Tumgik
#occhialuto
bensoino · 11 months
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Un privilegio di un blog fresco e intonso, è il thirsting infinito che posso commettere
A privilege of a fresh and untouched blog, is the infinite thirsting I can commit
So allow me to
Introduce you to
My most inexcusable “hear me out”
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ricorditempestosi · 2 years
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occhialuto
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gcorvetti · 1 year
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Cane.
Stamane per l'ennesima volta sono stato svegliato dal cane dei vicini che abbaia in continuazione, un risveglio fastidioso, come sempre non me la prendo col cane, porello, ma con i vicini. A quanto pare non lo fanno entrare e allora lui si mette dietro la porta e abbaia, ma io dico "Non vi da fastidio sentirlo sbraitare in continuazione, oppure siete sordi", nell'impeto del risveglio rumoroso ho pensato di fare colazione e prendere il rullante posizionarlo sul patio e fare il contrappunto al cane ma fff, sicuramente qualcuno avrebbe chiamato la polizia e li avrei spiegato il mio gesto e detto ai pulotti che è una prassi di quasi tutte le mattine. Peccato che la mia compagna sta lavorando fuori e quindi non posso mettere in atto il mio piano percussivo, ma un giorno lo farò 😁
Oggi leggo dell'ennesima esondazione di un fiume, a Bardonecchia, nell'articolo c'è scritto che c'è stata una frana in quota e che i detriti scendendo a valle hanno fatto straripare il fiume proprio nel punto dove c'è un ponte, sicuramente per l'effetto imbuto in quel punto. Mi dispiace naturalmente come per le altre catastrofi che capitano quando si cementifica selvaggiamente senza pensare che potrebbero capitare cose del genere perché la natura non ha freni, ma quando ne capita una ogni tot il rischio vale la candela, come si dice, nel senso che chi cementifica sa benissimo che potrebbe capitare ma si stima che una o due volte in 50/100 anni è un rischio abbordabile. In questo caso non ci sono stati morti, per fortuna, ma quando ci sono codesti individui che si intascano soldoni non hanno i sensi di colpa? Non ho mai sentito nessuno dire "Si purtroppo è stato un errore tagliare gli alberi e restringere il corso del fiume costringendolo tra pareti di cemento e mi assumo le mie responsabilità, ecc ecc", mai, tutti zitti poi gli omertosi siamo noi.
Cambiamo discorso che è meglio, diceva quel puffo occhialuto 😄
Ieri nella mia ricerca mi sono imbattuto nell'ennesimo montaggio/composizione di Bernard Parmegiani di nome Pop Ecletic del '68, in effetti nella prima parte si potrebbe collocare il brano anche ai giorni nostri o in un lasso di tempo tra gli anni 80 e 90, fa molto Kraftwerk ed è molto interessante perché il francese gli inserisce un pò di tutto Mozart compreso, dal Don Giovanni, ve lo posto perché è un bel brano da ascoltare.
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ilciambellano · 1 month
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puoi linkare quel tuo vecchio post in cui avevi descritto l'operazione che ti eri fatto agli occhi in dettaglio? dove raccontavi del 4 piccolissimo sul pavimento, e la pellicina che ti hanno staccato? non lo trovo più
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pollicinor · 3 months
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Attraverso le pagine del South China Morning Post, alcuni dipendenti lo definiscono occhialuto e dal fisico asciutto, dichiarando che talvolta passa inosservato tra lo staff in ufficio. Spesso è protagonista involontario di meme condivisi segretamente dai collaboratori, accompagnati dallo slogan If you have dreams, you are remarkable (Se hai dei sogni, sei straordinario). Le immagini sono esclusivamente testuali, non avendo a disposizione fotografie.
Dall'articolo "Lo strano caso del CEO invisibile di SHEIN" di Cristiano Ghidotti
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ofgio · 4 months
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Chiesa Sant’Agostino a Siena, “Sant’Antonio abate tentato dal diavolo” di R. Manetti, 1630 circa
Conosciuto familiarmente come il diavolo con gli occhiali, questa particolare raffigurazione del male che secondo alcuni vuole, attraverso il simbolismo degli occhiali, denunciare il sapere ingannevole degli illuministi, è stata per Leonardo Sciascia motivo di un'altra interpretazione. Lo scrittore siciliano, attraverso la voce del monsignor Gaetano impegnato in un dialogo con il protagonista del romanzo Todo Modo pubblicato nel '74, decodificherebbe così l'iconografia:
[...]
«E poi c’era quel quadro»
Me lo indicò, e fino a quel momento non lo avevo visto: un santo scuro e barbuto, un librone aperto davanti; e un diavolo dall’espressione tra untuosa e beffarda, le corna rubescenti, come di carne scorticata. Ma quel che più colpiva, del diavolo, era il fatto che aveva gli occhiali: a pince-nez, dalla montatura nera. E anche l’impressione di aver già visto qualcosa di simile, senza ricordare quando e dove, conferiva al diavolo occhialuto un che di misterioso e di pauroso: come l’avessi visto in sogno o nei visionari terrori dell’infanzia.
«Su questo quadro» continuò don Gaetano «il farmacista costruì una leggenda: Zafer, il santo, non ha più una buona vista; il diavolo gli porta in dono le lenti. Ma queste lenti hanno, ovviamente, una diabolica qualità: se il santo le accetterà, attraverso di esse leggerà il Corano, sempre, invece che il Vangelo o Sant’Anselmo o Sant’Agostino. Ahimè che il puro segno delle tue sillabe si guasta in contorto cirillico si muta…».
La citazione mi sorprese: don Gaetano aveva letto quello che io considero l’ultimo poeta italiano, nel tempo della poesia italiana: e ne aveva versi a memoria.
«In questo caso, in cufìco o come si chiama la scrittura del Corano… Inutile dire che Zafer sospetta dell’inganno e non accetta il dono: anzi, ignora addirittura la presenza del diavolo… Ma questo quadro, come lei sa, non è che una copia, piuttosto rozza, di quello del Manetti che si trova a Siena, nella chiesa di Sant’Agostino. Un quadro curioso, comunque. Lasciando perdere le fantasie del farmacista, direi anche inquietante… Il diavolo con gli occhiali: quello che voleva dire il Manetti è abbastanza ovvio, in rapporto al suo tempo; ma oggi…».
«Come allora: ogni strumento che aiuta a veder bene, non può essere che opera e offerta del diavolo. Dico per voi, per la Chiesa».
«Interpretazione laica, di vecchio laicismo: quello delle associazioni intitolate a Giordano Bruno e a Francesco Ferrer… Io invece direi: ogni correzione della natura non può essere che opera e offerta del diavolo».
«Interpretazione sadista».
«Ma Sade era cristiano» disse don Gaetano distogliendosi dalla contemplazione del quadro e guardandomi meravigliato: meravigliato che non lo sapessi, che nessuno fino allora me l’avesse detto.
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lettieriletti · 8 months
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La cosa smarrita
“La cosa smarrita” è una narrazione breve e leggera immersa in una delle Piazze d’Italia di de Chirico con tratti steampunk. La cosa smarrita è una creatura casualmente incontrata sulla spiaggia, durante una passeggiata, da un ragazzo occhialuto e spettinato. Enorme, rossa, un artropode meccanico con le sembianze di una teiera. Una storia snella che si snoda con facilità tra le tematiche che…
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sinapsimagazine · 2 years
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Harry Potter Day", l’Edenlandia apre i suoi cancelli come il Castello di Hogwarts
A Napoli il raduno degli appassionati del maghetto occhialuto, sabato 30 ottobre 2022 “ Harry Potter Day” – ingresso gratuito Una giornata intera dedicata al mondo fantastico di Hogwarts, dalle 10:30 alle 21:00, all’interno del Palaeden, lo spazio al coperto del parco, che ospiterà non solo i tanti fans, ma, ad alternarsi, ci saranno tantissime attività: dalla foto con il mantello…
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Ready for the boat tour! 😻 . . . #arcipelagostoccolma #stoccolma #arcipelago #boattour #traghetto #mrlivingstone #megaviaggione #amazingtour #consigliato #occhialuto #italianman #ontheboat (presso Stockholm, Sweden) https://www.instagram.com/p/BwzAc47gy0G/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1rkv550rgq8
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chiamatemefla · 5 years
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QUALCUNO MI GIFFI BIFFI CON GLI OCCHIALI A STELLINA VELOCI MI SERVE PER SOPRAVVIVERE.
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uomotalpa · 4 years
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Antifascismo, detonazioni, occhiali e disegni bellissimi sono gli ingredienti dell'ultimo fumetto di Davide la Rosa edito da fumetti di cane . E con questi ingredienti il risultato non può che essere sorprendente.
8 storie, 8 episodi di una serie TV che vede i nostri eroi occhialuti e antifascisti (Nenni, Pertini e Saragat) alle prese con Mussolini che tenta in tutti i modi di riportare in auge il fascismo.
Tutte le storie portano tutti gli elementi a cui ci ha abituato Davide la Rosa: nonsense, personaggi storici e immaginari che si incontrano/scontrano, colpi di scena, ma anche moltissimi spunti di riflessione.
Sì perché questo fumetto manda dei messaggi importanti, chiari e diretti. Niente giri di parole. Tra una battuta e un detonazione i personaggi dicono le cose come stanno, descrivono chiaramente tutti i passaggi con cui i simboli e le idee del fascismo cercano di ritornare e di porsi come "opinioni da rispettare". L'ultima storia "maratona Mentana" riesce là dove moltissima altra satira fallisce: diretta, critica, esilarante, power rangers. Ok forse quest'ultima cosa non è proprio necessaria. Il punto è che va letta, perché fa capire come i personaggi più neutrali e moderati (fino a che non aprono Facebook) possano essere quelli che fanno più danni. O che creano tutte condizioni adatte affinché anche le ideologie peggiori e criminali possano tornare.
Per concludere faccio i complimenti a fumetti di cane perché l'edizione è veramente ben fatta e curata e non vedo l'ora di scoprire il resto del catalogo!
Antifascisti e occhialuti sempre!
P.S. La storia sulla graphic novel di Mussolini mi ha piegato dalle risate ed è un capolavoro.
P.P.S. Mi correggo: i Power Rangers sono sempre necessari.
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bicheco · 3 years
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Ditemi perché
Stasera in TV fanno "Harry Potter e la pietra filosofale" il primo capitolo della saga. Non ho mai letto né visto nulla del piccolo maghetto occhialuto, se qualcuno in nota mi fornisce un motivo convincente (non però "perché è bello", una qualche argomentazione un po' più articolata), prometto di gettargli un occhio e magari domani faccio anche una recensione.
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abatelunare · 3 years
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Di grossi cani scout
C’è questa buffa serie animata britannica che s’intitola Hey Duggee. Duggee è un mastodontico cane antropomorfo. Non parla: emana un suono tipo Uoff e tutti capiscono sempre cosa dice. Dirige un corso scout per piccoli animali. In ciascun episodio i cuccioli debbono guadagnarsi un diverso e insensato distintivo. Ma la cosa curiosa non è questa. I piccoli sono cinque. Una polipetta figlia di un polipo. Un rinocerontino figlio di un rinoceronte. Un ippopotamino figlio di un ippopotamo. Una topolina figlia di un topo. E, infine, un coccodrillino occhialuto. Che però è figlio di un elefante. Mi chiedevo: se nel gruppo ci fosse stato un elefantino, di quale animale sarebbe stato figlio? La pioggia mi fa venire pensieri bislacchi.
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mynameis-gloria · 3 years
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Signore anziano occhialuto e baffuto, che ho deciso di soprannominare Geppetto per la sua somiglianza ma anche la sua pacatezza: Signorina ma che occhi chiarissimi che ha!
Parole sussurrate tra la mascherina e la confusione generale attorno a noi mentre consegnavo il resto in monetine, e mica sul subito avevo afferrato quella frase, così ho esclamato un "come?!" Interrogativo e di incomprensione, e il signor Geppetto ha ripetuto esattamente quelle parole con stupore avvicinandosi un poco, e guardandomi attraverso le lenti dei suoi occhiali che celavano occhi sinceri e gentili.
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corallorosso · 4 years
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Appena due giorni fa Vittorio Feltri ha scritto una lettera aperta a Matteo Salvini, invitandolo a riprendersi la scena della politica italiana con ogni scorrettezza e mezzo propagandistico possibile. “Non puoi lasciare a Conte praterie di consenso” gli ha scritto. “Devi frenarlo, abbatterlo, almeno zittirlo”. Poi la frase più emblematica: “Cavalca la paura delle gente come sai fare tu”. Non lo ha detto Travaglio o Scanzi, Zingaretti, qualche sardina o comunista di un centro sociale. Lo ha detto Vittorio Feltri. Uno dei più grandi tifosi ed estimatori di Matteo Salvini. Per lui Salvini è esperto in qualcosa di profondamente disturbante, di malato, di abominevole, come cavalcare la paura della gente, prendere le emozioni di milioni di esseri umani, le loro ansie, i timori, i dolori, e cavalcarli, sfruttarli, alimentarli per proprio interesse personale. E Feltri lo dice apertamente, davanti agli stessi sfruttati, e cioè gli elettori di Salvini, perché certo che loro, i cavalcati, quelli che per lui sono solo bestie primitive mosse come animali dalla paura, lo applaudiranno pure. Contenti di essere trattati come subumani da quell’aristocratico occhialuto. E cosa ha fatto Salvini in questi due giorni, da quando quella lettera è stata pubblicata? Ne ha preso le distanze? Ha difeso i suoi elettori trattati come topi senza cervello? No: è tornato ad alzare i toni. Ad alimentare il terrore. A mostrarci circondati da nemici. A condividere video fake e a diffondere la paura del virus creato in laboratorio. E’ tornato all’attacco violento del governo, facendo credere ai suoi elettori di essere stati abbandonati, mentre l’esecutivo ha stanziato decine di miliardi per cassaintegrazione, partite IVA, sospensione dei mutui, bonus, ecc. E solo per marzo. Per poi passare al piatto forte del MES: “Attenzione! Fate girare!”. I tedeschi, Conte e l’Europa vogliono rubarvi i soldi! Mettere in ginocchio l’Italia! Privarvi di tutto! Abbiate paura. Abbiate paura. Mentre Conte dice al MES dateci i soldi senza chiederci condizioni e proprio questa sera ha strappato la proposta anti-crisi dell’UE perché giudicata troppo morbida. Ma non importa. Perché tanto queste cose non contano. Conta solo la paura, dare ai propri elettori nemici e complotti ovunque. Per farli tremare, per farli sentire minacciati, cavalcare le loro paure e proporsi come difensore. Possibilmente solo. E con i pieni poteri. (Emilio Mola)
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marikabi · 4 years
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Occhi cadenti, ovvero della “prudicizia”
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Per i dettagli dei fatti di cronaca, rimando alle notizie abbastanza note e diffuse, anche perché è argomento succulentemente prudico (mi si conceda questo neologismo, mix di pruderie e pudicizia).
Mi riferisco alle vicende che hanno riguardato (ma non è ancora finita) la protesta delle liceali italiane (in particolare quelle del Socrate di Roma) e le loro colleghe francesi: unite nella battaglia contro chi vuole emendare gli usi ed i costumi sull’abbigliamento. Pare, infatti, che le minigonne e gli shorts favoriscano il proliferare degli sguardi lubrichi dei professori, pertanto va evitato un abbigliamento disvelante, in favore di abiti più contestualizzati.
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“Non è colpa nostra se gli cade l’occhio” si legge sul cartello (virale in web) preparato dalle ragazze.
Giusto. Siamo uomini, non animali, e dobbiamo educarci a non far cadere l’occhio su scosciamenti e scollature. Tuttavia, se pure il Vespa nazionale (celebre l’episodio della ‘caduta dell’occhio’ sulla scollatura della scrittrice Avallone) indulge nella lubrica pratica, vuol dire che l’etologia ha (ancora) la meglio sulla cultura.
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In altre parole, la cultura attuale, anch’essa, ha i suoi cedimenti.
Ma voglio prenderla alla lontana, se avrete la pazienza di seguirmi. Cominciamo scomodando l’etologia.
Gli animali sono esperti in richiami sessuali. Essi consistono in una vastissima gamma di colori, grandezze, movenze, canti, odori che attirano sessualmente gli esemplari all’interno di specie e razze. Ci sono uccelli che mettono in mostra piumaggi spettacolari e innescano danze stupende. Così anche molti insetti e pesci. I mammiferi, oltre alla grandezza fisica che innesca lotte sanguinarie tra pretendenti, puntano sulle secrezioni ormonali: un leone fiuta nell’aria l’estro della leonessa, per esempio. Gli uomini non sarebbero insensibili ai feromoni (che peraltro non hanno odore).
Anche tra i Sapien(te)s (che è la specie nostra, cioè di tutti gli uomini sul pianeta Terra, unica sopravvissuta tra le sette linee originate dall’homo erectus: Neanderthal, Denisova, Soloensis, Rudolfensis, Ergaster, Floresiensis e Sapiens, appunto), è attiva questa primitiva caratteristica relativamente al richiamo e all’attrazione sessuale, solo che noi non abbiamo piume da dispiegare e pochi di noi sanno danzare mirabilmente. La cultura e il raziocinio hanno messo fine alle lotte per la conquista delle femmine, da trascinare per i capelli, come vuole l’iconografia popolare. Ci siamo sviluppati ed evoluti. 
Uhm. È davvero così?
A che cazzo è servita la Civiltà se siamo ancora animali in preda dell’etologia, se continuiamo a dare per scontato che i maschi dei sapien(te)s non resistano ai decimetri di pelle femminile nuda. (E i quadri di nudo? Che turbamenti arrecano? E gli espliciti dipinti di nudo di Guttuso - oltre i quali c’è solo un’ecografia transvaginale, ma in tal caso cambia il contesto e addio scandalo -  provocano?)
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Oggigiorno, i richiami sessuali sono altri, ma tutti passano per l’aspetto esteriore: abbigliamento, acconciature, make up e accessori. Anche la dimostrazione della ricchezza (che sta da sempre per ‘partner più adatto’), prima che dalle auto di grossa cilindrata e/o gli yacht e la servitù e i castelli, passa per l’abbigliamento (accessori compresi), il quale - culturalmente parlando - è un potentissimo messaggio non verbale.
Per sommi capi sapete già cosa aspettarvi da un ipertatuato con sopracciglioni rasati, orecchinato, in sella ad uno scooterone truccato. Sapete già con chi avete a che fare se vi si para davanti un pallido occhialuto un po’ goffo. E cosa ci comunica una minigonna o un paio di shorts? Inoltre, il messaggio cambierà se a mettere una minigonna sarà una donna, una agée o addirittura un uomo.
Insomma, noi comunichiamo attraverso i paramenti: più sono lussuosi/vistosi/osé/stravaganti più destano attenzione e in qualunque caso disvelano di noi. L’abito fa il monaco, dunque.
L’abbigliamento femminile è sempre stato un cruccio umano lungo il percorso della Civiltà. Se appena appena guardiamo all’ieri della Storia, ci dovremmo mettere tutte il burqa. (Ma se lo facessimo - vedi Silvia Romano - le polemiche e le proteste sarebbero parimenti veementi.)
Anche una caviglia diventerebbe innesco di guerre ormonali negli uomini, come durante il vittorianesimo, quando si coprivano le gambe di mobili e tavoli per non istigare parallelismi peccaminosi con le caviglie delle donne. Un po’ tutte le culture e le religioni hanno di queste fisse sugli abiti delle donne. Gli ebrei ultra ortodossi rapano a zero le chiome delle neo-mogli e le costringono a indossare parrucche (vi consiglio, sul tema, la mini serie Unorthodox, su Netflix) oltre a tantissime altre restrizioni. Vogliamo fare la lista delle coercizioni cattoliche?
Il proibizionismo non ha mai risolto niente.
Poiché non è mia intenzione innescare ulteriori polemiche, ho scomodato anche la Sociologia, grazie ad uno dei più innovativi studiosi del comportamento umano, Erving Goffman. In un suo saggio (Il comportamento in pubblico, Einaudi), lo scienziato affermò che non solo non si può non comunicare, ma che si comunica con tutto, non unicamente con le parole: silenzi, pause, gesti, sguardi, fattezze e abiti sono loquaci, spesso più delle stesse parole esplicite.
Prendete una situazione banale (che certamente avrete avuto modo di notare anche nella nostra piccola città) che altrove colpì pure Goffman: chi ritorna dalle vacanze al mare pretende di poter vestire [meteorologia irpina permettendo, NdA] come se fosse sulla rotonda di un lido, con infradito, ciabatte, prendisole, bermuda e canotta. Insomma, si va fuori contesto, il Nostro lo chiama conflitto di definizione della situazione.
Cosa comunica un tizio o una tizia che vestono in cotal guisa mentre attraversa il Corso principale? Nei fatti essi sono alquanto dissonanti e li guardiamo quasi automaticamente con raccapriccio e sospetto, nella misura in cui destabilizzano l’ordinamento comportamentale urbano, il quale richiede - per essere conosciuti, conoscibili, prevedibili e ritenuti inoffensivi - l’adeguamento a canoni di abbigliamento e di gestualità (non invasive) ben precisi, adatti ai luoghi.
Ci sarà un motivo se sugli inviti alle cerimonie inseriscono anche l’obbligo di un abbigliamento particolare. Esistono dress code per gli stadi come per i luoghi di culto, per la Scala e per il Parlamento, per il Quirinale e le sale da ballo, per le palestre e le orchestre. I bohémiens e gli hippies si riconoscevano dall’abbigliamento, i punkabbestia e i paninari pure. Il grunge ha fatto della camicia di flanella a quadri e i pantaloni cargo i suoi vessilli. Sono regole non scritte, ma ben riconosciute e parlano alle comunità.
Non stupitevi, una comunità, sempre secondo Goffman, si regge sulla cosiddetta ‘inattenzione civile’: incrociando gente per strada, le s-guardiamo per qualche secondo e stabiliamo che sono, tutto sommato, occhèi per la nostra sicurezza. È una prassi connaturata con il sapiens, la eseguiamo continuamente. Fateci caso qualche volta, mentre camminate tra la gente. Ma se così è, perché una minigonna farebbe, invece, soffermare lo sguardo? Laddove le minigonne e gli shorts sono oramai l’uniforme delle ragazze.
Sempre Goffman: “Di solito cioè, quando si è in presenza d’altri, c’è l’obbligo di fornire un certo tipo di informazioni e di non produrre impressioni diverse, così come si può prevedere che anche gli altri si presentino in un certo modo. Si tende a trovare un accordo non solo sul significato dei comportamenti visibili, ma anche sui comportamenti che si dovrebbero esibire. L’individuo può dunque smettere di parlare, ma non può smettere di comunicare attraverso l’idioma del corpo; egli deve dire o la cosa giusta o la cosa sbagliata; non può non dire niente. Paradossalmente, il modo in cui può dare il minor numero d’informazioni su si sé - sebbene anche questo indichi qualcosa - è adeguarsi e agire come ci si aspetta debbano agire persone del suo tipo. [...] Uno studente universitario che entra in classe con la barba lunga e in calzoncini corti o una ragazza che entri con i bigodini in testa dimostrano una mancanza di rispetto nei confronti del contesto. [...] Un’improprietà di comportamento nei confronti della situazione può comunicare a quelli che vi assistono, giustificatamente o no, il fatto che colui che agisce è alienato non tanto dal raggruppamento, quanto dalla comunità o dalla istituzione o dagli amici o dalla conversazione. [...] Quando si trova in presenza d’altri, l’individuo è guidato da un sistema particolare di regole definite proprietà situazionali. Queste regole controllano la distribuzione del coinvolgimento dell’individuo nella situazione, espresso mediante un idioma convenzionale di segnali comportamentali.”
In altre parole, le ragazze indosserebbero abiti ‘non convenzionali’ per l’istituzione scolastica poiché terrebbero di più all’appartenenza al gruppo degli adolescenti, parlando - mediante gli abiti - l’idioma situazionale proprio di quel gruppo. Ciò potrebbe significare anche uno scadimento dell’istituzione, che non merita più quel rispetto finora collettivamente dimostrato anche da una certa temperanza dell’abbigliamento (e da un maggiore rispetto della classe docente da parte di genitori, media e politica, diciamocelo).
Ricordiamoci che Aldo Moro manteneva giacca-e-cravatta sulla spiaggia perché il decoro pubblico di un uomo politico era trasversale ai contesti: rispettava la sua missione anche in ambienti in cui ci si poteva rilassare. Esattamente il contrario dello stridore comportamentale di certe panze (e/o chiappe) parlamentari nei vari papeete.
Ora dovremo stabilire se le ragazze che mettono gli shorts e le minigonne abbiano scambiato un luogo per un altro, ovverosia se le ragazze siano in conflitto con la definizione della situazione: a scuola, come ci si dovrebbe vestire per essere ritenuti adeguati, credibili, innocui? Ci si deve normativamente adeguare alla più vasta categoria delle teenagers, cioè, mettendo shorts e toppini striminziti o è preponderante il ruolo di studentesse all’interno di una onorata-quasi-sacra Istituzione, quale è (o era?) la Scuola?
Tempo fa, a scuola ci si metteva il grembiule. Alcuni Istituti (specie all’Estero) impongono tuttora le divise. Non mi piaceva il grembiule nero delle medie, però, col senno di poi, ad essere uguali nell’abbigliamento, ovverosia a quasi parità di comunicazione non verbale, diventava più immediata l’emersione delle personalità brillanti. Poi, al liceo, liberate dal grembiule ci ingarellammo (quasi) tutti a chi vestiva meglio e coi i marchi più quotati, che alla fine la personalità divenne solo una questione di costruzione d’immagine. L’outsider, il maverick - perché c’è sempre e per fortuna un maverick - non aveva fascino. Ora, pretendiamo tutti di essere egregi (fuori dal gregge, cioè) senza essere davvero delle singolarità.
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Dunque? Dopo questo pippone, non ce la dai una risposta, Marika?
Una risposta ce la dà Franco Basaglia. In una post fazione al testo di Goffman citato, il riformatore della psichiatria italiana ebbe a scrivere: “Norme, regole, moduli di comportamento o schemi di condotta, delimitazioni di ciò che è lecito, adatto, adeguato, opportuno, corretto o conforme, scandiscono, definiscono e danno significato alla nostra vita quotidiana. Meglio: determinano e creano il significato della nostra vita quotidiana. Ogni atto nasce sotto il segno del ‘si deve’ o ‘non si deve’, in nome di una realtà sociale che bisogna rispettare. Nel rispetto della libertà altrui, c’è la nostra libertà; nell’accettazione della regola generale il benessere del singolo e della collettività; nell’adattamento alla norma comune la garanzia di una convivenza civile. [... Tuttavia], una regola che non risponde a un bisogno non può agire che come strumento di sopraffazione e, quindi di controllo, sul gruppo di persone cui viene imposta, proponendosi come una categorizzazione astratta che non trova giustificazione se non nell’imposizione e nelle sanzioni implicite per chi non vi si adegua.”
Le regole (in questo caso sul decoro dell’abbigliamento che viene chiesto in alcune scuole) servono alla sopravvivenza dell’istituzione, al mantenimento della sua credibilità e della sua autorità, ma, nel caso di specie, trattandosi di mondo femminile, sono potenziate dalla combinazione con l’incapacità culturale di abbattere le pulsioni etologiche e di cambiare l’anacronistica antropologia imperante. Usi e costumi - e loro significati contestualizzanti - cambiano, ma non certe ‘fisse’.
L’unica discriminante che vorrò sempre precisare si trova tra l’eleganza e lo stile e tutto il resto. Poi, ognuno vesta come vuole.
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