sua figura, studiandola con intensità. Difficile non notare la polarità del suo sguardo ma da quella posizione solo i fratelli possono sapere e concedono a loro tutto il tempo di questo mondo. La sensazione di timore che ha da quando ha messo piede in questo posto non se la sa spiegare, è come un presagio sottopelle, un retrogusto amaro e ferroso dentro la bocca che si mischia assieme alla saliva. Impasta con la lingua, manda giù, socchiude gli occhi e la mancina sfila sopra il volto per cercare di ricacciare via quel fastidioso presagio che lo tormenta. Non vuole allarmare nessuno con brutte sensazioni, certo che Aria avrebbe notato qualcosa di strano se davvero ci fosse stato. Anche se i necromanti sono come un faro nefasto, e forse le sue capacità sono più lucide su quel settore. Il respiro appena accelerato, si muove all'unisono in compagnia di quel cuore che martella. Sbatte le palpebre, la osserva dalla sua altezza e muove la mano, la destra quasi come se volesse accarezzarle quel volto che lui trova perfetto e armonioso, ma la sposta in avanti di una ventina di centimetri. Disegna un angolo acuto con il braccio ma non lo muove oltre, la mano la stringe a pugno e la ricaccia all'indietro, sapendo di non potersi concedere effusioni di sorta a lavoro. Lì loro sono dei semplici colleghi, lì non sono nulla l'uno per l'altro. Serra la mascella e devi altrove lo sguardo, prima sui due fratelli di cui incrocia lo sguardo della sensitiva. 
La voce dell'esorcista lo riporta con gli occhi su di lui, poggia entrambe le mani sui fianchi assumendo una postura rilassata almeno apparentemente. E’ bravo a celare emozioni e pensieri, li scherma totalmente tanto che si ritrova a sorridere in direzione di Darcy.  « Ma sempre meglio tenere un occhio aperto.. » ruota ancora il capo ed è verso il suo compagno di cricca che si rivolge « Mi raccomando, Ethan.. » glielo dice facendo un cenno del capo e lui capirà benissimo a che cosa si riferisca.
Ethan dal canto suo annuisce, sa che tipo di rapporto lì lega perciò si limita personalmente a fare un altro cenno del capo « Nessun problema.. » gli fa l'occhiolino mentre sistema le armi, le controlla tutte, uno alla volta, sicura e tutto il resto.
Il necromante cede quel ciondolo alla donna e glielo lega con cura dietro il collo, è una scusa per accarezzarle il collo, un movimento leggero delle dita, dei polpastrelli caldi.
Il resto è preparazione con le portiere che si aprono mentre Ethan sorride a quella battuta, è abbastanza vecchio da conoscere tutte le citazioni possibili ed inimmaginabili. Allunga la bocca in un sorriso divertito. « Dai, almeno ho un acconciatura migliore di quello .. » glielo fa notare mentre è il primo a scendere dopo aver salutato sua sorella con un movimento lesto del capo. La giustiziera lo segue subito dopo, mentre sia Aria che Demien li guardano intensamente. Non posso rimanere lì, così è lo stesso esorcista a richiudere lo sportello lasciando il duo pronto a muoversi verso il parco.
L'aria localizzata si trova a cinque minuti verso nord-est, nei pressi di una piccola costruzione di legno, una sorta di gazebo, uno dei tanti sparsi qua e là. La vegetazione è fitta a tratti mentre in altri vi sono radure completamente prive di cespugli, piccoli appezzamenti di prati e fiori. La notte permette ad entrambi di muoversi tra un lampione e l'altro, la luce è comunque soffusa e non troppo diretta. La temperatura piacevole, tipica di questo periodo dell'anno mentre l'odore della terra bruna filtra attraverso le narici. Aromi piacevoli peccato che non siano li per una passeggiata ma per una ronda, un controllo che possa sfociare in qualcosa di utile. Ethan tiene lo sguardo ben allineato con l'orizzonte, gli occhi felini e scuri che si muovono freneticamente, pronti a cogliere il più piccolo dei movimenti percepiti. Non ha poteri ma ha un addestramento alle spalle degno di nota, che gli garantisce quel minimo di possibilità di farcela in un combattimento corpo a corpo con qualcosa che sia vagamente umanoide. Una mano sempre pronta contro il fodero di pelle dove si trova la sua arma e l'altra tesa contro un pugnale celato sotto la giacca di pelle. Non si sa chi potrebbe apparire e pure un semplice umano potrebbe destare sospetto. Il cuore martella dentro il petto che si solleva e si abbassa in maniera regolare. Si addentrano fino alla zona circospetta e proprio in quel momento, circondati da alberi fitti che impediscono di vedere il cielo nero, Ethan prende coscienza con qualcosa di troppo strano, del tutto innaturale.
« Lo senti. Darcy?.. » alza un sopracciglio guardandosi intorno e non sentendosi per nulla a suo agio « Non si sente nulla. » niente vento, niente rumori nel mezzo delle foglie, nulla di nulla nemmeno fossero entrati in una bolla che ignora tutto il mondo circostante persino l'illuminazione comincia a sfarfallare in tutto questo ma sempre, immersi in un silenzio assoluto.
✘Darcy Elmer.
Fossero stati soli, o avessero avuto come testimoni soltanto i due fratelli, la Giustiziera si sarebbe separata da Demien con maggior enfasi - nelle parole e nei gesti. Magari, con un bacio di buon auspicio. Nella realtà, deve limitarsi a quell'ultimo sguardo, gettato alle proprie spalle un istante prima di balzar giù dal furgone: un sguardo breve, ma nel quale il sentimento freme come una danza di fiamme. Farà il suo dovere, ma starà attenta. Tornerà, qualsiasi cosa stiano andando a indagare. La promessa è ancora, e sempre, quella scambiata una lontana notte di quasi un anno prima: fare sempre in modo di sopravvivere, di tornare a casa sani e salvi, l'uno per l'altra.
Poi, la suola degli scarponi impatta contro il terreno umido ed erboso; l'attimo dopo, si sente il tonfo trattenuto del portellone che viene richiuso.
Sono soli, adesso. Lei, ed Ethan.
‹ Avrei proprio voluto vederti con un'acconciatura anni Ottanta › mugugna, proprio mentre muove i primi due passi, affiancando Ethan. Perché fratello & sorella dovranno pur averli attraversati il decennio delle spalline e delle permanenti. Quasi riesce a figurarseli: Aria in stile Madonna ai tempi di Like A Virgin, Ethan come un George Micheal quando ancora si spacciava per etero. Piuttosto che scavare l'argomento, però, opta per un improvviso: ‹ Ma cos'è questa storia della raccomandazione? - Adesso mi serve una baby sitter? › Parla sotto voce e non c'è offesa nel tono; par soltanto interessata ad assicurarsi di aver interpretato bene lo scambio di battute tra i due uomini, poco prima, sul furgone. Intanto, continua a camminare: passi attenti, silenziosi, ma svelti. Le spalle rimangono rilassate e il capo si muove costantemente, per tener sott’occhio l’ambiente circostante; mano destra appoggiata all’impugnatura della rivoltella, che resta nella fondina; mancina pronta ad avvicinarsi alla torcia, anche se al momento le luci del parco son sufficienti.  
La voglia di far conversazione, comunque, si ferma a quelle due frasi; man a mano che avanzano verso nord-est, affrontando a tratti spazi aperti e a tratti zone dove la vegetazione è più fitta, la donna tace. Guarda, osserva, ascolta: uccelli, insetti, lo sporadico e accidentale scricchiolio dei loro stessi passi, che schiacciano ramoscelli e sassolini. L'ultima volta che Darcy è stata in quel parco, fu per un'occasione completamente diversa e assai più piacevole. Ma non è il momento di cullarsi nei ricordi. Si ferma alle prime parole di Ethan: le labbra si stringono, la fronte si aggrotta; non sente nulla al di fuori del proprio respiro, e del proprio battito cardiaco, che pur controllato, adesso echeggia forte nelle tempie.
La luci sfrigolano. Darcy muove la mano verso la torcia, agganciata alla cintura. Stringe le dita lungo il manico. L’accende... e scruta attorno, strizzando le palpebre, curando di avere Ethan alle spalle, così che lui possa letteralmente far da scudo a lei, e viceversa. ‹ Questo non è naturale... Decisamente › mormora. Un respiro, leggero, che in quel silenzio suona terribilmente pesante. ‹ Possono ancora sentirci dal furgone? ›
✘Demien Redwood (Aria & Ethan)
« Dovrei avere qualche foto da qualche parte » sentenzia con calma allungando uno sguardo rilassato verso di lei con gli apici della bocca ben disegnata che si tirano verso l'alto. Sorride e lo fa di gusto anche con gli occhietti nocciola che si illuminano « E non hai idea di come stavo negli anni cinquanta » in pieno stile Grease con la banana ben fermata dal gel. Non si capisce bene se stia scherzando o meno, l'humor di un uomo che non invecchia mai è davvero difficile da comprendere ma Darcy sta imparando a conoscere entrambi i fratelli speciale e sa, che a modo loro, quel tipo di affermazioni suonano come delle battute colme di ilarità. Si sa, con il tempo cambia l'umorismo ma il loro è un po’ stantio. Soprattutto in Ethan è possibile cogliere quell'alone di solennità mentre Aria si presta di più alle modernità. « Non un baby sitter ma diciamo che è giusto anche avere un occhio di riguardo verso i propri anziani » gli sfila uno sguardo piuttosto penetrante come a voler farle comprendere per bene che cosa si celi dietro quella frase. Essendo continuamente sotto controllo, preferisce non scendere in dettagli fraintendibili « Ci si guarda le spalle a vicenda anche quando qualcuno non può » un altro sorriso seguito a ruota da un breve occhiolino mentre continuano ad avanzare sempre di più all'interno del parco.
Si ritrovano completamente soli nel mezzo della foschia, dell'umido di quella sera che apparentemente sembra essere piacevole e abbastanza luminosa. Londra non concede troppo nemmeno in estate, per cui poco alla volta la temperatura si farà sempre più fredda e penetrante, più il tempo passa più i due si ritroveranno ad aver la netta sensazione che l'inverno stia davvero arrivando. Camminano passo dopo passo, l'uno accanto all'altra, Ethan senza lasciarsi andare a convenevoli ma tenendo i sensi umani ben tirati verso l'esterno, verso ogni piccolo rumore che viene sondato, analizzato e tenuto in considerazione. Il profilo piacevole si staglia contro la vegetazione ma è chiaro che oltre al silenzio innaturale nel quale i due si ritrovano coinvolti principalmente anche il freddo si fa più intenso. Tanto che il respiro prende forma trasformandosi in fumo quasi trasparente. Incoraggiante. La miglior scena di un film horror insomma. Si ha quasi la sensazione che sia tutta una dannata trappola. Un mistero. Quel parco, quel cerchio di alberi perfetto che si disegna intorno a loro. Alzando gli occhi verso il cielo è possibile non scorgere più la cupola piacevole della volta celeste ma piuttosto una spessa gabbia di rami e foglie verde intrecciate. Non si muove una mosca, il silenzio è quasi ovattato e i respiro fanno eco contro tronchi e terreni calpestati dalle suole dei loro scarponi pesanti.
Se ne rimangono immobile, o almeno Ethan arresta la sua cadenza, andando con mano veloce ad estrarre la sua pistola, un movimento pulito che non lascia suoni. Lo sguardo si perde velocemente fra i cespugli ma la sensazione spiacevole si sta facendo largo dentro di lui. Non sarà un sensitivo ma è abbastanza sicuro che ci sia qualcosa che non va, ha vissuto abbastanza da capire che qualcosa sta per succedere. Il respiro si fa appena più accelerato mentre disegna nell'aria delle piccole nuvole che scompaiono subito dopo. « La temperatura si è abbassata improvvisamente. » un piccolo dettaglio che fornisce a chi lo sta ascoltando. Non vi è traccia di sorriso in questo momento, ma solamente di un'espressione del tutto guardinga e per lui rassicurante.
*
« Vi sentiamo ma ci sono dei problemi di interferenza… » è la voce di Demien a parlare dentro l'orecchio dei due esorcisti in questo momento. Il necromante impasta la saliva con la lingua mentre getta uno sguardo vagamente preoccupato in direzione di Aria che ascolta anche ciò che il fratello le sta dicendo.
Analizza appena la situazione e uscendo fuori dal furgone improvvisamente tenendo l'auricolare sempre schiacciando contro l'orecchio destro. Quello che vuole fare è cercare di allungare i sensi, quanto meno per permettere di cogliere quell'interferenza. Non è così forte da definirla o da individuarla del tutto, ma può coglierne le scie, i residui nell'aria. Se hanno fortuna può estirpare qualche informazione anche stando solamente lì. Si prende diversi istanti mentre Demien la scruta dalla sua postazione, rimane in silenzio, cinque secondi pieni. Aria tiene gli occhi chiusi « E’ passato qualcosa, verso il centro del parco. Creatura singola. Vivente… Non riesco a comprendere oltre ma si dirige verso di loro » la voce della donna si fa chiara e poco dopo rientra dentro il furgone.
« Non bene, arriviamo subito » è Demien a parlare con Darcy mentre il disturbo aumenta, uno sfrigolare che permetterà sia ad Ethan che Darcy di cogliere le frasi a morsi.
« Non ce la faremo mai a piedi… » è la voce allarmata di Aria questa volta che si riferisce al Necromante tappando il microfono in modo che rimanga tra loro.
« Non ho mai detto di voler andare a piedi, Aria » da questo momento in poi la comunicazione verrà interrotta del tutto fra i due gruppi.
*
« Dannazione! Non li sento più » La voce di Ethan fa eco poco dopo mentre la temperatura comincia a scemare poco alla volta, sempre più in basso. Precipita mentre dentro le loro teste, chiaro e distintivo è possibile cogliere la sfumatura di un ticchettio di un orologio. Prima sembra un eco lontano, poi prende man mano forza come se avessero un orologio a portata di mano. Eppure è dentro la loro testa, non fuori. Tutto intorno ancora il silenzio. Alza lo sguardo in direzione di Darcy, allarmato e forse anche un pò impreparato ad un attacco come quello. Che qualcuno stia comunicando con loro telepaticamente? Alza l'arma, la impugna a dovere mentre improvvisamente fra le sterpaglie due luminosi occhi gialli simili a quelli di un felino si fa spazio fra la natura, nell'oscurità. E’ l'unica nota di colore che è possibile cogliere, un giallo innaturale che prende persino le sclera.
« Giochiamo? » è la domanda che la creatura porge dentro la loro testa. Poco alla volta lo stridere di una porta, il battere di un'anta contro l'altra riecheggia ancora dentro la loro testolina mentre una mano dell'essere subentra dall'oscurità. Si appoggia ad un tronco, poi l'altra come se emergesse dalla tenebra più profonda. « Giochiamo? » richiede mentre anche l'altra mano si poggia contro un altro tronco. Mani scheletriche che paiono fatte di legno e allo stesso tempo, grossa corna simili a quelle di un cervo si fanno man mano più chiare mentre l'avanzare di questo essere continua fino a definirsi.
« Ma che diav… » è la voce di Ethan che osserva la scena quasi rapito ma comunque tenendo sempre alta la pistola, nonostante, per il momento, sia ancora indeciso se attaccarla subito non sapendo bene l'origine. Sparare a caso, non è mai servito a nulla ma non si rende bene conto, che dietro alle loro spalle è apparso un enorme portone dalla forma circolare e che poco alla volta, si sta aprendo alle loro spalle senza emettere un solo rumore.
✘Darcy Elmer.
Il silenzio innaturale, il brusco abbassamento di temperatura, persino l’inusuale disposizione degli alberi attorno alla radura: sono campanelli d’allarme che mettono la Giustiziera sulla difensiva. Il battito cardiaco accelera, i respiri diventano corti, pesanti, eppure perfettamente regolari; col tempo, ha imparato tutti quei piccoli trucchetti che aiutano a schermare i pensieri dall'infezione della paura. Estrae la rivoltella. Abbassa il cane e mantiene l’indice steso lungo la canna. Il fascio di luce della torcia è puntato verso il fitto degli alberi, mentre il braccio destro ― revolver in pugno ― è piegato contro il petto, in modo da tenere la canna rivolta verso l’alto.
Sente la voce di Demien, tramite la trasmittente: poche parole smozzicate prima che cada il silenzio radio. ‹ Non - bene. › Si limita a brontolare, a voce bassissima; denti stretti e mascella contratta; le palpebre si assottigliano attorno agli occhi scuri, che seguitano a tentare di individuare una possibile minaccia tra la vegetazione. ‹ Ethan: ritiriamoci › ordina, duramente, senza batter ciglio. ‹ Siamo completamente isolati. È troppo rischios―  › Ma mentre dà voce al previdente buon senso ― fosse accaduto qualche mese prima, probabilmente, avrebbe optato per un buttarsi a capofitto in avanti, ma l’esperienza cambia le persone e lei non fa eccezione ― si accorge del ticchettio che si insinua sotto le sue parole. ‹ Che cos’è questo rumore? Lo senti? › Lo sguardo scatta violentemente da una parte all’altra, in su e in giù, in spasmodica ricerca della fonte...
Poi, un sussulto violento e un’imprecazione a malapena trattenuta: ‹ Caz― ›
Sta puntando la torcia contro la ❝Creatura❞. Arretra di un passo. Abbassa la destra sopra il polso della mancina e, al contrario di Ethan, non ci pensa certo due volte prima di premere il grilletto. Fa fuoco, tre volte di seguito, mirando a quel che potrebbe essere il torace, prendendo di mira lo spazio poco più basso rispetto alla testa munita di corna. Le esplosioni riverberano con violenza. E ogni colpo corrisponde a un passo indietro.  
✘Ethan.
Purtroppo le comunicazioni saltano poco alla volta, prima è solo un leggero sfrigolare, un interferenza che man mano diventa sempre più evidente quando ormai è troppo tardi. Come se la copertura degli alberi, quella piccola radura circondata fa fronte e tronchi scuri, appaia come una gabbia impenetrabile. E la cosa strana, e che, dopo qualche istante, guardandosi intorno, ogni albero sembra uguale all’altro, si perde completamente il senso dell’orientamento. Non vi è alcuna stella visibile per carpire quale sia il nord e persino la strada che dai quali sono soggiunti pare essersi dispersa nel vuoto. Sia Darcy che Ethan non sentiranno più nulla oltre l’auricolare ben celato, come se fosse semplicemente scarico o morto definitivamente. L’esorcista ha il tempo di guardarsi intorno di dire qualcosa a denti stretti « Cazzo… » gli scappa nonostante lui sia sempre quello più educato, più calmo. Il volto non cambia espressione, forse non è davvero capace di perdere le staffe ma il sangue freddo è sempre presente e la situazione non gli piace affatto. Volta lo sguardo prima a destra, poi a sinistra, poco prima che la creatura faccia capolino fra gli alberi. E’ una trappola bella e buona questa, e gli altri non sapranno mai che diavolo è successo. Senza un sensitivo, identificare quella dannata creatura ricoperta di arbusti non è semplice, si può solo fare affidamento su diverse tipologie di uomini. « Darcy, non vedo più a strada »
Ma non ci sta il tempo per aggiungere null’altro, improvvisamente la creatura appare del tutto e l’unica cosa da fare è sparare. Ethan lo fa subito dopo l’esorcista, prendendo la mira all’altezza del torace ma i proiettili affondano nella carne, uno dopo l’altro emettendo un suono strano, come se venisse colpito un albero. La dama dei boschi sorride mentre alle loro spalle ormai quel portale è totalmente aperto e poco alla volta comincia ad emanare vento e luce. Il ticchettio si fa strada dentro la loro testa aumenta il ritmo fino a diventare talmente forte da impedire qualsiasi mossa. E’ come stare accanto ad un campanile, si aggiungono i rintocchi di una chiesa lontana. Il vento aumenta, i corpi sono leggeri si ritrovano a fluttuare nell’aria e non ci sta scampo perché con una folata potente, pari quasi ad uno schianto, i due esorcisti vengono attirati all’interno del portale, senza possibilità di alcuna reazione se non quella di provare a respirare, a chiamare aiuto. E’ come essere presi dalla corrente più forte. Il portone si richiude di getto, scomparendo assieme alla mistica creatura e ricreando nell’ambiente il paesaggio che ci è sempre stato. L’arrivo tardivo dei rinforzi non troverà più nulla sulla scena.
Darcy perde i sensi in tutto questo, la mancanza di ossigeno porta ad un abbassamento della pressione che le fa perdere totalmente ogni riferimento con la realtà. Quando comincia a risentire qualcosa è decisamente un luogo lontano, ed è come se avesse dormito per chissà quanto. A risvegliarla sono diversi rumori e il debole fruscio dell’ambiente circostante. Sembra quasi che qualcuno abbia aperto un grosso portone. L’odore è penetrante, non piacevole, di fieno e animali, letame secco che può chiaramente indicare un luogo simile ad una stalla. Aprendo gli occhi capirà che si tratta proprio di quello, di una stalla molto grande, colma di cavalli. Una scuderia per l’esattezza e qui, a fissarla ci sta una donna dai capelli biondi raccolti in un’acconciatura decisamente antica, un raccolto un po’ disordinato, un abito lungo e di un azzurro sporco completo di bustino. Non vi è traccia di trucco in quel volto perfettamente ovale, occhi azzurri, capelli color del grano. La giovane donna avrà superato i venti anni da poco e indossa anche uno scialle collocato sopra le spalle. « Miss… » la sveglia con una dolcezza mentre rimane china su di lei « Si è persa? Si sente male? » il tono della voce, la cadenza ricorda moltissimo quella di Demien ma molto più marcata e dal sapore antico.
Darcy sentirà una strana sensazione alla testa, oltre ad essere stordita, i capelli saranno più pesanti e passandoci la mano potrà capire che sono lunghi, molto più lunghi di quanti non li abbia mai avuto dato che sfiorano la vita. Sciolti e anche tirandoseli e provandoci, capirà che sono proprio suoi. E gli abiti comodi da giustiziera sono ormai scomparsi lasciandola avvolta solo da un abito scarlatto in pieno stile vittoriano. Di Ethan nessuna traccia. Che stia ancora sognando?
✘Darcy Elmer.
Gli spari si sommano ai rumori che paiono esistere solo nella sua testa. Almeno, questo è quel ipotizzerebbe la Giustiziera, se avesse il tempo effettivo di ragionare e fare due più due. Il tic toc si trasforma in rintocchi assordanti, tanto che il quarto tentativo di premere il grilletto si annulla nel gesto di chiudere gli occhi e incassare la testa nelle spalle. È il caos. La luce, la folata di vento e la terrificante sensazione di non avere più la terra sotto i piedi. Darcy non ha nemmeno il tempo, né la possibilità, di cacciare un urlo. Le manca il fiato. Le sembra di andare in apnea, mentre si sente strattonare con violenza all’indietro da corde invisibile. E, infine, il nulla. Il buio. Black out totale.
*
Un lezzo pungente si insinua su per le narici, solleticando i sensi assopiti; qualcosa le pizzica una guancia e suoni insoliti si intrufolano nel torpore del sonno. Pian piano, i lineamenti marcati si contraggono in una smorfia di fastidio; poi, le palpebre si sollevano e la prima cosa che la donna riesce a mettere a fuoco si rivela essere... le proprie dita. Comprende, con somma fatica, di aver dormito a faccia in giù. E ciò che le pizzica la gota è un tappeto di paglia e fieno.
La raggiunge una voce femminile: è carezzevole, vicinissima, ma completamente sconosciuta. Darcy ha uno scatto: trasale, boccheggia e si tira a sedere. Tutto insieme. Guadagnandosi così un gran giramento di capo; che prima le offusca di nuovo la vista, poi acuisce la sensazione di aver preso una mazzata in testa. Strizza le palpebre e preme una mano contro la tempia. Geme, schiacciando le labbra, socchiudano aria tra i denti. Se ne sta a gambe larghe, sotto la gonna, in una posa da bambola di porcellana, mentre si sorregge con l’aiuto di un braccio teso.
Una, due, tre volte batte le palpebre e lo sguardo si fossilizza sulla donna bionda, abbigliata a mo’ di figurante in una rievocazione storica. ‹ ... › Darcy la fissa. La fissa. E la fissa. E non le risponde. Le sue capacità di osservare e interpretare ciò che ha di fronte sono andate in tilt. Non sta certo pensando a un salto temporale. Sopratutto perché non riesce proprio a pensare ― punto.
Ma i neuroni si riaccendono: di colpo, con una scossa di paura, come se qualcuno avesse appena infilato una spina nella presa della corrente elettrica. Darcy scatta in piedi. Barcolla. Gira su se stessa, più volte, guadandosi attorno; e lo strascico del vestito, la cui eleganza stona con le movenze grezze e concitate della donna, s’arrotola attorno alle caviglie, trascinandosi dietro polvere e fieno. A osservarla da fuori, par proprio un’internata fuggita da un manicomio: fiato corto, labbra dischiuse, occhi sgranati. Lo sguardo saetta da una parte all’altra e la fronte è contratta in un cipiglio allarmato e incredulo, come se non avesse mai ― mai ― visto una scuderia, o dei cavalli, in vita sua. E ancora non se ne rende conto, lei, che abbigliata a quel modo e con i lunghi capelli sciolti e scarmigliati sembra pronta per posare sulla copertina di un Harmony di dubbia valenza letteraria. Indietreggia ― ed eccola incespicare inevitabilmente nella gonna. Al che, abbassa lo sguardo su sé stessa: sulle gonfie pieghe della stoffa scarlatta e sul merletto bianco nero che orna le maniche e la scollatura. Le dita corrono a serrarsi sulla stoffa, nell’istintivo bisogno di capire se sia reale o meno. Strofina le mani sul ventre, stringe gli avambracci, tocca le spalle... e solo adesso si accorge della lunghezza improbabile della propria chioma. Quasi impallidisce. Una smorfia di spavento le si disegna sul volto, mentre strizza, tira e stropiccia le ciocche, fino a raschiare il cuoio capelluto. Anche il dolore è reale. In effetti, sembra tutto estremante reale: dalla polvere nell’aria che respira, al puzzo dei cavalli che scacciano le mosche a suon di scuotimenti di code e criniere, allo scricchioli del fieno sotto i suoi piedi. La Giustiziera arriva a tastarsi persino il viso, cercando di capire se almeno la faccia sia ancora la sua.
Intanto, la memoria riavvolge il nastro. La ronda nel parco con Ethan, la radura silenziosa e immota, le trasmittenti che perdono il segnale e, poi, quella creatura. Quella cosa. ‹ ... › Darcy deglutisce. Riporta gli occhi castani sulla figura della sconosciuta. Le palpebre si assottigliano. ‹ È... è... un trucco, vero? Un’illusione? Un’altra illusione? › ... ‹ Cos’è ― questa volta? Un sogno? Un ― una trappola nella mia testa? › Interroga, con una voce che vibra di un nervosismo che sfiora l’isteria. Arretra, tenendo una mano sollevata e l’indice steso, a voler intimare alla donna di non avvicinarsi, e allo stesso tempo dare un patetico senso di minaccia. ‹ Dov’è Ethan?! E dove sono le mie armi?! ›  È troppo presto per chiederle un flusso di pensieri, e domande, legate da un barlume di coerenza.
✘Grace.
Sembra impossibile che stia succedendo davvero, eppure è tutto quello che Darcy può vedere. Quella stalla piuttosto ampia e ricca nonostante il lezzo non proprio piacevole. Una dozzina di cavalli di vari colori la osserva, nitriscono appena sommessamente mentre i loro fiati diventano piccole nuvolette trasparenti. Vi è una parte ricolma di fieno, un forcone e vari altri strumenti tipici della campagna. E’ possibile cogliere anche diverse selle ben lavorate. Non è una stalla come un'altra, appartiene chiaramente a qualcuno che ha molti soldi. Solo che sembra tutto così antico, ci sono delle lampade appese ma l'unica a fare luce è quella che la ragazza tiene in mano. Il bel volto della fanciulla cambia spesso espressione, da gentile a sorpresa, da sorpresa a preoccupata e ovviamente l'atteggiamento strano di Darcy non la aiuta per nulla.
« Un trucco? » domanda con un tono sporco del North, ma sempre con quel modo di fare così tipicamente retrò, pare di stare dentro un film. La donna sfarfalla con lo sguardo, inclina il capo portandosi la mano all'altezza della piccola bocca carnosa, il volto è quello fresco di una giovane donna ma il corpo è piuttosto procace e pieno. Rimane in silenzio, come se volesse in tutti i modi trovare una soluzione a questo dramma, a questa situazione ma non sa bene come aiutarla. « Le assicuro, Miss, che non è questo non è frutto di un illusione o di qualche trucchetto del demonio » e qui con la mano libera è pronta a farsi il segno della croce come se volesse allontanare qualsiasi pensiero nefasto dalla sua mente « Non vive nessun Mister Ethan in questa casa » precisa alzando ancora lo sguardo verso di lei ma mantenendo sempre un'espressione dubbiosa e preoccupata. �� Armi? » pare quasi cadere dalle nuvole come se avesse sentito qualcosa che non sta né in cielo e né in terra.
«Suvvia Miss, vi state prendendo gioco di me? » ancora la fissa « E’ stata derubata e ha cercato rifugio qui? Questa strade sono malsicure » sospira appena e sollevandosi del tutto da un inchino tipicamente ottocentesco. Perfetto, con il piede che si sposta e la mano che solleva la sottana di qualche centimetro « Sono Grace e posso chiamare mio fratello se volete, lui sa sempre come fare. Magari più tardi potreste parlare anche con il padrone di casa se vi può essere si aiuto… » la fissa porgendole una mano per aiutarla a sollevarsi e per condurla chissà dove, fa dannatamente freddo e star lì non è di aiuto proprio a nessuno.
✘Darcy Elmer.
Ed è lì: sulla difensiva, allibita e allarmata. Vada per angeli, e vada per i demoni, e vada anche per spettri e i mostri rigurgitati dal Purgatorio. Passino i necromanti, gli immortali e i Wendigo. Niente di nuovo sul fronte della St. Paul. Ma il comportamento da tenere in seguito al venir sbattuti indietro nel tempo non fa parte dell'addestramento di default da Esorcista. Va da sé che non accetta la mano di Grace e, davanti alle spiegazione, si ritrova a contrarre tutto il viso in una maschera incredula: stringe le palpebre, corruga la fronte, le sopracciglia scure si abbassano sugli occhi e la bocca, spalancata, mima un lento e ben leggibile 'What ― the ― f*ck?'. Ma chi ha derubato chi? Quale rifugio? Quale strade? Quale fratello? Quale padrone di quale casa?
‹ AH! IO? Io ― io prendo in giro te? › esclama, quasi annaspando; l’indice adesso viene rivolto, e quindi pigiato, verso il proprio petto. Il cuore martella a una velocità preoccupante. La testa gira. Per un attimo, si sente sopraffare da un senso di vertigine. E anche quando la vertigine passa, il respiro continua a essere rapido e superficiale.
‘Giochiamo?’
Il chiaro di ricordo la fa montare dentro una sorta di rabbiosa realizzazione.
‹ È ― quest― è questo il tuo gioco? › Inveisce contro Grace. Punta, arbitrariamente, l’indice verso il terreno. La voce è piena, tonante di accusa, eppure leggermente stridula sull’ultima parola. ‹ Il tuo fottuto gioco? › Fa un altro passo indietro. Irrigidisce i muscoli del collo e stringe i denti. Si guarda attorno, di nuovo. Gira su stessa, di nuovo. Quindi, si muove: arretra, e arretra un altro poco... alla fine assesta uno spintone a mani aperte a una della colonnine che sorreggono la struttura, sfidandone la tangibilità. Quasi si aspetta di vederla aprirsi in una crepa o di passarci attraverso come se la colonna fosse fatta di fumo. Ma non succede nulla di tutto ciò. E, allora, Darcy arretra ancora, arraffa malamente la gonna, ne solleva l’orlo e si mette a saltellare sul posto: il terreno, sotto i suoi piedi, risulta solido, duro, inequivocabilmente presente. Inspira. Espira. Fa scattare lo sguardo verso il soffitto esplodendo in un: ‹ E va bene ― e giochiamo, gran figlio di puttana. › È una scena grottesca. In confronto a lei, la Bertha Meson rinchiusa a Thornfield Hall sembrava una donnina pacata e ragionevole.
E come se il suo comportamento non fosse già abbastanza preoccupante ― chiari segni di isteria: asserirebbe qualsiasi medico del tempo ― eccola tirar via il forcone dal cumulo di fieno. Se ne rigira abilmente il bastone tra le mani, puntando i rebbi contro Grace: ragazzetta che si direbbe la creaturina più innocua di questo mondo. Ma per quanto ne sa potrebbe benissimo essere la creatura di Richmond Park sotto mentite spoglie. E la sua politica rimane quella del sempre meglio avere qualcosa di metallico e appuntito tra se stesse e una possibile minaccia. ‹ Okay ― okay ― sì... sì, adesso usciamo da qui. E già che ci sei: dimmi che cos’è qui? Dove siamo? › Serra le mani attorno al ruvido legno e cerca un appiglio mentale alla situazione. In una remote area del suo cervello inizia a covare la speranza che il luogo sia reale, qualunque genere di realtà sia, perché sarebbe comunque meglio del credersi immersa in un’illusione mentre il suo corpo è alla mercé di chissà quale creatura.
✘Grace.
Grace rimane immobile a fissarla per qualche istante, la lanterna sollevata verso l'alto, all'altezza del busto mentre la luce calda le illuminata il tono freddo degli occhi. L'incarnato pallido e il respiro che fuoriesce dalla sua bocca, sembrano terribilmente reali. Molto di più di quanto Darcy possa mai immaginare. Se per il Wendigo provava quella strana sensazione di pace, di euforia assieme al sesto sento che le sussurrava che qualcosa non andava, che stava dimenticando qualcosa di importante. Qui, invece, non vi è nessuna emozione finta, programmata, è tutto molto naturale, autentico. E’ lei, con le sue paure, con il freddo che intacca la sua pelle, si acchiappa al suo collo scoperto ricordandole che forse, non è più estate. Ovvio il dubbio le rimane addosso, ma la differenza con l'altra illusione indotta è facilmente riscontrabile. Così come lo è nell'espressione impaurita della donna, Grace, che stringe la bocca ma con uno sguardo attento la giustiziera, può ben notare che vi sia incertezza nella presa di quella mano delicata contro il manico della lampada. Trema e non è di certo per via del freddo. Ha paura di Darcy. L'altra mano della donna si stringe contro il tessuto del corsetto, chiude la mano a pugno e deglutisce. Il volto si contrae si nuovo e lei rimane avvolta in un silenzio colmo di significati. La fissa come fosse un'aliena ma cerca comunque di parlarle.
« Le assicuro che non mi sto prendendo gioco di lei… » è incerta, non sa proprio come farla calmare, come indirizzarla alla ragione. Si mordicchia il labbro mentre i cavalli alle sue spalle, svegliati ormai dalle chiacchiere, nitriscono e qualcuno scalcia infastidito. « Gioco? » continua a fissarla facendo un passo indietro quando l'esorcista va a fissare a indicare il terreno con l'indice. Sgrana gli occhi quando la sente imprecare e sussulta come se l'avessero appena schiaffeggiata. Gli occhi le si fanno quasi lucidi, tira le labbra e si fa il segno della croce per cercare conforto nella religione, in questo momento ne sente dannatamente il bisogno. Non piange ma ci manca davvero poco perché vengano aperti i rubinetti.
« Dio, ti prego dammi la forza! » e lo fa calmando e fissando ancora una volta mentre ripete il Padre Nostro in latino. Sì, sembra surreale ma pare che per uno strano scherzo del destino Darcy si sia ritrovata ad essere dall'altra parte, la bestia diabolica proveniente dall'inferno. Nel frattempo nulla cambia, tutto sembra tremendamente reale, così sembrerebbe almeno. Il mattino è dietro l'angolo e proprio in quel momento, la porta della stalla si apre una seconda volta, fuori è possibile scorgere il cielo dorarsi all'orizzonte ma dentro vi è un nuovo personaggio di questa storia.
« Grace, hai preparato i cavalli? Il Barone è appena ripartito…» direbbe un uomo entrando rapidamente e richiudendo la porta. L'atteggiamento è di chi ha fretta di andare via. L'uomo presenta gli stessi colori di Grace, avrà una trentina d'anni, un accenno di barbetta bionda e capelli del medesimo colore raccolti in un codino con qualche ciocca che sfugge. Occhi azzurri, fisico prestante, indossa una camicia bianca, un paio di pantaloni e degli stivali di pelle nere e una lunga giacca abbottonata sul davanti, una sorta di doppiopetto. Sembra uscito anche lui da un film in costume storico, anzi, da una di quelle copertine dei romance che piacciono tanto alle donne. Non si rende conto della presenza di Darcy, perciò la prima cosa che fa è recuperare una borsa nascosta sotto della paglia. Solo adesso, mettendosela a tracolla e alzando lo sguardo in direzione di Grace, nota la giustizieria. Con il forcone in mano.
« Bloody Hell… che cosa sta succedendo qui? Chi è questa donna?» pare che l'uomo sia intenzionato a scoprirne di più mentre la donna misteriosa punta l'arma contro la bionda. Pare irrigidirsi ma vuole saperne di più, di certo non può perdere troppo tempo. « E lei, miss, metta subito già quell'arma… Ma non si vergogna a giocare in questo modo, attentando alla vita di mia sorella! » e nel mentre Grace continua a tremare, a fissare le punte di quel forcone che non sembra per nulla rassicurante.
« Siamo a York… Questa è la casa della contessa Haunteville » Grace osserva in doveroso silenzio e poi affilando lo sguardo su Darcy la fissa, come se la vedesse per la prima volta. Ruota il capo in direzione di suo fratello e qui si scambiano un altro sguardo ricco di significati.« E dobbiamo andare via…Venga con noi » il delirio in pratica.
« Ma che cosa dici, Grace, ma la vedi? Sarà scappata da qualche manicomio. Oppure sarà la moglie pazza di qualche nobile… » in pieno stile Jane Eyre insomma, comunque, Klaus non sembra avere alcuna intenzione di cambiare idea.
Grace scuote il capo con tutta se stessa, fissando adesso il forcone e ancora Darcy « Non capisci Klaus… Lei è apparsa qui… Io l'ho vista. Prima non c'era e poi c'era. So quello che ho visto e non sono pazza » si fa ancora il segno della croce e gli occhi appaiono ancora decisamente lucidi. Non c'è traccia di menzogna in quello che dice ma è chiaro la situazione è tesa per tutti quanti.
Klaus la fissa sgranando gli occhi ma sempre preoccupato per quello che potrebbe accadere, sembra impensabile quel raccolto ma deve farle abbassare quella dannata arma. « Cosa? » non sa bene che cosa dire a riguardo ma è chiaro che sia basito. Volge lo sguardo su Darcy e poi sui rumori esterni, presto si sveglieranno e sarà un casino. « Lascia andare mia sorella. Se devi prendertela con qualcuno fallo con me. Ora, non ci sto capendo nulla ma … Grace…. » e qui ancora si volge verso di lei « Devi andare » e poi ancora tornando indietro su Darcy « E anche lei… ».
✘Darcy Elmer
Fa freddo, eppure lei non lo percepisce. Piuttosto, si rende conto di star sudando, mentre rinforza la stretta sul forcone. Ma quando la povera Grace, sull’orlo delle lacrime, inizia a pregare in latino, invocando l’aiuto di Dio, in un impercettibile assottigliarsi dello sguardo della Giustiziera si potrebbe leggere un primo, lievissimo dubbio. Ma non ha tempo di elaborare il sospetto che sente la porta delle scuderie aprirsi. Entra qualcuno: un uomo.
Non abbandona la posizione di guardia e segue i movimenti dello sconosciuto, tenendo gli occhi spalancati e il respiro bloccato nel petto. Par attendersi chissà cosa ― quando, in realtà, prima sembra venir completamente ignorata; e in seguito, nel momento in cui il ragazzotto si accorge della scenata che sta avvenendo, si ritrova prima a far da bersaglio ad altre domande e quindi, per qualche secondo, diventa muta spettatrice del dialogo tra i due.
Le viene chiesto di abbassare il forcone. Ma non lo fa. Così come non è minimamente intenzionata a obbedire a quei ‘dobbiamo andare. Venga via con noi.’ Sente nominare un Barone, York, una certa contessa; e manicomi, nobili, mogli pazze... e poi accade tutto a una velocità impressionante.
Il cuore batte forte, ma l’adrenalina va in picchiata ed ecco che nella sua testa avviene una brusca frenata, al ritmo di ‘momento―momento―momento―momento.’ Scatta l’addizione: lei e la squadra erano sulle traccie di persone scomparse nel nulla; l’ultima cosa che ricorda di aver udito, all’apparizione della creatura, è stato un ticchettio, tale e quale al ticchettio delle lancette di un orologio; ed ora è lì, a fronteggiare due sconosciuto in abiti ‘storici’, che parlano e si atteggiano come personaggi di un romanzo ‘storico’. La primissima reazione è un secco no dettato dalla sua mente. Alza e abbassa il petto, più e più volte; respira rumorosamente, come dopo una corsa a perdifiato. Il freddo la colpisce, tutto insieme, all’improvviso. Lo sguardo saetta da Grace a Klaus. E da Kluas a Grace. Arretra: uno, due, tre passi. ‹ Oh, no... › esala, con un fil di voce. Deglutisce. ‹ No... no... no... › ... ‹ Non può essere... › Ma nel dirlo si rende perfettamente conto che, sì, potrebbe benissimo essere: potrebbe essere stata scaraventata indietro nel tempo. In un’epoca dove tutto ciò che conosce, tutti coloro che conosce, tutti colore che ama non ci sono più.
O meglio: non ci sono ancora.
Ed è come sentirsi crollare la terra sotto i piedi.
Le spalle vanno giù, le mani si abbassano, quasi il forcone fosse diventato pesantissimo. Ancora un passo indietro, con un leggero incespicare. Le manca l’aria. E a questo punto accade qualcosa di cui, in futuro, probabilmente si vergognerà moltissimo: le si offusca la vista, tanto che Grace e Klaus diventano due sagome sbiadite e fuori fuoco; l’incarnato scuro diventa cinereo; le viscere si ribaltano ed eccola cascare giù come un sacco di patate, stesa lungo un fianco. Ha avuto una sincope.
✘ Grace & Klaus.
I dubbi sorgono poco alla volta nella testa della giustiziera, possibile che questa illusione sia così ben fatta da andare a riprodurre delle perfette preghiere in latino? Con annesso segno della croce? E sembrerebbe abbastanza strano perché per quanto un diavolo posso essere forte non potrà mai pronunciare certe parole, non potrà mai liberarsi del verbo divino. Tra l'altro Grace sembra davvero convinta di quello che dice, nel suo modo di fare ci sta un'ingenuità che Darcy forse non ha mai visto da nessun'altra parte, è come se fosse ammantata dalla dolcezza, dalla bontà. Non si parla di santità ovviamente ma semplicemente di quello che la giustiziera potrebbe provare e leggere verso la domestica.
Klaus dal canto suo è interessato più che altro ad andare via e il semplice fatto che dedichi qualche attenzione all'esorcista, sta per via di quel forcone alzato come arma in direzione della sorella, fatto che lo turba e che lo manda in bestia. Qui avviene lo scambio di battute con la sorella e poi ancora verso Darcy, che continua a fare scena muta. Come se non si dovesse aspettare delle domande insomma.
« Ma da dove l’hai raccattata, Grace? Lasciala qui e andiamo via… » e facendo questo si frapporrebbe per un istante tra il forcone e sua sorella. Di certo non ha intenzione di farsi infilzare ma alza le mani verso di lei, verso Darcy, come a tenerla a debita distanza, un po’ come se qualcuno puntasse loro una pistola contro, solo che qui sta l’arnese da campagnolo. Alcune ciocche bionde scivolano in avanti, sfiorano il mento del giovane uomo e in maniera del tutto temeraria, si fa da scudo per proteggere l’unico parente che la tubercolosi non ha spazzato via.
« Fratello, non vedi che è confusa? Non sa dove sta! » è Grace a ripeterlo a voce alta, nascondendosi dietro la schiena di Klaus, il fratello la supera di una testa mentre lei risulta bassa e con un fisico morbido, ben diverso rispetto a quello del fratello maggiore, alto e ben piazzato.
Entrambi si voltano in direzione dell’esorcista quando la sentono farfugliare da sola, in preda a chissà quali deliri. « Ha le visioni! Parla da sola! Andiamocene… » cerca di tirare via sua sorella proprio nel momento di debolezza della donna, ovvero quando abbassa il forcone, non ha alcuna intenzione di perdere altro tempo con donne pazze scappate da chissà quale ospedale psichiatrico. Grace dal canto suo si trattiene, oppone resistenza a quella forza, come meglio può e questo è l’ultima cosa che Darcy può vedere, i due che discutono e le luci che poco alla volta si affievoliscono.
Non sa quanto tempo è passato dal suo svenimento, generalmente quel tipo di eventi durano pochi attimi o minuti, dipende dalla situazione e dal soggetto, fatto sta che la prima cosa che la donna sente al suo riprendere i sensi è un forte oscillare, come se venisse condotta altrove da qualcosa di piuttosto scomodo. I primi odori sono quelli della neve e della natura selvaggia, aria pulita ma taglia la pelle per via del vento che scende copiose durante il tragitto. Poi si aggiunge un rumore che non subito può mettere a fuoco ma ricorda quello di un cavallo al galoppo. Due cavalli al galoppo, conterà così con quella lucidità che riaffiora lentamente. Basta cominciare ad aprire gli occhi per capire di trovarsi in mezzo ad una strada di campagna, ad un buon metro e mezzo da terra, altezza dal garrese almeno. Darcy può vedere affianco a sé un cavallo bianco, bellissimo cavalcato proprio da Grace che lo muove con una grazia e abilità che non ci si può aspettare da una serva. Sbatterà di nuovo gli occhi per rendersi finalmente conto che sta sopra un cavallo nero che non è guidato da lei. Si ritrova appoggiata, una gamba per parte, la criniera le accarezza il volto ma è chiaro che qualcuno dietro di lei stia dirigendo l’equino verso una meta sconosciuta. Potrà vedere due braccia maschili e delle mani stringere le briglie davanti a sé.
« Si sta svegliando… » è la voce di Grace che la osserva dal cavallo mentre tutto intorno il mattino sta esplodendo in tutta la sua forza, fa freddo ma il cielo è terso, così chiaro da sembrare quasi bianco. E’ pieno inverno a York. La stradina si sta allargando del tutto e pare superare un grosso cancello nero che poi conduce lungo un grosso viale alberato. Ettari di terreno si stendono e sarebbe difficile capire dove ci si trovi con tutta quella neve e Darcy ancora non ha elementi sufficienti per intuire lo strano gioco del destino che l’ha vista proiettarsi proprio in quel determinato periodo storico. Avrà tutto il tempo per guardarsi intorno ed eventualmente fare domanda ai due fratelli ma sul finire, quando ormai avranno raggiunto il cortile dell’enorme magione, potrà rendersi conto di aver già visto quel luogo. E quella visione non appartiene ad un quadro, ad una foto, o ad un libro, è un posto che ha visitato lei stessa di persona, non troppo tempo fa. Certo la casa appare piuttosto diversa, con elementi architettonici un po’ differenti, sintomo che nel corso degli anni è stato modificata ma il succo è sempre quello. La saprebbe riconoscere fra mille altre case, fra mille altri luoghi. Quella è casa di Demien. Quella è la Tenuta Redwood.
Force ci aspettiamo una seconda sincope a questo punto della storia.
✘Darcy Elmer.
Buio totale. La percezione del tempo si annulla. Ma appena il sangue torna al cervello, il freddo pungente e affilato è la primissima cosa che il corpo percepisce. Immediatamente, segue la sensazione di essere in movimento; ed un movimento ritmico, sempre uguale, un rapito su e giù scandito da un susseguirsi di tonfi brevi e secchi. Darcy solleva dolorosamente le palpebre e Klaus può avvertirla rianimarsi tra le braccia: da inerme bambola di carne a corpo vivo e vegeto che geme e mugugna, a labbra serrate, nello sforzo di raccapezzarsi. Ha capito di essere ad arcioni su di un qualche grossa bestia a quattro zampe, mentre rizza la schiena e poi abbandona il capo all’indietro, trovando il supporto della spalla dell’uomo, del quale riconosce il mento e il profilo. Le mani hanno avuto uno scatto immediato, andando ad arpionarsi all’avambraccio di Klaus. Ma si è mossa solo per istintivo timore di scivolare giù dal cavallo. Non si agita. Non si ribella. Non tira gomitate, né testate all’indietro. Si sente troppo sfibrata per riprendere a fare la pazza. Difatti, avrà pure ripreso coscienza, ma non colore. L’incarnato, pur naturalmente scuro, è ben lontano dal far pensare a qualcuno in piena salute e al massimo dell’energia.
‹ Où on est? Où on va? › mormora, con un filo di voce. Il bianco accecante del cielo d’inverno, e il candore assoluto delle neve che ammanta la campagna, le danno il mal di capo, acuendo la sensazione di essere senza punti di riferimento. La sola cosa certa è che non si trova più in una scuderia. Ruota il capo e la figura di Grace, anche lei in sella a un cavallo, entra nel suo campo visivo. ‹ Où m'emmenez-vous? › ... ‹ Et qui êtes-vous? › Non si rende conto di star parlando in francese, mentre trema per il freddo, che morde fin dentro le ossa.
Nel contempo, però, la doppia fila di alberi l’ha aiutata a capire che quel che stanno percorrendo deve essere una strada. O un vialone. E adesso, in fondo al viale, vede farsi sempre più vicina una magione. Il maestoso edificio, inevitabilmente, cattura per intero il suo sguardo e la sua attenzione. Piano, poco alla volta, man a mano che si avvicinano, un’espressione di terrorizzata realizzazione si dipinge sul volto della donna. Gli occhi si aprono, le sopracciglia si alzano, le labbra serrate sfumano verso il grigio. ‹ ... › Venire a patti con il concetto di trovarsi fisicamente in un altro tempo le risulta di una difficoltà insuperabile. È la cosa più straniante che le sia mai capitata; e dire che le assurdità sono il suo pane quotidiano. Parte di lei si ostina ad aggrapparsi, con le unghie e con i denti, al diniego assoluto; e un’altra parte di lei, invece, le urla all’orecchio che non esistono dubbi: quella laggiù è la casa d’infanzia di Demien, e dimora degli antenati di lui. E se ogni suo singolo senso ― la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto ― percepiscono il mondo come assolutamente veritiero, se il freddo è reale, se la neve è reale, se la casa è reale, se quell’uomo e quella donna sono reali, dunque anche la conclusione alla quale è giunta, poco prima di perdere i sensi, deve essere reale.
Lei è nello Yorkshire. È sulla soglia della magione dei Redwood. E non è nel ventunesimo secolo.
Non sviene, no. Però, rantola. E chiede: ‹ Ehi... ehi... è... è un problema, per voi due, se adesso mi metto a urlare al vuoto? › Incredula, al limite del traumatizzata e intirizzita dal freddo, ma almeno può dire di non aver perso il sarcasmo.
✘Grace&Klaus.
Il buio totale accoglie Darcy, un sonno che è comunque ristoratore perché il viaggio nel tempo l'ha comunque stancata suo modo, come se avesse percorso miglia e miglia a piedi per chissà quanto tempo. Per cui, quando riapre gli occhi non può far altro che rendersi conto, che almeno un minimo, le energie le sono tornate. Klaus la tiene incastrata tra il suo corpo e la criniera del cavallo, senza contare che non le stacca mai gli occhi di dosso, alterna lo sguardo tra lei e la strada, per il timore che possa scivolare lateralmente facendosi male. Persino il trotto non è al massimo, è ben calibrato seppur non lento perché pare proprio che i due fratelli fossero proprio di fretta. Farebbe una piccola pausa, mentre percepisce i primi movimenti da parte del corpo della giustiziera, i fratelli si guardano ma nessuno le rivolge la parole almeno fino a quando non è la stessa esorcista a farlo per prima, a farfugliare in francese.
« Chez soi… » è la voce di Grace a risponderle ancora una volta, rimanendo in silenzio subito dopo. “A casa”. è quello che ha detto, ma casa di chi? Probabilmente diretti verso casa dei due fratelli anche se per adesso Darcy non ha ancora abbastanza elementi per comprendere in pieno dove sia finita. Dal canto suo invece, la fanciulla le sorride come per rassicurarla. E’ gentile dopotutto e se non fosse stata per lei, Klaus sicuramente non si sarebbe mosso per aiutarla. Non perché sia un uomo egoista, ma perché i suoi doveri gli imponevano di far in fretta di muoversi e di andar via. Non avevano tempo da perdere.
« A casa ne parleremo con calma. Appena starai meglio » le risponde inglese di nuovo mentre Klaus sembra tenerla ancora più stretta visto cosa sta farfugliando mentre affianco a lei, il colorito della sua pelle appariva ancora più chiaro. Lo nota, quel contrasto e quei tratti misti che non è piuttosto raro vedere in quella zona. Tutto pare sbiancare a York, il colorito delle persone. Lei si agganci per bene all'uomo, e lui di certo non si tira indietro ma rimane muto per tutto il tempo almeno fino a quando, superando il cancello e iniziando a solcare il lungo viale tira un sospiro di sollievo. Rilassa il corpo e persino il buonumore pare essere tornato nel suo volto maturo.
« Finalmente casa.. » sorride in direzione della sorella mentre poco dopo, Klaus, una volta sceso, aiuterà Darcy a farlo, poggiando le mani sulla vita e facendola scendere con facilità. Stessa cosa farà con sua sorella, al quale porge una mano. Il biondino volge l'attenzione proprio sulla straniera perché dal canto suo trova la sua ironia quanto mai strada. Per lui è appartiene ancora alla casta dei pazzi e l'atteggiamento di certo non aiuta. Grace invece è più mite, e punta più sull'idea che Darcy abbia attraversato un brutto momento e che debba solamente riprendersi. Quindi apparterebbe ad una categoria non di pazzi ma di spossati almeno. « Cortesemente, potrebbe evitare di urlare? » è la voce docile di Grace a rivolgersi a lei. « Sveglierete i bambini » sorride come per farle capire che non sarebbe fuori luogo, l'ironia non pare essere stata colta. Subito dopo uno stalliere si avvicina a loro per recuperare i cavalli e per portarli nelle scuderie mentre quella che sembrerebbe una signora in carne e ben vestita di avvicina a loro con passo spedito e preoccupato. E’ una donna sulla sessantina, fianchi larghi e naso aquilino. Occhi azzurri e capelli raccolti in un chignon, assomiglia vagamente alla regina Victoria in una di quelle foto antiche ma chiaramente non è lei. Fissa Darcy per un momento, sistemandosi gli occhialini sul setto nasale e sbattendo le palpebre lentamente.
« E lei chi sarebbe di grazia? » lo dice in un accento stretto, marcato, con quella cadenza tipica di Demien, tutto le fa venire nostalgia è come se si parlasse di lui benché lui non sia presente. Non era ancora nato. Solo per quello.
E Grace ad intervenire affiancandosi. « Lei è nostra ospite, Betty. Starà da noi per qualche tempo » sospira appena mentre Klaus si dirige direttamente dentro casa lasciando alle donne tutta quella faccenda, ha decisamente bisogno di riposare. Betty si ritrova a fissare ancora Darcy, studiandola come se si trattasse di un'aliena ma spostando poi l'attenzione verso Grace.
« Ma il Barone è al corrente di questo? » chiederebbe puntando gli occhi ancora sull'ospite inatteso.
« Ci penso io a parlare con Thomas. Starà riposando adesso immagino… » del resto, lei stessa è piuttosto stanca ma si riposerà nel pomeriggio, adesso non può di certo lasciare la giovane donna da sola, non in quello stato. Per cui, deve anche essere la prima a parlare con il padron di casa « Piuttosto, Betty, avvisami appena lui si sveglia e potresti preparare la vecchia camera di Emily? Per la nostra ospite » .
La governante dal canto suo annuisce facendo una sorta di inchino. « Come desiderate, signorina! » e detto questo facendo un'altra riverenza, scompare oltre l'uscio.
Finalmente sono da sole. « Qui fa piuttosto freddo e credo che sarebbe bene parlare un po’ nei miei alloggi… Miss? » la guarda « Non conosco il vostro nome ora che ci penso. Ma su entriamo. Non vorrete morire congelata. » le viene indicata la porta principale e da qui entreranno se Darcy vorrà. La stessa porta che ha varcato un anno prima quando si trovava in visita a York. L'interno è maestoso, bellissimo, tirato a lucido e arredato con le mobilie che ti potresti aspettare in quel periodo. Vi è un via e vai di serve che sistemano tutto e che guardano Darcy con curiosità, alcune si scambiano occhiate complici altre spettegolano. Ed è qui che si dirigono verso un piccolo salottino piuttosto intimo dove il caminetto risulta del tutto acceso da qualche tempo. La sala risulta più calda e accogliente. « Moira, potresti preparare due tazze di tè caldo. E porta anche dei biscotti al burro » poi ruota in direzione di Darcy « Le piacciono i biscotti al burro? » e andrebbe a sedersi su una delle poltroncine, indicando la gemella davanti al caminetto. Si siede con grazia e osserva la straniera con una nota di eccitazione nel suo sguardo. La domestica annuisce e si allontana per andare ad eseguire il compito.
✘Darcy Elmer.
Sente pronunciare per ben tre volte la parola casa. Dunque, i fratelli ‘sono di casa’ alla tenuta Redwood; e qui si fermano le capacità deduttive della nostra canadese. Non apre più bocca e seguita a sbattere le palpebre, a un ritmo inusuale, sopra gli occhi spalancati. Le scure sopracciglia, cementate in un cipiglio rivolto verso l’alto, danno al suo volto un’espressione stralunata. Non fiata neppure quando Klaus tira le redini. Lei si lascia tirar giù, appoggiando le mani sulle spalle dell’uomo, e appena gli stivaletti toccano il terreno innevato, la Giustiziera si fa da parte, porta le braccia al petto e le mani a serrarsi sui gomiti, mentre lo sguardo sale ad abbracciare l’imponente facciata della magione, che si staglia sopra di loro, contro il cielo bianco. Morde con violenza il labbro. Nella confusione imperante avverte qualcosa di simile a un nodo alla gola. D’istinto, come a voler tenere a bada il groppo, porta la mancina alla base del collo... ed è adesso che si rende conto di indossare il ciondolo che le consegnò Demien, prima di partire per la ricognizione al Richmond Park. Sente il ciondolo sotto i polpastrelli gelati. Abbassa gli occhi. Lo guarda e lo studia, tenendolo tra pollice e indice.
Ma intanto arriva un uomo, l’ennesimo sconosciuto, che conduce via i cavalli. E arriva una pingue signora. Che fa domande. Si parla ancora di un Barone. Poi, dei nomi: Betty, Thomas, Emily. In quanto alla governante, fa bene a scrutare la nuova giunta come se avesse davanti un’aliena: la Giustiziera resta muta come mummia, rigida come una colonna, con i capelli sciolti e scarmigliati come li sfoggiano solo le prostitute e lo sguardo fisso di un animaletto selvatico.
Rimasta a tu per tu con Grace, quando la ragazza la invita a presentarsi, lei non parla. Ma quando la invita a entrare, si degna di muovere il capo: un secco segno di assenso. E la segue, a tre passi di distanza. Oltrepassare la soglia della magione è deja-vù. È come camminare all’interno di un proprio ricordo. È tutto simile eppure diverso. Mentre attraversano l’atrio non c’è da stupirsi se la servitù le rifila qualche occhiata insistente: è infagottata in un abito da gran dama ma è lei resta una donna del duemila, per giunta dalle movenze tutt’altro che signorili. Introdotta nel salottino, da principio rimane sulla soglia: il posto è bello, caldo e accogliente eppure lei lo scruta come se si trovasse sull’orlo di un burrone. Fa un passetto in avanti. Va verso la poltrona, seguita dal fruscio del vestito. Incespica. Porta una mano alla spalliera. E, alla fine, flette le gambe, sotto tutti quegli inutili strati di stoffa, per mettersi seduta: schiena rigida e sguardo basso. Affonda le dita nelle pieghe della gonna. Inspira. Espira. Biscotti al burro? sente chiedere. E la sua risposta si limita a un fiacco e distratto cenno di sì con il mento.
Inspira, di nuovo. Una mano va a stringersi sul ciondolo ― unica tangibile connessione con il suo presente ― come un fedele si aggrapperebbe a un crocefisso. I suoi metodi di default ― agitarsi e minacciare ― non sono risultati particolarmente utili. Anzi. E allora si domanda come agirebbe Demien: qui, tutto le fa pensare a lui. Immagina che il Necromante non si getterebbe a capofitto nella spasmodica ricerca di una soluzione senza prima aver studiato il problema, al completo, e da ogni angolazione. E per raggiungere il quadro completo, Demien probabilmente riunirebbe pian piano, con diligenza, calma e attenzione tutti i tasselli, come con quel vecchio puzzle d’infanzia che risolsero assieme, in quella stessa villa. Nel futuro.
‹ Io... mi dispiace. Per prima. Col forcone › principia, a voce bassa, ma scandendo per bene le parole. Alza lo sguardo. Deve affrontare un problema alla volta. ‹ Non volevo spaventare nessuno. › ... ‹ Non sono pazza. Io... io mi sono persa, ecco. Credo. › Il che è vero: è persa ― nello spazio e nel tempo. Non intende mentire, perché sa che le sue bugie hanno sempre le gambe corte. Ma non può nemmeno dichiarare senza mezzi termini di essere arrivata lì da un’altra epoca storica. O è la volta buona che la mandano a Bedlam. Dunque, non le resta che ripiegare sul consolidato trucco: tenere fuori dalla verità i dettagli scomodi. Umetta le labbra e prende coraggio: ‹ Mi chiamo Kat―› ... ‹ Catherine. › Opta per anglicizzare il nome Mohawk e scarta il primo: troppo moderno, troppo anacronistico, troppo sospetto. ‹ Catherine Elmer. Sono una Québécoise. Sono nata nei territori della Confederazione del Canada. Mi sono trasferita a Londra due anni fa. E... › Morde l’interno del labbro e aggrotta la fronte. Infine, confessa: ‹ E non ricordo come e quando sono arrivata qui. So soltanto di essere nello Yorkshire. Vicino alla città di York. Ma come sono finita in quella scuderia ― io davvero non lo so. › Inghiotte. ‹ In effetti, c’è più di una cosa che non so più. Sembrerà strano... e inquietante... ma io non so in che anno siamo. Non so nemmeno che giorno sia. ›
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darcyelmxr · 9 years
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ᴡʜᴀᴛ ᴀʀᴇ ʏᴏᴜ ᴡᴀɪᴛɪɴɢ ғᴏʀ? ᴡʜᴀᴛ ᴀʀᴇ ʏᴏᴜ ғɪɢʜᴛɪɴɢ ғᴏʀ? You live your life you go day by day like nothing can go wrong. Then scars are made, they're changing the game. You learn to play it hard.
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darcyelmxr · 9 years
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Dᴇᴍɪᴇɴ & Dᴀʀᴄʏ ( x ) the road so far
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darcyelmxr · 9 years
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Lo so che dovremo combattere. Sempre e comunque, a prescindere da dove siamo. Ma mi piacerebbe, un giorno, farlo alla luce del sole senza nascondere ciò che siamo. Qualsiasi scelta faremo, che sia star qui o scappare in Alaska a pescare pesci grossi… Sarà fatta, insieme… Non ti forzerò mai a far nulla. Non ti metterò mai di fronte a una scelta obbligata. A me importa solo stare con te. Il resto… la casa, andar via, me stesso, non ha senso se non lo condivido con te. E’ tutto di contorno. Perciò, se nel frattempo sogniamo un po’, credo che possa solo alleggerire ciò che c'è fuori.
D. R. ; 23 ▪ 10
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darcyelmxr · 9 years
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Come puoi ancora non capirlo dopo tutto questo tempo? Questa auto-ossessione è uno spreco di vita! Che si può dedicare a tutto ciò che rimane. Ad ammirare la natura, coltivare la gentilezza, l'amicizia e l’amore.
Rose Evans Redwood - Last words, 05 ▪ 10
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darcyelmxr · 9 years
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― 「 notting hill ; 22.08.2015 」
DEMIEN se ne rimane in silenzio per alcuni attimi mentre osserva la sagoma di Darcy, semi raggomitolata. Affonda gli incisivi nel labbro inferiore per qualche istante, lo tira all’indientro e poco dopo tira un altro respiro, più pesante che va a riempire tutto il silenzio di quella stanza. Sa bene l’effetto che può provocare un po’ di alcool in colpo, lui stesso, lo usava come valvola di sfogo ai tempi del liceo. Ricorda le brutte parole che diceva, o gli atti che faceva, ed erano sempre danni, sempre mirati a ferire qualcuno, o a ferire se stesso. Quindi, comprende alla perfezione la situazione «Non sono qui per farti la ramanzina ma solo per sapere come stai» snuda questa parola di getto, mentre avanza per imporsi davanti alla sua figura. Non la vuole vedere piangere. Certe scene di sovrappongono a molte altre, ma a differenza, questa volta, non è nulla di irrecuperabile. Nulla di incurabile. Nulla che possa essere definitivo. E’ una nota stonata in un grosso libro che stanno scrivendo. Vede tutto questo sotto questa ottica. Ed è un sollievo sapere che non sia nulla che non possa essere non sistemato. Darcy è li davanti a lui, viva, in salute. Questa realtà, è qualcosa che lo sconvolge nel più intimo del suo essere. Può aiutarla, può ascoltarla fino all’alba, può fare tante cose e vuole farle per farle tornare quel dannato sorriso sulle labbra. Si inchina, si inginocchia in pratica in modo che lei non debba sforzare tanto per osservarlo. Prima un ginocchio, poi l’altro contro il pavimento «Non sei brava a stare in mezzo alla gente…con un bicchiere di vino rosso in mano» corregge lui, aggiungendo poco alla volta quelle parole « Almeno, non hai lanciato i piatti contro la parete. Conosco gente che la regge peggio di te» lo dice tirando un sorriso laterale, velato da una leggera ironia. Cerca un po’ di alleggerire il tono della discussione, vertendo su qualcosa che gli riesce far meglio. Qualche humor inglese « Sono inglese al cento per cento, ma a me piace questa tua diversità…» riferendosi sempre al fatto dell’essere inglese e di ciò che è stato detto a pranzo. Non sa bene se si trovi davvero bene in questo posto, lei ovviamente «Il colore della pelle, gli insulti indiani che mi rifili anche se dici che non lo sono.. e tutto il resto, non cambierei nulla di te» esala queste parole con un velato imbarazzo, perché lui certe cose non le dice mai, e se le dice è perché c’è motivo mirato e sicuramente, si basano sui suoi pensieri velati «Non sai fare soltanto il soldato. Con me ti sei dimostrata soprattutto un’amica. E ti ricordo, che non ti sei presentata a me come soldato, perciò… Io so soltanto cucinare qualche cosa, e conosco un po’ di lettere antiche. Ma prova a mettermi a fare due flessioni, e poi mi prenderai in giro da qui alla notte dei tempi. Sarebbe noioso essere tutti uguali. Fatti tutti a stampino»ribadisce questo concetto e poi ancora la fissa. Poggia le braccia sul bordo del letto, incastrandola quella ma indeciso se muovere o meno le mani «Ti dico, la verità, non ho capito nulla della cena. Ne conosco le vostre dinamiche o se mi sono ritrovato nel mezzo di uno strangolo amoroso… Me escluso ovviamente…» perché è quello che lui ha capito, o meglio l’idea che si sia fatto è proprio quella che, in un modo o nell’altro, Sheila e Darcy, abbiamo un “interessamento” per Abel «Sheila è intelligente. E’ tua amica e ci tiene a te. Capirà. Non è nulla di irreparabile. Basta che lasci passare almeno qualche ora. Fai sparire l’effetto del vino, fai una doccia, riposati e solo quando sarai più tranquilla e lucida, affrontala e chiarisci» ecco, ha espresso il concetto alla bene e meglio.
DARCY, scoperto il viso e abbassate le braccia, rimane con lo sguardo basso. Tuttavia, quando sente la battuta sul lancio di piatti, per un motivo o per un altro, le scappa un sorriso. Sembra una reazione istintiva: stira le labbra, ispira e muove le spalle in un guizzo a mala pena percepibile. Le sfugge anche gemito. Un versetto trattenuto in bocca, tra il divertito e il rassegnato. Poi, il sorriso si richiude in sé stesso e sparisce. Il bibliotecario continua parlare. Lei continua a tenere gli occhi bassi e le mani corrono a nascondersi tra le ginocchia. Nel complesso, a guardarla da fuori, somiglia molto di più a una liceale in preda all'ennesimo squilibrio adolescenziale che alla quasi trentenne ammazza-mostri che tutti conosciamo. Per tacere di quanto sia diversa la Darcy davanti a Demien, in questa camera, dalla Darcy della casa abbandonata. Un diverso punto di vista, sul suo carattere, che potrebbe tenere testa a qualsiasi altro mascheramento. « Non ti ho mai insultato. » L'unica cosa che sembra voler far presente, mentre ascolta il Sensitivo. Le sue parole si perdono sotto quelle di lui. Sono solo un sussurro, niente di più. Se quanto lui le sta dicendo, da un lato, fa da balsamo al malumore attuale, dall'altro è un terribile rigirare il dito nella piaga. Più lui è gentile, più a lei costa fatica evitare di ritrovarsi a pensare a Demien in termini fuori luogo. Pur annebbiata com'è dall'alcol, conserva quel minimo sindacale di furbizia necessaria a non incrociare proprio adesso lo sguardo dell'uomo, per scongiurare il rischio che lui possa leggerci dentro qualcosa. Solo quando sente le parole «triangolo amoroso» alza lo sguardo. Anzi, alza tutta la testa. Di scatto. Sbatacchia le palpebre, con l'aria di chi casca dalla nuvole. « Ma che―? No... » esala. « No. Non c'è nessun triangolo » Scuote la testa. Inghiotte. Allunga la mano destra per cercare l'avambraccio del bibliotecario, che ha steso entrambe le mani in avanti, e andrebbe a stringerci delicatamente le dita scure. « Duncan è... » Una lunga pausa. Espira dal naso. Demien sentirà la presa sul braccio farsi più pressante. Per un attimo. Come a sfogare una scarica di nervosismo. « Un falso. » Ecco. Due parole, pronunciate con il tono tagliante di una condanna. Non aggiunge altro. Allenta la presa sul braccio, ma non interrompe il contatto. Annuisce, debolmente, dopo gli ultimo consigli di lui. E, a questo punto, buona parte degli sforzi di pochi attimi prima per evitare rischi di sorta va bellamente a farsi benedire. Demien si è inginocchiato. Si è avvicinato.La donna fa risalire la mano dall'avambraccio fino al gomito. Poi, più su, a carezzare la stoffa sul braccio e raggiungere la spalla. Il movimento è piuttosto lento, ma si trasforma in qualcosa di più irruento quando la mano sale verso il collo, l'altro braccio viene gettato oltre l'altra spalla di lui e lei ( t e n t a ) di abbracciarlo, scivolando un poco in avanti sul materasso, nascondendo parte del volto nell'incavo del collo dell'uomo. Il tutto, senza dire una parola.
«Lo so» DEMIEN fa una piccola pausa mentre l’ascolta, anzi mentre scandisce quell’unica frase leggera che scende lungo il suo orecchio. Rimane immobile per qualche momento mentre una fiume di pensieri correnti fluisce dentro la sua testa. Leggeri lampi che attraversano i suoi sguardi «In vino veritas» dice a labbra strette, una delle massime che ha sempre condiviso. «che cosa non rivela l'ebbrezza? Essa mostra le cose nascoste» ed è dannatamente vero. Anche se, dire certe cose, private, quando si è in preda all’alcool, non è il massimo anche perché potrebbe accadere davvero di tutto. Fare danni. Si sa, sicuro una parola detta in un certo modo, può far molto più male di un pugno. Rimane indelebile nella memoria. Parla di triangolo amoroso perché è quello che ha recepito lui. La reazione di Darcy all’avvicinamento di Abel e Sheila, l’ha valutato un po’ come un atto di pura gelosia femminile. Ovvio, che non sapendo il tipo di rapporto che vi sia tra loro, che sono colleghi etc etc, si basa su ciò che vede sul momento. E’ facile fraintendere, del resto di certe cose non hanno mai parlato. Se non rare volte «Vista la faccia che hai fatto… Ho solo pensato che…» dice sempre osservandola finalmente in faccia, dato che per tutto il tempo lei ha mantenuto lo sguardo basso « Fossi gelosa» dichiara con estrema calma e proprietà lessicale. Si sente toccare appena, quanto basta per catturare ancora maggiormente la sua attenzione. Nota il cambio rapito di espressione ma non commenta. Lascia che lei parli come sempre, e valuta in silenzio. Non conosce Abel, quindi non si permette di affermare o di rinnegare ciò che è stato detto dall’esorcista. Non si permette, non si prende la libertà di giudicare dato che non sa nulla di lui. Se lei dice così avrà i suoi motivi, di questo ne è certo «Perché sarebbe un falso?» chiede, anche se forse non servirebbe a nulla quella domanda, ma lui tira qualche domanda, giusto per farla parlare nel caso volesse farlo. Altrimenti, se non dovesse rispondere, andrebbe bene lo stesso. Vuole solo sciogliere qualche nodo. Per cui adesso si ritrova in ginocchio, davanti, a lei, per poterla osservare con maggiore chiarezza. Come sempre, non capisce certe cose. Viene colto un po’ alla sprovvista, tanto che il corpo si irrigidisce per un due secondi. Per un momento ha temuto che volesse dargli una craniata e che magari avesse detto qualcosa di insensato. Per cui, dopo si fa largo la sorpresa ma non si tira indietro, l’accoglie tra le sue braccia. Le fa un po’ da scudo, permettendole di usufruire di quel corpo come meglio crede. Si fa plasmare, e solo quando si sarà ancorata per bene a lui, sarà Demien e a muovere le braccia, per stringerle intorno alla vita sottile della fanciulla. I muscoli si rilassano, e una mano va ad agguantare la nuca di Darcy per accarezzarla, intrecciando dita nodose a ciocche color del cioccolato. Lui ha addosso un buon odore di muschio, un profumo sottile che viene emanato dal collo. Punto in cui il getto del profumo avrà preso possesso del lembo di pelle. Le accarezza ancora la nuca, l’altra mano la schiena, un tocco gentile. Delicato come se temesse di osare troppo. Fa un po’ strano. L’ultima donna che ha abbracciato è stata sua moglie, quando era in vita, e adesso, a distanza di più di tre anni, il profumo di Darcy va a coprire tutto quanto, anche ad offuscare quello che, un tempo, ha primeggiato su tutte le altre. Rimarrà così fino a quando Darcy ne avrà bisogno (...)
DARCY s'è chiusa in quel silenzio. Voce e mente sono ottenebrate dal vino e dal tumulto interiore che la bevanda, assieme alla vicinanza del corpo dell'uomo, non fanno che acuire. Né l'accusa di essere gelosa né la domanda sul perché lei abbia appena definito Duncan «falso» ricevono smentite o risposte. Ha tracciato con lo sguardo lo stesso percorso della propria mano, sul braccio di Demien, evitando così di guardarlo in volto. L'avesse fatto, probabilmente, avrebbe subito arrestato il gesto. E, invece, no. Si è gettata in avanti, e il suo abbraccio non è stato respinto. Chiude le palpebre e preme il petto contro il torace di Demien. La mano dalla spalla scivola verso il retro del collo di lui, l'altra arpiona le dita scura e sottile alla stoffa della maglia. Immobile. Respira piano. E respira l'odore della pelle dell'uomo, ricordando cosa significa sentire il il calore di un altro corpo umano a contatto con il proprio. È da tanto, tanto tempo che non si concede il lusso di un abbraccio e il supporto di un altro paio di braccia. Gli ultimi abbracci, gli ultimi gesti di affettuosa fisicità, deve averli ricevuto oltreoceano e ben prima di entrare nell'ordine. Da allora, l'unico contatto fisico mai avuto con gli altri è stata la lotta. L'odore di lei, o almeno quello dei suoi capelli corvini, è qualcosa di fruttato. È il profumo delicato e pulito dei prodotti per capelli. Anche se, in giro, dev'esserci ancora anche l'odore del vino francese. Dopo una manciata di secondi, proprio tra i vapori dell'alcol risorge una voce. Un allarme e un rimprovero. Un «ma che sta facendo?» urlato nella sua testa. La donna riapre gli occhi, ma tenta di farsi indietro con dolcezza, giusto per non rischiare pure la nomea di bipolare, che un attimo prima cerca un abbraccio e l'attimo dopo si ritrae come un animale inselvatichito. Quindi, piano, rilascia la presa sulla maglia e allontana la mano dal collo dell'uomo e sfila via dalle sue braccia sicura di non incontrare resistenza. « Scusa » mormora. La stessa parola che gli ha rivolto all'inizio. « Comunque - non sono gelosa di Duncan. Non potrei mai esserlo » assicura, sempre in un soffio basso e roco. Sul perché non potrebbe mai esserlo non si pronuncia. Sguardo basso, anche mentre si leva in piedi. « Torniamo di là. Il minimo che posso fare, dopo aver mandato all'aria il pranzo, è far trovare a Sheila la cucina in ordine. »
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