Tumgik
#io sono ancora ferma al sorriso di entrambi - nel bacio - dopo il “Ancora un minuto” di Simone
lovingtheshow · 4 months
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mimmone + kisses
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kon-igi · 5 years
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LONG WAY HOME  - Capitolo 7 - Due pistole per due sorelle
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito Finding Doc - Vol.1 (crossover) Capitolo Due -  Per un pugno di mosche Finding Doc - Vol.2 (crossover) Capitolo Tre - Coraggio… fatti appendere! Capitolo Quattro - Solo come un cane Capitolo Cinque - È tempo di morire Finding Doc - vol. 3 - (crossover) Capitolo sei - Una piccola bottega di orrori
Cigolio costante e rumore di zoccoli di cavalli al galoppo. L’interno della diligenza ogni tanto viene scosso nei suoi consunti velluti rossi da buche che il cocchiere evidentemente non vuole evitare. O non riesce, vista la puzza di grossa quantità di succo di grano fermentato in corpo.
Sui sedili anteriori un uomo di mezza età con completo a scacchi di un brutto colore beige, pizzetto e bombetta, sposta ogni minuto la tendina per controllare con sospetto il paesaggio che corre e nel suo fare avanti e indietro viene tenuto a distanza di un palmo da un’infastidita giovane donna che indossa un lungo vestito nero e una voluminosa cuffia bianca. Il modo con cui stringe la sua borsa da viaggio, alternato a veloci arricciolamenti del ciuffo rosso sfuggito alla cuffia, la inquadra come una giovane sposa amish che va a conoscere la famiglia del suo futuro marito. Di fronte a loro, sui sedili posteriori, un uomo e una donna di chiesa. Il prete, nel nero talare del lutto perenne tipico dei cattolici, tiene il suo cappello sulle ginocchia e legge a bassa voce da una bibbia di cuoio scuro. A uno spettatore esterno sembra quasi che dialoghi col suo dio, alternando momenti di silenzio a fitte preghiere sussurrate che gli smarriscono il fiato. La suora siede composta al suo fianco, immobile nella posa della rettitudine, salvo un sussultare di spalle e un tremolio del velo quando il cocchiere di sopra impreca una profanità troppo grossa perché il sottile legno della carrozza riesca a far da filtro.
I quattro passeggeri, tutti a loro modo e con una gamma molto ampia di preoccupazione, tendono le orecchie alle bestemmie del conducente perché finché resta incazzato rimane pure sveglio e nessuno di loro vuole certo che una pariglia a briglia sciolta li faccia fiondare sul fondo di qualche gulch, a far da dispensa ai coyote.
L’uomo tira fuori un sigaro dalla giacca e lo annusa ma si limita a farlo girare tra le dita e a riporlo nel taschino quando intercetta lo sguardo disgustato delle due donne che gli perforano un occhio a testa.
E poi imbarazzato silenzio, chiunque scommetterebbe destinato a durare per tutte e 75 le miglia che separano Tombstone da Tucson.
-- Nerloki… questo vestito mi sta stretto e mi fanno male le natiche. Ma questa non dovrebbe essere una delle famose stagecoach Concord con gli ammortizzatori in legno e cuoio?
Oh… certo -- mi fa il canfuretto magico, sotto mentite spoglie -- ma puoi avere sospensioni, abs, controllo della trazione e computer di bordo ma se sei un vecchio rincoglionito col fegato che ti si liquefà dalla vescica, tu e ogni buca sarete sempre i migliori compagni di bevute. E poi guarda che anch’io non traggo grande piacere dalla forma che sono stato costretto ad assumere!
La mormona si stringe ancora di più la cuffia in testa e poi rompe la scommessa di cui sopra, con voce sottile ma penetrante -- MI SCUSI, SIGNORE! Potrebbe evitare di muoversi avanti e indietro? Non credo che il paesaggio meriti più di una singola occhiata e non capisco davvero cosa la spinga a guardare più e più volte!
Vede, Ma’m -- lo sguardo furioso della ragazza lo costringe ad aggiustare il tiro -- ... ehm, Miss, purtroppo queste terre sono pericolose come il buco di culo del demonio -- sventolii di segni della croce da parte dei discendenti togati di adamo ed eva -- e io devo sbrigare una certa faccenda che potrebbe avermi messo alle calcagna gente non troppo raccomandabile. E gente altrettanto poco raccomandabile devo andare a cercare!
Spero che questa buffonata finisca il prima possibile -- rifletto in silenzio -- Non credo che Becky riuscirà a controllarsi ancora per molto.
Il prete alza lo sguardo dalla bibbia e con voce nasale -- Mi scusi, buon’uomo, vorrei fare mia la speranza che le sue dubbie frequentazioni non abbiano a incidere negativamente sul tranquillo procedere del nostro viaggio. Io e sorella Gertrude dobbiamo prendere il treno che da Tucson ci condurrà alla missione di St. Joseph a San Diego e anche questa fanciulla timorata di dio credo che abbia da sbrigare faccende oneste.
L’uomo scoppia in una risata, non scevra però da un certo nervosismo -- Beh, signore e signori, io sono un uomo dabbene nella misura in cui il mio simile resta nel selciato della retta via ma se lei si occupa della salvezza delle anime, lasci che a quella del corpo ci pensi James Barlow, dell’Agenzia investigativa Pinkerton!
E se non le è troppo disturbo -- fa la mormona, tra il preoccupato e lo spaventato -- potrebbe illuminarci sul perché è così sicuro che qua con lei non stiamo correndo alcun rischio da parte di quelle persone poco raccomandabili?
Questa domanda non doveva saltare fuori! -- penso in panico -- Devo fare qualcosa! Nerloki! Cerca di…
-- Ferma, Doc! Il problema non è questo! Guarda che sta per arriv…
Il guidatore lancia improvvisamente un OOOOOLT catarroso e l’impennata brusca della pariglia ci manda tutti a sbattere su schienali e pavimento, con improperi, strilli e qualche preghiera sentita ma non troppo ortodossa. Ci rialziamo dallo stretto spazio tra le sedute per sentire che il cocchiere sta urlando qualcosa di pellerossa schifosi senzadio e ci affacciamo tutti dai finestrini.
Il vecchio ha fermato la diligenza sul bordo della strada sterrata e sta correndo verso un albero distante una ventina di metri da cui pende penzolante il corpo di una ragazzina impiccata.
Becky mi manda uno sguardo che parla di patriarchi al rogo e scende infuriata con uno sventolio di vesti, mentre io e l’altro tipo ci guardiamo un attimo e poi scendiamo pure noi, tardando un attimo perché ci incastriamo entrambi nello sportello.
Salto giù e rotolo in mezzo alla marshgrass, altissima in questa stagione, e quando mi alzo in piedi noto che il mio compagno di viaggio mi sta precedendo di una buona decina di metri ma non vedo più né il cocchiere né Bechdelia. Scatto in avanti.
Poco dopo, una mano raccoglie la bibbia dal pavimento della diligenza e dopo averla aperta, legge a voce alta le scritte che il prete stava studiando poco prima che la carrozza si fermasse
“Ferma, Doc! Il problema non è questo! Guarda che sta per arriv…”
Questa poi! -- esclama una voce sarcastica -- Che razza di prete legge una bibbia con queste sciocchezze sopra?!
Mi scusi, signorina -- compare scritto -- mi potrebbe restituire al mio amico cosicchè lui mi possa riconglomerare nella mia forma originale?
Non ci penso neanche! -- e chiude la bibbia di scatto per metterla dentro una borsa blu con delle strane scritte, sfilata poco prima da sotto i sedili.
Mi avvicino all’agente della Pinkerton che si è fermato a qualche metro dal cadavere penzolante. Senta Padre -- mi fa, indicando a terra i corpi di Becky e del conduttore -- posso capire che la suora sia impressionabile dalla crudeltà terrena e non abbia retto a questa terribile visione ma com’è che è svenuto pure quell’otre di cuoio indurito del cocchiere? -- e poi si avvicina al corpo della ragazzina, forse per toglierle la corda dal collo e darle degna sepoltura.
Improvvisamente questa apre gli occhi con un lampo di sorriso beffardo, infila una mano nella giacca di Mister Barlow e dopo aver sfilato qualcosa, gli spara un calcio nella bocca dello stomaco, facendolo piegare in due come un riccio che abbia appena morso un cavo dell’alta tensione.
Yippee ki-yay, figlio di puttana! -- e con uno scatto aggancia la mano sinistra al ramo e balza a terra, puntandomi contro la Colt Peacemaker dello sventurato sofferente a terra.
Caro il mio papista mangia-maccheroni -- mi fa quell’ex-adorabile ragazzina con cuffietta ricamata in testa e vestito cucito da un sacco di farina, che nel mio mondo avrebbe a malapena il patentino per uno scooter 50 -- tre adulti fatti e finiti, stesi a pedate come barattoli ammaccati! E ora vedi di prendere in spalla la suora che ti sbatti nel retro della canonica e cerca di lucidarti la suola degli stivali con una bella corsa lontano da me e mia sorella!
Solo ora mi rendo conto che indossa un’imbracatura di cuoio con un gancio sulla schiena, grazie al quale si era appesa al finto nodo scorsoio.
Linguaggio, Little Rock! -- fa una voce dietro di me e quando mi volto vedo la mite mormona mignottona a cassetta della diligenza che mi punta addosso il vecchio e polveroso shotgun del cocchiere -- non abbiamo fatto tutta questa strada per prendercela con un uomo di chiesa… anche se è uno di quelli che legge bibbie non troppo cristiane! -- e batte la mano sulla borsa di Pochacco al suo fianco.
-- Hai ragione, Wichita! Un prete che indossa speroni e cinturone con pistole sotto l’abito non perde tempo a farsi le suore! Ammesso che quella vecchia pesciolona abboccatrice sia davvero una suora e non una professionista che lucida maniglie in qualche bordello!
Dentro di me prego tutti gli dei esterni che Becky sia abbastanza svenuta da non aver udito questo dialogo.
E poi la piccoletta, continuando a tenermi puntata addosso la pistola, si aggancia al retro della diligenza che sta passando a cavalli lanciati e poi entrambe mi salutano con un bacio soffiato di derisione.
-- VECCHIA PESCIOLONA ABBOCCATRICE?!
-- PUTTANA CHE LUCIDA MANIGLIE?!
-- MA IO LA PELO VIVA E LA COSPARGO DI PECE SALATA BOLLENTE, QUELLA STUPIDA BAMBOLA DI PEZZA PIENA DI SEGATURA TARLATA!
Bechdelia andava avanti e indietro, tremando di rabbia nel suo vestito da suora come un pinguino col morbo di parkinson su troppo ghiaccio scivoloso e tutto perché, pur non avendo sentito uno dei soli aggettivi di Little Rock, ci aveva pensato il vecchio Nat, il cocchiere ubriacone, a riferirgli le contumelie tra una risata catarrosa e l’altra.
Mi scusi, padre -- mi fa Barlow, tenendosi lo stomaco dolorante -- ma sorella Gertrude sembra aver smarrito la via del signore e invero mi pare più un’indemoniata che una donna di chiesa.
-- Ehm… purtroppo nella sua vita ha subito molte ingiustizie e quindi è molto sensibile a certi argomenti. Piuttosto, quanto dista la cittadina più vicina? Ci dovremo certo procurare dei cavalli e proseguire così il nostro viaggio verso Tucson.
Viene fuori che poco più avanti c’è uno sputo di paese dall’improbabile nome di Sonoita e mentre procediamo a piedi nel tardo mattino rovente, cerco di scoprire a chi stia dando la caccia l’investigatore della Pinkerton
-- In realtà, Padre, non ne so molto e infatti ero diretto a Tucson per ricevere alcuni aggiornamenti via telegrafo. Si parla di una banda di due o più persone che hanno compiuto razzie e uccisioni in parecchie cittadine lungo il confine.
-- Si riferisce forse a quelle due bandite che ci hanno rubato la diligenza?
Non proprio -- fa lui, passandosi un ampio fazzoletto sulla fronte -- Con quelle delinquenti da oggi ho di sicuro un conto in sospeso ma io sto parlando di un pistolero senza scrupoli e di una sceriffa rinnegata, una coppia micidiale che sta seminando terrore tra la gente timorata di dio.
Ha sentito, sorella Gertrude? -- faccio rivolto a Bechdelia, che ci cammina dietro -- una coppia di assassini che vive nel peccato e che brucerà all’inferno…
Becky sta per rispondere, di sicuro in una maniera poco monastica, quando il vecchio Nat esegue un concerto di fiati posteriori e la costringe ad allontanarsi dalla traiettoria della sua nube di gas intestinali, mettendola miracolosamente a tacere.
Se solo mi piacessero un po’ di più i fagioli, anch’io potrei utilizzare lo stesso sistema e avere così due minuti di pace interiore.
Raggiungiamo Sonoita quando il sole è così a picco che pure le nostre ombre sembrano evaporate e dopo aver comprato due ronzini al corral -- il massimo che ci potevamo permettere senza destare sospetti su tesori nascosti del vaticano -- ci separiamo dall’investigatore della Pinkerton.
-- Padre, io mi fermo dallo sceriffo per farmi dare informazioni su questi due criminali e studiare il loro ritratto, visto che ne ho solo sentito parlare senza averli mai visti. Volete venire con me?
-- Ehm… veramente no… Sorella Gertrude è una monaca di clausura strappata al suo convento e soffre davvero il contatto con i peccatori mondani, senza offesa, Barlow.
In effetti sto soffrendo davvero tanto -- sussurra Becky a denti stretti -- Oh quanto grande è la mia sofferenza che rende irrequieti i miei piedi che vorrebbero dare un bel c…
Una bella benedizione! -- recupero velocemente io -- Le auguriamo di riuscire a portare la giustizia tra gli uomini e consegnare quei due farabutti impenitenti alle forze dell’ordine. Amen!
E saliti faticosamente a cavallo -- gonna la mia, tanto quella di Becky -- lasciamo frettolosamente un esterrefatto Barlow a grattarsi la testa col cappello a mezz’asta.
-- Becky, senti…
-- Taci, miserabile! Ho acconsentito a vestirmi da suora solo perché a Tombstone eravamo veramente alle strette. Non hai voluto che ci nascondessimo nei vagoni di minerale d’argento grezzo che ci avrebbero portati direttamente a Yuma e adesso con la tua geniale idea ci abbiamo guadagnato un canfuretto in meno tu e un calcio nello stomaco in più io! Sono così furiosa che se becco quelle due mezze seghe gli annodo i capelli alla coda di un baio appena castrato!
Io taccio, miserabilmente, perché tanto ogni parola sarebbe un fiammifero per la polveriera dai capelli rossi al mio fianco però tengo d’occhio i due solchi lasciati di fresco sulla strada, segno che le due poco furbe alla fine ci hanno sottovalutato e non hanno nemmeno preso in considerazione l’idea che potessimo braccarle.
Quanto mi manca Nerloki! -- penso, mentre cavalco -- Quella storia della quarta parete forse non sono riuscito mai a farmela piacere, seppur utile, ma i suoi consigli pescati in diretta dalle curve temporali ho perso il conto di quante volte ci abbiano salvato la vita! Spero che quelle due Lilith non lo stiano maltrattando.
In realtà, se solo avessi visto cosa stava facendo Nerloki in quell’esatto momento, di certo non avrei cavalcato verso il tramonto con così tanta sicurezza per noi e tanta preoccupazione per lui.
-- Doc, ho appena visto mezza stanga della diligenza sul bordo della strada. E quello là è il perno dell’imbracatura della pariglia… secondo me hanno tenuto una velocità troppo sostenuta e i cavalli si sono staccati. Il demonio voglia che quelle due stronzette siano rimaste appiedate così mi lucido la punta degli stivali sul loro culo ossuto!
Giriamo al galoppo una curva che si infila dentro a un canalone di arenaria rossa e in effetti la diligenza è là, schiantata contro il fianco della collina rocciosa, senza la minima traccia dei cavalli.
Credi che siano rimaste uccise nello schianto? -- fa Bechdelia, strappandosi via furiosamente il velo da suora -- Oppure hanno staccato i cavalli e si sono dileguate?
Non lo so , Becky -- le rispondo -- ti do le mie pistole e tu coprimi mentre vado a controllare ma bada a non farti venire il nervoso e a vedere fantasmi dove invece ci sono solo io!
Mi tolgo di dosso l’abito talare -- non c’è più nessuno da imbrogliare -- e rimango in maniche di camicia, poi do le mie sei colpi a Becky e scendo di cavallo con passo cauto.
In effetti la carrozza si è schiantata ma dopo averci dato un’occhiata veloce dentro e nei pressi, per sicurezza, arrivo alla conclusione che le due siano riuscite a sopravvivere… se poi se ne siano andate a piedi o a dorso di cavallo, questo lo avremmo scoperto seguendo le tracce -- Becky! Le due tipe non ci sono e hanno portate via pure tutti i nostri bagagli, compreso il tuo fucile.
Lo so -- risponde Becky.
Credo che se ci mettiamo a seguire le tracce -- le dico ritornando indietro -- le possiamo beccare ben prima di Tucson!
Sì -- risponde Becky.
La fisso negli occhi, dritta e a schiena rigida sul cavallo, e poi -- Ci hanno fregato una seconda volta, vero?
-- SÌ, DANNAZIONE!
E con uno sguardo beffardo e la lucida Colt di Barlow puntata alla testa di Becky, sbuca da dietro Little Rock -- Non potevo credere che ci fosse posto anche per me su questa sella, visto il culone flaccido della proprietaria, ma a quanto pare questo cavallo è abituato a portare del peso extra… Wichita, esci! I due pescioloni hanno abboccato ancora!
E da sopra una costa si alza la dannata sorella maggiore, senza più cuffia in testa e con un cespuglio di crespi capelli rossi fiamma che fanno sembrare Becky una lavandaia pel di carota passata in candeggina. E pure con la mia borsa di Pochacco a tracolla!
Molto bene, Little Rock! -- urla con eco rimbombante, mentre ci tiene sotto tiro col Winchester di Bechdelia -- Vedo che hai tolto i cannoni alla vecchia ma le fondine vuote del pistolero mi convincono poco… Ehi, barbagrigia! Togliti quello che hai negli stivali e buttalo in mezzo ai cespugli.
Non ho niente negli stival… -- ma mi rendo conto che la tipa sa il fatto suo e allora sfilo i due bowie e me ne sbarazzo.
-- E adesso quello che hai dietro la schiena!
La guardo negli occhi, avvolti nelle lentiggini, e poi tolgo il kukri dalla fondina lombare e lo mando a far compagnia ai bowie.
-- Ora la manica destra!
La cosa sta cominciando a darmi sui nervi ma sfilo delicatamente l’asso di cuori, attento a non tagliarmi coi bordi affilati, e lo lancio stancamente nel cespuglio, come un prestigiatore a cui hanno intimato di andare in pensione.
-- E adesso ci prendiamo i vostri cavalli e…
-- NON CREDO PROPRIO!
La rossa non è più sola là in cima e un braccio le cinge il busto da dietro mentre un coltellaccio le accarezza la gola.
Barlow, che credevo di aver convinto a desistere con quella stupida storia del prete e della suora. Dannazione!
Quattro piccioni spennacchiati con una sola fava! Le due Hell’s Sisters, Wild Becky e Doc Kon… questo fucile lo prendo io, sciocchina! -- e strappa di mano il winchester a Wichita -- E tu, laggiù, lancia i due cannoni del pistolero nel cespuglio e fai seguire la mia colt! Veloce ché da qua vi secco come tre fagiani in una tormenta di neve!
-- Bene! E adesso comincia a scendere, stracciona mangiapatate, e vedi di fare la brava sennò ti sparo in quel culo tondo e poi avrò un buco in più per fare i miei comodi!
Entrambi scendono cautamente dalla costa franosa, Wichita davanti, col suo vestito nero impolverato d’arenaria e le braccia alzate, l’agente della Pinkerton dietro, col fucile spianato e occhi spiritati d’odio.
Guardo in faccia Barlow e capisco che l’uomo bonaccione che avevamo conosciuto sulla diligenza era solo una recita e adesso avevamo a che fare con un sadico giustiziere di frontiera che di criminali e di poveracci doveva averne seppelliti a decine. Io che credevo di essere il master of puppets dei travestimenti ero stato manovrato come una marionetta di carne attaccata agli ami di cento pescatori di frodo. Anzi, di uno solo, che adesso ci teneva in pugno.
Dunque -- dice tenendoci sotto il tiro del fucile -- se la testa non mi inganna abbiamo solo tre cavalli, il mio che è dietro quella macchia di yucca e i vostri due, e visto che non mi piace che qualcuno rallenti la marcia e il manifesto dice VIVO O MORTO…
KA-BOOM!
Wichita viene sbalzata indietro da una fucilata allo sterno e mentre io e Becky ne seguiamo l’accasciarsi a terra con occhi sgranati, sento Little Rock che lancia un urlo straziante e si avventa su Barlow.
STUD!
E pure Little Rock crolla a terra, colpita sulla fronte dal calcio del fucile.
-- Brutto demonietto scalciante! Ringrazia solo che non abbia fatto in tempo a ricaricare, sennò ti spedivo davvero insieme a tua sorella all’inferno! Ma riparo subito all’errore! -- e dopo aver scarrellato, punta il winchester alla testa della ragazzina accasciata sanguinante a terra.
Io e Becky scattiamo contemporaneamente, consapevoli che uno di noi due si sarebbe beccato il prossimo colpo, ma non potevamo stare a guardare senza far null...
Un attimo prima Barlow sbavava di rabbia con gli occhi iniettati di sangue e l’attimo dopo sbavava sangue con gli occhi iniettati da due bowie, che due mani sbucate da dietro le spalle stavano rigirando con ferocia a trapanargli il cervello.
L’agente della Pinkerton crolla a terra con un gemito liquido, in preda agli spasmi della morte che gli riempono i brutti pantaloni a scacchi di piscio caldo, e in piedi rimane Wichita che respira a sibili faticosi, tastandosi il petto con la mano insanguinata.
Il peggiore cliché di tutta la filmografia western! -- fa una voce roca da dentro la borsa blu di Pochacco -- LA BIBBIA CHE FERMA LA PALLOTTOLA! Se Sergio Leone fosse qua con noi in questo momento, coi suoi spaghetti ci si starebbe strozzando! Perlomeno lui ha avuto la decenza di far fare il fabbro a Clint Eastwood mentre tu, Kon-igi, usi una bibbia! Non una moneta portafortuna, non un orologio, non un accendino… LA DANNATA BIBBIA CHE OLTRE ALL’ANIMA SALVA IL CORPO DEL PROTAGONISTA! Mi viene la nausea... fatemi subito uscire di qui!
Wichita guarda la borsa, su cui Pochacco adesso sorride con un foro calibro 44-40 in un occhio e poi se la sfila, tendendomela -- Non ne voglio più sapere di libri parlanti, anche se io e mia sorella abbiamo chiacchierato parecchio con ‘sto Nerloki, che ci ha raccontato cose strambe su quello che voi tre avete fatto assieme… belle storie, anche se non ci abbiamo creduto nemmeno per un attimo!
Mi affretto a estrarre dalla borsa la bibbia -- vistosamente scavata al centro dalla palla di piombo -- che subito comincia a diventare molle e a scuotersi, finché non mi rimane tra le braccia un canfuretto indignato -- Festfa mfe fla fpagafte!
Cosa?! -- fa Bechdelia
Nerloki sputa il pezzo di piombo ammaccato e poi -- Questa me la pagate! Quelle ragazzine non tacevano mai e mi hanno tanto tormentato di discorsi finché non mi sono deciso a fargli tutta la lista delle linee temporali del treno!
Quale treno, Nerloki?! -- gli chiedo.
Quel treno per Yuma -- risponde lui -- e… non per essere antipatico ma... credo che vi abbiano fregato per la terza volta.
Ci voltiamo di scatto e in effetti Wichita e Little Rock sono sui nostri cavalli.
Sentite -- urla Wichita mentre si allontanano -- accettiamo questi cavalli come ringraziamento per avervi salvato la vita da quel Barlow ma voi non veniteci dietro e noi non saremo costrette a farvi abituare a essere derubati.
Mi volto verso Becky e -- Forse hanno ragione: sono più furbe di noi e non ha senso che continuiamo a…
-- MI VERSASSERO DEL CEMENTO A PRESA RAPIDA NELLE MUTANDE SE DA OGGI NON SPIANERÒ OGNI CAZZO DI MONTAGNA PER STARGLI DIETRO AL CULO E PIALLARGLIELO A PEDATE UNA VOLTA PER TUTTE!
Sospiro rassegnato -- Amen, Sorella Gertrude.
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emme-malcolm · 6 years
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Casa sul lago
17/05/2018
Malcolm: E’ passata una settimana da quel dannato e benedetto giorno, una settimana in cui tutto è tornato gradualmente alla normalità; si sono ridefiniti gli spazi e gli equilibri nella casa sul lago. Quel luogo di pace - e qualche volta di fantasmi – non può che vedere una quotidianità tranquilla e ben scandita, gesti semplici come il preparare insieme da mangiare. Le dispense e il frigo non soffrono più quella vuotezza patologica di quando Malcolm viveva da solo, di certo con Emma hanno conosciuto una giusta abbondanza per due. Staranno ultimando di mettere su la cena i due: col supporto di Emma diventa possibile quello che a Malcolm richiederebbe davvero troppo tempo. Il giornalista comunque si dà sempre da fare, si sa che ci tiene fin troppo alla casa a cui dedica molto tempo ogni giorno, perché tutto sia a posto, in ordine, confortevole, anche se questa cura sconfina sempre nel maniacale. Al momento sta aggiustando la tavola e di sicuro è in ritardo; forse il cibo è già pronto e le sue mani nervose ancora sono impegnate a cercare una precisa distanza fra i piatti, le stoviglie, i bicchieri (il tutto rigorosamente risciacquato prima di metterlo a tavola), a sistemare qualcosa che vede storto o non allineato. Ci ha messo sicuramente mezz’ora per sistemare un tavolo solo per loro due, quel tavolino quadrato in legno davvero modesto. Però ci si impegna e si astrae nella cura prestata, diventando anche più silenzioso del solito, tutto donato a quella mania di perfezione rivolta pur sempre all’amore che combatte l’oscurità.
Emmeline: Nei suoi giri rocamboleschi all’interno del mondo culinario deve essere incappata per qualche assurdo motivo nella ricetta della lasagna e siccome la ricetta non bastava si è vista come minimo venti video per tentare di carpire i segreti per un’ottima riuscita. Inutile dire che avrà ovviamente aggirato alcuni ostacoli per mezzo di piccoli aiutini già pronti ma la buona volontà l’ha messa tutta. Spalle al tavolo che Malcolm sta sistemando da svariati minuti lei è lì che osserva la teglia col risultato delle reciproche fatiche e lo fa con aria critica, le nocche delle mani poggiate su quell’accenno di fianchi che ha <Si sta freddando> avverte di nuovo, non per mettere fretta al perfezionismo dell’uomo grigio ma per scandire la propria perplessa curiosità ricordando che la pazienza, in questi casi, non è affatto una delle sue virtù. Volta appena il viso a dare una sbirciata a quella geometria incredibile che lui ha creato ancora una volta sul tavolo e l’idea malsana prende vita nella sua testa arricciandole il naso con aria furba che nasconde subito tra le onde di capelli rossi sciolti. Solo un paio di secondi, fa appena un po’ di rumore con una posata sulla teglia e <Ouch! Ahi ahi ahi!> sventola la mano in aria come si fosse bruciata, elemento di disturbo in quella calma languida in attesa di una qualche reazione che strappi Malcolm dall’uso della sua impeccabile precisione.
Malcolm: Pure se in casa e in un ambiente familiare, l’uomo non manca di essere vestito nella solita spartana eleganza: basta una camicia bianca col colletto perfettamente abbottonato e i pantaloni scuri tenuti su dalla cintura nera per farlo apparire impeccabilmente vestito. È una giornata dalle temperature che hanno toccato punte di 34 gradi e che solo ora scendono sotto i 30. L’avvertimento di Emma lo fa affrettare a terminare la compulsiva sistemazione del tavolo, a cui ancora si dedica con caparbietà, prima di esserne effettivamente distaccato dai lamenti di Emma, verso cui si volta di scatto, con gli occhi appena più sgranati per la temporanea sorpresa altrimenti poco visibile sul volto. Ma subito accorre e in un attimo è lì, l’ha raggiunta, sinceramente preoccupato nel tentativo di fermare quella mano che si agita per aria e tenerla fra le sue: <Stai bene? Ti sei bruciata? Fammi vedere.> si attiva nell’immediato, con finanche troppa apprensione che serpeggia sotto la pelle marmorea. Ovviamente, nell’eventualità che controllasse la mano, non troverà un bel niente, nessuna parte arrossata.
Emmeline: Stare bene per la giovane Bowen significa essere un agglomerato d’attenzione maniacale per qualsivoglia dettaglio ed una tendenza irrefrenabile ad essere iperattiva tanto da tenere sott’occhio più di una cosa nello stesso momento palleggiando da un qualcosa ad un altro senza perdere la concentrazione dovuta. Il tutto si esplica infine nella marachella inscenata solo per avere la totale e completa attenzione di Malcolm, prevedendo forse perfino il cambio d’espressione nel suo viso maturo, le linee tracciate sulla sua pelle che cambiano curva in preda alla preoccupazione istantanea. Inutile dire che riesce all’istante a prenderle la mano che s’arrende subito mentre lei si ferma voltandosi con tutto il corpo verso di lui, alzandosi in punta di piedi in uno sciocco quanto buffo <Meeeeh hehe heheeee… non sapevo come avere la tua attenzione, non mi sono fatta niente> agita le dita a mostrare i polpastrelli salvi e freschi mentre lei schiocca un bacetto in aria abbassando subito il mento per guardare Malcolm dal basso verso l’alto, attraverso le ciglia, sussurrando <Si sta freddando e sono già abbastanza in pensiero che possa non essere un granché bollente, figurarsi da fredda, stupida lasagna. Su’, a tavola> impossibile frenarla, le guance arrossate per un qualche motivo di passaggio, il respiro profondo e la testa rossa che si agita ed ondeggia mentre lei sposta il viso alla ricerca del guanto di silicone per acchiappare la teglia.
Malcolm: Non ha tempo di verificare che su quella pelle non ci sono zone arrossate e calde ed è quindi improbabile che si sia bruciata, perché Emma confessa subito la verità, trovandosi con lui che la guarda dritto negli occhi, la mano presa fra le sue più grandi. <Non sapevi…?> ripete interrompendo quella frase che sarebbe stata una semplice ripetizione. Per uno o due istanti lo si vede indugiare per una reazione che alla fine si pronuncia in un vago sorriso. Se la rossa schiocca un bacio in aria e lo guarda dal basso verso l’alto, lui coglie l’occasione per provare a lasciare un bacio sulla fronte e una breve carezza sui capelli dalla fronte all’indietro. <D’accordo, a tavola> obbedisce anche se non gli sfugge il rossore momentaneo delle guance a cui distende appena di più il viso, senza commentare nulla. <Sei sicura di farcela?> con la teglia; muove un passo verso la tavola, poi pare ci ripensi: <No aspetta, lascia fare a me. Tu.. siediti. Faccio io.> la prega, con convinzione.
Emmeline: Lo scherzo improvvisato, la bugia, durano assai poco nel viso e nelle intenzioni della rossa che si ritrova ben presto a mostrare le dita salve diventando poco dopo piccola, sempre più piccola e presente semplicemente in quel contatto di pelle della propria mano tra le sue. La piccola scena di vita quotidiana l’ha portata ad avere molto di più rispetto a ciò che in fondo si aspettava ed ora l’attesa di una qualche reazione a quella confessione, dopo un paio di parole piombate di nuovo nel silenzio la fanno essere poca cosa prima di sbocciare di nuovo in un ampio sorriso quasi avesse intenzione di accentuare quello di Malcolm su quelle labbra dal disegno leggero. E’ da quelle che sfugge pur restando ferma ma proiettando le pozze chiare degli occhi da qualche parte nel bianco candido ed ordinato della camicia che ha davanti. Rimane ferma a prendersi il bacio sulla fronte socchiudendo le palpebre e rilassandosi in un sospiro lento e senza rumore, muovendosi appena solo sotto alla carezza sui capelli per poterla prolungare quanto più possibile <Scusa> le esce in un soffio di voce come non potesse davvero resistere ed avvertisse quel po’ di colpa per averlo fatto preoccupare in quel modo così repentino. Se ne sarebbe andata a prendere il guanto e poi la paletta per servire ma il dietrofront dell’uomo grigio la blocca fino a farla sorridere di nuovo <Potevo farcela… ve bene, aspetta prendi prima il sottopentola quella teglia pesa e ti devi appoggiare, ok?> le ultime raccomandazioni prima si prendere posto a tavola stando ben attenta a non toccare nulla e non spostare nulla, anzi prendendosi tutto il tempo a disposizione per osservare la precisione con cui è sistemato ogni oggetto dove non legge malattia ma una mente infinitamente sorprendente.
Malcolm: <No, va bene.> la rassicura brevemente a quella richiesta di scuse; nessun senso di colpa, è stato qualcosa di innocuo in fondo. Una volta che ha convinto Emma a lasciar servire lui e intanto ad accomodarsi, ne ascolta le raccomandazioni e annuisce. E poi resta fermo qualche istante a guardare gli oggetti da prendere, indugiando indeciso. Solo dopo si muove, recupera il sottopentola, il guanto, poi la teglia e quindi prende il piatto di Emma per primo. Fa una porzione, impiegandoci molta cura per evitare che gli strati di lasagna di sfaldino, per tagliarla con precisione e per depositarla con altrettanta precisione nel piatto, senza sporcarne i bordi; la stessa cosa avverrà per il suo piatto e finalmente, dopo un lungo minuto pure abbondante saranno a tavola entrambi, giusto il tempo di mettere anche una bottiglia d’acqua in uno spazio già determinato. <Buon appetito Emma.> augura, con un breve sorriso pacato, recuperando forchetta e coltello per aggredire pian piano la sua porzione, porzione da Malcolm e cioè piccola. Certo vederlo alle prese con le lasagne è qualcosa di particolare, perché cerca in tutti i modi di tagliarle in modo che il pezzo resti integro, quindi il taglio è lento e con poca pressione. E quando finalmente assaporerà un pezzo di quelle lasagne, dirà con la sua serietà naturale e perciò a tratti enigmatica: <Hm… sono deliziose. Non ne mangiavo di così buone dal… ’93, credo.> e tace, lasciando quel commento lì come se nulla fosse. Mangia con una compostezza quasi snervante – come al solito, sempre uguale a sé stesso – e tiene lo sguardo basso. Che, relativamente alle lasagne, dica sul serio o solo per incentivare in ogni caso lo sforzo di Emma non è dato sapersi, è difficile da leggere. Tiene lo sguardo basso anche quando poco dopo se ne esce con un: <Pensi… pensi che ti piacerebbe… insegnarmi l’ebraico?> chiede, anzi ri-chiede qualcosa venuto fuori già quella sera tumultuosa di cui però Malcolm ha evitato di parlare, chiusa nell’acqua passata. Una richiesta che propone di nuovo e altrettanto in punta di piedi.
Emmeline: Le rassicurazioni hanno un effetto anestetico su qualsiasi tipo di preoccupazione o remora, la fanno rilassare in un sorriso ampio e compiaciuto ciondolando la testa a dimostrazione dell’enorme divertimento che ha ricavato tanto dallo scherzo quanto dal sorriso comprensivo di Malcolm. Ed è lì, seduta con una certa compostezza che non l’abbandona mai per educazione impartita tanto da essere assolutamente naturale, ad aspettare che lui compia i gesti precisi e misurati che lei sbircia con attenzione perdendosi nella contemplazione di qualcosa che comprende e che in fondo le è sempre piaciuto. Lei stessa sembra essere condizionata dagli effetti di quella stessa attenzione, tanto da spostare le mani per prendere il bordo del piatto e ruotarlo in una posizione più precisa e consona ad una certa idea d’ordine salvo poi perdersi completamente al momento di prendere la forchetta ed adocchiando la meticolosità del taglio della lasagna. Tentenna. Dapprima poggia le punte della forchetta sullo strato abbrustolito, ci ripensa e torna indietro per poi rifare lo stesso movimento. No, non può essere così meticolosa, quella lasagna la vuole dissezionare aprendo gli strati e raccogliendo quello che più le piace <Buon appetito cuore mio> un sorrisetto ed un’occhiatina in attesa dell’assaggio gongolandosi con moderazione <Talmente iperbolico da farmi credere di aver fatto quasi un pasticcio… e non in senso culinario, forse dovrò imparare a fare la besciamella in casa, non sarà mai come quella del ‘93> che a lei sembra un po’ la preistoria, nel ’93 lei ancora sbagliava a pronunciare le parole ma questa è un’altra storia, un dettaglio che non ha il minimo peso in confronto a quell’aria, quel profumo di casa, quella tavola apparecchiata per due, loro due. Se ne compiace intimamente, incapace di mostrare così tanta gratitudine sebbene vi sia immersa completamente; sistema i capelli dietro alle orecchie e prende a mangiare in quel suo disordine caotico che la vede timida, l’arte dei piccoli passi è nelle parole di Malcolm, nella richiesta che la fa voltare a guardarlo in quel suo modo leggero e privo di una presenza totale, la solita piuma leggera che accarezza curve e spigoli altrui mentre si succhia il labbro inferiore controllando una curiosità eccessiva. Dapprima lo tranquillizza <Sarebbe un onore poterti insegnare la mia lingua anche se… non so davvero se potrei essere una brava insegnante> ancora un istante di tentennamento <Come mai vuoi?> lo sussurra nel silenzio placido e tranquillo del loro ambiente, la casa sul lago.
Malcolm: Iperbolico davvero questo complimento, forse ha esagerato in effetti e non gli importa molto di aver detto una bugia. Anche se francamente non ricorda tutte le lasagne che ha mangiato da allora. Un po’ imbarazzato resta con lo sguardo basso e non sa bene cosa dire, forse va a perdersi con la testa da qualche parte, si vede un muscolo – uno solo – piegarsi sul volto come se ci fosse un sorriso sotto pelle ma è qualcosa che non si concretizza oltre. <E’ un’ottima lasagna. La apprezzo molto.> dice allora con un tono un po’ indecifrabile che resta però tranquillo e gentile nella serietà di massima. Sembrerebbe quasi una frase di circostanza ma d’altra parte si vede che non lo è; semplicemente si sta impegnando per uscire dall’impasse e di esprimere gratitudine per quell’impegno senza venir meno alla sua proverbiale diplomazia. Probabilmente sta bilanciando tante cose insieme, persino qualcosa che porta la sua mente a veleggiare distante da lì. Questo d’altronde dopo diversi secondi di silenzio. Ha ancora lo sguardo basso, su quelle lasagne che tratta con tutti i riguardi: ci metterà un sacco a mangiare la sua porzione a questo ritmo. Ci si potrebbe chiedere legittimamente se non si stufa mai di tutte le “regole” che applica di continuo; si potrebbe vedere come oltre la splendida geometria e l’infinita attenzione c’è anche – d’altra parte - qualcuno che per le sue ragioni fatica ad affrontare uno stupido piatto di lasagne. C’è la serenità nel volto, serenità di essere con la persona con cui vuole essere, nel luogo in cui vuole essere, ad assorbire la pace circostante; e c’è allo stesso modo l’animo sempre inquieto, sempre lambito da onde di luce oscura che spesso raffredda e spegne lo sguardo e rende sul volto marmoreo le micro-espressioni quasi impercettibili come la continuità di movimento delle lancette di un orologio. Però va avanti caparbiamente e taglia con precisione un nuovo pezzo di lasagna, mentre con lo sguardo perennemente basso le chiede di insegnargli l’ebraico, anche ma non solo per cambiare argomento. <Lo saresti.> dice serio, senza alcun dubbio sul fatto che lei possa essere una buona insegnante. Sorride appena, avendo sentito che Emmeline ha accettato; brevemente lo sguardo si alza a trasmettere la gratitudine per aver finalmente risposto sì a quel desiderio. Come mai vuole imparare l’ebraico, chiede Emma. E lui sembra rifletterci un po’, dedicandosi a tagliare la lasagna e poi a mangiare quel nuovo pezzo conquistato. Solo dopo averlo inghiottito ha una risposta da dare: <E’ una lingua molto antica, una cultura molto antica: ha avuto sempre un certo fascino su di me. È qualcosa che possiamo fare insieme. È un’occasione per imparare da te, ed anche per conoscerti meglio in qualche modo.> parole ponderate e serie, corredate di un breve sorriso alla fine.
Emmeline: Ora ha tutto il tempo per dedicarsi a quel daffare, tutto il tempo per stare realmente con se stessa a riversarsi in quelle pagine che sta riempiendo con tanta foga e concentrazione, a mano con la sua stilografica, cartucce e cartucce d’inchiostro blu. Tutto il tempo per dedicarsi alle piccole cose e rendersi conto che oltre a tutto quel correre e dimostrare di poter essere qualcosa, non qualcuno, c’è una vita possibile, una persona, una Emma che la guarda tutte le mattine allo specchio <Ho cercato di fare del mio meglio> non lo disturba oltre in quelle considerazioni su una stupida lasagna tornando ad impegnarsi nel suo mescolare ogni singola parte perché a quanto pare è la besciamella a piacerle in maniera particolare. Gli lascia il tempo per le sue operazioni chirurgiche stando ben attenta a non saltellare sugli aspetti meno luminosi della questione sebbene ne sia profondamente cosciente. Sospira e mangia, ciò che ha ora è infinitamente maggiore di quanto avrebbe mai potuto immaginare di avere realmente, le farneticazioni mentali certo parlano, alcune se ne tornano da dove sono venute e altre volte riaffiorano… evita accuratamente di andare ad osservarlo troppo, dopo ogni boccone s’impegna a succhiarsi e mordersi il labbro mentre giocherella col cibo per sistemarlo come vuole e continua a mordicchiarsi il labbro e di nuovo il viso le si colora della nota accesa di un rosa caldo <E’ quello che spero, non ho mai avuto la possibilità di farlo, non lo parlo molto spesso da così tanto tempo ed era una cosa che facevo esclusivamente con mia madre…> ci pensa su’ e respira profondamente rimanendo con gli occhi incollati sul piatto ed il capo rosso appena chino <credo fosse una cosa che mio padre preferì lasciare a suo completo appannaggio, lui… capiva in silenzio e lo vedevo dai suoi occhi quanto apprezzasse> scivola lentamente nel silenzio e corruccia la fronte, è sicuramente la prima volta che si spinge oltre a parlare dei suoi genitori in giornate n cui il fermaglio a forma di libellula è rimasto spesso nel cassetto <E’ affascinante…> sibila piano, morbida, tornando al viso di Malcolm a volte così vicino e a volte così schivo <… come tutte le cose vecchie> il naso le si allarga appena in quel sorrisetto che la dice lunga sul senso della frase, cose esplicite e cose nascoste <Sarà così particolare poter insegnare qualcosa a Malcolm Barnes> una smorfietta vezzosa finisce per concedersela, come una ragazzina cui è stato dato un grosso permesso <E’ solo una piccola parte di me ormai>
Malcolm: Chiunque lo conosca si può aspettare che ora Malcolm accolga in religioso silenzio quelle confidenze che vengono fuori per la prima volta, inaspettatamente. Ed è esattamente quello che fa: si piega nel modo migliore per accogliere le parole di Emma, la sua Emma. È quasi una vertigine pensare a quella famiglia di cui lei parla, presso cui è stata bambina, una famiglia che lui non conosce, ed ora la bambina è seduta di fronte a lui a guardare indietro nel suo passato, momenti di intimità di anni addietro, ed ora la bambina ama un uomo, padre per la parte rimasta bambina, amante per la parte più adulta della sua stessa età. Chissà cosa penserebbero i suoi genitori. Alla fine anche quei ricordi sembrano contenere gli echi di questa lingua antica, luci orientali. Non si direbbe in generale, ma Malcolm ha una fervida sensibilità, empatica e creativa, quando si trova ad ascoltare gli altri (almeno quelli di cui gli importa davvero). Nel frattempo ha sollevato un po’ lo sguardo per trovare il capo di lei chino: di nuovo quella bolla di realtà intorno a loro, sospesa, fatta solo ed esclusivamente della loro intimità, al riparo da ogni occhio e da ogni orecchio, il loro porto franco. Non turba quella confidenza con un fiato. È completamente immerso in lei, nella preziosa effusione della sua persona ed è una sensazione meravigliosa esserne il depositario. Lei lo ritrova ben presto con gli occhi, lo ritrova ad accarezzarla con lo sguardo tremendamente intenso quanto composto e restio a scivolare via dalle linee altrui. Così si prende quell’implicito significato che riesce a cogliere e che gli fa abbassare lo sguardo in un chiaro moto di timidezza. <Cercherò di essere un buono studente.> commenta, stringendosi appena nelle spalle, sorridendo un po’ a labbra chiuse per mantenere quella sottile ironia iniziata da Emma. Ma alle ultime parole torna a guardarla, anche se con discrezione. Qualche secondo per lasciar sedimentare ciò che Emma ha detto e poi replica: <Non sembra una piccola parte di te.> obietta in maniera molto pacata e seria, più che un’obiezione è un’idea che lui ha e che si permette di esternare con cautela. <Non credo lo sia> continua, lentamente. <Non lo è mai.> aggiunge, stavolta soffiando queste parole in maniera più amara, sfuggente, mentre taglia un nuovo pezzo di lasagne rinnovando la sua piccola battaglia. <Preghi ogni sera.> annota delicatamente, un semplice sussurro fra loro due, a renderle evidente quanto sia ancora forte il legame coi suoi genitori; non si tratta solo di fede, secondo Malcolm. E senza bisogno che dica niente di più esplicito, è evidente che se ne è accorto e da come lo dice è per lui qualcosa di sacro ed intoccabile che si limita a constatare, a sfiorare. Tre parole, dette nel modo giusto, riescono ad avere un mondo dentro.
Emmeline: Quella di Malcolm è una melodia che canta senza bisogno di voce ed il silenzio non è mai stato così musica se non per mezzo del suo sguardo. Quel paio d’occhi azzurri non hanno perso il tocco lieve di stille di sentimento e la capacità di rimanere ad abbracciare ciò che amano senza bisogno delle braccia. E lei rimane dentro a quell’intensità, privandosi del respiro come in un’immersione che l’accoglie separandola da ogni cosa, circondandola di null’altro che quello sguardo perso in lei e lei persa in quello sguardo di cui si veste rimanendovi incastrata senza battere ciglio. Le piace essere lì, dimenticare ogni cosa, dimenticare di essere stata felice da bambina, di esser stata scaraventata senza alcun senso dentro ad un incubo, dimentica della disperazione, dimentica di non aver mai amato prima d’ora. Poco prima era ignara di avere la massima espressione dell’universo interiore del suo uomo grigio ad carezzarla affacciandosi nel viso di lui, se ne stava a testa china a ricordare, a rivelare una parte di se stessa che altri non ascolterebbero mai provenire dalla sua bocca; lì a comprenderlo in quei ricordi dipingendo l’essenza di quella famiglia che non ha potuto avere a lungo, una sorta di presentazione. Vederlo assorto su se stessa chiude quel cerchio, la bolla che rinforza il legame, il sottile filo che li tiene insieme. Torna a sorridergli espirando quando lui scivola via, tentando d’indovinare la proporzione della sua lotta interiore per riuscire a farlo; non esistono parole in nessuna lingua al mondo capaci di descrivere la pace che prova sotto a quello sguardo dove non sembra esistere altro che lei. Separa piano le labbra nell’ascoltare le sue precisazioni parlando di quanto possa essere grande quel pezzettino che compone Emma, quella parte di Ruth Emdin che non l’ha mai abbandonata e mai l’abbandonerà. Ha ragione, è così profondamente radicata in lei sua madre da non riuscire nemmeno ad averne una chiara percezione, da non ricordare come abbia fatto in fondo a trasmetterle quel bisogno e quel desiderio forte. Annuisce lentamente e delicatamente, per un attimo perde lo sguardo alle spalle di Malcolm per andare oltre la terrazza fino all’acqua, e poi torna ancora una volta. Sarebbe sciocco da parte sua pensare che non se ne sia accorto ma la sorpresa le apre comunque lo sguardo limpido <Ho molte cose importanti da dire a Dio, molte cose importanti da chiedergli e… ho bisogno di parlare con loro, di far sapere loro che sto bene e che la mia vita è migliore> parla piano, piccoli passi in sordina che inumidiscono gli occhi di una commozione pura e sincera, una gratitudine che scavalca la solitudine di cose finite.
Malcolm:  Segue lo sguardo di Emma andarsene oltre la terrazza buia e poi aprirsi appena di sorpresa, ritrovando occhi talora spiazzanti per alcuni. Lui ascolta le nuove parole, le spiegazioni di quel pregare; dimentico di quel cibo che costituisce più una lotta da cui fuggire che la soddisfazione di un bisogno fisico, resta attento a ciò che Emma dice. Il suo rapporto con Dio e coi suoi genitori così vivo ed autentico, per far sapere loro che sta bene e che la sua vita è migliore. La sua vita è migliore; neppure si azzarda ad indugiare sul pensiero che possa essere stato lui la ragione. È invece preso dalla profondità della spiritualità di Emma che aveva già compreso nell’osservarla. Osservazione di cui non parla, la lascia nel proprio cuore dove sembra destinata a rimanere. Tiene gli occhi su di lei e, più che darle un sorriso oltre l’espressione seria ma tranquilla, sembra perdersi e andarsene più lontano per qualche attimo. Prima di annuire con grande ritardo e provare ad allungare verso di lei, sul tavolo, la propria mano, chiaramente alla ricerca di un contatto. Resta in silenzio però, non crede di aver nulla da dire, niente che valga la pena di trovare la luce, niente che sia  degno di lei.
Emmeline: Malcolm non è una presenza nelle parole ma non per questo non dà loro il giusto peso, ne comprende il significato quando sono accompagnate da un agire ponderato in ciò che fiorisce spontaneamente come un tutt’uno inscindibile. E sebbene in lui le parole manchino spesso, rare ma preziose più di un lungo dissertare attorno ad un semplice quanto profondo concetto, gli basta soltanto tentare di porgere la propria mano per farle comprendere il suo umanissimo universo interiore, un solo gesto per comunicarle di nuovo il senso di quello sguardo nel quale lei ha vagato per ogni millesimo di secondo che ha potuto averlo, persa in respiri sottili e flebili nell’attesa di far tesoro di quell’attenzione. Non importa dov’è andato se non vuole dirlo, le foreste inesplorate del suo essere non possono essere perlustrate con l’avidità di un colonizzatore ma piuttosto bisogna entrarvi coi piedi nudi a sentire l’umidità del suo muschio… ora comprende il pensiero che le fa scaturire il suo odore, piedi nudi che affondano sul morbido muschio umido, la gentilezza di lasciare tempo, la naturalezza di qualcosa che cresce spontaneamente tanto da non poter essere più negato da parte di entrambi. Nel sorriso che gli rivolge lo ama, nel viso bianco che si volta lentamente verso di lui e nelle dita che si scostano dal piatto scivolando sul legno, protese ma pazienti fino ad incontrare le sue e tremare di sollievo al punto da dover chiudere gli occhi per tre lunghi secondi prima di riaprirli non meno lucidi di quanto fossero all’inizio di quel parlargli di quella parte di se stessa, un segreto, un angolo che davvero nessuno conosce <Sarebbe contento, mio padre, se potesse dimostrarmi di esserlo guardandomi ora, lo so… mi ha vista quando ero solo un involucro e non ero più la sua bambina, ho visto la sua rabbia… ora vedrei la sua contentezza> continua piano, lo lascia entrare tenendo gli occhi vividi su di lui e ne stringe le dita in un intreccio morbido. E’ lui l’uomo di cui ha bisogno, l’unico e nessuno all’infuori di lui a poter ascoltare quelle parole, ad avere il permesso.
Malcolm: Tende la mano verso di  lei e lentamente piega il capo leggermente di lato e in basso, un movimento gentile che finisce per fargli fissare quella mano grande protesa a cercare quella di Emmeline. Perde il contatto visivo ma ritrova ogni istante del gesto: un lieve, lievissimo tremito, forse solo di emozione nel trovare la pelle di lei, le dita che prende lateralmente, stringendole in modo delicato. E resta muto, nutrendosi di quel gesto che parla nella sua mente e la riempie più di quanto potrebbero fare tanti discorsi. Rialza la testa verso di lei solo quando la sente parlare. Emma, la sua Emma, rende ancora una volta concreta la sua voce e così inutile tutto il resto. Il suo rifugio, forse mai così bello come questa sera. È felice Emma e Malcolm diventa la sua conca calma che la contiene e la custodisce. Inspira poco di più nell’ascoltare le parole e poi torna a guardare le loro mani intrecciate; ha gli occhi sereni Malcolm, seri ma sereni: <Sarebbe contento di quello che stai vivendo…> una frase a metà tra un’affermazione e una domanda, dato il tono leggermente interrogativo sul finale. <E tua madre? Pensi… pensi che ne sarebbe felice?> chiede ancora, con cautela. La cosa curiosa è che non ha mai saputo esplicitamente che i genitori di Emma non ci sono più, lo aveva immaginato – non ricorda neppure quando e perché - ed ora ne ha la conferma. Ma in Emma c’è quel senso di continuità dettato dalla fede. È sempre strano, vertiginoso, per lui sapere di poter avere tranquillamente l’età che avrebbe il padre di Emma ed è questo probabilmente che lo spinge ad approfondire la domanda, come se i suoi fossero ancora vivi.
Emmeline: In quella mano c’è ogni cosa e ritrova ogni cosa, ogni frammento si ricompone nella delicatezza che usa nel toccarla, nella gentilezza e nella premura che non vuole averla ma solo poterla sentire. Non c’è nulla che non vada in quel tocco è un comprendersi ed un concedersi vicendevole, l’affermazione vera e presente di un’appartenenza, la sua Emma, il suo uomo grigio, inconsapevole delle vertigini provocate da certi pensieri che in lei non prendono nemmeno la vaga forma di principi di dubbio; quando guarda lui non vede ciò che il resto del mondo vede, nei suoi occhi c’è la stessa essenza che aveva scorto già tempo prima, la scintilla la si potrebbe chiamare, quella frazione di secondo che comincia a far muovere la giostra della storia. Incredibile, le apre bene lo sguardo chiaro riuscire a cogliere quanto inspiegabilmente sia riuscita ad avere tutto questo, ad avere lui, lui a tratti così distante, irraggiungibile, involucro inscalfibile. La sua serietà non la intimidisce, non l’ha mai fatto davvero, la protezione in quello sguardo non sarebbe mai capace di poterla descrivere con nessuna parola, una delle cose che non potrà mai esprimere, che non potrà mai essere scritta in nessuna pagina. Lo osserva rimanere a contemplare le loro dita e gli lascia una lieve carezza de pollice in un nuovo fremito nel poterne sentire la consistenza. Ha la pelle sottile ed arresa, segnata senza essere scalfita, una meravigliosa mano lunga e sottile che la prende e la tiene con sé in un paio d’occhi di nuovo chiusi. Il sorriso s’increspa di dolce comprensione mentre annuisce, si, quello che sta vivendo, il sentimento che riempie gli spazi vuoti a poco a poco, l’emozione che bagna una guancia con timida lentezza. Torna ad osservarlo quando domanda della madre, Ruth le ruba una stretta di labbra non per dubbio o tentennamento ma per poter affrontare la forza di quell’immagine vivida in lei, forte e salda, una presenza che è forse causa di quella forza che ha mantenuto salda la giovane Bowen fino a questo momento <Lei… impiegava così tanto tempo per fidarsi delle persone, ma so che ti avrebbe osservato riuscendo a cogliere nulla di più o di meno di ciò che ho visto io… ho imparato da lei, sebbene in modo del tutto diverso. Avrebbe visto e compreso… profondamente> la felicità non sembra appartenere a quella donna, ma la comprensione del significato delle cose si.
Malcolm: Prende la carezza del pollice sulla sua pelle e a sua volta restituisce un tocco appena più rinsaldato. Osserva la sua risposta, osserva perché è un sorriso ed un annuire, una lacrima che scende sulla guancia e per la quale Malcolm non fa niente. La lascia scorrere. E rinserra nuovamente la sua stretta nel momento in cui Emma affronta la domanda sulla madre. Le parole successive vengono ascoltate una per una, ponderate ed accettate con un annuire leggero, segno che ha capito. Non spende una parola, non sporca il ricordo e le parole complete che legano Emma alla madre con le proprie che non potrebbero aggiungere niente. Si limita a sostenere la ragazza lasciando una breve carezza di un dito sulla pelle altrui, un polpastrello che si muove sul dorso della mano di Emma. La medesima presa si trasforma in quella caratteristica di un accompagnamento, di punto in bianco. <Vieni con me> un invito, un ordine, tre semplici parole ferme e gentili insieme, niente che si possa contestare in quella fiducia. Vieni con me, in un posto dove lui la accompagna alzandosi ed invitandola ad alzarsi col più cavalleresco sostegno della mano sollevata in alto. Lui è svettato oltre il tavolo e resta indecifrabile, proiettato da qualche parte; se Emma lo concederà e lo seguirà non dovrà andare molto più in là di qualche passo, la mano mai lasciata. L’altra mano di Malcolm la ferma praticamente a due passi dal tavolo, chiudendosi sulla spalla di lei. <Chiudi gli occhi. E tienili chiusi.> ordina di nuovo, fermo ma gentile, macchinando – ahinoi – qualcosa. E se ancora Emma si sarà fidata e avrà fatto come Malcolm ha detto non sentirà altro che qualche passo misurato, un trafficare piuttosto silenzioso; difficile dire di cosa si tratti nei primi momenti. Solo dopo alcuni istanti, esattamente e meravigliosamente in coincidenza dei passi di Malcolm che la raggiungono e delle sue mani che si agganciano delicatamente sui fianchi senza neanche fretta – una mano più verso il centro della schiena, l’odore dell’uomo e il suo viso accanto a quello di Emma -; allora un suono di una batteria che scandisce un tempo si diffonde nell’aria.
Emmeline: Sostenuta, sorretta ed accarezzata in quei passi accolti nel silenzio che non sa di un nulla dispersivo ma che si fa spazio per serbare quel ricordo, immagini senza volti e fati solamente di essenze, la luce fulgida di anime tornate al loro Creatore. Ed ogni volta che chiude gli occhi lui è lì, le sue dita sono lì per annullare la sensazione di buio e farle fare quel passo in più che la mantiene lì, con lui e nessun altro, amata, accettata, voluta in modi che probabilmente nessun essere ha mai sperimentato nel proprio animo. Ancora soffici passi ed ogni passo è un respiro e all’immagine di quei passi corrisponde quasi le avesse letto nella mente, nel suo immaginario, l’invito privo di dubbio nel volerla tenere con sé, invitarla ad alzarsi senza incontrare resistenza. Apre ancora gli occhi col viso alto ad osservare lui stagliarsi contro la luce soffusa di quell’ambiente aperto, una figura da seguire con le labbra socchiuse in una lieve sorpresa ed una curiosità cui sarà chiesto di chiudere gli occhi. La ferma a qualche passo dal tavolo, “vieni con me” un richiesta che comprende ancora quello stare insieme, insieme inseparabili quasi potessero eliminare il ticchettio delle lancette, con la mano che non l’abbandona. E lei chiude gli occhi nonostante lui sia costretto a lasciarla lì sospesa ad ascoltare qualche piccolo rumore e passi che s’allontanano, dettagli che la vedrebbero ciondolare con le braccia ancora appena sospese in aria, ferme nell’attesa e nel battito di un cuore che comincia ad accelerare dopo quella calma languida che le ha permesso di parlare. Ora non riuscirebbe a dire nemmeno il proprio nome, ora che i passi lo fanno tornare da lei e le prime battute del tempo che si trasforma in canzone le avrebbero fatto aprire gli occhi. Vuole ballare, un desiderio che gli è rimasto dentro, la ricorda quella sera in cui non avrebbe osato nemmeno dirlo se solo lei non glielo avesse chiesto, quella canzone ascoltata per la prima volta attraverso la sua voce ed un ballo che non le prende le mani ma l’accoglie tutta, vicino con viso e profumo ad avvolgerla maggiormente, lei, piccola, minuscola col viso che si scalda e le braccia che seppur morbide non riescono a muoversi. Quella canzone, il palmo quasi al centro della propria schiena tra le punte dei capelli. Preme piano il viso contro il suo fino a poggiare il naso tra orecchio e collo, ferma ad ascoltare qualsiasi movimento e con le braccia che riescono a chiudersi delicatamente su di lui, una mano dietro la schiena e l’altra sulla spalla, appena dietro la scapola. Ventinove perle nel tuo bacio.
Malcolm: Un tempo perfetto; lui è lì quando inizia il tocco frusciante della batteria e in quelle prime battute si addossa e si affianca ad Emma. La canzone si riconosce subito, non poteva essere che quella d’altronde. Non c’è fretta e non c’è smania nelle mani che si portano con enorme rispetto una al fianco e l’altra dietro la schiena, né nell’accostarsi al suo corpo, col viso accanto a quello di Emma e gli occhi chiusi. Non incombe su di lei, non gli importa anche se lei non riuscisse ad abbracciarlo, se non riuscisse a toccarlo, se non riuscisse a muoversi, non gli importa. In silenzio conduce entrambi i corpi ad oscillare lievemente, con calma: è tutto ciò che serve per ballare. Non parla. Lascia che Emma poggi il viso contro il suo e che finisca a rifugiarsi nella linea del suo collo; a sua volta Malcolm piega leggermente il capo nella stessa direzione del viso di Emma, come per completare quell’unione. La tua fiamma in me. Sono qui solo per questo momento. Lascia parlare la canzone, tutto è tenerla fra le braccia, fare qualcosa che ha necessitato di molto tempo e farla senza sentirsi male, regalarle e regalarsi un desiderio, semplice ed innocente, che li unisca e che li porti lontano, insieme in loro stessi, ciascuno col proprio passato e un vago sogno di un futuro che almeno in un caso sarà l’ultimo possibile, l’ultimo immaginabile. Come scriveva Philip Roth: “Certo non è il mio primo amore. Forse non è il mio più grande amore. Ma di certo è il mio ultimo amore. Questo conta qualcosa?”
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