Tumgik
#il fumetto è una cosa seria
sciatu · 3 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Dalla collezione di Sghembo - Tarzan Albi dell’Audace 1935; Corriere dei piccoli Hugo Pratt 1962; Coriere dei piccoli Hugo Pratt1962; Tex Willer N° 1 La Mano Rossa 1964; Corriere dei Piccoli Ugo Pratt 1965 L’Ombra; Kolosso Salva il Mondo 1966; Hugo Pratt - Gli Scorpioni del Deserto 1969-1993; Hugo Pratt LA Ballata di un Mare Salato
Athos sistemò sulla bancarella l’ultima scatola con i Tex, e si spostò di un passo indietro per vedere se dove erano andavano bene. Sulla destra c’erano i Diabolik e sulla sinistra i kriminal. Dietro c’erano Linus e il Mago. “Bene - Si disse soddisfatto – sono  in buona  posizione” Ed osservò se dietro le prime scatole, si notassero il peccaminoso Le Ore, con i fumetti di Nando il Trombadore Caballero e altri simili. Quella era la zona dei  i più grandi, gli intellettuali di sinistra e di destra.  Dall’altra parte c’erano Trottolino, il Monello, Tiraemolla Topolino, il Corriere dei Piccoli e qualche rara edizione de il Vittorioso. Decisamente l’angolo dei piccoli e dei puri collezionisti “Perfetto” Pensò Athos contento. Si guardò intorno. La bancarella accanto sulla destra, era già pieno di fricchettoni che scavavano tra giacconi, anfibi  borracce militari, camice color kaki e zaini dell’esercito americano e bandiere confederate. Sulla sinistra la bancarella dei dischi 45 e 33 giri con un mangiadischi color rosso che riproduceva l’ultimo di Morandi. Vicino alla bancarella dei ragazzi che stavano osservando un vinile di Santana emanando un intenso odore di erba. Athos alzò le spalle “ Siamo nel 1968, ormai a certe cose non si fa più caso” Incominciarono ad arrivare i suoi clienti più affezionati. Savino con i suoi occhiali spessi un centimetro, il Rosso che apriva tutto e non comprava niente, il professore con il suo maglione rosso e la giacca marrone anche a ferragosto. Con tutti Athos spendeva una parola e rispondeva alle richieste dei collezionisti. Da Corto Maltese a Black Macigno o a Kolosso tutti avevano una richiesta particolare che lui, con i suoi fornitori svuota cantine, cercava di soddisfare. Finalmente apparve Sghembo, il più simpatico di tutti, un ragazzo alto e magrissimo, biondo dagli occhi azzurri arrivato da poco dalla Sicilia insieme alla gran massa di terroni che ogni giorno la stazione Centrale di Milano sfornava copiosamente “ Allora Sghembo come andiamo? Oggi compri qualcosa” “Oggi si – rispose sorridendo il ragazzo – oggi mi devo rifare dell’altro sabato” “Ah bene, allora hai trovato la lista dei fumetti che ti mancano?” chiese Athos contento. La settimana precedente Sghembo era arrivato sorridendo e aveva cercato nelle tasche dei pantaloni la lista dei numeri mancanti che altro non era che un foglio protocollo a quadretti piegato infinite volte a fare un piccolo libricino e riempito con il rapidograph 0,1 di numeri così piccoli che solo Sghembo riusciva a leggerli. “ No, ma ho portato mio fratello” fece sorridendo Sghembo e mostrò un piccolo ragazzo moro e scuro di pelle che nei tratti assomigliava a lui ma in stile Profonda Terronia. Athos guardo il ragazzo e fece la faccia di chi non capiva “Io compro i fumetti e lui che stà sempre a casa li legge tutti e se li ricorda” Athos lo guardò stupito. Aveva venduto a Sghembo scatole di Nembo Kid e Tex, Uomo Mascherato e Mandrake, forse migliaia di fumetti: come poteva ricordarli tutti? “Ah va bene” Fece Athos abituato alle stranezze dei suoi clienti. Sghembo si mise davanti la scatola dei Gordon e incominciò a tirarli fuori delicatamente uno ad uno. Il fratello guardava attentamente le copertine che gli passavano davanti e alle volte diceva un “si” e Sghembo metteva da parte il fumetto. Dai Gordon passarono ai Linus e quindi al Mago e la scena si ripeteva con il moro che con un occhiata veloce della copertina dava indicazione se comprare o no il fumetto visionato con uno sguardo. Sghembo osservò con gioia che vi era una scatola del Corriere dei Piccoli e si mise a tirarli fuori uno ad uno con estrema attenzione. Bastava che dalla scatola spuntasse un angolo del giornale che il moro già diceva “Si” In poco tempo Sghembo aveva messo davanti a se una pila enorme di fumetti. Quando Athos fece il conto Sghembo disse scoraggiato “È troppo, non ho tutti questi soldi, non puoi farmi uno sconto?” Athos fece un espressione seccata. Ora gli sarebbe toccato mettete tutto a posto di nuovo “Quanto hai?” Il ragazzo gli fece vedere i soldi che aveva tirato fuori dalle tasche dei pantaloni. In realtà non mancava molto ma Athos non voleva dare uno sconto a Sghembo che già tirava sempre sul prezzo: lo avrebbe abituato troppo bene. Osservò il moro che lo guardava con la faccia seria e due occhi così neri che non riflettevano neanche la luce. “Facciamo così - disse infine sorridendo – di a tuo fratello di girarsi un momento” Il moro lo guardò diffidente, poi guardò il fratello. Lo Sghembo guardò Athos  poi rivolto al fratello gli disse “votati” Il piccolo si girò e Athos dispose sulla bancarella quattro Corriere dei Piccoli di quelli scartati e uno di quelli che il moro aveva indicato. Li aprì a caso sulle pagine dove vi erano fumetti “Ecco, se tuo fratello indovina qual è quello che ti manca  i fumetti che non puoi pagare te li regalo” Sghembo lo guardò stupito e poi sorrise. Diede un colpetto sulla spalla del fratello “Vidi quali n’ammanca” Il moro si girò e guardò Athos con sospetto, poi si avvicinò e indicò un Corriere che Athos aveva predo tra quelli scartati “Qui, dopo tre pagine, ci sono i soldatini disegnati da Crepax della battaglia di Pavia, avevi detto che me li avresti fatti ritagliare…” “Poi vediamo – disse spazientito Sghembo – ma di al signore quale ci manca” “Quello – fece il moro indicando un giornale sull’estrema destra – c’è la parte finale della Ballata del Mare Salato , non puoi lasciarla” Sghembo guardò sorridendo Athos. Quest’ultimo prese il giornale indicato e lo sfogliò fino a trovare il fumetto di Hugo Pratt. L’osservò stupito. Era proprio l’ultima puntata. Raccolse tutti i giornali che Sghembo aveva raccolto  e glieli passo prendendo i soldi che il ragazzo teneva in mano. “Sono tuoi, vai prima che me ne penta���” I ragazzi presero i giornali e scapparono via . Li osservò scomparire nella folla e guardò tutte le scatole di giornali che il moro aveva passato per tirare fuori i pochi giornaletti che mancavano al fratello e pensò che tutte le storie e le immagini che quelle scatole contenevano erano nella testa del moro. “Cosa farà da grande uno che nella testa ha tutte queste storie?” Si chiese tra il serio e l’ironico. Sorrise “ Farà il sognatore!” Si disse alla fine soddisfatto.
5 notes · View notes
spettriedemoni · 5 years
Text
Parliamo di cinema
Al 76mo Festival del Cinema di Venezia vince il Leone d'Oro il film Joker, un film ispirato ai fumetti o meglio a un personaggio dei fumetti.
Tumblr media
Bella cosa per chi come me è appassionato di questo media (non genere: il fumetto non è un genere), di questo e di altri personaggi che vivono nel suo universo. Tuttavia a me non fa molto effetto vedere che qualcuno si accorga dei fumetti. So già da molto tempo che i fumetti sono una cosa seria con buona pace di ciò che possa dichiarare un Tony Servillo e chiunque altro. I fumetti sono cultura, non mi serviva alcuna legittimazione.
La Coppa Volpi come miglior attore è andata a Luca Marinelli, invece, il quale ha ringraziato tutti coloro che salvano le vite in mare di quanti provano a raggiungere l'Europa per fuggire a una vita di sofferenze inimmaginabili.
Tumblr media
A qualcuno non è piaciuto questo discorso ma, stranamente, questo qualcuno non è un deputato di un qualche partito xenofobo. No, a lamentarsi è stato il CODACONS perché il premio lo avrebbe meritato Joaquin Phoenix. Già qui ci sarebbe da far notare che per regolamento della manifestazione è impossibile dare la Coppa Volpi a un attore interprete del film vincitore del Leone d'oro. Non dico sapere qualcosa di cinema, ma almeno leggere il regolamento della kermesse sarebbe auspicabile. Adesso pare che il CODACONS voglia dare un premio riparatore all'attore americano.
Naturalmente Marinelli ha pure sbagliato a fare quel discorso di ringraziamento perché la politica è entrata a gamba tesa in una manifestazione artistica, sempre secondo il nostro ente di tutela dei consumatori.
Ora, non so voi (faccio una piccola obiezione ad hominem che non si dovrebbe fare) ma ditemi come faccio a prendere seriamente una associazione che ha come presidente questo personaggio qui
Tumblr media
Quello a sinistra nella seconda foto, per capirci.
L'Italia è un paese meraviglioso, non trovate?
46 notes · View notes
levysoft · 4 years
Link
La stagione 9 di The Walking Dead è migliorata molto in termini di serie, recuperando la sensazione delle stagioni precedenti. Anche così, continua a soffrire nelle valutazioni , il che potrebbe indicare che lo sforzo fatto per migliorarlo è troppo piccolo … o che è troppo tardi. E questo è curioso, perché nemmeno svelare uno dei suoi più grandi misteri della trama prende una nuova causa vincente:  Warning Signs, l’ultimo episodio di The Walking Dead , ha finalmente confermato una lunga teoria: la criptica A vista in tutto ha un significato ed è collegato a quel misterioso elicottero.
L’elicottero e l’ A sono stati pilastri delle teorie di The Walking Dead per anni. Ora bisogna sicuramente sapere chi è in volo sull’elicottero e il significato di quei messaggi A .
Per essere più precisi, ci sono stati diversi avvistamenti di elicotteri in The Walking Dead , ma la maggior parte concorda che questo particolare elicottero appare per la prima volta nell’episodio della stagione 7, quando Rick visita per la prima volta la casa/discarica di Jadis /Anne. Nella scena c’è Rick che guarda l’enorme discarica e lontano, in lontananza, si vede un elicottero muoversi da destra a sinistra.Alcuni presumevano che fosse semplicemente un errore, solo un elicottero totalmente normale che era stato accidentalmente catturato con la fotocamera. Ma quella scena è stata filmata chiaramente di fronte a uno schermo verde e non da nessun’altra parte
Nella stagione 8  l’elicottero è diventato un po ‘più grande quando Rick osserva un elicottero volare sopra la sua testa alla fine dell’episodio 5 , anche se anche lui pensava che potesse avere allucinazioni. Questo è stato seguito da Simon , che ha interrogato Jadis sul motivo per cui gli Scavenger aveva un eliporto nascosto prima di ucciderli nell’episodio 10 . Quindi, nell’episodio 14 , l’elicottero ritorna su un altro volo basso sopra la discarica quando Jadis tiene prigioniero Negan: Lei cerca disperatamente di inviare un segnale all’elicottero, ma il chiarore si spegne nel suo combattimento con Negan e l’elicottero si allontana.
Questo elicottero riappare nuovamente in The Bridge , l’episodio di due settimane fa, visto da Jadis  che ora porta il suo vero nome, Anne , quando è in servizio. Questo avvistamento porta Anne a tornare alla discarica in Segnali di pericolo , l’ultimo episodio, dove recupera un walkie-talkie che ha nascosto lì. Lo usa per entrare in contatto con … qualcuno , dicendole che ha visto l’elicottero la sera prima e che sa che sono vicini. Ed è questa conversazione che conferma ciò che molti hanno sospettato per molto tempo: Jadis / Anne sa tutto sull’elicottero, da dove viene e chi lo sta pilotando.
Ma non è tutta la conversazione di Anne con la misteriosa persona dall’altra parte del walkie-talkie. In risposta, la persona all’altro capo risponde: “Che cos’hai? Una A o una B ? “ Questa è la prima volta che i personaggi menzionano A (o B in realtà), ma non è certamente la prima volta che The Walking Dead ha incluso i testi criptici. Ricordiamo: quando il gruppo raggiunse Terminus e affrontò i cannibali, l’A è scritto in tutto il complesso e in particolare appare nel vagone del treno dove Rick e il resto del gruppo sono imprigionati alla fine. Da allora, ha acquisito un significato molto inquietante, e ogni volta che appare, come nel felpa di Daryl come prigioniero dei Salvatori , i fan sono pronti a ritenere che significa che qualcosa di veramente brutto sta per accadere.
La conversazione di Anne sul walkie-talkie chiarisce che lei lavorava per chi possiede l’elicottero. Chiede se sono loro quelli che hanno portato via i Salvatori mancanti, ai quali rispondono: “No. L’accordo è ancora valido. Avrai una A o una B ? “ Quindi, in precedenza, come Jadis, ha stretto accordi con queste persone, e in cambio di dare qualunque A o B è  stata premiata. Anne chiede quindi “Quanto costerà?”, Il che significa che gli costerà un ritorno, dal momento che Anne ha cercato di contattare l’elicottero la scorsa stagione. La risposta è semplice, semplice: “una A “ . È allora che Gabriel affronta Anne , e nel suo interrogatorio vengono svelati maggiori dettagli.
I termini A e B , per esempio, si riferiscono alle persone che si sono scambiate per le forniture, al loro compenso, come le scatole di cibo che mangiano. In questi barattoli di salsa di mele c’è un simbolo, tre cerchi intrecciati, ed è lo stesso simbolo dipinto sul lato dell’elicottero nel trailer della stagione 9 di The Walking Dead .
Anne cerca di convincere Gabriel ad andare con lei , che andranno in questa misteriosa comunità dove potranno avere una vita migliore; Tutto ciò che devi fare è aiutarla con una parte dell’accordo. Ovviamente, Anne ha bisogno di raccogliere una A prima che possa essere riaccolta in questa comunità lontana, ben fornita e capace di far funzionare un elicottero. Ma Gabriel non vuole nulla di tutto ciò, così Anne , forse ora Jadis ancora una volta, lo mette fuori gioco e dice: “È divertente, ho sempre pensato che fossi B “ .
Quindi abbiamo una comunità che è lontana, che è ben fornita di forniture e attrezzature, ed è disposta a condividere tali forniture con chiunque offra loro persone per qualche motivo sconosciuto. Sono più informazioni di quelle che avevamo prima di Warning Signs , ma solleva comunque molte domande.
Da un lato, anche se ora sappiamo che A e B sono classificazioni per le persone, non è ancora chiaro cosa intendano esattamente. La mia ipotesi migliore è che A si riferisca a qualcuno che è un leader mentre un B è qualcuno che è più un seguace. Questa è la ragione che Rick sarebbe stato etichettato come A , e che Anna dava per scontato che Gabriel fosse una B . Ma quando Gabriel si rifiuta di accompagnarla, dimostra che inizialmente si pensava più a un A che a Jadis .
Cosa succede a questi A e B una volta consegnati? Questo è un altro mistero, ma sicuramente non è affatto buono. Se Terminus , ad esempio, è collegato in qualche modo con questa altra comunità, questi A e B potrebbero essere nel menu cannibale. Ma una comunità così ben fornita come quella che immaginiamo non è probabile che mangi le persone, quindi perché hanno bisogno di catturare le persone? Bene, se si tratta di una comunità abbastanza numerosa in modo che possano nutrire e pilotare un elicottero, potrebbero aver bisogno di più personale per far funzionare il loro funzionamento. In tal caso, sei A eB potrebbero finire per essere una forma di lavoro da schiavi e / o sviluppo di ognuno di quelli intrappolati all’interno della stessa comunità.
Questo posto potrebbe essere il  Commonwealth ? Secondo i fumetti, questa è una comunità nuova e molto ben consolidata in Ohio . Essi lavorano anche con una gerarchia sociale rigida che possono rientrare in questa etichettato A  e B . Alcuni fan credono anche che Georgie , la donna che ha dato a Maggie il libro di Key to the Future  sia delCommonwealth , ma sarebbe strano per lei aiutarla mentre ne tiene altri.
E qui il tema del mio titolo, in relazione a quanto sopra, morirà Rick o verrà rapito dagli Jadis e dal gruppo di elicotteri? Io credo che i produttori della serie abbiano lasciato l’ultimo dei Grimes (bah, non sappiamo se sarà l’ultimo … ricorda la scena “calda” con Michonne ) che muoia in un modo semplice, e questa sarebbe una soluzione piuttosto intelligente, ma non pensi che se fosse così, ci sarebbe per la seria un futuro che può diventare ancora più nero deviando così tanto la storia uccidendo il personaggio principale del fumetto. Non pensi che tutto questo movimento sia strano?
Qualunque sia la vera storia, certamente non promette nulla di buono per nessuno ad Alexandria,ad Hilltop o nel resto delle comunità. Soprattutto per Gabriel, che è già stato scelto come il più nuovo degli Jadis.
1 note · View note
jaysreviews · 6 years
Text
Tumblr media
Ho deciso di iniziare colpendovi con l’effetto nostalgia: qualcuno nel pubblico sarà stato un ragazzino verso la fine degli anni ‘90, giusto? Ok, nel primo pomeriggio veniva trasmessa “Sabrina, Vita da Strega”, una serie comica su una giovane strega che viveva con le sue zie ed un gatto parlante. Vi ricordate? Perfetto! Ora, ciò di cui vi parlerò è un nuovo gioiello nella corona di Netflix (sempre loro) che prende un fumetto il quale parte dai presupposti base di cui sopra e… beh, diciamo che è tutta un’altra cosa. Partiamo dalla trama.
Sabrina Spellman è un’adolescente come tante, a prima vista: vive nella cittadina di Greendale con le sue zie, la dolce Hilda e la seria Zelda, ed il cugino Ambrose, frequenta il liceo, ha delle amiche, un ragazzo che è pazzo di lei. Quello che non sapete è che Sabrina è una strega, nata da una madre umana ed un padre stregone, si avvicina a diventare una parte della sua oscura congrega legandosi al Signore Oscuro. Qualcosa però non torna alla giovane che non è pronta a rinunciare alla sua umanità ed è curiosa di scoprire le oscure forze che sembrano volerla legare al male.
Vi faccio un piccolo riassunto genealogico: Sabrina nasce come fumetto leggero dalla stessa casa editrice che pubblica le storie di Archie da cui è stata tratta la serie TV Riverdale (ve ne parlerò prossimamente). Recentemente sia Archie che Sabrina hanno ricevuto un trattamento “horror” ed è proprio ad esso che fa riferimento la serie Netflix, dalla stessa produzione di Riverdale (si gioca sempre in casa). La serie ha un tono a metà tra il teen drama e l’horror fra amori giovanili e non, rapporti con gli adulti, problemi di bullismo mischiati a mostri, incantesimi e riti di magia nera. Tutto è molto oscuro e sinistro in questo mondo ribaltato dove si loda Satana eppure l’atmosfera “sottosopra”, ciò che solitamente è male che diventa l’equivalente del nostro bene. Quello che ha legato me e la mia bella alla serie è anche la curiosità di scoprire cosa accadrà e come si evolveranno le trame legate al futuro di Sabrina, il mistero sulla morte dei suoi genitori, il suo amore…
Non mi posso dilungare molto perché ci sono tante cose che rischiano di diventare spoiler ed è bene che non sia così perché la serie è molto valida.
Ve la consiglio, molto semplicemente.
4 notes · View notes
eleanordahlia · 4 years
Photo
Tumblr media
     👑     —    𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚 & 𝐜𝐚𝐦𝐢𝐥𝐥𝐞 𝐣𝐨𝐬𝐞𝐟𝐢𝐧𝐞      ❪    ↷↷     mini role ❫      beyond    the      lake      31.10.2020  —  #ravenfirerpg      #ravenfireevent  #spookyravenfire Arrivare in anticipo ad una festa era quanto di più maleducato ci fosse agli occhi dell'esperimento, e in quell'occasione, quando ricevette l'invito a partecipare alla festa di Halloween, si prese il proprio tempo. Ricordava le feste a New York, quelle in cui si affittavano perfino i truccatori per avere il trasvestimento più bello ed appariscente, ma quelli erano tempi andati e ciò che le rimaneva era una cittadina nella Virginia che ora considerava come la sua seconda casa. Scelse con cura l'abito da indossare, impiegò addirittura qualche ora per applicare tutto il trucco per rendere il suo volto come quello del famoso fumetto della DC Comics. La pista era già gremita di persone quando giunse all'interno del resort, osservò prima da una parte e poi dall'altra prima di intravedere una giacca leopardata che fece ridacchiare la newyorchese. S'avvicinò lentamente con passo lento prima di mostrare solamente il proprio volto con un sorriso quasi inquietante. « Guarda guarda, una diva... »
Camille Josefine Kebbel
Si trovava a quella festa ormai da un po' la Kebbel, aveva avuto modo di chiacchierare con Trisha, Andrea, Emma, Dominic, l'unica persona che mancava all'appello era Ivar ma non lo aveva prpprio visto lì, probabilmente in vista di ciò che era successo non si sentiva a suo agio nel partecipare alla festa di Halloween e lo comprendeva benissimo. Non si erano sentiti molto ultimamente, si erano scambiati dei messaggi piuttosto freddi ed alla bionda ciò faceva male, ma ora era ad una festa e ciò che voleva fare era divertirsi. Certo, non aveva un rapporto molto bello con le feste di Halloween organizzate a Ravenfire, due anni prima ci stava per rimettere la vita, ma quell'anno sentiva che sarebbe stato diverso, tutto sarebbe andato per il meglio. Raggiunse il piano bar e ordinò un cocktail fruttato, quando alle spalle sentì una voce che conosceva rivolgersi a lei. «Già, ti rubo la scena stasera.» Le schiacciò l'occhiolino e sorrise ad Eleanor, ragazza che conosceva da poco ma che come lei condivideva lo stesso destino. «Tu da chi sei vestita?»
Eleanor Dahlia H. Janssen
Aveva osservato con estrema attenzione i dettagli presenti nel resort, dalle zucche intagliate ai festoni macabri ma più di tutti era il bancone degli alcoolici ad aver attirato maggiormente la sua attenzione, e lì era presente anche un volto che non vedeva già da tempo. Ridacchiò l'esperimento prima prendersi il proprio tempo per osservare come l'abito scelto dall'amica fosse favoloso su di lei. Si portò poi una mano all'altezza del petto per mimare una scena melodrammatica, prima di mostrare il suo volto più jokeriano che mai. « Come potrei mai fare ora? » Commentò scoppiando in una fragorosa risata. A poco a poco tornò seria, diede ancora un'occhiata in giro come se dovesse succedere il finimondo da un momento all'altro ed inspirò. « Davvero non mi riconsci? Joker, ti dice qualcosa? »
Camille Josefine Kebbel
«Mi dispiace ma non ho visto il film.» Camille non andava matta per quel genere di travestimenti, in realtà la sua fobia per i clown ed affini era talmente grande che si rifiutava di guardare film del genere o simili dove venivano raffigurati dei clown o delle figure simili. «Comunque stai molto bene, beviamo qualcosa?» Nonostante fosse una serata non proprio positiva per la Kebbel, Cami voleva comunque divertirsi e non pensare ai problemi con Ivar, certo, sperava di vederlo lì alla festa, sicuramente le avrebbe fatto piacere. «Come vanno le cose?» L'ultima volta che si erano viste Camille non stava affatto bene, era in uno stato piuttosto confuso. Eleanor le piaceva, sembrava una ragazza tutta di un pezzo, le trasmetteva sempre energie positive ed in un certo senso sentiva che sotto sotto qualcosa le legava, oltre a ciò che era successo loro.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Era rimasta spiazzata la newyorchese da quell'ammissione, soprattutto perché, per quanto non si apprezzasse il genere di film, era certa che tutti conoscessero la figura di Joker soprattutto unito al personaggio di Batman. Si limitò così a sorridere la Janssen per poi fare un cenno secco con il capo prima di chiamare con un cenno della mano qualcuno che potesse portare qualcosa da bere. « Perché no, mi sembra un'idea perfetta... Siamo a una festa, sarebbe un peccato non farlo! Cosa prendi? » Domandò l'esperimento osservando poi con più attenzione il volto di Camille. Ricordava com'era stato il loro ultimo incontro, come la pensassero in modo così differente sulla loro nuova natura, eppure sapeva che poteva considerarla una buona amica. A quella domanda, tuttavia, Eleanor scrollò le spalle ripensando a come ultimamente tutto fosse decisamente piatto. « Non posso lamentarmi... Nonostante non ci siano state grandi novità. Ho ritrovato un amico che non vedevo da tempo, da quando ero a New York e in qualche modo sento la stessa connessione che sento tra noi, credi che sia possibile? »
Camille Josefine Kebbel
«Un bicchiere di questo strano punch andrà bene, grazie.» Il legame che sentiva scorrere tra lei ed Eleanor era sempre strano per la Kebbel, era come se qualche tassello non fosse al suo posto e tra le due ci fosse un segreto o un qualcosa che non potevano comprendere. Era strano in un certo senso, ma Camille non voleva indagare, non voleva immergersi in qualcosa che magari potesse essere pericoloso e poi le andava bene così, forse determinate cose erano destinate a rimanere sepolte. «E' possibile ma non ne sono sicura. Insomma la connessione che abbiamo è strana però in un certo senso non mi dispiace. Magari potrebbe essere la stessa.» Non ne poteva avere la certezza ma per quel poco che conosceva Eleanor la giovane non si sarebbe arresa ed avrebbe sicuramente indagato. Le sorrise e strinse il bicchiere con il punch colorato. «Alla nostra.»
Eleanor Dahlia H. Janssen
La curiosità che spingeva la Janssen a mettere tutto in discussione era anche ciò che spesso la portava a mettersi nei guai, ma non per questo sentiva il bisogno di fermarsi. Voleva andare a fondo sul come sentisse le stesse sensazioni anche con qualcuno che era impossibile fosse diventato come lei, eppure perché escluderlo a priori? Si ritrovò ad aggrottare appena le sopracciglia nell'udire le parole della Kebbel, era come se in fondo non le importasse. Alzò successivamente lo sguardo nell'osservare i due bicchieri di fronte a loro, e lo afferrò alzandolo per brindare. « Già... » Si limitò a replicare l'esperimento che ora sembrava aver nella mente solamente possibili idee per arrivare alla risposta di quel quesito. Non avrebbe lasciato perdere, avrebbe scavato, soprattutto perché il rapporto che aveva con Camille la faceva sentire in qualche modo meno sola. « A noi, perché nonostante tutto siamo qui, e la vita è solamente nostra! » Brindarono facendo tintinnare i loro bicchieri l'uno contro l'altro. Avevano davanti a loro una serata piena di divertimento, e nessuna delle due giovani avrebbe rinunciato a quella serata.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
0 notes
paoloxl · 7 years
Link
Sono passate da poco le 11 di sera, in radio siamo in una ventina, sto lavorando con mio fratello per riuscire a collegare dei ricetrasmettitori CB da portare in giro per la città e fare delle interviste volanti, intanto si discute dei fatti accaduti. La situazione nelle strade si è tranquillizzata, gli scontri che erano ricominciati anche questa mattina si sono fermati. Cominciamo a credere che siano finiti del tutto. Il manifesto di lancio della radio Improvvisamente sentiamo battere forte alla porta e, dalla finestra che guarda sulle scale, vediamo la polizia con i mitra spianati e i corpetti antiproiettile, una roba da squadra swat nei film americani. I compagni decidono di scappare dai tetti, rimaniamo in quattro, un quinto verrà arrestato sulle scale. Quei minuti drammatici di trasmissione fanno parte della storia della radiofonia e li potete ascoltare da qui. (Umberto Eco li userà poi per tenere una sua lectio magistralisalla Sorbona di Parigi, sulle forme di comunicazione radiofonica). Radio Alice non viene perquisita, viene letteralmente svuotata di ogni cosa, la polizia porta via perfino i telefoni di proprietà Sip (l’allora Telecom). Noi veniamo arrestati e, una volta negli uffici della “Mobile”, veniamo pesantemente picchiati dai poliziotti (Il dottor Lomastro, capo della Mobile, anni dopo dichiarerà a Repubblica, che quando ha saputo che eravamo stati picchiati gli è spiaciuto e mi ha chiesto scusa. Mentiva). In carcere ci siamo stati diversi mesi, io “solo” tre e mezzo, ma Stefano Saviotti oltre cinque. Ma per cosa? L’accusa era ovviamente ridicola: siccome uno dei ragazzi che avevano trasmesso la mattina aveva invitato gli ascoltatori a partecipare agli scontri, il magistrato sosteneva che la Radio dirigeva gli scontri, che tutti noi avevamo costituito la radio un anno e mezzo prima per poter delinquere poi, quando ce ne sarebbe stata l’occasione. D’altronde la responsabilità penale è personale e volendo arrestarci tutti e non solo chi aveva detto la frase, si era inventato questa roba assurda. Neanche a dirlo, quando sette anni dopo si sono degnati di processarci, l’assoluzione l’ha chiesta prima di noi il pubblico ministero. Ma perché Radio Alice? Radio Alice era da sempre una spina nel fianco dei partiti, delle istituzioni e degli affaristi. La radio non conosceva nessun filtro e nessuna censura, quindi chiunque poteva venire/telefonare in radio e trasmettere in diretta ciò che vedeva sui luoghi di lavoro e negli uffici, dire ciò che pensava di qualsiasi politico o amministratore. Più volte esponenti di PCI e DC ne avevano chiesto la chiusura. Mal sopportavano le trasmissioni satiriche, che li deridevano. Non avevano certo riso quando Bifo telefenò in diretta ad Andreotti, spacciandosi per Umberto Agnelli, e dicendogli che gli operai, sotto le sue finestre gridavano “Andreotti, tu sei pazzo, noi non pagheremo più un cazzo!”. La radio era diventata il cuore della creatività antagonista, il luogo in cui si trovavano tutti gli artisti, i maestri bolognesi del fumetto (Bonvi, Scozzari, Pazienza …), i musicisti demenziali o meno (Skiantos, Claudio Lolli, Gaz Nevada, Guccini, la Sarabanda …), i poeti e gli scrittori, i pittori e gli scultori, gli attori e i registi, i giornalisti. Tutti questi collaboravano, progettavano e trasmettevano assieme all’operaio, allo studente, al disoccupato, al collettivo “frocialista”, al collettivo femminista, ad un gruppo di maschi rattristati dalle morose che li avevano lasciati perché diventate femministe, ai fuorisede della Val Camonica. E’ evidente che una simile amalgama di irrispettosa creatività non poteva che scontrarsi con chiunque ritenesse se stesso una persona seria, il suo ruolo istituzionale serio, il suo partito serio. Alice non rispettava niente e nessuno, neanche se stessa, figuriamoci gli altri. Non aveva filtri e censure, abbiamo detto, ma non aveva neanche palinsesto (chiunque poteva trasmettera quel che gli pareva, quando gli pareva, perché gli pareva), non aveva una redazione (nessuno decideva quali notizie dare, se e perché). Uno dei nostri motti era “Notizie forse vere, forse false, ma sicuramente tendenziose”. Radio Alice era il faro dell’intelligenza che squarciava la buia notte dei grigi, degli ottusi e dei pericolosi. Su Radio Alice sono stati scritti una dozzina di libri, non solo italiani, sono stati girati due film (un documentario e uno di fiction), scritte centinaia di tesi di laurea, pubblicati migliaia di articoli di giornale, di blog e siti web, trasmissioni radiofoniche e televisive, le sono stati dedicati spazi nelle gallerie d’arte (anche alla GAM di Bologna, c’è uno spazio su Alice). Non c’è corso universitario sulla comunicazione che non la citi, ancora oggi, ma già nel ’76 abbiamo ospitato delegazioni universitarie olandesi, francesi e non ricordo più cosa, venute a studiare il fenomeno e la forma comunicativa. Tutto questo è sopravvissuto alla chiusura manu militari e ad ogni forma di repressione, malgrado Radio Alice non abbia memoria.
1 note · View note
giancarlonicoli · 4 years
Link
27 giu 2020 15:23 “SE AVESSI AVUTO LA TESTA DI TOTTI E DEL PIERO, NON SAREI STATO ALVIERO CHIORRI” – BOMBASTICA INTERVISTA DI GIANCARLO DOTTO AL “MARZIANO” EX SAMP - "IL CALCIO ANNI 80? AD AVELLINO NEL SOTTOPASSAGGIO SPEGNEVANO LA LUCE E PICCHIAVANO. A CARLETTO MAZZONE GLI HANNO SPENTO UNA SIGARETTA IN FACCIA - IL PIÙ CATTIVO? PASQUALE BRUNO. FISCHIO D’INIZIO, PALLA ALTROVE, LUI MI ASPETTA COL GINOCCHIO ALZATO E MI DÀ UNA STECCA MICIDIALE. IL NO ALLA NAZIONALE, LE DONNE ("DALLA CINTOLA IN GIU' NON ERO MALE..."), LA DEPRESSIONE, CUBA. IL PIÙ FORTE DI TUTTI? GIAMPAOLO MONTESANO" - QUANDO ANTOGNONI GLI DISSE: "BASTA RAGAZZINO, HAI ROTTO I COGLIONI" - QUELLA SERA CON ANNA OXA - VIDEO
Giancarlo Dotto per il Corriere della Sport
   A tavola con il Marziano e l’Incredibile Hulk. Due amici per la pelle. Un fumetto della Marvel? No, una giornata decisamente ben spesa. Due ex calciatori rari, che non frequentano i calciatori e non leggono le biografie dei calciatori. Lui e l’altro. L’altro, l’incredibile Hulk, è uno di poche parole ma, quando mi parla di lui, il Marziano, diventa lirico, si scioglie come un savoiardo nel caffelatte. La prima volta in una trattoria a Testaccio. “Ho avuto la fortuna di giocarci contro. Anche oggi, a distanza di anni, se fai il suo nome con molti giocatori dell’epoca si scatena l’inferno. Un talento allucinante. Non puoi non incontrarlo.    
        La leggerei di corsa una sua intervista. Vorrei sapere tutto delle sue fughe, delle sue donne, dei suoi viaggi a Cuba. Un giorno faremo un libro a quattro mani e si chiamerà: “Cosa significa essere genoani e cosa significa essere doriani”. Lui, Alviero Chiorri, è romano, mezzo cubano, doriano nella pelle. Ci scommetto il mio gatto persiano, non lo faranno mai questo libro.         Alla fine vincerà la pigrizia. Ma continueranno a dirselo fino alla fine dei loro giorni, davanti a un calice di bianco. Nessuno dei due si prende così sul serio da pensare che immaginare un libro significhi scriverlo davvero. Di Alviero mi aveva detto cose ispirate anche Franco Baldini nel suo loft a via Margutta, davanti a un cartoccio di supplì e morsi di nostalgia filanti. “Uomo raro, Alviero, calciatore unico. Lo devi incontrare. Non mi faccio vivo con lui da tempo. Chiedigli perdono da parte mia”. Chiaro il messaggio. Devo incontrare il Marziano.        
Appuntamento al “Don Chisciotte”. Un vecchio casolare affacciato sull’Aurelia, tra Palidoro e Passo Oscuro subito dopo lo svincolo per Fregene. Mare e mulini a vento a parte, potrebbe essere la Mancia di Cervantes, piccoli borghi, castelli, anime forti e solitarie, in qualche caso perdute. Un Far West assolato. Paolo, il proprietario del ristorante, mi prenda un colpo, è il Sancho Panza di Gustave Dorè. Lo riconosco anche senza somaro. Il “Don Chisciotte” è il ritrovo di Alviero e dei suoi amici.
A portarmi da lui è l’altro. Che non sente ragioni. Me lo dice a modo suo, affettuosamente minaccioso. “Non voglio apparire, l’intervista è tutta sua, io non c’entro nulla”. Lo chiameremo dunque l’Incredibile Hulk, perché gli somiglia, specie quando gonfia il collo, e perché se ne va in giro quel giorno dentro una coraggiosa giacca verde muschio. L’elegantone di sempre. Pronto a strapparsi le vesti e a colorarsi di verde alla prima mischia. Questa volta non ne ha bisogno. “Me sembri un’oliva ascolana…”, lo accoglie il Marziano. Via le mascherine da Covid, seguono cinque ore di allegro convivio, in un viavai di cozze gratinate, gamberoni, calamari, vongole, lupini, paccheri, baccalà, vino, molto vino, scotch scozzese, amari, molti amari, e rum in omaggio al cubano.
Il Marziano alias Alviero è un uomo schivo. Alviero non ha a niente a che fare con quella genia di pazzoidi, eccentrici, un po’ sbruffoni, un po’ fanfaroni che imperversano nel calcio italiano di quegli anni, settanta e ottanta, non ancora malato di tatticomania. Sublimi, sfrontati, e ingovernabili anarchici palla al piede, sulla scia del più sfrontato di tutti, George Best. Meroni, Vendrame, Dolso, Vieri padre, Zigoni, per citarne alcuni. Alviero parla sottovoce, al limite dell’udibile, nella speranza di non essere udito. Come un tra sé.
Un personaggio per quanto è lontano dall’esserlo. L’essere stato tanti anni lontano da Roma ne fa un romano d’altri tempi, come solo Pasolini ha raccontato. Un Franco Citti dallo sguardo buono, un fustacchione di sessant’anni pervaso da qualcosa che sta tra la timidezza e la gentilezza. Anacronismo puro. Il codino che gli spunta dalla nuca. Due tatuaggi sulle braccia. Il terzo ce l’ha dipinto in faccia: “Perché?”. “Perché siete qui? Perché v’interessate a me?”. Ci mette quasi un’ora a liberarsi di quel “perché”. Hulk ci dà una mano con le sue muscolari invasioni di campo.
“Normale” è la parola che gli viene più facile, ma non come la usano Totti e affini, vacuo intercalare tra un eventuale concetto e l’altro. Nel caso di Alviero “normale” è quello che è, un aggettivo che descrive l’uomo. Alviero è tanto normale da risultare eccezionale. La normalità è la sua pazzia. “Il mio miglior amico? Enzo il tabaccaio. Non mi ha mai chiesto una cosa di calcio”. È un arguto battutista, Alviero, fulminante come solo i romani. Le battute sono il suo modo di stare in società. Ma è lo sguardo che lo racconta. Disarmante per quanto è nudo. Ti supplica: “Lasciami stare, lasciami alle mie battute”. E ti dice, però, anche: “Insisti, abbi pazienza, ne ho di cose da raccontare, magari un giorno avrò voglia di farlo”. Devono solo crearsi le condizioni giuste. Quasi mai si creano.
Il calciatore da spiaggia. “Giocavo nei campi di seria A come giocavo da ragazzo in spiaggia con gli amici”. Alviero Chiorri lascia a trentadue anni con la maglia della Cremonese. I suoi anni migliori da calciatore. Fisicamente integro. Lascia, nel senso più estremo della parola. Sparisce nel morbido nulla dei tropici. “Non ne potevo più del calcio. Quella non era la vita che volevo vivere. Quelle regole, quelle attese, quelle pressioni. A novembre parto per Cuba per una vacanza di venti giorni e sono rimasto 24 anni”. Dici Chiorri e dici talento. Ma anche indisciplina. Leggi di lui e senti dire: strano, ingestibile, una dannazione per gli allenatori, avesse avuto la testa di Del Piero e Totti... Lui ascolta, cose che è abituato ad ascoltare.
“Se avessi avuto la loro testa, non sarei stato Alviero Chiorri. Per il resto sono un ragazzo normale, anche se so che me la porterò addosso tutta la vita questa nomea di tipo strano. Penso a quello che combinava Balotelli a diciotto anni. Le mie stranezze, al confronto, sono poca roba”.
Romano di Valle Aurelia, tifoso romanista, “Era la Roma di Ciccio Cordova, Amarildo e Del Sol. Andavo in curva sud con mio zio. I calciatori erano minuscoli visti da lì”. Nato nel ’59, l’anno della rivoluzione di Fidel Castro. “E guarda caso finisco a Cuba. Tu dici che è un caso?”. Giovanissima preda dei tanti osservatori. “Mi prese la Sampdoria a sedici anni. Mi aveva preso anche la Roma., c’era Perinetti allora, ma scelsi la Samp. Mi avevano fatto capire che alla Roma, in quel periodo, o eri forte forte o giocavano solo i raccomandati”. Lui non si è mai reso conto di essere “forte forte”. “Così dicevano, ma io non mi rendo conto neanche adesso. Le cose che facevo in campo erano le stesse che facevo per strada. Il mio modo di giocare non è mai cambiato”. L’Incredibile Hulk ha appena spolpato un gambero e inizia a fischiettare “Tristezza, per favore vai via”. Sardo di sangue, genoano di pelle, lo fa ogni volta che il Marziano nomina la Samp.
I treni perduti. “Mi dà fastidio quando mi dicono che avrei potuto fare molto di più. Sarà anche vero, ma alla fine ho fatto quello che dovevo. Avessi avuto un procuratore come quelli di oggi, uno come Mino Raiola, forse sarebbe stata una storia diversa. Non ero Maradona e nel calcio di oggi non sarei nemmeno preso in considerazione. O forse sì, sarei stato un buon esterno sinistro alla Totti nel calcio di Zeman. Un allenatore appassionante anche se un po’ estremo. Una volta gli feci gol da metà campo”.
Come direbbe il suo amico Flavio Bucci, venuto a delirare e poi a morire da queste parti: “E pensare che ero partito così bene…”. Alviero, non ancora Marziano, è in serie A, con la maglia del Bologna, a diciassette anni. Mai a suo agio nella tribù dei Piedi Calcianti. “Non ero maturo, finito in una situazione più grande di me. Sì, poi qualche errore l’ho fatto”.
Hulk, al suo fianco, addenta il pacchero e interviene a gamba tesa. “Non mi sembra che ‘sta maturità sia mai arrivata…”. Il Marziano annuisce, senza un filo di fastidio. “Sono rimasto lo stesso di allora, con qualche anno in più”. I treni perduti. Almeno tre. Il primo. “Le occasioni le ho avute, ma è sempre successo qualcosa. La prima volta fu colpa mia. Fui convocato per i mondiali in Tunisia con la Nazionale Juniores. Una squadra forte, avevamo appena vinto il torneo di Montecarlo. Mi rifiutai di andare perché avevo già prenotato al mare con gli amici.
C’era Italo Allodi. Mi cacciò da Coverciano con i carabinieri. L’ho sicuramente pagata. Da allora m’hanno segato dal giro azzurro e quando fui in ballo per la Nazionale di Bearzot mi fermò la pubalgia. Il secondo treno. E poi il terzo, il più carico di rimpianto, se Alviero fosse capace di rimpianti. “Ero già dell’Inter. Voluto da Bersellini con cui avevo esordito in serie A con la Samp. Mantovani non mi volle vendere. Loro prendono Beccalossi al posto mio e vincono lo scudetto.
Mai dato importanza io ai soldi. Con Mantovani ho sempre firmato in bianco. Anche Dino Viola mi voleva alla Roma, ma non se ne fece nulla...Rimpianti zero. Mi ritengo un uomo fortunato, che ha fatto nella vita quello che gli piaceva fare, che voleva solo essere normale in un mondo che non aveva niente di normale. Un mondo che non era il mio”. L’Incredibile Hulk torna alla carica. Il mite Marziano incassa. “Hai giocato nella Sampdoria, non è che c’è da sentirsi così fortunati…”.
Chiorri sparsi.  “L’esordio in coppa Italia contro la Fiorentina. Ero un ragazzino incosciente, mi marcava Roggi ma non mi prendeva mai, quel giorno mi riusciva di tutto. Mi si avvicinò Antognoni: “Ragazzi’ ora basta, falla finita, hai rotto i cojoni”. I derby di Genova. Violenza allo stato puro. “La mia bestia nera era Fabrizio Gorin, il biondo, un mastino, non a caso non ho mai segnato nei derby. Oltre a menare come un fabbro, limava i tacchetti.
Era un’usanza di quegli anni. Dentro i tacchetti di legno c’erano quattro chiodi martellati che, a furia di limarli, spuntavano fuori. Quando prendevi una scarpata, il sangue si sprecava, la carne rimaneva attaccata al tacchetto”. Il Marziano, lo trovi su youtube se non sei abbastanza vecchio, era un dribblomane, la vittima da manuale per quei sadici truccati da calciatori… quando riuscivano a prenderlo. “M’hanno gonfiato come una zampogna. Entrate da dietro, gomitate, botte, minacce. Ad Avellino, quello di Sibilia, nel sottopassaggio spegnevano la luce e ti  menavano proprio. A Carletto Mazzone gli hanno spento una sigaretta in faccia. All’epoca era permesso tutto, ogni domenica una battaglia. Le ho prese, ma non ho mai reagito. Avevo imparato che funzionava così”.
“Il più cattivo? Pasquale Bruno. Io a Cremona, lui al Toro. Fischio d’inizio, palla altrove, lui mi aspetta col ginocchio alzato e mi dà una stecca micidiale. Hai presente il Tardelli su Rivera di  quel Juventus-Milan? Uscii con un ematoma gigante. Il più forte marcatore? Vierchowod di gran lunga. Soffriva solo Aguilera e Montesano. Gli unici falli li faceva solo perché arrivava troppo veloce sulla palla”. Ne ha incrociati in quindici anni di fenomeni veri e presunti. “Bruno Giordano e Roberto Baggio erano dei  mostri. Il compagno più forte?
A parte Roberto Mancini, Anders Limpar. Fece un anno con noi alla Cremonese e poi vinse la Premier con l’Arsenal. Un altro era Macina. Dei tre al Bologna, lui, io e Mancini, era il più dotato. Quello sì era strano forte, non io. S’è perso per strada. In quegli anni si sprecavano i fenomeni. Tecnicamente, era un livello molto superiore. Gente come Claudio Sala e Bruno Conti si sprecava. Giampaolo Montesano, il più forte di tutti. Uno così non si è mai più visto. Non lo dico io, lo dice Vierchowod, che pure ha marcato Maradona”.
Non tantissimi gol, ma ogni gol una storia da raccontare. “Il più bello? Quello a Bordon, allora al Brescia. Palla quasi ferma al limite dell’area, arrivo e gli faccio lo scavetto, non so se Totti era nato… Quello al Messina. Ero in panchina con la tuta. C’era una punizione da battere. Mi hanno spogliato di corsa in tre. Entrai a freddo e feci gol all’incrocio. Dopo, non ho più toccato palla”. Calciatori come il Marziano non calavano. Sparivano proprio dal campo, come risucchiati da un buco nero. “Il mio allenatore? Mondonico alla Cremonese in serie A. Quando dava la formazione: giocano Alviero e altri dieci. Compagni da ricordare. Liam Brady e Trevor Francis alla Samp. Grandi professionisti, molto seri. Magari avessi imparato da loro…Il più pazzo? Giuliano Fiorini era un matto vero. Un casinista simpaticissimo, da prendere a piccole dosi. Le notti erano tutte le sue…
Non ho mai frequentato i calciatori, non m’interessava, erano una razza a parte e io preferivo stare con i miei amici. Un imprenditore piuttosto che uno spazzino.
Non mi piaceva ostentare lo status del calciatore. Nei ristoranti e nei negozi volevo pagare. Mi dovevano trattare come un cliente qualsiasi. L’unica debolezza, una Ferrari 348. La comprai per duecento milioni dell’epoca. Feci una cazzata. Con quei soldi, nel ’90 potevo comprare due appartamenti… No, del calcio non mi manca nulla. E non mi dire di partecipare a partite da vecchie glorie, a meno che non ci sia qualche beneficienza vera”.
Cuba, il ventre amico. “A Cuba vivo, qui sopravvivo”. Il Marziano ha il dono della sintesi. “Lì, fu come tornare alle origini. Non mi conosceva nessuno, le persone mi frequentavano per quello che sono, non perché ero un calciatore. La prima volta, non sapevo neanche dove fosse Cuba. M’innamorai dal primo giorno. Un mondo a parte, spiegarlo è difficile, lo devi vivere. Non c’hanno una lira e tutti che ballano, cantano. Gli italiani andavano lì per le donne, ma era l’ultima cosa che m’interessava. Ne avevo più in Italia.
Per me Cuba era proprio staccare. Cominciai a fare tre mesi lì e uno in Italia. Una vita normale, il mare, gli amici, i libri. Libero, senza pressioni. Quando tornavo in Italia soffrivo il contrasto. Tutti di corsa, facce tristi. Se non sali sulla ruota, ti schiacciano. E, se sali, non sei più libero di scendere. A Cuba non esiste il tempo. Ci vediamo alle nove, ma non si sa di che giorno, di che mese, di che anno. Non devi cercare la profondità. Come stare a Cinecittà. Tornai in Italia per stare vicino a mia madre e a mio padre malato. Ora, mi accontento di andarci una volta l’anno”.
Le donne. “Lì a Cuba era una caciara. Oggi per me sono un tema di fantasia. Dalla cintola in giù non ero male e dalla cintola in su che ho fatto danni”. Il Marziano è tale anche quando si tratta di amore in senso lato. Tre figli da tre donne diverse. Due cubane e un’italiana, la moglie storica che vive a Genova con il figlio titolare di un negozio di frutta e verdura. Le due ex cubane le ha portate in Italia. Vivono serenamente tutti nello stesso palazzetto, lui, le cubane, mamma Lucia, i due figli. Una al piano di sopra, una al piano di sotto, lui in mezzo.
Un Harem a Passo Oscuro? Il contrario. “Vivo solo da dieci anni, loro fanno la loro vita, hanno i loro compagni. Non potevo lasciare a Cuba le madri dei miei figli”. Tre donne, tre figli. Qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra sarebbe stato raso al suolo da rancori, beghe legali, richieste sanguinose. Lui no, nel mondo di Alviero i conflitti non fanno radici. Non perché gli scivolino addosso. Al contrario. Di lui senti che puoi fidarti, anche quando sbaglia. Un libro aperto. Uno raro, da cui non ti devi difendere. “Le donne fondamentali della mia vita? Mamma, donna vecchio stampo, e mia sorella Tiziana, l’unica che non mi tradirà mai. Ha un’adorazione per me. E poi mia figlia Nicole, l’amore della mia vita”. Uomo di principi, l’ingestibile Alviero. Fa la spesa alla mamma anziana e porta i figli a scuola. “Sono stato un padre assente, soprattutto con il più grande”. Quando dice, come fosse la cosa più normale: “Sono sempre stato fedele alle mie donne….”, tutti sghignazzano al tavolo, a cominciare dall’ineffabile Hulk. Lui è serio. “Te lo giuro sui miei figli. Nessuno mi obbliga, se scelgo una donna, la rispetto. Le adoro le donne, ma avere oggi un’altra storia mi spaventa. A parte che nessuna mi vuole più”.
La depressione. “A Cremona ho dato il meglio da calciatore. Avevo accettato di fare questo mestiere come va fatto, non solo in partita, nei ritiri, negli allenamenti. Luzzara, il presidente, pronto a farmi un nuovo contratto di tre anni. Era il ’90. Qualcosa scatta nella mia testa. Il buio totale. Avevo trent’anni e pensai di chiudere con il calcio ”. Una crisi depressiva da spavento. “L’apatia totale, il rigetto di tutto, a cominciare dal calcio. Non mi allenavo, non mangiavo, da 77 chili ero sceso a 66. Facevo pensieri strani, vedevo mostri. Sono stato ricoverato in clinica due mesi. M’hanno riempito di pasticche, sono arrivato a pesare 90 chili. Sono rientrato, sei mesi dopo, nello spareggio a Pescara per la promozione in A. Si va ai rigori. Sbaglio il mio. Mi cade il mondo addosso. Rampulla, il portiere, mi fa in un orecchio: “Non ti preoccupare, adesso ne paro due”. Andò così e salimmo in A”.
“Le cause? Non ho mai capito. Un giorno il tappo salta e vai a fondo. Non succede a quelli che hanno solo certezze. Mi mettono paura quelli. Forse il peso dell’aver sopportato tanti anni un mondo che non era il mio. Le invidie, le pressioni, il confronto con gli altri. Non mi divertivo più. Non ritrovavo più me stesso. Anche quando mi facevano i cori e venivo osannato, mi chiedevo sempre “perché?”. Sta di fatto che quando c’era lui in campo, il Marziano, succedeva sempre qualcosa. Per tutti, ma non per lui. “Qualcuno mi disse che forse la causa scatenante veniva da lontano”. Esita. Abbassa la testa. Poi me lo pianta in faccia quel suo sguardo buono. “Questa non l’ho mai raccontata…
Avevo diciotto anni e guidavo con il foglio rosa e un patentato al fianco, Lupini, un mio compagno di squadra. Andavamo a Bogliasco per l’allenamento. All’altezza di Nervi, uno gira secco per fare una conversione e mi taglia la strada. Il botto. Lo choc. Scesi dalla macchina e feci un chilometro a piedi, all’indietro. Non avevo colpe, ma fu devastante. Lui morì per le ferite. Non me la sono sentita di andare a salutare la giovane moglie…Adesso sono i miei figli a tenermi in vita. Loro sono il mio più grande rimorso. Cerco di farmi perdonare, ci provo. Sono stato egoista. Li ho trascurati. Soprattutto il primo, Simone. Un ragazzo d’oro con una mamma spettacolare”.
Alla fine. Ci si alza da tavola  e si torna in maschera più allegri e più instabili di quando ci eravamo seduti. Finisce con il Marziano che canta “Una carezza della sera” dei New Trolls (“Tifosi sfegatati della Samp. Ricordo Anna Oxa, era fidanzata con uno di loro…Bellissima”, dice con un lampo fuggevole di malizia) e il sempre più Incredibile Hulk che delira di rose gialle e di tulipani neri, i suoi fiori preferiti. Il Marziano mi saluta con il suo sguardo buono: “L’articolo, se vuoi farlo, bene, se no va bene lo stesso, mi ha fatto piacere conoscerti”. Sì, una giornata spesa bene.
0 notes
abatelunare · 7 years
Text
L’occhio del toro
Uno dei nemici di Daredevil, l'uomo senza paura, è comparso più o meno negli anni Ottanta. Indossava un costume che a me piaceva molto. La sua capacità era quella di avere una mira straordinaria. E di trasformare qualsiasi oggetto in un'arma. La casa editrice Corno l'aveva battezzato Occhio di bue. Commettendo un clamoroso errore. Perché il nome originale è Bullseye. Tradotto letteralmente significa, appunto, occhio di bue o occhio del toro. In realtà il termine indica il centro del bersaglio. La casa editrice che dopo la chiusura della Corno ha ripreso le pubblicazioni del fumetto, ha però ripristinato il nome americano. Il cinema ha ovviamente stravolto ogni cosa. Nel mediocre film che vede come protagonista Ben Affleck nei panni di Devil, Bullseye (alias Colin Farrell) viene presentato come prima nemesi insieme a Kingpin. In realtà, il nemico storico del supereroe cieco è il Gufo. Kingpin nasce come avversario dell'Uomo Ragno, e solo più avanti si batte con Devil. Ma torniamo a Bullseye. Nel film non indossa il costume dei fumetti. È pelato e porta in fronte una specie di mirino in rilievo. Lo so che quando scrivo queste cose sono un po' cagacazzi. Ma i fumetti sono una cosa seria. E anche se non li compro più, continuo a trattarli con il rispetto che credo meritino.
4 notes · View notes
lostaff · 7 years
Photo
Tumblr media
Nome: Sara Bodini
Blog: @blogdelcactus
Primo post: febbraio 2016
I cactus, nascosti dalle loro spine, dispensano perle di saggezza con frasi semplici e dirette. E Sara Bodini, la mente dietro al simpaticissimo @blogdelcactus, nell’intervista di questo mese ci spiega cosa pensano i cactus e perché dovremmo seguire i loro consigli. Buona lettura!
Ciao Sara, benvenuta! La domanda che ti avranno già fatto in molti: perché hai scelto proprio un cactus come soggetto del tuo blog? Il Cactus non è stato propriamente una scelta. È sbucato all’improvviso dal retro di un A4 usato, tra le 13:00 e le 14:00 del 23 ottobre 2013, durante una pausa pranzo passata alla scrivania, nell’ufficio dove lavoravo a Milano. Fu una specie di stream of consciousness inaspettato. Mai avrei pensato che quello scarabocchio buffo e tenero sarebbe stato solo il primo di una lunga serie. È stato amore a prima vista tra me e il Cactus. D’altra parte, ora che ci penso, da bambina adoravo le piante grasse, in ognuna di loro mi divertivo a cercare un’espressione o una posa umana. Crescendo ho trovato sempre più affascinante la loro capacità di sopravvivere nelle condizioni più sfavorevoli: apparentemente rigide e immobili, chiuse nel loro guscio spinoso, nascondono un’incredibile energia interiore, che custodiscono gelosamente nei periodi “neri” e restituiscono alla luce sotto forma di fiori meravigliosi. Una bella metafora, vero?
Cosa ti ha spinto a diventare un'illustratrice? Premetto che disegnare strisce umoristiche non è il mio lavoro. Per ora è un bellissimo passatempo, ma anche una necessità interiore. Non credo sia del tutto casuale che il Cactus sia nato sul finire di un periodo buio della mia vita, durante il quale, per superare l’impasse emotiva, mi sono istintivamente dedicata alla lettura di saggi e romanzi a sfondo filosofico. Per alcuni anni mi sono nutrita di F. Dostoeskij, E. Fromm, N. Chomsky, P. Roth e naturalmente C. Schulz e i suoi Peanuts., ricavandone un nuovo equilibrio spirituale. Finché è giunto il momento di “buttare fuori” tutto. Sinceramente mi diverte moltissimo pensare di aver incanalato tutte quelle letture impegnate in centinaia di strisce umoristiche che hanno come protagonista una pianta grassa. D’altra parte, come diceva qualcuno, la comicità è una cosa molto seria. L’ironia e l’autoironia mi hanno fatto nascere a nuova vita. E non è poco. 
Il tuo cactus è molto saggio e ci mostra le sue esperienze in svariate situazioni quotidiane. Che percezione della vita ha un cactus? Il Cactus è saggio, ma in un modo molto personale. La sua saggezza è del tutto estemporanea, una sorta di atto creativo che scaturisce nello spazio di una vignetta. Sembra contraddittorio definire “estemporanea” la saggezza, che è figlia della pazienza, della lentezza e della meditazione; tuttavia una pianta grassa che cosa ne può sapere di tutto ciò? Il Cactus è una creatura naïf, spontanea e semplice. Ogni volta che gli si pone un problema da risolvere, un dubbio da chiarire, una frustrazione da superare, cerca la via più breve e immediata e che soddisfi maggiormente il suo enorme ego. Sì, perché il Cactus è comicamente pieno di sé. La sua spocchia nasconde debolezze e fragilità molto umane con le quali lui, al contrario di molti uomini, ha imparato a convivere, dominandole con l’arguzia infantile delle sue soluzioni.
Tumblr media
Il tuo blog ha una sezione che si chiama "Polpette", il carpe diem della pianta grassa. Che cosa sono le polpette per un cactus? Per il Cactus le polpette sono la panacea di tutti i mali, la soluzione definitiva a qualsiasi problema. La polpetta è tonda, morbida, saporita. È fatta con poco, ma mangiarla dà una immensa soddisfazione. È uno scacciapensieri, un calmante naturale. Per una come me, con la mente sempre indaffarata in elucubrazioni sui grandi temi esistenziali della vita, della morte e dell’Aldilà, diventare un Cactus Mangiapolpette sarebbe un traguardo straordinario. Il Cactus è un guru spirituale a sua insaputa: ha a disposizione quattro vignette in cui esprimersi, un’unità spazio-temporale minuscola in cui trovare il senso della vita. E qualora insorgessero difficoltà insormontabili (e il senso della vita gli sfuggisse), niente panico! Un piatto di polpette e passa tutto!
Le tre cose preferite dai cactus? Non mi azzarderei a dichiarare quali siano le cose che i cactus in generale preferiscono, ma sono certa che il Cactus adora: - mangiare polpette - chiacchierare con Dio di massimi sistemi - scrivere alla sua ex fidanzata
Perché hai scelto di avere un blog su Tumblr? Fino a poco più di un anno fa curavo solo una pagina Facebook del Cactus. Durante un workshop di fumetto cui ho partecipato a Cremona, la mia città, un bravissimo fumettista mi ha consigliato di aprire un blog su Tumblr. Tempo due settimane e ho messo in pratica il consiglio! 
Quali sono i tuoi blog Tumblr preferiti? Il primo blog Tumblr che desidero menzionare è News from my brain di @jimmy-fontana, il fumettista cui ho accennato prima, giovane professionista talentuoso e molto creativo. In secondo luogo vorrei nominare il blog @vitaconlloyd, perché trovo assai spassoso l’umorismo trattenuto e “inglese” e la leggerezza con cui affronta argomenti di una certa complessità. Infine, mi piace mi piace citare il blog @voifatepureiodisegno di Arianna Menconi (già intervistata dallo staff), per la spontaneità del gesto grafico e delle sceneggiature.
Grazie Sara, ora per noi i cactus non hanno più segreti!
294 notes · View notes
becomixdatabase · 5 years
Text
[Parliamo solo dei fumetti che compriamo](https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/ "https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/")
Lo ripeto, parliamo solo dei fumetti che compriamo. Ok, ok, ok… è un titolo prepotente, ma ci vuole. Viene dato tutto per scontato mentre ci si dovrebbe soffermare sulle basi per rendersi conto che spesso e volentieri si esce dal seminato.
Eppure, in un gioco a due tra autore e lettore, si nasconde uno scontro di diritti tra chi ti propone il proprio lavoro e chi invece ne usufruisce. L’autore ha il diritto di essere retribuito per il lavoro svolto, il lettore ha il diritto di dire la sua sul prodotto che acquista. Da questo rapporto nasce l’esigenza di ribadire che è necessario sudare per guadagnarsi il pane e successivamente potersi lamentare del pane quando fa schifo.
Fatta questa premessa per nulla scontata, passiamo ora a parlare del nostro ruolo di lettori con manie di protagonismo. Dopo aver compiuto il nostro dovere, aver sganciato la grana ed essere ritornati nei nostri stanzini freddi e bui, possiamo finalmente iniziare a sbraitare su quella dannata michetta e vomitare il nostro implacabile giudizio.
A cosa serve fare critica del fumetto? A dire quello che è valido e quello che non lo è. Ci può essere un metodo scientifico nel giudizio di un fumetto? Anche se questa affermazione è probabilmente da scartare in termini assoluti, non si può negare che quando si tratta di un sistema di regole chiuso si possano fare delle considerazioni. Se si possono rintracciare vari sistemi di regole (il fumetto seriale americano, quello italiano, quello francese, il manga, e altro ancora) certo fumetto tende a svincolarsi dall’omologazione e dalle imposizioni delle regole, per seguire logiche uniche. Chi può avvalersi del titolo di critico? Si può asserire che, grosso modo, chiunque si metta a scrivere qualcosa a riguardo di un fumetto è già un critico. Bisogna poi vedere se le informazioni possono essere in qualche modo utili.
Utili a chi? Non di certo all’editore, che già maldestramente cerca di vendere qualche copia a lettori annoiati. Potrebbe servire all’autore emergente, se sa ascoltare giudizi sensati. Potrebbe servire al lettore, forse, sempre se c’è un messaggio e se c’è il lettore. Allora perché Le Fauci? Le Fauci nasce dall’esigenza di unire spazi di critica sul fumetto, per dare una concreta risonanza alla speculazione pura e libera, non inquinata da esigenze editoriali e commerciali.
Citando il primo numero dell’edizione italiana di Metal Hurlant, in un lungo articolo Luca Raffaelli tocca ed esamina punto per punto quello che già all’epoca era considerato il miglior fumettista di sempre. «[Moebius] Innanzitutto ammicca e, se ammicca, vuol dire che ha bisogno di ammiccare, di creare un certo rapporto famigliare col lettore, del tipo “Seguimi, sapendo però fin d’ora che non ti darò un bel niente se non un saggio dei miei effetti speciali, ma ci divertiremo ugualmente.” E questi ammiccamenti valgono poche lire, sono trucchetti stereotipati, del mestiere: non sono né Altan né Jacovitti […].» E via discorrendo. Metal Hurlant aveva il coraggio di criticare in casa il proprio beniamino, con critiche lecite e argomentate. Nella contemporaneità i siti di critica sono diventati occhiello delle case editrici o di Amazon, e senza alcun Moebius all’orizzonte si contano decide di “capolavori annunciati” al mese. Fumetti spazzatura che verranno dimenticati il mese successivo, superati dal nuovo fumetto da promuovere. Ben prima che si parlasse di graphic novel, in Italia il fumetto era considerato come arte alta e degna. Ebbene, è una continua invenzione quella del graphic novel come espressione adulta del fumetto.
Invero, Le Fauci non è qui per demolire, ma per riallacciarsi a un discorso di critica fumettistica seria che si è persa nel tempo o nel web. Non ci interessa guardare al presente, non ci interessa seguire le fiere, non ci interessano gli spettegolezzi degli addetti ai lavori: Le Fauci è qui per parlare del bel fumetto e basta. E cosa è bello? Ce lo spiega Umberto Galimberi con una serie di citazioni, da San Tommaso che affermava “Pulchrum est quod visum placet”, bello è quello che quando lo vedi ti piace. Immanuel Kant, ne La Critica del Giudizio (1790), “Bello è ciò che piace senza concetto e senza scopo”. Thomas Mann, “La bellezza ci può trafiggere come un dolore.” Un’opera è d’arte quando lo sguardo non la esaurisce, viene rimandato a un’ulteriorità di significato. L’incantamento consiste nel fatto che di fronte a quell’opera si continua a cercare quell’ulteriorità di significato rispetto a quello che il sensibile offre. Si potrebbe pensare che la differenza tra gli oggetti e le opere d’arte sia che gli oggetti si esauriscono nello sguardo che ne cattura il significato, nell’opera d’arte lo sguardo non riesce a catturare la totalità del significato. C’è un rimando verso l’ineffabile, l’indicibile, l’invisibile. La bellezza è una cosa che inquieta, una cosa che trafigge, ti paralizza, ti porta alla dimensione del sublime.
Bisogna faticare. Si fatica anche quando si spendono dei soldi. Soldi che potevano sicuramente essere spesi in altro modo, soprattutto se guadagnati sudando. Sudore chiama sudore per questo siamo qui a inquietarci, ad affilare i denti in questo nuovo luogo virtuale che si chiama Le Fauci.
Noi vogliamo parlare solo dei fumetti che compriamo perché ce lo meritiamo come acquirenti e lettori, abbiamo lavorato e sputtanato quei quattro soldi che ci avanzano nella Nona Arte perché ci crediamo veramente. Crediamo negli autori, nel loro lavoro e vogliamo giustamente pagarli per continuare a farci leggere le loro opere (con la speranza che un giorno la percentuale dei diritti d’autore sia più alta rispetto quella del distributore). Noi ci incazziamo quando, affamati, cerchiamo di approfondire il discorso trovandoci di fronte a montagne di comunicati stampa, recensioni vuote, scritte male e di fretta.
Sia chiaro, ovviamente non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, ma è evidente che l’intento è quello di alzare l’asticella. Se lo meritano i lettori, se lo meritano i giornalisti e soprattutto se lo meritano gli autori che, sudando più di tutti, cercano ogni volta di proporci un viaggio nuovo. Per questo lavoreremo anche noi a capo chino sulla scrivania, per questo vogliamo sbattere la testa contro il muro e sfondarlo più e più volte. Per scovare tutto quello che compone una tavola, per sviscerare e scoprire ogni nuovo livello di lettura celato.
Siamo qui per divorare ogni cosa del fumetto mondo.
L'originale è stato pubblicato su [https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/](https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/ "Permalink")
original post
0 notes
italianaradio · 5 years
Text
Avengers: come dovrebbero essere i costumi se fedeli ai fumetti
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/avengers-come-dovrebbero-essere-i-costumi-se-fedeli-ai-fumetti/
Avengers: come dovrebbero essere i costumi se fedeli ai fumetti
Avengers: come dovrebbero essere i costumi se fedeli ai fumetti
Avengers: come dovrebbero essere i costumi se fedeli ai fumetti
Portare un supereroe sul grande schermo è sempre un’operazione complicata, e lo sa bene Kevin Feige che con gli Avengers ha fatto un ottimo lavoro, pur prendendosi qualche licenza. Ebbene sì, perché per quanto amati e apparentemente perfetti, i Vendicatori non sono, originariamente, proprio come appaiono sullo schermo (non tutti almeno)!
Ecco delle immagini che ci mostrano come dovrebbero apparire gli Avengers se avessero dei costumi fedeli alla loro controparte a fumetti!
Ant-Man
Nel caso di Ant-Man, il cambio di costume tra film è fumetto è stato fortunato. Durante le prime apparizioni a fumetti di Ant-Man, il suo aspetto era buffo, indossava spandex e l’elmetto di controllo delle formiche era un’enorme cupola d’argento simile al casco di un alieno. Solido per la fantascienza, ma roba rozza sul grande schermo. Fortunatamente, l’eroe di Paul Rudd sembra molto più come se indossasse una tuta da combattimento ad alta potenza. E mentre entrambi i caschi ricordano un aspetto simile a una formica, la versione MCU è più rock.
Black Panther
L’aspetto del principe Wakandiano non è cambiato molto nel corso degli anni. È sempre stato una variazione su un body nero. Di tanto in tanto, la maschera viene bucata ad altezza mento e bocca e, a volte, ha un mantello, una collana di denti o accessori d’oro. La Pantera del MCU è più o meno la stessa, ma sfoggia un abito molto più tecnologico, con motivi che contengono protezioni al vibranio, cosa che rende la sua tuta molto meno elegante di quella dei fumetti.
Captain America
La cosa migliore per Captain America nel MCU è il suo costume classico, nonostante cambi in maniera più o meno sottile nel corso della storia. La differenza più evidente è la trasformazione dello scudo iconico. In origine, era semplicemente a forma di scudo, prima che si evolvesse nello scudo circolare che usa oggi. Come la maggior parte dei costumi del MCU, Captain America ha un aspetto più tattico delle sue origini a fumetti, dove è spesso disegnato con un’armatura a squame. Steve Rogers ha però indossato un costume più naive e simile a quello dei fumetti all’inizio della sua carriera come Cap, per poi evolvere i suoi indumenti in una tuta tattica.
Falcon
Falcon non potrebbe essere più diverso nel MCU rispetto alla sua controparte a fumetti. Il suo è un costume da supereroe esagerato: rosso e bianco, con enormi ali rosse e una scollatura profonda che lascia un sacco di petto nudo e non protetto. Completato da un vero falco da compagnia. Il Falcon del MCU è un ragazzo in abiti militari e un set di ali tecniche altamente avanzate. Gli occhiali sembrano comunque molto più utili e stilosi della maschera bianca dei fumetti!
Hulk
L’Hulk dei film e quello dei fumetti sono entrambi grandi mostri verdi di rabbia, ma l’Hulk del MCU ha fatto alcuni passi da gigante sull’aspetto originale di Hulk. Quando Bruce Banner si trasformò per la prima volta nel gigante seminudo, era grigio. Hulk ha assunto una tonalità verde in breve tempo, occasionalmente regrediva alla sua forma grigia e oscillava tra l’essere stupido o l’essere intelligente a seconda del colore e di qualunque scrittore volesse lasciare il segno sul personaggio in quel momento. Nel MCU, Hulk è semplicemente “verde comune”.
Iron Man
È giusto dire che la versione di Iron Man del Marvel Cinematic Universe è praticamente l’eroe con il costume più simile a quello dei fumetti. Anche se Tony ha cambiato le armature più volte di quanto possiamo contarne, le sue armature cinematografiche sono una rappresentazione abbastanza accurata di come appariva nei fumetti negli anni 2000. E sotto l’armatura? Robert Downey Jr. è nato per il ruolo.
Occhio di Falco
Se c’è un Vendicatore sullo schermo che sembra significativamente diverso dalla sua controparte a fumetti, è Occhio di Falco. Per il grande schermo, Clint Barton ha lasciato a casa la sua sgargiante maschera appuntita e l’uniforme per assumere un aspetto più tattico. Le due versione, a fumetti e cinematografica, si sono avvicinate un po’ nel 2012, quando il costume a fumetti di Occhio di Falco è stato ridisegnato per assomigliare più alla versione del film, e meno a un Wolverine viola. C’è una ragione per cui non abbiamo mai visto quella maschera di vecchia scuola sul grande schermo: è ridicola.
Quicksilver
Il Quicksilver del MCU non deve essere confuso con il Quicksilver degli X-Men di Fox, che ha origini mutanti più accurate rispetto ai fumetti. Il Quicksilver dei fumetti ha indossato una tonnellata di costumi diversi, che vanno da un tuta verde con un tema del fulmine, fino a diversi costumi blu… con il tema del fulmine. Il MCU in maniera molto intelligente incorpora il modello del costume nell’attrezzatura atletica di Quicksilver, ma questo è un altro esempio in cui siamo felici di non avere il pacchetto completo di tutina in spandex.
Scarlet Witch
Quando il colore del tuo costume è nel tuo nome, non puoi davvero fare troppi cambi di guardaroba, ma il MCU ha fabbricato un costume molto meno rilevante per la Scarlet Witch in live action. Nei fumetti, non ha nient’altro che un body scollato e un copricapo a punta. Fortunatamente per la valutazione MPAA del MCU, il costume sullo schermo di Scarlet Witch è più “collezione di moda autunnale” che “assistente del mago cattivo” (con grande gioia anche di Elizabeth Olsen!).
Spider-Man
Abbiamo perso il conto di quanti Spider-Men abbiamo avuto sul grande schermo, ma questo nuovo ragazzo del MCU è adeguato. Da quando è apparso in Civil War, Spidey ha fatto impazzire i fan con la precisione del suo costume. Nessuna cinghia, nessun logo che sembra appartenere a una bevanda energetica; solo puro Spider-Man. Nonostante una misteriosa mezza cintura che accessoria il costume in Homecoming.
Thor
Quando Thor apparve per la prima volta nel 1962, fu decorato con le migliori caratteristiche pseudo-norrene, comprese le ali più grandi che tu abbia mai visto su un elmetto e ginocchiere che avrebbero fatto arrossire un portiere. Più strani di tutti, tuttavia, sono i sei dischi che rivestono la parte anteriore della tunica di Thor, che sono così iconici che sono rimasti invariati nonostante i molti cambiamenti al costume, e appaiono persino sul suo costume da film… anche se nessuno è veramente sicuro del loro utilizzo. Il Thor del film indossa solo occasionalmente l’elmetto alato, mentre quello dei fumetti preferisce una rasatura pulita.
Vedova Nera
Quando si tratta dell’aspetto di Black Widow tra i fumetti e lo schermo, in realtà non ci sono abbastanza differenze da menzionare. Mentre il suo vestito da fumetto è cambiato sottilmente negli anni, entrambe le versioni condividono tutte le basi: capelli rossi, tuta nera e oggetti d’arma da polso. In breve, i costumi sono sono quasi identici, a parte forse per una scollatura più generosa nei fumetti!
Visione
Nelle pagine dei fumetti della Marvel, Vision è un androide con un design semplice: una faccia rossa brillante e un costume verde e giallo, con una gemma solare sulla fronte. Il Vision dei film è decisamente più simile a un robot, coperto da motivi e disegni inconfondibilmente meccanici, come se qualcuno volesse che la gente fosse assolutamente sicura che questo ragazzo è un robot. Manca all’appello il collettone giallo!
War Machine
L’aspetto di War Machine è sempre stato una variante dei design delle armature inutilizzate o modificate di Tony Stark. Quindi, se l’universo ha un Iron Man, War Machine sarà il suo gemello imperfetto, probabilmente munito con più pistole e una combinazione di colori più seria. Il War Machine del MCU sembra uscito dalle pagine dei fumetti.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Avengers: come dovrebbero essere i costumi se fedeli ai fumetti
Portare un supereroe sul grande schermo è sempre un’operazione complicata, e lo sa bene Kevin Feige che con gli Avengers ha fatto un ottimo lavoro, pur prendendosi qualche licenza. Ebbene sì, perché per quanto amati e apparentemente perfetti, i Vendicatori non sono, originariamente, proprio come appaiono sullo schermo (non tutti almeno)! Ecco delle immagini che […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
0 notes
spettriedemoni · 7 years
Text
Donna manager
Oggi ho fatto alcune foto per una rivista per la quale lavoro. La persona a cui ho fatto le foto è quella che un tempo si sarebbe definita una "donna in carriera". Una bella donna, in gamba, solare, elegante e molto cortese. Ha una stretta di mano forte ma non prepotente. Ha passione per lo sport, ciclismo, corsa e tennis. Lo si vede anche dal fisico asciutto e scattante nonostante l'età. Quello che più di tutto però mi ha colpito di lei è che tra le passioni ha anche il fumetto. Sì, questa manager legge fumetti, legge Mafalda e ha una passione per Corto Maltese di Hugo Pratt. Se magari Mafalda qualcuno se lo potrebbe aspettare tra le letture di una donna manager, mi ha sorpreso Corto Maltese. Le ho citato subito "Una Ballata del Mare Salato" ovviamente, e lei ha raccontato come grazie a un fumetto di Pratt abbia scoperto una Venezia nascosta, ignota ai turisti, magica per certi versi. C'è gente che snobba fumetti ritenendoli roba da bambini, lei invece li ritiene letteratura. Basterebbe questo per spiegare alla gente che i fumetti sono una cosa seria.
19 notes · View notes
becomixdatabase · 5 years
Text
[Parliamo solo dei fumetti che compriamo](https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/ "https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/")
Lo ripeto, parliamo solo dei fumetti che compriamo. Ok, ok, ok… è un titolo prepotente, ma ci vuole. Viene dato tutto per scontato mentre ci si dovrebbe soffermare sulle basi per rendersi conto che spesso e volentieri si esce dal seminato.
Eppure, in un gioco a due tra autore e lettore, si nasconde uno scontro di diritti tra chi ti propone il proprio lavoro e chi invece ne usufruisce. L’autore ha il diritto di essere retribuito per il lavoro svolto, il lettore ha il diritto di dire la sua sul prodotto che acquista. Da questo rapporto nasce l’esigenza di ribadire che è necessario sudare per guadagnarsi il pane e successivamente potersi lamentare del pane quando fa schifo.
Fatta questa premessa per nulla scontata, passiamo ora a parlare del nostro ruolo di lettori con manie di protagonismo. Dopo aver compiuto il nostro dovere, aver sganciato la grana ed essere ritornati nei nostri stanzini freddi e bui, possiamo finalmente iniziare a sbraitare su quella dannata michetta e vomitare il nostro implacabile giudizio.
A cosa serve fare critica del fumetto? A dire quello che è valido e quello che non lo è. Ci può essere un metodo scientifico nel giudizio di un fumetto? Anche se questa affermazione è probabilmente da scartare in termini assoluti, non si può negare che quando si tratta di un sistema di regole chiuso si possano fare delle considerazioni. Se si possono rintracciare vari sistemi di regole (il fumetto seriale americano, quello italiano, quello francese, il manga, e altro ancora) certo fumetto tende a svincolarsi dall’omologazione e dalle imposizioni delle regole, per seguire logiche uniche. Chi può avvalersi del titolo di critico? Si può asserire che, grosso modo, chiunque si metta a scrivere qualcosa a riguardo di un fumetto è già un critico. Bisogna poi vedere se le informazioni possono essere in qualche modo utili.
Utili a chi? Non di certo all’editore, che già maldestramente cerca di vendere qualche copia a lettori annoiati. Potrebbe servire all’autore emergente, se sa ascoltare giudizi sensati. Potrebbe servire al lettore, forse, sempre se c’è un messaggio e se c’è il lettore. Allora perché Le Fauci? Le Fauci nasce dall’esigenza di unire spazi di critica sul fumetto, per dare una concreta risonanza alla speculazione pura e libera, non inquinata da esigenze editoriali e commerciali.
Citando il primo numero dell’edizione italiana di Metal Hurlant, in un lungo articolo Luca Raffaelli tocca ed esamina punto per punto quello che già all’epoca era considerato il miglior fumettista di sempre. «[Moebius] Innanzitutto ammicca e, se ammicca, vuol dire che ha bisogno di ammiccare, di creare un certo rapporto famigliare col lettore, del tipo “Seguimi, sapendo però fin d’ora che non ti darò un bel niente se non un saggio dei miei effetti speciali, ma ci divertiremo ugualmente.” E questi ammiccamenti valgono poche lire, sono trucchetti stereotipati, del mestiere: non sono né Altan né Jacovitti […].» E via discorrendo. Metal Hurlant aveva il coraggio di criticare in casa il proprio beniamino, con critiche lecite e argomentate. Nella contemporaneità i siti di critica sono diventati occhiello delle case editrici o di Amazon, e senza alcun Moebius all’orizzonte si contano decide di “capolavori annunciati” al mese. Fumetti spazzatura che verranno dimenticati il mese successivo, superati dal nuovo fumetto da promuovere. Ben prima che si parlasse di graphic novel, in Italia il fumetto era considerato come arte alta e degna. Ebbene, è una continua invenzione quella del graphic novel come espressione adulta del fumetto.
Invero, Le Fauci non è qui per demolire, ma per riallacciarsi a un discorso di critica fumettistica seria che si è persa nel tempo o nel web. Non ci interessa guardare al presente, non ci interessa seguire le fiere, non ci interessano gli spettegolezzi degli addetti ai lavori: Le Fauci è qui per parlare del bel fumetto e basta. E cosa è bello? Ce lo spiega Umberto Galimberi con una serie di citazioni, da San Tommaso che affermava “Pulchrum est quod visum placet”, bello è quello che quando lo vedi ti piace. Immanuel Kant, ne La Critica del Giudizio (1790), “Bello è ciò che piace senza concetto e senza scopo”. Thomas Mann, “La bellezza ci può trafiggere come un dolore.” Un’opera è d’arte quando lo sguardo non la esaurisce, viene rimandato a un’ulteriorità di significato. L’incantamento consiste nel fatto che di fronte a quell’opera si continua a cercare quell’ulteriorità di significato rispetto a quello che il sensibile offre. Si potrebbe pensare che la differenza tra gli oggetti e le opere d’arte sia che gli oggetti si esauriscono nello sguardo che ne cattura il significato, nell’opera d’arte lo sguardo non riesce a catturare la totalità del significato. C’è un rimando verso l’ineffabile, l’indicibile, l’invisibile. La bellezza è una cosa che inquieta, una cosa che trafigge, ti paralizza, ti porta alla dimensione del sublime.
Bisogna faticare. Si fatica anche quando si spendono dei soldi. Soldi che potevano sicuramente essere spesi in altro modo, soprattutto se guadagnati sudando. Sudore chiama sudore per questo siamo qui a inquietarci, ad affilare i denti in questo nuovo luogo virtuale che si chiama Le Fauci.
Noi vogliamo parlare solo dei fumetti che compriamo perché ce lo meritiamo come acquirenti e lettori, abbiamo lavorato e sputtanato quei quattro soldi che ci avanzano nella Nona Arte perché ci crediamo veramente. Crediamo negli autori, nel loro lavoro e vogliamo giustamente pagarli per continuare a farci leggere le loro opere (con la speranza che un giorno la percentuale dei diritti d’autore sia più alta rispetto quella del distributore). Noi ci incazziamo quando, affamati, cerchiamo di approfondire il discorso trovandoci di fronte a montagne di comunicati stampa, recensioni vuote, scritte male e di fretta.
Sia chiaro, ovviamente non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, ma è evidente che l’intento è quello di alzare l’asticella. Se lo meritano i lettori, se lo meritano i giornalisti e soprattutto se lo meritano gli autori che, sudando più di tutti, cercano ogni volta di proporci un viaggio nuovo. Per questo lavoreremo anche noi a capo chino sulla scrivania, per questo vogliamo sbattere la testa contro il muro e sfondarlo più e più volte. Per scovare tutto quello che compone una tavola, per sviscerare e scoprire ogni nuovo livello di lettura celato.
Siamo qui per divorare ogni cosa del fumetto mondo.
L'originale è stato pubblicato su [https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/](https://blog.becomix.me/parliamo-solo-dei-fumetti-che-compriamo/ "Permalink")
original post
0 notes