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#michele silenzi
abr · 8 months
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L'altra sera a Macerata, sul palco del Teatro della Filarmonica (per il festival “Presente Liberale” ideato da Liberilibri), Francesco Borgonovo ha detto che la colpa del presente sfacelo è l’individualismo. Ho ribattuto che a me sembra il contrario: il presente sfacelo come esito della mancanza di individualismo. Vedo segnali ovunque. La cremazione che brucia il ricordo del defunto. La mascherina che cancella il volto. La raccolta differenziata che trasforma l’uomo in scarafaggio. Il denaro digitale che estingue il contante, proprietà reale e dunque “luogo di difesa dell’individuo, della sua autonomia”, come scrive Michele Silenzi. L’attacco alla mobilità privata, in cui l’uomo è alla guida, per imporre i mezzi pubblici in cui l’uomo è in balìa. Gli odiatori dei social, spesso anonimi, che stroncano, in branco, chiunque esprima una personalità. Perfino l’accanimento contro Sgarbi: non si sopportano più i protagonisti, si preferiscono i burocrati. E se tutto procede verso l’uguale, tutto procede verso il basso. Esattamente il presente sfacelo.
Molto d'accordo con C.Langone. Il pur ottimo Borgonovo spiaze, ogni tanto come del resto il Boni mi cade in equivoci da conservatore di provincia, cioè retrò , non "liberato" (dai miasmi crociani-azionisti che han corrotto in modo fatale il liberismo di stampo italico).
via https://www.ilfoglio.it/preghiera/2024/01/26/news/il-presente-sfacelo-come-esito-della-mancanza-di-individualismo-6141959/
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famoustyrantangel · 11 months
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Sono la mia prigione. L’esilio.
Sono le ali che non mi ritrovo
a farmi perdere quota.
Sono l’orizzonte lontano. La meta.
Mi basto. Mi batto.
Sono bravo a nascondermi.
Sono un drago a confondermi.
Sono i giorni che non mi ritrovo
a farmi perdere tempo.
Sono il culto. Il tempio.
L’altare dove sacrifico le mie parole
per invocare i silenzi.
Sono la terra promessa. La mia guerra santa.
La fortezza. Il battaglione.
Sono in prima linea. Sono il nemico.
Io contro me stesso. L’abisso che si fa cielo
per poi ripiovere in terra quand’è sereno.
Sono presenza. Mancanza. Appartenenza.
Sono le lacrime che non cadono
a farmi perdere la tenerezza.
Michele Gentile
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milleniumbrigante · 1 year
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La Repubblica del Silenzio
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Ho conosciuto Asia (@ninivenemesis) online un po’ di tempo fa. Lei è lombarda, io pugliese, ma se potessimo figurarci la suddivisione animica dell’umanità in due placche di Terra spaccate, io e lei sappiamo che abiteremmo sulla stessa.
Mi ha detto che sarebbe scesa in Lucania insieme a Giacomo Castana (@prospettive.vegetali) per il Naturalmente Tecnologici festival, a Bosco Coste, Grottole. Non sono una frequentatrice di queste formalizzazioni di incontri, ma Giacomo avrebbe portato, assieme ai suoi racconti, i suoi strumenti per dar voce all’energia delle piante. Volevo fare qualcosa di bello insieme ai miei fratelli, uno studioso di scienze naturali, l’altra di musica e percussioni. Mi è sembrata un’ottima idea.
Il festival si è rivelato una sorpresa anche per l’incontro con Anna Albanese, che ha portato alla luce la storia di Michele Mulieri, già raccontato nelle pagine di Rocco Scotellaro, e della sua Repubblica dei Piani Sottani. Anna, in quanto lucana e laureata in Storia e Civiltà Europee, ha recuperato i testi andati perduti del Mulieri e della sua repubblica autonoma che non vedo l’ora di leggere nel dettaglio, perché il racconto della sua personalità, tra l’anarchico assoluto e il piùcchecittadino, ha subito risuonato con la mia attitudine e le mie domande/risposte su come vivere e far vivere questa terra che già dal 1950 - tra conseguenze della riforma agraria, asprezza del territorio, inadempienza delle amministrazioni - sembra tornare sempre più o meno sui soliti punti critici: difficoltà di impresa, polarizzazione sociale, sfruttamento del territorio, esportazione della forza lavoro, necessità di protezione, e quindi, di indipendenza.
Ne è conseguito un dibattito spontaneo con i partecipanti, tutti già sintonizzati sulle stesse frequenza, riguardo una serie di temi correlati alla storia di Mulieri che spaziano tra passato e presente, dal brigantaggio postuintario, all’illusione del mito borbonico, alla figura di Carmine Crocco, alla ricorrente domanda sul senso di attingere o meno ai fondi regionali, statali ed europei, che Mulieri ha affrontato prima di noi, e per noi deve essere un punto di partenza.
Ecco perché il Mulieri mi è già d’ispirazione, e spero di poter portare a frutto questa ricerca anche per voi che mi leggete, perché lo sia anche per voi. Non provo tensione per una risposta, perché il silenzio che ho vissuto nel resto del giorno mi ha ricordato che processo è sempre più rilevante del successo. Riconoscere che i propri obiettivi siano parte di un puzzle più grande della propria linea temporale assegnata, e che quindi la soddisfazione personale derivi dal riconoscere qual è, in questo puzzle, il proprio scopo, è una consapevolezza interreligiosa e che viene dalla Terra. Ed è qui che viene a galla il mio interesse per l’esperienza di Asia, ricercatrice spirituale, e Giacomo, che da tempo è in ascolto delle piante.
Nel resto del pomeriggio infatti, io, Asia, Giacomo e i miei fratelli ci siamo persi nel sentiero di Bosco Coste. Mentre meditavo sulla potenza della Repubblica dei Piani Sottani, nonché sul suo malinconico destino mitologico (ancora per adesso), Giacomo e Asia hanno fatto suonare delle piante per noi, accompagnandoci nella meditazione con passi e parole lenti, con la raccolta di ciò che la terra ci regala con l’intento di realizzare un mandala; mettendoci in attesa, e in silenzio, aiutandoci a prendere confidenza con esso.
Non sempre le piante a cui abbiamo dato voce hanno deciso di cantare per noi. Non abbiamo chiesto niente più di ciò che loro volevano darci. Forse, in questi silenzi, abbiamo sentito anche il peso di un certo sguardo di giudizio, che abbiamo letto come un invito a smettere di cercare qualcosa dall’esterno. Non è sempre necessario che la tecnologia ci aiuti a superare i nostri limiti umani per capire il nostro posto nel mondo. Una pianta ha in sé tutta la saggezza che possiamo già percepire con gli occhi e con le mani senza dover per forza trasformare, con dei sensori, gli impulsi elettrici in musica. E questo, al di là delle implicazioni strettamente personali ed emotive, credo che possa riassumere in poche parole quella che credo essere la mia posizione su progresso tecnologico, in uno scambio dicotomico costante con un'idea di progresso che abbraccia tutto, non solo la tecnologia. In mattinata, dopo aver seguito un workshop sul design sostenibile ho sentito la mancanza di un punto fondamentale nel pensare nuovi mondi e nuove tecnologie oggi: la decrescita. Che non è solo rallentare, non è solo conservare il conservabile. E’ un’idea che ho ritrovato solo in alcuni blog d’ispirazione kackzynskiana, ma con immaginario vagamente solarpunk, escludendo la violenza del manifesto contro la società industriale. In nessuna delle tavole rotonde a cui mi capita di presenziare (vuoi per curiosità, vuoi per speranza) che sono la base dell’economia verde di oggi, sento ricorrere questa idea. C’è la paura che la decrescita porti alla morte, alla perdita di possedimenti, materiali e spirituali, alla perdita di possibilità, alla solitudine. Non ho mai sperimentato niente di più falso da quando ho deciso di applicare questo concetto al mio percorso di vita.
Ora, non pretendo di divulgare queste idee con l’idea che tutti siano nelle condizioni di potersi permettere qui, e ora, l’inizio di una serie di rinunce (perché è di questo che si parla quando si parla di decrescita). Ma il Mulieri, che con la sua benzina venduta a mano stava a un bivio dove passavano tutti, e che mandava lettere di sfida ad Enrico Mattei, comunicava con le istituzioni, o andava a Roma incontrare un altro anarchico, non mai ha rinunciato alla rete per arrivare fino a noi oggi. Anche dove sembra che anche chi lotta sia in qualche modo vittima dello stesso sistema che combatte, diventando potenza reattiva, o generatore di disordine sociale, esiste in realtà una rete di persone che fa del silenzio il suo motivo di coesione. Chi lo tradisce è fuori.
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Ma noi fiorimmo di notte quando si incontrano i dispersi, quando le parole non bastano e ci vogliono i silenzi.
  Michele Gentile
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chez-mimich · 8 months
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MICHELE BONDESAN E LUCA PERCIBALLI: “TAPESTRY”
Molto originale, fin dal titolo, questo disco del duo Michele Bondesan e Luca Perciballi, uscito per l’etichetta statunitense “Never Anything Records”. Dodici misuratissimi brani composti per ipnotici strumenti che sembrano provenire da un indefinito passato, come fossero stati messi in soffitta e ritrovati in un mercatino dell’usato: strumenti elettronici analogici, altoparlanti, vecchi registratori, ma anche un banjo e un contrabbasso. “Tapestry” è in vendita anche in formato “musicassetta”, come si chiamava un tempo, formato piuttosto eccentrico, ma non così casuale e certamente frutto di una oculata scelta, non solo di marketing, ma anche di “filosofia musicale”, se mi è consentito utilizzare termini piuttosto impegnativi e, del resto, il contenuto di tutto ciò è uno strabiliante percorso in una sorta di immaginaria “avanguardia elettro-folk”. Dal brano I al brano XII, il viaggio musicale, fatto di sonorità non appariscenti, quasi minimali, tiene inchiodati all’ascolto per quella capacità che è, a mio modo di vedere, rara e appannaggio di pochi musicisti, una capacità di produrre una musica “sporca”, quasi di scarto, fatta di suoni, accordi, trascinamenti, ritmi, e persino di “dolci romori” come scrisse il poeta. E così nel trascorrere dei brani, anche il passaggio dall’uno all’altro, sembra far parte dell’intervallo tra un movimento e l’altro di una complessa sinfonia. Se il brano I si sviluppa come una soavissima nenia, fatta anche di piccole disarmonie, inermi disturbi ed incursioni sonore, in cui abbandonarsi e lasciarsi cullare, il brano II, fatto di profondi stridori ed echi infiniti, inquieta con il suo senso sospeso che ricorda i silenzi rumorosi di una foresta tropicale irta di insidie. E le sorprese non sono che all’inizio, poiché questo lavoro è un campionario di piccole e germoglianti meraviglie sonore e molto sperimentali nel senso pieno del termine: il brano III sembra procedere sull’arrancare di un grammofono rotto dal quale, come dalle mani di un abile vasaio, si modella; nel brano IV, invece, si ritrova un suono pulito, sempre giocato su ripetitività quasi rituali e ritmi primordiali di delicata fragilità. Col brano V sembra che il tono cambi e, da atmosfere di ancestrale “animismo musicale”, si passi direttamente alla Vienna dello “Steinhof” di cui scriveva il filosofo Massimo Cacciari. E’ evidente qui la citazione della lezione viennese, una musica che fieramente si opponeva alla “Bachhendlkultur”, la cultura del pollo fritto, come la chiamò qualcuno. E’ la sana voglia di avanguardia e di ricerca che i due musicisti ripropongono anche negli stilemi dei brani VI-VII-VIII, anche se in quest’ultimo tornano sonorità più tribali, così come nei brani IX-X-XI, dove le composizioni sembrano tornare “sporche” ed ibride. Come in ogni ritualità che si rispetti, l’ultimo pezzo (XII) è l’agnizione finale, la rivelazione, l’epifania, il momento in cui sembra di aver compreso il senso dell’intero lavoro, dove i ritmi si fanno più perentori e sicuri, ma che, al loro climax, sfumano improvvisamente per tornare nelle stesse profonde oscurità dalle quali avevano preso vita. Lavoro molto profondo che richiede, per usare un ossimoro, un “attento abbandono” che sazia la mente prima delle orecchie e che nutre il cuore.
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agrpress-blog · 11 months
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Verrà inaugurata sabato 11 novembre 2023 alle ore 17.00 presso l’Aula Consiliare “Helga Rensing” del Comune di Olevano Romano la seconda parte del progetto Continenti dell’altrove. Le città di Calvino tra invenzione e rappresentazione, a cura di Francesca Tuscano. Pensata in occasione del centenario della nascita del grande scrittore (1923-1986), la mostra a Olevano Romano segue quella tenutasi lo scorso ottobre nella Biblioteca Raffaello di Roma in cui le cinquantacinque città di Calvino erano state interpretate da altrettanti artisti contemporanei. Nella sede olevanese verranno esposte invece opere più storicizzate che si ispirano, piuttosto che al testo, al processo di creazione calviniano proponendo città inventate dagli artisti o visioni urbane connesse alle loro poetiche. All’inaugurazione saranno presenti Umberto Quaresima (Sindaco di Olevano Romano), Maria Sofia Antonelli (Assessore alla Cultura), On. Maria Antonietta Sartori (Senatrice), Serafino Mampieri (Presidente Associazione AMU), Francesca Tuscano (Direttrice del Museo Civico). Il progetto, comprensivo delle opere realizzate per le due esposizioni - per un totale di oltre ottanta opere -, verrà completamente allestito presso la sede del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata, dove verrà inaugurato lunedì 20 novembre alle ore 18.00, per rimanere visibile fino al lunedì 27 novembre. La realizzazione del progetto ha visto la collaborazione di diverse associazioni museali e di spazi indipendenti attivi nella sperimentazione e nella promozione delle arti visive e del nuovo rapporto con la letteratura. Fra i musei e le altre realtà partecipanti al Museo Civico d’Arte di Olevano Romano, capofila del progetto, il Museo D’Arte Contemporanea del piccolo formato di Guarcino, l’Associazione Amo, la galleria il Torcoliere, i Diagonali, Aliud Edizioni, le gallerie Alea Contemporary Art e Storie contemporanee, la Stamperia del Tevere, lo Spazio indipendente Officina, la Stamperia d’arte La Linea e l’associazione Ars&Techne. All’esposizione delle Città invisibili di Calvino partecipano gli artisti/artiste Bruno Aller, Rita Allescia, Arianna Angelini, Giulia Apice, Paolo Assenza, Laura Barberini, Maryam Bakhtiari, Eclario Barone, Claudia Bellocchi, Gianluigi Bellucci, Aldo Bertolini, Paolo Bielli, Francesco Calia, Virginia Carbonelli, Claudia Catalano, Malgorzata Chomicz, Valerio Coccia, Michele De Luca, A. Pio Del Brocco, Felice Del Brocco, Mimmo Di Laora, Franco Durelli, Marisa Facchinetti, Alessandro Fornaci, Francesca Gabrielli, Leonardo Galliano, Salvatore Giunta, Lucia Graser, Federica Luzzi, Loredana Manciati, Frank Martinangeli, Giovanna Martinelli, Donato Marrocco, Fausto Maxia, Elena Molena, Gianluca Murasecchi, Giulia Napoleone, Massimo Napoli, Veronica Neri, Anastasia Norenko, Isabella Nurigiani, Franco Nuti, Andrea Pacini, Vincenzo Paonessa, Lucia Sapienza, Giovanni Reffo, Marta Renzi, Rosella Restante, Anna Romanello, Azadeh Shirmast, Alessandra Silenzi, Virginia Sobrino, Massimo Spadari, Nicola Spezzano, Lello Torchia, Rosana Tuscenca, Raha Vismeh. La mostra Continenti dell’Altrove - Le Città di Calvino tra invenzione e rappresentazione, a cura di Francesca Tuscano, rimarrà aperta al pubblico presso la sala consiliare “Helga Rensing” di Olevano Romano fino a domenica 19 novembre 2023 (orario: lunedì, mercoledì e venerdì, ore 9.00 - 14.00; martedì e giovedì, ore 9.00 - 19.00; sabato e domenica chiuso) e poi presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata da lunedì 20 a lunedì 27 novembre (orario: dal lunedì al venerdì, ore 9.00 - 20.00; sabato, ore 9.00 - 13.00; domenica chiuso).
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themadcat-art · 6 years
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Can I just do a little rant about Il ragazzo invisibile 2 - Seconda generazione (for all the English readers “the invisible boy 2 - second generation)?
Silence? I’ll take it as a “yes”.
Can we talk about how awesome Michele Silenzi is?
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Really! And how about Michele and his sister Natasha. Just so badass!
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Russian by blood, Italian by adoption. Dramatic character, complex storyline. This movie is really a must-see. The director is the one and only, Academy Award winner Gabriele Salvatores (this guy). 
The first movie is damn good, the second one just awesome. 
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schizografia · 3 years
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I mattini grigi della tolleranza
Come nascono i bambini? Li porta la cicogna, da un fiore, li manda il buon dio, o arrivano con lo zio calabrese. Guardate il volto di questi ragazzini, invece: non danno affatto l’impressione di credere a ciò che dicono. Con sorrisi, silenzi, un tono lontano, sguardi che fuggono a destra e sinistra, le risposte a tali domande da adulti possiedono una perfida docilità; affermano il diritto di tenere per sé ciò che si preferisce sussurrare. Dire “la cicogna” è un modo per prendersi gioco dei grandi, per rendergli la loro stessa moneta falsa; è il segno ironico e impaziente del fatto che il problema non avanzerà di un solo passo, che gli adulti sono indiscreti, che non entreranno a far parte del cerchio, e che il bambino continuerà a raccontarsi da solo il “resto”. Così comincia il film di Pasolini. Enquête sur la sexualité (Inchiesta sulla sessualità) è una traduzione assai strana per Comizi d’amore: comizi, riunioni o forse dibattiti d’amore. È il gioco millenario del “banchetto”, ma a cielo aperto sulle spiagge e sui ponti, all’angolo delle strade, con bambini che giocano a palla, con ragazzi che gironzolano, con donne che si annoiano al mare, con prostitute che attendono il cliente su un viale, o con operai che escono dalla fabbrica. Molto distanti dal confessionale, molto distanti anche da quelle inchieste in cui, con la garanzia della discrezione, si indagano i segreti più intimi, queste sono delle Interviste di strada sull’amore. Dopo tutto, la strada è la forma più spontanea di convivialità mediterranea. Al gruppo che passeggia o prende il sole, Pasolini tende il suo microfono come di sfuggita: all’improvviso fa una domanda sull’“amore”, su quel terreno incerto in cui si incrociano il sesso, la coppia, il piacere, la famiglia, il fidanzamento con i suoi costumi, la prostituzione con le sue tariffe. Qualcuno si decide, risponde esitando un poco, prende coraggio, parla per gli altri; si avvicinano, approvano o borbottano, le braccia sulle spalle, volto contro volto: le risa, la tenerezza, un po’ di febbre circolano rapidamente tra quei corpi che si ammassano o si sfiorano. Corpi che parlano di loro stessi con tanto maggior ritegno e distanza quanto più vivo e caldo è il contatto: gli adulti parlano sovrapponendosi e discorrono, i giovani parlano rapidamente e si intrecciano. Pasolini l’intervistatore sfuma: Pasolini il regista guarda con le orecchie spalancate. Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto rispetto al mistero che non viene pronunciato. Dopo il regno così lungo di quella che viene chiamata (troppo rapidamente) morale cristiana, ci si poteva aspettare che nell’Italia di quei primi anni sessanta ci fosse un certo qual ribollimento sessuale. Niente affatto. Ostinatamente, le risposte sono date in termini giuridici: pro o contro il divorzio, pro o contro il ruolo preminente del marito, pro o contro l’obbligo per le ragazze a conservare la verginità, pro o contro la condanna degli omosessuali. Come se la società italiana dell’epoca, tra i segreti della penitenza e le prescrizioni della legge, non avesse ancora trovato voce per raccontare pubblicamente il sesso, come fanno oggi diffusamente i nostri media. “Non parlano? Hanno paura di farlo”, spiega banalmente lo psicanalista Musatti, interrogato ogni tanto da Pasolini, così come Moravia, durante la registrazione dell’inchiesta. (…)
Michel Foucault
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corallorosso · 4 years
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- Amore, che c’è? Mi sembri triste. - No, è che pensavo alla situazione, a questo virus, a come ci costringe a passare il Natale... - In effetti è un peccato. - Festeggiare lontano dai propri affetti. - Lo so, non è facile. - Niente vigilia in famiglia, niente pranzo di Natale coi parenti. - Mi dispiace. - Niente luci, feste, grida, grandi raduni, niente tavolate, niente abbracci, baci, cucine piene di vita, case stracolme di persone, pranzi di sei ore con cinque pause sigaretta. - Eh purtroppo… - Niente mamma che si lamenta perché non ho ancora un lavoro vero. Niente papà che agli antipasti mi piglia bonariamente in giro e al dolce mi sputtana con elegante perizia. - Tuo padre ti... - Niente zia Carla che parla di dittatura sanitaria e niente zio Ruggero che esprime opinioni politiche che si trovano leggermente a destra di Alba Dorata. Niente zio Emilio che mastica a bocca piena o zia Mariella già superbamente ubriaca alle tartine. Niente cugino Simone che spiega come Biden abbia rubato le elezioni e niente cugina Loredana che ha avuto un figlio e adesso non è più in grado di parlare d’altro, né cugina Emma che invece ha avuto un coniglio, e adesso non è più in grado di parlare d’altro. Niente esercito di nipoti che tramano e cospirano per trovare nuovi modi di rompere i coglioni. Niente zia Susanna che ha appena divorziato e sta provando a coinvolgere altre zie nel progetto, niente zio Michele che racconta delle deliziose barzellette dove la parola n***o ricorre con più frequenza che in un brano di Kanye West. Niente cugino Giorgio e “il suo amico” che son tre Natali che viene a cena e che deve fare? Deve scoparselo sul tavolo prima che qualcuno si decida a chiamarlo “il suo ragazzo”? Niente fidanzata di zio Giuseppe che ha la stessa età della figlia di zio Giuseppe e che, in un atto di sublime perfidia, son state piazzate l’una accanto all’altra. Niente nipote che mi fa invecchiare solo a parlarmi di tha Supreme e niente bimbo dell’antivaccinista che spensierato smoccola in giro. Niente cane con le nevrosi, gatto con la passione per gli scroti, niente cugino che è meglio di me in tutti gli ambiti dell’esistenza umana e niente zio workaholic che prova a farmi firmare una polizza assicurativa fra il primo e il secondo. Niente seni di cugina, niente alito di prozio, niente roboanti, patriarcali scoregge di nonno. Niente amici di famiglia testimoni di Geova che mi ricordano che loro non festeggiano mica il Natale, ma allora perché vi state mangiando il mio pandoro?! Niente cuginetto che dice “swaggare” e “flexare” e schiva tutti i calci che provo a dargli da sotto il tavolo. Niente purè freddo, cotechino rovente, niente poesia sulla sedia, niente segnaposti fatti a mano che non riceveranno mai il giusto apprezzamento, niente panettone coi canditi che piace solo a uno su cinquanta, ma chissà come finisce sempre per esserci in duplice copia. Niente ma è da un sacco che ci vediamo, stai perdendo i capelli, sei ingrassato, non ti vedo mica bene, senti tu che ne sai di computer il mio non si accende più, niente l’hai vista l’ultima di? Certo che l’ho vista, la mia vita è nel cesso. Niente e cosa ti ha portato Babbo Natale? La Playstation 5, piccolo marmocchio viziato? Io ho fatto il picchetto fuori da Euronics mortacci tua, come ci sei riuscito? I tuoi sono dirigenti Sony, nano dimmerda?! Niente bimbo con regalo ingombrante, niente bimbo con regalo da montare, niente bimbo con regalo contundente, niente bimbo con regalo rumoroso. Niente bimbo che non controlla gli sfinteri. Niente foto di gruppo, niente facciamone un’altra però stringetevi, niente dimmi tu un’alternativa valida a Zaia. Niente gaffes, silenzi pesanti, niente grande cineforum dei fallimenti e delle miserie di ciascuno e riduzione dell’altro alla sua forma più semplificata di sé, niente processo di familiarizzazione collettiva con la relatività einsteiniana. Niente pugni stretti e voglia di urlare fortissimo che si irradia in tutto il mio corpo come spirito natalizio. - Amore, ma stai piangendo. - Scusa, è che non ci riesco… è troppo doloroso. - Lo so, lo so. - Tu sei assolutamente sicura che non riusciamo a convincere Conte a far la stessa cosa anche l’anno prossimo? (Non è successo niente)
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paoloxl · 4 years
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Arresti per fare carriera, un problema. Magari poi con email riassuntiva ai giornali locali, che grati tolgano con trafiletto e foto degli eroi in divisa. Non solo a Piacenza.
“Il “caso Piacenza” è sparito dai radar. A distanza di un mese esatto dai fatti, è calato il silenzio sulla maxi retata alla stazione di Piacenza-Levante.
Nell’indagine coordinata dal procuratore Grazia Pradella erano rimasti coinvolti dodici carabinieri: cinque in carcere, un maresciallo ai domiciliari, altri cinque militari sottoposti all’obbligo di presentazione alla pg, divieto di lasciare la città per il comandante della locale compagnia.
Lungo l’elenco delle accuse.
Fra i reati contestati, falso ideologico, lesioni personali aggravate, ricettazione e spaccio di sostanze stupefacenti, arresto illegale. E poi, per la prima volta nella secolare storia dell’Arma, una intera caserma sottoposta a sequestro in quanto “corpo del reato”.
Personaggio centrale dell’inchiesta, l’appuntato Giuseppe Montella, secondo gli investigatori un soggetto capace di ogni nefandezza pur di ottenere i risultati sperati. Dopo l’iniziale clamore mediatico, si ricorderà la pirotecnica conferenza stampa degli inquirenti con la proiezione di alcune slide in power point con i colori della guardia di finanza, il silenzio ha avuto la meglio.
I vertici di viale Romania hanno subito trasferito l’intera scala gerarchica, inviando a Piacenza il meglio che era a disposizione. Il nuovo comandante provinciale, il colonnello Paolo Abrate, figlio del capo di gabinetto dell’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa, è il primo del suo corso. Il comando provinciale della città emiliana era stato oggetto dal 2017 di un forte turn over, con ben tre comandanti che si erano succeduti nell’incarico: i colonnelli Corrado Scattaretico, Michele Piras e Massimo Savo.
Uno all’anno.
A parte rinnovare i vertici, però, più nulla, se non la notizia che sarebbe stata avviata “una indagine interna” di cui al momento non si conoscono né i tempi né i modi.
Come mai questi silenzi? C’è forse “imbarazzo” per come è stata gestita la caserma di Piacenza-Levante negli anni?
E già, perché questa stazione, fino allo scoppio del bubbone, era considerata il fiore all’occhiello dei comandi dell’Emilia Romagna.
L’attività operativa della stazione piacentina era stata addirittura premiata nel 2018 durante la festa dell’Arma a Bologna. La motivazione recitava che “il comando si è distinto per l’espletamento del servizio istituzionale”, in particolare nell’attività di contrasto al traffico di stupefacenti.
Arresti, quasi tutti di cittadini extracomunitari accusati di spaccio, che avevano fatto schizzare verso l’alto le statistiche e prodotto di conseguenza note caratteristiche eccellenti per i vari comandanti che si erano succeduti.
Tornano, allora, in mente le parole pronunciate da Italo Ghitti, presidente del Tribunale di Piacenza dal 2013 al 2017, all’indomani degli arresti dei carabinieri. «Durante un’udienza per direttissima di uno dei tantissimi piccoli spacciatori extracomunitari che venivano arrestati dissi che erano arresti troppo facili, quasi sempre per pochi grammi di stupefacente».
«Arresti a strascico – aggiunse – chiaramente per gonfiare le statistiche e conquistare elogi ed encomi dai superiori». «Prendere dei ragazzini con in tasca dell’hashish non significa certo colpire gli spacciatori. Io rilevai – prosegue Ghitti – nella sede propria del mio lavoro fatti che vedevano tutti». «Non avevo il dovere di segnalare nulla.
Se avessi capito tutto, avrei denunciato, non avrei detto solo che i troppi arresti da quattro soldi mi facevano arrabbiare perché lontani da un modo serio di provvedere alla sicurezza del territorio», concluse amaro Ghitti.
Arresti, dunque, “facili”.
Come scrive nell’ordinanza a carico dei carabinieri il gip Luca Milani, il “massimo risultato” con il “minimo sforzo” per “mere ragioni di carriera professionale”. Quanti sono, allora, i superiori che hanno “beneficiato” della fabbrica degli arresti messa in piedi da Montella&soci?
Una domanda che merita una risposta quanto prima.
Prima che l’oblio non travolga tutto.”
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scarsafiducia · 5 years
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Per Mirko.
Sarò esagerata, ma voglio scriverlo comunque. Manchi tu, manchi tu che mi rendi felice, manchi tu che mi fai sorridere. Manchi tu che non mi hai mai giudicata, manchi tu che mi hai sempre amata, manchi tu che sai decifrare i silenzi. Manchi tu che mi fai compagnia, manchi tu che mi difendi dai miei demoni, manchi tu in così poco sei diventato così tanto. Manchi tu che ogni mattina mi abbracci, manchi tu che ogni giorno mi sopporti, manchi tu che tieni alle piccolezze, manchi tu che le rispetti. Manchi tu che mi sorridi, manchi tu che mi suggerisci alle interrogazioni, manchi tu che mi distrai un po' dalla realtà. Manchi tu che non menti, manchi tu che non deludi, manchi tu che sei così semplice, eppure così indispensabile. Sei il primo che entra così improvvisamente nel mio cuore e non ne esce, il primo di cui non dubito, il primo su cui potrei stare giorni e giorni a scrivere. Forse ho esagerato con le emozioni, tu provochi questo, non smettere. Ti voglio qui.
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sciatu · 6 years
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Libro “De arti Venandi cum avibus” , l’Arte della Caccia con i volatili) scritto da Federico II (prime due foto) , l’assedio di Siracusa da parte degli arabi e l’assedio di Messina da codice biazzantino, Guerre e assedi da codice bizantino, Codice di Manesse, miniatura raffigurante due innamorati indicati come Bianca Lancia e Federico II.
PRIMAVERA E INVERNO
Lei aspettava sua madre nel porticato del castello con le sue ancelle. Dovevano andare alla festa organizzata da suo padre, il conte Bonifacio, per l’imperatore Federico II appena tornato da Gerusalemme e salito fino in Monferrato per seguire la ribellione dei comuni. Il porticato circondava il cortile più interno del castello, quindi solo pochi potevano accedervi ma d’improvviso apparve un cavaliere, con una ricca armatura su vestiti fatti con la seta lucente e preziosa che veniva dalla Sicilia. Il cavaliere non fece caso al gruppo di donne, perchè seguiva nel cielo il volo di un falco mentre girava sulle torri del castello del padre della ragazza. Con ardire inconsueto per i suoi sedici anni, la ragazza si staccò dalle ancelle e si diresse verso il cavaliere e dopo un inchino si presentò come Bianca dei conti Lancia e chiedendo perdono, volle sapere se il cavaliere era giunto al seguito del potente imperatore. Il cavaliere sorrise e si lisciò la barba bionda dove appariva qualche filo bianco perché in fondo era più vecchio del padre di lei. Rispose di si, che era a seguito del potente signore, padrone di tutte le terre che si estendevano dal lontano ed oscuro nord fino alla abbagliante e solare Africa. La giovane chiese allora con garbo se poteva descrivergli l’imperatore di cui aveva sentito parlare a lungo, e che molti dicevano essere un diavolo ed altri definivano bello e potente come l’angiolo Michele di Domineddio. Il cavaliere sorrise e rispose che l’imperatore era un uomo terribile, scomunicato dal Papa con gli occhi di fuoco e la barba rossa di sangue per via dei nemici che mangiava crudi e la ragazza lo guardava spalancando gli occhi ed aprendo la bocca come fanno i bambini quando ascoltano le favole e non notò che i due mori, che seguivano il cavaliere a qualche passo di distanza con spade curve e mantelli di seta, sorridevano alle parole del vecchio cavaliere. Arrivò la madre della ragazza di corsa perché era in ritardo lamentandosi della lentezza dei servi e giunta vicino alla figlia le disse che dovevano andare ma quando incontrò lo sguardo del cavaliere si sprofondò in un generoso inchino chiamandolo “Maestà”. Lo stesso fecero le ancelle imitando la loro signora. Solo Bianca restò in piedi capendo che quel vecchio cavaliere, cosi riccamente bardato, era il potente signore di cui chiedeva notizia. Si alterò e la pelle del volto da bianca come i petali di una bianca rosa diventò rossa come i petali dei rossi papaveri; gli disse che era stato oltremodo sconveniente prendere in giro una ingenua ragazza visto il suo nobile grado e la sua importanza. L’imperatore sorrise mentre la madre cercava di far inginocchiare la figlia tirandola per la ricca veste; allora lui le porse il braccio portandola via con se, dicendo che doveva chiedere ammenda del suo gesto e che vedendola cosi bella si era descritto per come si sentiva al suo cospetto, vecchio ed orribile e citò il verso di una poesia che uno dei suoi dignitari avevano scritto, le parlo delle tante donne che aveva visto da nord a sud, da oriente ad occidente che non potevano essere a lei paragonate, perché lei aveva del sole la gioia e della luna il nobile pallore della pelle che solo le grandi regine avevano. Lei lo guardò severa, decisa a non credere più a nulla di quanto lui diceva, ma non riusciva  staccare gli occhi dai suoi, ad ascoltare quella voce con quello strano ma seducente accento straniero e lo segui nel suo cammino nel cortile lasciando tutti gli altri alle loro spalle, ascoltandolo mentre le raccontava del deserto che circondava la santa Gerusalemme che aveva lo stesso colore dei suoi capelli, di un nero monte da cui usciva un fuoco rosso come le sue labbra, degli splendori dei giardini di Palermo  con fontane dagli alti getti d’acqua e degli aranceti pieni di frutti dal colore dell’oro in cui lui l’avrebbe portata. Fu così che incominciarono ad amarsi. Lui l’amò subito perché lei era giovane, dai capelli biondi e la pelle bianca come l’avorio, dal carattere ora dolce come i suoi falchi ammaestrati ed ora altera e nobile come i suoi purosangue arabi; lei l’amò subito perché lui era saggio, sapeva molte lingue, recitava poesie e conosceva tutto il mondo che c’era oltre le mura del suo castello. Ognuno nell’altro cercava le stagioni che erano già passate o che dovevano ancora venire, ma era questo che li univa, l’aver già vissuto e il dover ancora vivere quello che erano. Potevano essere la primavera e l’inverno, l’illusione e il disincanto, la forza e l’esperienza e questo erano quando si stringevano e lui adorava quel corpo minuto, quella sua innocenza che lui non conosceva più e lei si abbandonava a quel corpo forte e offeso da tante cicatrici che arrivavano fino al suo cuore. Lui le aveva detto che era vedovo, lei sapeva che non era vero, ma non lo lasciò. Anche se erano un re e una contessa, alla fine erano solo un vecchio uomo che amava una giovane donna, un giovane cuore che non conosceva la vita ed un altro che della vita conosceva tutti gli inganni. Cosi da quel giorno dicendosi tutto quello che lui conosceva e quello che lei ancora non sapeva, si amarono. Fu un amore che dalle parole fiorì nei silenzi, silenzi in cui si donavano tutto quello che potevano darsi perché sapevano che le guerre, la politica ed il tempo rendevano il futuro incerto e che di quello che era il loro amore presto non sarebbe rimasto nulla, nulla avrebbe potuto unire le loro stagioni opposte, il loro opposto vivere, chiusa tra le mura dei castelli lei e all’aperto nei bivacchi prima delle battaglie lui. Per questo da quel giorno si amarono come non avrebbero più amato, donandosi tutto quello che sentivano e provavano, anche se lei era la primavera e lui l’inverno.
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famoustyrantangel · 1 year
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Quando si fa buio
Mi ritrovo nello stesso posto in cui non sono
dove il solo pensarmi si fa luogo.
Mi riparo all’ombra di un volto
quando la notte mi fulmina
e mi spezza le ossa con i suoi silenzi.
Non sarà facile riposare
adesso che è tardi anche
per le favole.
Qualcuno prima o poi
verrà a cercarmi
non vedendomi tornare,
domanderà alle solitudini
se mi hanno visto passare.
Non è giusto lasciare agli occhi
l’onere delle tenebre
il peso dei giorni che non viviamo.
La rabbia, la cura, la resa
non sono strade che si perdono.
Il sangue si fa vecchio
non fiorisce più nelle carni
il cielo lentamente mi piega.
Ora sono finalmente
tutto ciò che sembro
il tempo, le costellazioni
lo stato di grazia di una foglia
in balia del vento
( Michele Gentile )
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mancino · 2 years
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L'amore vuole l'amore
L'amore deve respirare amore
per evitare il gelo dell'indifferenza
la noia dell'abitudine
la sofferenza dell'addio.
L'amore non si accontenta dell'incontro
non gli basta l'accoglienza e la presenza.
L'amore vuole di più per non fuggire
Vuole le attenzioni, per nutrire il cuore.
Vuole l'ascolto e la complicità
per capire i silenzi, gli sguardi, i cenni.
Vuole respirare la profondità, per essere forte radice
Vuole l'intimità, per toccarsi da vicino e da lontano.
L'amore vuole di più per non svanire.
L'amore vuole l'amore per non morire.
Michele de Paolis
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Se vai via, abbi almeno il buon senso di capire cosa diavolo vuol dire andare via. Andare via significa non cercarmi più, non specchiarti più nei miei occhi, non vivere più del mio profumo, non mandarmi più una stupida buonanotte dopo tre mesi di silenzi, non chiedere più ai miei amici come sto. Come sto, come sto cosa? Come vuoi che mi senta dopo aver passato mesi interi in compagnia della tua assenza? Come vuoi che mi senta dopo esser stato privato all’improvviso di ogni meraviglia della tua presenza? Ma forse lo hai capito sin troppo bene. Andare deriva dal latino “vadere”, che mi ricorda un po’ la parola “evadere”, che a sua volta mi fa venire in mente proprio te. Da una vacanza si ritorna, non dopo essere stati con me. Michele Prencipe
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Ho gridato cento notti con mio padre, ma non gli ho parlato mai; non capivo che il silenzio non ha strade e non lo capiva lui.
Michele Zarrillo - Non arriveranno i nostri
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