La poesia non è serva di nessuno. Semmai la compagna, talvolta infedele, di chi se la porta per mano attraverso i giorni come una bambina. Bizzosa, ribelle, pronta sempre a mollarti un calcio negli stinchi quando la tua poetica non da il giusto ritmo a questa passeggiata, a quest’andirivieni nella bellezza ingovernabile e sempre possibile che è il proprio divenire. Per questo, nel mio affetto per lei che dico così malamente, spesso mi tira forte per il braccio, invitandomi a ridere ad ogni mio maldestro tentativo di rimanere stabile in questa continua burrasca di stelle e di fango, e mi esorta alacremente spingendomi a rincorrere con gioia anche l’impossibile.
Devi far sedere la tua anima e farla concentrare sulla Vigna per più di trenta secondi, il tempo che ti ruba un Reel inutile su i cosiddetti “Social”. Questo perché la tua anima ha bisogno di far sedimentare quello che i sensi le fanno percepire. È un esercizio che certi monaci o esseri spirituali chiamano “meditazione” ma che è semplicemente dare valore al tuo tempo. Ecco, ad esempio, la Vigna, se tu la guardi semplicemente è un filare continuo e ripetuto di piante della vite. Questa constatazione però non è degna di te che sei, o dovresti essere, un essere vivente, un’anima pensante in un corpo recettivo.
Usa gli occhi.
Vedi l’azzurro del mare ed il crepuscolo che si avvicina, il cielo perdere forza e dare alle foglie delle viti un colore intenso ed intimo non quello splendente e forte che hanno durante il giorno. Vedi le nuvole, li ad occidente, arrossare ed illuminarsi sempre più intensamente, coperte dall’ondeggiare delle chiome ad ombrello degli antichi pini. Sono gli attimi che portano i ricordi ed in cui la memoria distilla il giorno preparando attori e sceneggiature per i prossimi sogni.
Ora ascoltiamo il mondo.
Il vento, instancabile maratoneta, sale dal mare o scende precipitoso verso di esso, facendo frusciare le foglie e portandoti la discussione paesana che le Ciaule hanno nel cielo, chiamandosi e rispondendosi fin quando il grido infinito di un Cacciavento, non le zittisce e le porta a nascondersi su rami o sui fili della luce. Aspettano composti che il rapace torni verso l’alto monte, tra gli aerei abissi da dove domina il mondo. Senti le voci della spiaggia, il vociare dei bambini, il metallico e ritmico correre di un treno, il suono della corriera, lo scoppiettio dei motorini. Il suono è parte dell’uomo, per questo le viti in silenzio, ascoltano curiose, scrivendo nei loro acini, le canzoni della gioia per quando sarà festa o per quando vi saranno dolori da combattere. La Vigna vive di santa eternità e prova ne è l’amore che dona agli uomini.
Ora i profumi.
Profumo di resina dei pini, intenso, liberatorio, quasi una medicina miracolosa. L’odore del vento, odore umido del mare, odore secco del monte, fatto di cardi arsi e di ulivi eterni. Odori caldi d’estate ed odori secchi e taglienti d’inverno che la vigna percepisce e di cui nutre i suoi grappoli, custodendo il sapore della terra nel loro sangue e trasformandolo con il sole in zucchero ed ebrezza perché la Vigna è la magia della natura, il cantastorie delle stagioni. I suoi filari si allungano a vivere nel sole, le sue radici raccolgono l’anima della terra. Per questo la Vigna è come una donna che dona ebrezza, che ci rivela la bellezza e l’essenza della natura: il mutare, il divenire, l’essere. Perché la vigna è una bambina a cui devi dare attenzione, cura, la protezione di un padre, l’amore di una madre. Ogni giorno chiede la tua presenza, ogni notte sogna le tue carezze. Il tuo passo tra quelle zolle grosse e secche, è quello che aveva tuo padre, e tutti padri che ci sono stati prima di lui. Sono i passi del tempo, che va e torna, che viene a potare, ad aggiustare tralci e pali, a raccogliere per creare.
Ecco, ora puoi andare a rincorrere Reel e relazionarti con le frasi di un bambino non più lunghe di uno sguardo. Non ti ho fatto perdere tempo, ti mostrato quello che la tua anima non sa dirti.
You have to make your soul sit and focus on the Vineyard for more than thirty seconds, the time that a useless Reel on so-called "Social Media" steals from you. This is because your soul needs to settle what its senses perceive. It is an exercise that certain monks or spiritual beings call "meditation" but which is simply giving value to your time. Here, for example, is the Vineyard, if you look at it simply it is a continuous and repeated row of vine plants. However, this observation is not worthy of you who are, or should be, a living being, a thinking soul in a receptive body.
Use your eyes.
You see the blue of the sea and the approaching twilight, the sky lose strength and give the leaves of the vines an intense and intimate color, not the bright and strong one they have during the day. You see the clouds, there in the west, reddening and lighting up more and more intensely, covered by the swaying umbrella-shaped crowns of the ancient pine trees. They are the moments that bring memories and in which memory distills the day, preparing actors and scripts for future dreams.
Now let's listen to the world.
The wind, a tireless marathon runner, rises from the sea or descends hastily towards it, rustling the leaves and bringing you the village discussion that the Ciaule have in the sky, calling and answering each other until the infinite cry of a Cacciavento silences them and brings them to hide on branches or on electricity wires. They wait calmly for the bird of prey to return to the high mountains, among the airy abysses from where it dominates the world. You hear the voices of the beach, the shouting of children, the metallic and rhythmic running of a train, the sound of the bus, the crackling of motorbikes. Sound is part of man, for this reason the vines listen curiously in silence, writing in their grapes the songs of joy for when there will be a celebration or for when there will be pain to fight. The Vineyard lives in holy eternity and proof of this is the love that it gives to men.
Now the perfumes.
Scent of pine resin, intense, liberating, almost a miracle medicine. The smell of the wind, the humid smell of the sea, the dry smell of the mountain, made of burnt thistles and eternal olive trees. Warm smells in summer and dry, sharp smells in winter that the vineyard perceives and nourishes its bunches of, keeping the flavor of the earth in their blood and transforming it with the sun into sugar and exhilaration because the Vineyard is the magic of nature , the storyteller of the seasons. Its rows stretch out to live in the sun, its roots collect the soul of the earth. For this reason the Vineyard is like a woman who gives exhilaration, who reveals to us the beauty and essence of nature: changing, becoming, being. Because the vineyard is a little girl to whom you must give attention, care, the protection of a father, the love of a mother. Every day she asks for your presence, every night she dreams of your caresses. Your step among those large, dry clods is the one your father had, and all the fathers who were there before him. They are the steps of time, which comes and goes, which comes to prune, to adjust branches and poles, to collect to create.
Here, now you can go chasing Reel and relate to a child's sentences no longer than a glance. I didn't waste your time, I showed you what your soul can't tell you.
provo ad evitare le ovvietà ed anche ad arginare la voglia di ricorrere ad un abuso di turpiloquio, corredato dalla cretiva fantasia che mi piace pensare mi caratterizzi, e cerco di fare una analisi distaccata ed oggettiva.
Al di là del giudizio sulla persona (per certo un militare di successo e di grande preparazione, ottenuta tramite ferrea disciplina ed indubbio impegno, ma altrettanto per certo un essere umano dotato di un ego grande come la provincia di Como, una presunzione gigantesca ed una capacità di mettersi in discussione che a confronto Kim Jong-un è un timido) credo che Vannacci sia una risposta drammaticamente sbagliata ad una domanda tutto sommato lecita e la domanda è ''che ne sarà di me?''.
Mi spiego meglio: un grumo (più o meno grosso) di conservatorismo alberga ahimé in ognuno di noi, soprattutto se la situazione, il contesto, in cui viviamo ci è sostanzialmente affine (o tale lo percepiamo) e quindi, i forti cambiamenti ci destabilizzano, anche e soprattutto a livello personale, e questo è ancora più vero quando, con lucidità, ci si rende conto d'essere entrati nell'ultimo terzo della vita, cioè un po' in ritardo per attuare e poi godersi rivoluzioni e cambiamenti. Socialmente parlando, al momento, potrebbe destare preoccupazione il forte mutamento (al momento più ancora in divenire che nel presente) che l'immigrazione, l'internazionalizzazione dei gusti, delle abitudini e la diversa scala su cui, sul piano sessuale e di autodefinizione di genere, sembra declinarsi il mondo. Il problema, però, è che dai tempi del homo neanderthaliensis preoccupato dell'arrivo nelle pianure europee del homo sapiens, chi ai cambiamenti sa rispondere solo con la resistenza e l'opposizione, finisce per estinguersi...io sono piemontese e da bambino mi ricordo bene i cretini Vannacci ante-litteram che si opponevano all'immigrazione dal sud Italia, minacciando di ''mandare tutti i taroni a casa loro'', disperati dal vedere sparire il dialetto sabaudo come modo di comunicare o giocare nella squadra locale di calcio dei ragazzi calabresi o pugliesi, o i nostalgici dell'uomo a lavorare e la donna a casa a cucinare, o quelli che non concepivano la follia di mettersi i jeans per andare a lavorare, cioè i Vannacci sono sempre esistiti, hanno sempre avuto un momentaneo successo ed hanno finito sempre per sparire, spesso sostituiti da un altra forma di conservatorismo. A me fa molto ridere (per quanto lo faccia amaramente) vedere i figli degli immigrati dal sud Italia lamentarsi dell'arrivo dei rumeni ed i rumeni lamentarsi dei maghrebini ed i maghrebini prendere le distanze dai senegalesi e non mi stupirei se, fra qualche anno, i senegalesi prenderanno posizione contro l'arrivo di chi sa chi...senza contare che, per parafrasare De Crescenzo, siamo tutti i malsopportati di qualcuno.
Intendo che al cambiamento è impossibile opporsi, inutile resistere e stupido pensare di poterlo addirittura invertire e che conviene fare buon viso a cattivo (ma per davvero, poi?) gioco, esercitare il diritto a mantenere le abitudini che più a noi si confanno e sviluppare la capacità di convivere con il nuovo.
I Vannacci vincono le battaglie, come i sindaci liguri che vietarono i bikini sulle loro spiagge a metà anni sessanta, come coloro che segregarono le popolazioni di colore in Sud Africa e negli USA, come coloro che si opposero all'estensione del voto alle donne, o al divorzio, o alla battaglia per la parità retributiva, o all'ingresso delle donne nelle forze dell'ordine, per citare giusto due cose, ma perdono sempre le guerre.
Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie. Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina. Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati, nel rallegrarsi delle loro torture. E’ un odio di lunga data. Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell’ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente tutta rinnegati questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione?
Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
Siamo tutti alla ricerca di ciò che amiamo e di chi amare.
E sappiamo tutti quanto questo sia complesso.
É difficile comprendere cosa davvero riempie il nostro cuore ma è difficile soprattutto legittimarlo, senza discuterlo con la mente che in noi ha edificato pensieri spesso duri, disillusi, giudicanti. In noi esiste una separazione forte, una scissione tra ciò che sentiamo e ciò che pensiamo. Comprendere ciò che ci fa stare bene e quindi che racconta profondamente di noi, richiede la capacità del sentire. Sentire emozionalmente, fisicamente, intuitivamente. E, per sentire, abbiamo bisogno di saperci ascoltare.
Viviamo immersi in slogan fuorvianti. Slogan diffusi come verità assodate che alimentano idee che ci allontanano dalla realtà della vita che viviamo. Nutrendo un ideale che alimenta senso di frustrazione e mancanza, perché non realizzabile.
Mi riferisco alle teorie che sostengono che una cosa, per essere fatta, deve piacerti totalmente; che se si presentano difficoltà allora non è il tuo sentiero; che se non ti conosci e quindi non hai compreso quale sia il tuo “talento” allora nulla può essere fatto con un senso. Mezze verità. O forse mezze bugie.
Davvero credi che per stare bene con qualcuno deve essere tutto perfetto e armonico da subito?
Questa è fiction, non è la vita. La vita ti vuole con le mani nel fango per imparare a farne magia. Tu sei la tua via.
La sofferenza più grande non è data dal non essere amati, ma dal non potere amare come desideriamo. Alain Vigneau
Quel poco che ho capito fino ad ora di me, l’ho potuto comprendere anche grazie ad esperienze che non mi convincevano, facendo mestieri lontani anni luce da ciò che credevo di desiderare per me. Parlando con persone che non mi piacevano, avendo relazioni per niente gratificanti.
Ovvero distaccandomi dall’ideale per attraversare l’esperienza umana. Cercando me nell'altro.
Con questo voglio dire che per capire chi fossi sono anche dovuta passare attraverso ciò che non amavo. Ed è stato fondamentale. Non è possibile comprendere se stessi se non facciamo l’esperienza di scoprirlo passo a passo. È una fase, non è una costante.
Cos'era a guidarmi all'alba di ognuna di queste esperienze?
Il desiderio profondo di conoscermi e quindi di imparare ad amarmi.
Io incontro tantissime persone grazie al mio lavoro e spesso mi viene chiesto: “Come posso comprendere ciò che mi piace davvero?”. E me lo chiedono perché sono bloccate, impaurite, stanche. Perché nel mentre non stanno vivendo. Soffocate da teorie e modelli. Un passo necessario talvolta sta proprio nel capire chi non sei. Questo significa fare i conti con l’ideale di te stesso di cui sei prigioniero. Non ci accorgiamo di quanto esso sia richiedente in noi.
Viviamo secondo modelli prestabiliti (da altri) inclusa la società che ci inietta pillole di finzione quotidiana. Ma per capire chi non sei e poi chi sei, devi vivere. Fare esperienza, arricchirti di gioie e fallimenti. Sentire il peso delle scelte, sostenere le conseguenze dei tuoi passi. Trovare la forza di assaggiare ma anche di lasciare. Superare il giudizio. Maturare. Stare con l'altro da te.
Nutrire i tuoi desideri più alti e nel mentre acquisire la maestria facendo tutte le esperienze che puoi. Anche quelle apparentemente più lontane dal tuo desiderio possono divenire un passo verso di esso.
Credo sia possibile che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, ma non con calcolo, guidate da un’alta intuizione, e portate all’armonia e al ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire un’opera d’arte, così forte quanto vera.
George Orwell avvertiva che saremmo stati sopraffatti da un'oppressione proveniente dall'esterno, Huxley invece affermava che non ci sarebbe stato nessun "grande fratello" a privare le persone della propria libertà, ma sarebbero state le persone stesse ad iniziare ad amare la propria oppressione. Orwell temeva quelli che vietavano i libri, Huxley temeva la possibilità che in futuro si potesse arrivare a un punto in cui le persone stesse non avessero più alcun desiderio di leggerne uno.
Orwell era preoccupato da coloro che ci avrebbero privato di informazioni, Huxley da coloro che ce ne avrebbero date così tanto che saremmo stati ridotti alla passività e all'egoismo. Orwell temeva che la verità venisse tenuta nascosta, Huxley che sarebbe annegata in un mare di informazioni tali da divenire irriconoscibile. Orwell profetizzava che saremmo diventati una cultura prigioniera, Huxley che saremmo diventati una cultura insignificante. Ebbene, la nostra fase storica ci sta progressivamente regalando un ibrido mostruoso tra queste due visioni. Il biennio attuale ha segnato una forte accelerata in questa folle discesa agli inferi, ma anche un'accelerata verso il passaggio che lo seguirà, l'inizio cioè di una nuova fase, di un periodo di totale e assoluto rinnovamento.
Riporto a tal proposito un pensiero di un fine intellettuale, oltre che il più grande dei cantautori italiani, Fabrizio De André che disse :
"Mi fa paura questo sistema che considera gli uomini meno importanti dei capitali : tant'è vero che i primi sono molto meno liberi di circolare dei secondi. È una cosa ignobile e pericolosa il fatto che gli uomini valgono meno delle monete. Infatti il mercato delle monete è libero: schiacci un pulsante e trasporti patacas da Macao a Madrid, ne schiacci un altro e le obbligazioni della Repubblica Ceca finiscono a New York. Gli uomini no: prima di presentarsi ai punti di imbarco e sbarco devono attraversare oceani di folla e di carte bollate. Va già bene che non abbiano istituito il marchio a fuoco. Ma chi la produce questa ricchezza? Gli uomini..che purtroppo si dividono ancora in due categorie: quelli che del denaro approfittano e quelli che devono rimanere fermi e controllati. "
Parole pesanti come macigni e terribilmente attuali.
Sfruttatori e sfruttati, poveri e ricchi, ma tutti facenti parte di questa umanità la cui coscienza si è persa nei meandri della società moderna. Annegata in mare con l'ultimo naufragio, l'ennesimo disastro umanitario annunciato.
Il sentimento, il desiderio, l'innamoramento, sono un po' come una musica aleatoria . Non ha un inizio né una fine, è un percorso, un cammino, un continuo divenire. E' un rumore forte o un silenzio prolungato. È un flusso continuo come un fiume, come la vita. E' un silenzio che racconta i nostri battiti nell'universo.. @ilpianistasultetto
Una delle tante leggende che circolano nel mondo di Saiyuki è quella secondo cui se una persona uccide 1000 demoni si trasforma in uno youkai, infatti dal Saiyuubito abbiamo:
Blood of a Thousand Youkai 【千の妖怪の血 Sen no Youkai no Chi】 (Sai. Vol 4 - Continuous)
☆ A popular belief in Shangri-la that says “if one bathes in the blood of a thousand youkai, one will become a youkai,” but like the belief that “devouring the flesh of a virtuous monk will make one undying and un-aging,” it’s supposedly just a rumor. It is also speculated that the reason Hakkai actually changed into a youkai might have been because he had accumulated so much negative pathos within his body. It’s not that Chin Yisou was the thousandth youkai, nor is there any need to worry that Sanzo might later turn into a youkai (laughs).
che tradotto diventa:
Sangue di un migliaglio di Youkai 【千の妖怪の血 Sen no Youkai no Chi】(Sai. Vol 4 - Continuous)
☆ Un credo popolare nello Shangri-la che dice “se uno si macchia del sangue di un migliaio di youkai, diventerà uno youkai” ma come il credo che “divorare la carne di un monaco virtuoso,renderà immortali e sempre giovani” è presumibilmente solo una diceria. Si è anche speculato che la ragione per cui Hakkai in realtà è divenuto uno youkai, è che abbia accumulato molti sentimenti negativi. Non è vero che Chin Yisou è stato il millesimo youkai e nemmeno c’è bisogno di preoccuparsi che Sanzo possa trasformarsi in uno youkai (ride).
Quindi la Minkeura conferma che tanto la “leggenda” dei mille youkai quanto quella del consumo di carne di monaco virtuoso sono mere dicerie senza alcun fondamento anche se oltre ad Hakkai abbiamo altri esempi di persone divenute youkai dopo aver fatto fuori mille youkai ma li vediamo o solo nell’Anime (Gensoumaden,un episodio di riempimento,un filler,per la precisione l’episodio 18) o solo in Saiyuki Requiem,tuttavia notiamo subito che l’elemento comune a queste trasformazioni non è l’uccisione di 1000 youkai ma il sentimento di odio/ira/orgoglio ecc. Ecco questo ci fa capire una cosa importante se vogliamo interpretarla in un certo modo: se ci lasciamo guidare dalle emozioni ditruttive e offuscanti diventiamo noi stessi degli youkai.
Pur essendo una balla la trasformazione in youkai dopo l’uccisione di mille di questi, c’è un fondamento di verità con la realtà folkloristica giapponese ossia se passano 100 anni uno strumento di famiglia si carica di energia tanto da divenire esso stesso uno youkai, quindi è probabile che la Minekura abbia preso questo elemento folkloristico di forte stampo sciamanico e lo abbia poi reinterpretato per creare ad arte la leggenda/diceria dei 1000 youkai.
Questi oggetti che, raggiunta una certa età (100 anni), diventano youkai si chiamano Tsukumogami letteralmente “Kami degli oggetti”. Gli Tsukumogami furono usati per la diffusione anche ad un popolo poco colto, con già preesistenti conoscenze e tradizioni degli Tsukumogami, del Buddhismo Shingon. Noriko Reider spiega:
“Gli Tsukumogami sono oggetti di uso domestico animati. Una otogizōshi (“storia in compagnia”) intitolata Tsukumogami ki (“Raccolta di Kami degli oggetti”; del periodo Muromachi) spiega che dopo una vita di servizio durata quasi cento anni, gli utsuwamono o kibutsu (contenitori, attrezzi e strumenti vari) ricevono un'anima. Mentre si fa spesso riferimento a quest'opera come un'importante fonte per la definizione di tsukumogami, insufficiente attenzione è stata dedicata all'effettivo testo di Tsukumogami ki.”
Se andate nella pagina inglese di Wikipedia, trovere un elenco di Tsukumogami: https://en.wikipedia.org/wiki/Tsukumogami
Capita che il sentimento di vergogna sia provato in circostanze semplicemente derisorie: di fronte a una volgarità di pensiero troppo grande, o a una trasmissione di varietà, o di fronte al discorso di un ministro, o alle parole di ‘buontemponi’. Ma si tratta di una delle ragioni più potenti della filosofia, ciò che ne fa necessariamente una filosofia politica. Nel capitalismo non c’è che una sola cosa universale, il mercato. Non c’è stato universale, proprio perché c’è un mercato universale di cui gli stati sono dei focolai, delle Borse. Ora, esso non è né universalizzante, né armonizzante, ma è una incredibile fabbricazione di ricchezza e di miseria. I diritti dell’uomo non ci faranno benedire le ‘gioie’ del capitalismo a cui essi partecipano attivamente. Non c’è stato democratico che non sia compromesso fino al cuore in questa fabbricazione della miseria umana. La vergogna è che noi non abbiamo alcun mezzo sicuro per proteggerci, e a più forte ragione far insorgere dei divenire, perfino in noi stessi.
Che tu possa accogliere, non solo ogni mia piccola parola ma ogni mio silenzio
Che tu possa, vedermi sia tua che di nessuno]
Senza aver bisogno di qualcuno.
Libera come il canto di Antigone
Forte, come le braccia dei tuoi cari che ti prendono per mano quando va tutto male
Che tu possa, aver un buon rapporto con il vero te]
E che I tuoi capelli, non siano solamente arruffati ma accarezzati e pettinati nei momenti di difficoltà dalle mani delle persone che ami e dalla vita
Che tu possa, vivere quell'ardore che emana in volo il cigno
Che tu possa mai abboccare agli specchi fatti per le allodole]
Che tu possa avvertire la tua persona e poi lasciarla andare mentre te la tieni stretta
Che tu possa essere splendida acqua in un putrido mondo deserto]
Che tu possa essere, quella piccola stellina che ama nella notte il suo più grande amore: un amante che ha chiesto di esprimere un desiderio e lo fa avverare piano piano
Nella sua caduta,
Nel suo pianto,
Nel suo divenire
Perché anche la dolcezza sa sposarsi con la forza ed è allora che diventa delicatezza
Per questo io respiro, l'attimo fuggente in cui io mi sento io, senza alcun velo