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#responsabilità corporativa
fitnessitaliano · 9 months
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CSR Ovvero Società Responsabili - Come Fare la Differenza
Oggi più che mai, le aziende sono chiamate a svolgere un ruolo attivo e positivo nella società, non solo producendo beni e servizi di qualità, ma anche contribuendo al benessere collettivo e alla salvaguardia dell’ambiente. Questo approccio, noto come Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), si basa sull’idea che le aziende non siano solo entità economiche,…
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Il testo integrale del mio intervento al VIII° Congresso Nazionale del MSFT
Progetto Italia Area Sociale 
 On. Presidente, Camerate e Camerati congressisti, cortesi ospiti, prendo la parola da questa tribuna perché la particolarità dell’evento, il Congresso nazionale, impone a tutti, quindi anche a me, di contribuire al dibattito e provare a dare risposte ai tanti quesiti che permeano il Movimento Sociale.
Prima, però, voglio ricordare a questa comunità riunita un grande Camerata, che è stato uno degli artefici della vita di questo Movimento e segnatamente dell’ultimo Congresso: Peppe Cammalleri. Sappiamo come una vigliacca malattia l’ha negato alla vita, all’attività politica, ma non certo all’affetto dal nostro cuore e al ricordo della nostra comunità. Assieme al ricordo di Peppe non possiamo non rivolgere un pensiero a Dario Fignagnani.
Dario sta combattendo in questo momento la più difficile delle battaglie. Lo sta facendo con il coraggio e la determinazione del vero uomo, del vero camerata. Forza Dario, ti vogliamo tutti bene.  
La prima domanda, la più elementare domanda, che tutti ci poniamo, è: perché un Movimento politico che ha una Storia, un Progetto, che è depositario di un’Idea è ridotto al lumicino, a tal punto da essere marginale nel panorama politico nazionale.
 Eppure ci sono stati periodi, altri periodi, in cui Almirante parlava a migliaia d’italiani che accorrevano da ogni dove per ascoltarlo. Io sono siciliano e ricordo avergli più volte sentito dire essere Catania la pupilla dei suoi occhi.
Ricordiamo le maggiori piazze d’Italia stracolme di persone in festa per la presenza del Segretario Missino.
Anche Pino Rauti, seppur con un approccio, come dire, più intellettuale, riempiva le piazze di folle acclamanti.
Oggi, invece, né per numero d’iscritti, né per copertura territoriale, né, purtroppo, per azione politica il MSFT può essere indicato con il segno “+”.  
Ciò avviene mentre altri soggetti politici, che non possono vantare la nostra stessa storia, assurgono al ruolo di forze antisistema e vedono le loro idee trovare largo consenso nell’opinione pubblica e, conseguentemente, nell’elettorato.
E avviene in tempi diversi e per Partiti progettualmente distanti tra loro; La Lega e i 5 Stelle, per esempio.
I leghisti hanno saccheggiato, da trogloditi della politica quali sono, le nostre idee, le nostre proposte, la nostra visione della società e, interpretandole alla loro maniera, dando risposte solo alla pancia di una fascia del corpo elettorale, hanno vissuto e prosperato per decenni.
Adesso i casaleggini, sì quelli del Movimento Cinque Stelle, andate a vedere i loro temi, per la maggior parte sono copiati pedissequamente dal nostro Progetto politico, interpretati male, spesse volte in modo contraddittorio, ma nonostante ciò riescono a prendere una caterva di voti, a tal punto da essere arrivati al Governo della nazione, e questo senza alcun apparentamento con altre forze politiche che potrebbe far pensare a un effetto “traino” a loro vantaggio.
Questi sono solo due esempi di come altri Partiti, nemmeno originali nelle proposte politiche, riescano a essere incidenti nella politica nazionale.
E noi? Noi no!
Non siamo riusciti, per esempio, a essere incisivi sui temi più attuali della politica, almeno non come avremmo voluto. Forse è mancato il colpo d’ala, quel “quid” che avrebbe potuto farci diventare il motore di una rivolta strisciante che si avverte in tanti strati della società italiana.
Allora una riflessione s’impone e soprattutto chi ha avuto responsabilità nella guida del Movimento qualche domanda deve porsela.
La Lega, dicevamo prima, ha saputo parlare prima alla “pancia” della borghesia del nord orfana dei tradizionali partiti di riferimento, DC – PSI – PRI - PLI, scomparsi a seguito del ciclone “Mani Pulite”, ed ha saputo poi liberarsi della zavorra separatista per diventare, tout court, un Partito nazionale.
I casaleggini hanno trovato in Grillo un grande comunicatore, poi l’uso spregiudicato di uno strumento innovativo come il Web ha dato loro una dimensione che è andata oltre ogni più rosea aspettativa.
Io sono sempre convinto che questi Partiti, siano espressione del Sistema che tenta di auto tutelarsi impedendo che i malumori, la protesta, l’esigenza di rinnovamento largamente diffusi negli italiani, siano incanalati verso un Movimento politico, la Fiamma Tricolore, che per la proposta politica, per la visione alternativa dell’organizzazione dello Stato e quindi della società, sarebbe un pericolo reale per la sua stessa esistenza.
Ad un Movimento Sociale catalizzatore del cattivo umore degli italiani sono preferibili una Lega o un Cinque Stelle che, superata l’onda emozionale, imploderanno, come già in parte sta avvenendo, data la loro pochezza progettuale.
Noi invece abbiamo il dovere, sì il dovere, verso quanti hanno sacrificato la vita per l’Idea, verso quanti hanno speso la loro esistenza per tenere alto un vessillo che era ed è il vessillo dell’antisistema, dell’alternativa corporativa, dello Stato etico, abbiamo il dovere di continuare con sempre maggiore sforzo a portare avanti le tesi della Destra Sociale, senza mai deflettere nemmeno per un attimo dal perseguimento di quest’obiettivo.
Lo abbiamo fatto, siamo riusciti nell’intento? A guardare il Mov. di oggi parrebbe di no. O, almeno, ci siamo riusciti solo  in parte.
Da tempo, e per troppo tempo, ci siamo aggrovigliati in ragionamenti forvianti, prima sugli effetti deleteri che Fiuggi ha portato nel nostro mondo, poi su quelli nefasti che le varie leggi elettorali hanno prodotto, poi ancora sulla necessità, per dare slancio alla nostra azione politica, di una riunione della cosiddetta Area. 
Abbiamo prestato orecchio a chi, in modo assolutamente interessato, suggeriva fusioni, accorpamenti, cartelli elettorali, come se la somma di più “zero virgola qualcosa” potesse farci schizzare ai vertici percentuali della politica. Nulla di più sbagliato.
Abbiamo inseguito chimeriche riorganizzazioni dell’Area di Destra, a volte spinti da esigenze elettorali, contribuendo a dare legittimità a Movimenti che la storia politica di questi anni ha marginalizzato, evidenziandone l’inconsistenza politica e l’arrivismo personale.
Abbiamo perseguito la strada dell’unificazione proponendo accordi con Movimenti affini e similari, quando invece l’unico modo per realizzarla era la confluenza, il ritorno, di questi soggetti nella casa madre, il MSFT appunto.
Anche tra noi, così come per altri Partiti politici, dal Pd a FI, è scattata la voglia malsana di rinnovare, di rifondare, di presentare all’elettorato una “confezione” nuova.
Un qualcosa che ci rendesse simile agli altri.
Non capendo, invece, che nella diversità risiede la nostra forza. Bisognava solo dotarla degli strumenti adatti perché questa fosse compresa dagli italiani.
Non omologazione quindi ma riaffermazione del nostro Progetto politico che è, ricordiamolo, unico e futuribile; è l’unica via.  
E particolarmente dal dicembre 2013, con la Reggenza prima e l’elezione dopo, nel 2014, alla Segreteria nazionale del Movimento di Attilio Carelli, che ci siamo mossi con ferrea determinazione in questa direzione.
Abbiamo abbandonato la strada segnata dal precedente Segretario, strada che ci avrebbe voluto inseriti nel Centrodestra, stampella minore di quella compagine che si rifà a un modello economico-sociale del tutto incompatibile con il nostro sentire politico.
Arrivammo al punto di dimettere il Segretario in carica pur di conservare la nostra identità politica.
Fu quella una scelta difficile e dolorosa, perché, ricordiamolo, il Movimento Sociale, prima di essere un’organizzazione politica è una Comunità umana, in cui i valori del rispetto, dell’amicizia, del cameratismo, hanno un’incidenza notevole nei rapporti tra le persone.
Da allora abbiamo cambiato strada, ne abbiamo intrapreso una sicuramente più difficile da percorrere, irta di pericoli, di asperità, ma allo stesso tempo più esaltante.
Una strada che ci ha ridato la voglia della militanza, del cameratismo; una strada che ci aperto alla speranza, un sentimento che ci aveva progressivamente abbandonato, sprofondandoci in una spirale di sconfortante, esiziale agnosticismo.
Oggi, vivaddio, non è più così.
Oggi possiamo ritornare a credere e a sperare nella crescita del Movimento.  
Una crescita che in qualche modo c’è stata, Sono stati recuperati Camerati, aperte Sezioni e Federazioni, siamo nelle istituzioni, è presente tra noi la Senatrice Adriana Poli Bortone, Consigliere comunale di Lecce.
Regioni nelle quali eravamo totalmente assenti adesso marcano la nostra presenza, anche se minimale e poco organizzata.
E la speranza di crescita, per il Movimento Sociale, risiede nella nostra capacità di intercettare le aspettative degli italiani, di saperle analizzare e di saper proporre soluzioni semplici ed efficaci.
Noi non abbiamo nessun passo indietro da fare, noi dobbiamo solo produrre politica, parlare alla gente, dire loro della nostra Repubblica presidenziale; spiegare cosa sono le rappresentanze corporative che vorremmo in Parlamento; cos’è la Socializzazione dell’economia e i vantaggi che la Nazione, interamente intesa, trarrebbe dalla sua applicazione; chiarire perché siamo contro la globalizzazione e il liberismo economico; far conoscere la nostra posizione in merito all’aborto, alla teoria Gender, all’eutanasia. Pratiche queste che, col sistema della finestra di Overton, vorrebbero far passare per assolutamente normali.
Dobbiamo parlare ai giovani di meritocrazia; alle donne di uguaglianza ed emancipazione; agli studenti del diritto a una scuola formativa; dobbiamo parlare di ecologia ed ecosistemi; di difesa della nostra cultura e delle nostre tradizioni; dobbiamo saper parlare al mondo del lavoro e della produzione, spiegando che la prospettiva cui tendere non è il capitalismo aggressivo ma la socializzazione dell’economia; ai senzatetto dobbiamo spiegare cos’è il Mutuo Sociale, unica possibilità di possedere una casa senza dover sottostare allo strozzinaggio delle banche e al rischio dell’esproprio.
Dobbiamo ancora dire ai giovani perché è importante creare famiglie (quelle tradizionali), composte di genitori e figli, quei figli che noi intendiamo difendere fin dal concepimento e che vogliamo aiutati a crescere lontano da droghe e modelli psicologicamente devianti.
Dobbiamo spiegare loro che ci opponiamo e ci opporremo sempre a Governi che ritengono necessario favorire le politiche abortive e cercano di approvare la deleteria legge sullo Ius Soli;
Che saremo sempre contrari a Governi che hanno come priorità la politica di sgretolamento delle soggettività e delle differenze di genere con la realizzazione del piano Gender, velenosa insidia che, sotto l’azione delle lobby LGB internazionali, si vuole insinuare nelle menti dei nostri bambini fin dalla loro più tenera età, con progetti scolastici mirati.
Dobbiamo far sapere che il Movimento è impegnato contemporaneamente nella difesa dei diritti civili, quelli veri, tanto quanto lo è nella difesa dei diritti sociali. Queste cose dobbiamo fare.
Perché noi siamo questo, noi siamo il Movimento Sociale.
Noi abbiamo un Progetto articolato che si basa su una visione diversa della politica, che afferisce tutti gli aspetti dell’organizzazione della Società:
Perché prevede la rappresentanza in Parlamento delle categorie dei lavoratori, per garantirne una maggiore tutela e la condivisione delle scelte in materia di politica del lavoro;
Perché propugna la Socializzazione dell’economia, per una maggiore perequazione delle risorse economiche della Nazione;
Perché vuole realizzare lo Stato Sociale, che tuteli le categorie più deboli e i meno abbienti;
Perché crede nell’etica della politica, con il suo primato sull’economia;
Perché ha come obiettivo la costruzione dell’Europa così come la sognava Filippo Anfuso: l’Europa delle Patrie.
Lo Statuto e i punti programmatici che abbiamo voluto preservare in quelle tristi giornate del Congresso di Fiuggi, sono il nostro patrimonio politico, che è unico e che marca la differenza tra noi e gli altri, tutti gli altri.
Forti di queste prerogative dobbiamo trovare la via per riuscire a coinvolgere nel nostro Progetto tutti gli italiani e non guardare agli altri, non ne abbiamo la necessità.
Altre strade, a mio modo di vedere, non esistono e comunque non sono conducenti.  
Il Fascismo trasformò la nostra Nazione in un grande laboratorio socio-politico nel quale le sperimentazioni  più ardite furono possibili.
L’Italia può tornare a sperimentare la giustezza delle nostre tesi se sapremo essere convincenti, propositivi, realistici; in una parola: credibili.
I campi d’intervento sono smisuratamente enormi. Non c’è un comparto, dalla produzione ai servizi, dalla sanità allo sport, dai trasporti alla cultura, che funzioni.
L’arretratezza che l’Italia ha accumulato negli anni dal dopoguerra a oggi è sotto gli occhi di tutti.
Siamo tra le ultime Nazioni d’Europa per quanto riguarda occupazione, servizi, sanità, trasporti.
La disoccupazione tocca livelli a dir poco impressionanti, sfiorando e addirittura superando la soglia del 10% e quella giovanile del 33% (Fonte: Eurostat – Ufficio Europeo di Statistica).
Solo un Progetto politico audace, innovativo, realizzabile, come noi sappiamo prospettarlo, può dare speranza a questa terra.
La capacità che abbiamo di immaginare soluzioni ai problemi dei vari settori della vita sociale fa della Fiamma Tricolore, il solo Partito che può garantire sicurezza, sviluppo economico, crescita sociale.
La politica del Sistema ha creato, tra i tanti danni, anche un diffuso senso d’abbandono negli italiani.
Il cittadino medio si sente sempre più insicuro e non garantito da uno Stato che sente lontano e incapace di comprendere nel giusto modo problematiche che condizionano la vita quotidiana della Nazione.
Il dramma dei migranti, il modo assolutamente sbagliato di interpretarlo e conseguentemente di produrre azioni di contrasto, che non può prevedere solo la supposta chiusura dei porti, come da qualcuno ipotizzato, abbisogna di un cambio di strategia.
Il problema non è italiano, o perlomeno non è solo italiano, è europeo.
Deve essere l’Unione Europea a farsi carico di questo fenomeno che assume sempre più i contorni di una catastrofe umanitaria.
E’ necessario arginare l’afflusso continuo e oramai incontrollato di allogeni clandestini che stanno snaturando il nostro tessuto antropologico con una presenza sempre più massiccia, generando ovunque situazioni di degrado e moltiplicazione di attività illecite, dallo spaccio, alla prostituzione, alla più pericolosa possibile presenza di terroristi, appositamente infiltrati per progettare e attuare piani di attacchi in Italia e in Europa.
Noi questo lo affermiamo da anni, eravamo primi e soli, già ai tempi degli sbarchi con i gommoni a Lampedusa, a sostenere che bisognava porre rimedio immediato a una situazione che, come poi si è rivelata, sarebbe diventata sempre più drammatica.
E, oltre alla politica di contrasto degli sbarchi, riducendo, per esempio, l’operatività dei nuovi negrieri delle cosiddette ONG, bisogna realizzare una serie di accordi con le Nazioni da cui partono i traghetti.
Accordi che prevedano interventi in loco, perché, ricordiamocelo, non è con la snaturalizzazione dei popoli, delle etnie, che si realizza il precetto dell’accoglienza.
In sintesi, ciò che bisogna fare è cambiare radicalmente la politica nei confronti del continente afroasiatico, quello maggiormente interessato dai flussi migratori.
Ricordo una discussione con Pino Rauti, molti anni fa, a proposito del dramma della migrazione.
Lui, come sempre, aveva capito con molto anticipo come sarebbero evolute le cose in futuro.
Diceva che la genesi del problema era, tra l’altro, nella diversa cultura delle popolazioni interessate.
Faceva notare come le popolazioni islamiche e africane fossero in continuo aumento e che quindi avevano bisogno di spazi oltre che di servizi, a fronte di quelle occidentali che, invece, erano informate a modelli e stili di vita diversi, per i quali fare figli, per esempio, era una cosa quasi da non prendere in considerazione.
Da questa diversa visione scaturiva prevalentemente, non solo, ma prevalentemente, il problema degli spostamenti di grandi masse di persone da un continente all’altro.  
Mi fece un esempio, per rendere chiaro il concetto.
Disse: come in un sistema di vasi comunicanti anche tra le Nazioni avviene un travaso, la gente si sposta dove c’è spazio e ci sono servizi.
E’ naturale che sia così.  
Risulta quindi evidente che c’è l’esigenza di intervenire in loco per spiegare a quelle popolazioni come disciplinare la loro crescita demografica, oltre che contribuire a migliorarne le condizioni di vita e a porre fine alla politica di sfruttamento perpetrata da Nazioni neo schiaviste che ancora portano avanti una politica di sfruttamento di tipo imperialista.
Altra possibile modo di intervenire è quello di impegnare gli Stati ad una reale collaborazione e ad un efficace controllo delle frontiere, ritenendoli, responsabili delle spese che il rimpatrio dei clandestini comporta. Impegnarli nella parte economica potrebbe essere un altro efficace metodo di pressione.
Qualcuno potrà sostenere che gli Stati non vorrebbero fare fronte all’eventuale richiesta di risarcimento, se così fosse allora scatterebbero le sanzioni internazionali.
Queste sì che avrebbero senso, non quelle imposte a Stati sovrani (la Siria, per esempio) che lottano contro la sovversione internazionale.
E’ ovvio che tutto ciò, da solo, non basta.
Bisogna avviare contestualmente, assieme a queste iniziative di contrasto verso l’afflusso indiscriminato di stranieri sul nostro territorio, tutta una serie di iniziative tendenti alla salvaguardia delle nostre tradizioni, della nostra lingua, della nostra identità nazionale.  
L’Italia, lo sappiamo, è flagellata da una crisi economica che, per durata e proporzioni, è oramai possibile considerare endemica.
Una politica di rilancio degli investimenti è il solo modo che conosciamo per uscire da questa drammatica situazione.
Va bene il taglio delle spese, ma a questo deve fare sponda una seria programmazione d’infrastrutture che abbiano stretta relazione con le esigenze dei territori, che non siano castelli in aria o chimeriche promesse impossibili da realizzare, che servano ad ammodernare la Nazione e a creare occupazione.
Produrre lavoro è la sola strada che sappiamo immaginare per creare crescita e sviluppo economico.
Produrre lavoro significa individuare settori d’investimento per grandi opere pubbliche e favorire la rinascita delle attività nel settore privato, bloccando la delocalizzazione delle aziende, favorendo e sostenendo l’imprenditoria italiana, allo stato fortemente mortificata da accordi e leggi che, di fatto, ne impediscono la competitività sui mercati interni e internazionali.
Individuare quindi, nel settore degli interventi pubblici, delle opere che abbiano una ricaduta in termini di servizi e fruibilità. Non opere faraoniche di difficile realizzazione e che, in alcuni casi, contrastano con le esigenze di reale sviluppo del territorio.
Siamo stati e siamo molto critici, per esempio, a ogni fantasiosa ipotesi di costruzione del ponte sullo stretto, la cui realizzazione non crediamo sia funzionale a una politica di sviluppo dell’isola.
Intanto avrebbe un impatto ambientale notevolissimo e, per chi, come noi siciliani, vuole programmare il proprio sviluppo puntando su turismo e ambiente, la cosa avrebbe risvolti catastrofici, ricordiamo che da non molto tempo l’Etna è stato dichiarato Patrimonio dell’Unesco e si aggiunge alle altre perle già esistenti (la città barocca di Noto, l’Area archeologica di Agrigento, la villa del Casale a Piazza Armerina, le Isole Eolie, Siracusa, la Necropoli di Pantalica).
Poi anche perché, il ponte, non gioverebbe all’economia isolana. Non è pensabile, nel XXI secolo, che le merci debbano essere trasportate su gomma.
Ciò per i tempi, gli alti costi e per l’impatto ecologico che esso comporta.
In ultimo, ma questa è una mia personalissima motivazione, per una sorta di romantico sentimentalismo; siamo isola, vogliamo restare isola.
Vanno invece potenziati e ammodernati i porti e gli scali aeroportuali, facilitando il movimento aereo e marittimo a fronte di quello terrestre.
I collegamenti interni dell’isola sono da medioevo, città capoluogo di provincia sono difficili da raggiungere, spesso collegati da una sola arteria stradale importante.
Le tratte ferroviarie, quando ancora in uso, sono a un solo binario, tracciate su percorsi vetusti che abbisognano di notevoli opere di ammodernamento, così come le strade interne sono lasciate nel più assoluto abbandono da parte degli Enti preposti alla loro manutenzione.  
La pesca, un comparto importantissimo per l’economia siciliana e nazionale, deve essere tutelata nel suo esercizio, trovando accordi seri con gli Stati rivieraschi ed eventualmente con l’ausilio della nostra Marina Militare, e nei mercati favorendone il commercio e l’esportazione.
Altro settore che va rilanciato è senza dubbio quello agricolo, sappiamo come una volta l’isola fosse il granaio d’Italia, adesso le poche produzioni di qualità, voglio ricordare l’uva di Mazzarrone, le arance rosse di Sicilia, il pistacchio di Bronte, i prodotti ortofrutticoli di Vittoria, trovano difficoltà ad affermarsi in un mercato sempre più regolato dal “prezzo” e mai dalla “qualità” e condizionato da accordi internazionali -CETA (grano), MAGREB (pomodori, olio, frutta secca), ISRAELE (pompelmi, ananas), Ecc.. assolutamente esiziali per il comparto agricolo.
Questi criteri, che abbiamo indicato per la Sicilia, regione dalla quale io provengo, devono essere la regola per ogni progetto di sviluppo della nostra economia, ovviamente rapportandoli alle varie realtà territoriali della Nazione.
Una Nazione i cui cittadini si sentono sicuri e che hanno una prospettiva di sviluppo economico è una Nazione in cui la crescita sociale non è più un miraggio ma una certezza assoluta.
La sicurezza attiene sì al controllo del territorio da parte delle Forze dell’ordine, ma non solo.
La lotta alla delinquenza si articola in più punti e va diversificata.
E’ indubbio che un ruolo importante debba svolgerlo la scuola che, assieme alla famiglia, è l’Istituzione vocata alla formazione delle giovani generazioni.
Dicevamo che la lotta alla criminalità non può essere solo un fatto di polizia.
Benito Mussolini, in un discorso sulla mafia tenuto in Parlamento il 26 maggio 1927, disse: “Qualcuno mi domanderà: quando finirà la mafia? Finirà non solo quando i mafiosi non ci saranno più, ma quando il ricordo della mafia sarà scomparso definitivamente dalla memoria dei siciliani”.
A significare che la delinquenza organizzata oltre ad essere un problema di ordine pubblico è, soprattutto, un fatto culturale.
Ma si è sicuri, soprattutto, quando si è padroni in casa propria.
La nostra opposizione al MUOS di Niscemi, per esempio, ha, oltre al timore per la salute dei siciliani, anche quest’aspetto che non è secondario.
Noi rifiutiamo il ruolo di Stato coloniale in cui i governi italiani, dal dopoguerra ad oggi, hanno tenuto la Nazione.
Ci opponiamo fortemente alla costruzione in Sicilia di uno strumento di guerra che non serve alla difesa della nostra Patria, non serve come deterrente bellico, non serve nel momento in cui non c’è più il Muro di Berlino, ma serve solo a favorire gli americani nella loro politica d'esportazione della democrazia a suon di bombe; All’affermazione del loro principio del Destino Manifesto.
Rivendichiamo con forza il diritto all’autodeterminazione, ed in quest’ottica rilanciamo con ancor maggior forza la volontà di uscire dalla NATO, per dare vita ad un organismo di collaborazione militare tra le Nazioni europee.
Uno strumento che non sia funzionale alla politica imperialistica di una Nazione a discapito di altre, ma garanzia di pace tramite il bilanciamento delle forze internazionali, espressione di un’Europa delle Nazioni, informata all’Idea di Filippo Anfuso, che per primo teorizzò la creazione di un blocco equidistante, allora, dal Patto di Varsavia e dalla NATO. Uno strumento che ci garantisca e tuteli nei futuri scenari politici mondiali che riguarderanno il controllo dell’acqua e degli Ogm, le vere sfide per la sopravvivenza nel terzo millennio.
Più recentemente si è dato vita, sotto l’autorevole presidenza dell’avv. Carlo Morganti, ad un comitato nazionale per una Nuova Europa, che ha lo scopo di promuovere iniziative di sensibilizzazione per una coscienza Europeista, nel solco del progetto missino.
Parimenti, credo sia indispensabile ricreare un organismo importantissimo per la diffusione del nostro progetto che in passato è stato l’Istituto di Studi Corporativi (Gaetano Rasi).
Bisogna riattivarlo, perché fondamentale strumento di conoscenza e di promozione, individuando personalità nel campo della cultura e dell’economia che possano contribuire alla diffusione dell’Idea corporativa.
Nell’immediato, un Movimento che vuole essere avanguardia e punto di riferimento dei lavoratori non può prescindere da un rapporto organico con il mondo sindacale, ecco l’esigenza di aprirsi a contatti con le sigle che per linea politica siano riconducibili al nostro progetto e nel caso ciò non fosse possibile, bisognerà favorire la nascita di un sindacato “nostro” che ci consenta di essere protagonisti a fianco dei lavoratori in lotta.
Ricordiamo che se è stato possibile abolire l’Art. 18, ciò è stato per il tradimento dei sindacati esistenti, tutti, nessun escluso.
Altro comparto nel quale dobbiamo impegnarci è quello della riforma della giustizia e degli organismi che la supportano.
Casi come quelli cui da sempre assistiamo, la spartizione con il manuale Cencelli degli incarichi con la seguente sottomissione di parte della magistratura ai partiti politici, non devono più essere possibili.
Dovremo perciò anche in questo settore fare delle proposte serie e alternative.
Io credo sia fondamentale  procedere alla separazione delle carriere dei magistrati, ed esattamente bisogna eliminare l’unica carriera dei magistrati e, al suo posto, prevedere la carriera dei magistrati requirenti (Pubblico Ministero) e dei magistrati giudicanti (Giudici).
Ciò soprattutto al fine di garantire una posizione terza (equidistante tra P.M. e imputato) del giudice nel settore penale e una maggiore specializzazione del magistrato.
Bisogna riformare, altresì, il Consiglio Superiore della Magistratura in modo tale da eliminare le incrostazioni politiche, così come bisogna prevedere, tra l’altro, una concreta responsabilità civile del magistrato (allo stato sussiste una legislazione che prevede tale responsabilità, che, però, è farraginosa e sostanzialmente rende molto difficile esercitare tale azione di responsabilità) e il divieto di svolgere attività politica.
Le varie modifiche ai codici processuali non hanno sortito risultato alcuno nella velocizzazione dei tempi del processo perché, soprattutto, difetta il personale (magistrati, cancellieri etc.).
Occorre, quindi, che sia impinguato fortemente l’organico se si vuole migliore l’amministrazione della giustizia, altrimenti ogni modifica naufragherà per l’impossibilità della sua pratica applicazione.
Questi sono alcuni dei temi che il MSFT fa propri per elaborare le proprie strategie politiche.
Queste nostre posizioni devono essere portati all’esterno e per farlo, noi che non abbiamo accesso ai mass media, dobbiamo riappropriarci delle piazze.
Non ho critiche da muovere a nessuno ma è un fatto che, noi che siamo Movimento, abbiamo progressivamente abbandonando le piazze, scoraggiati, forse, dal fatto che poche erano le persone che ci ascoltavano.
Invece bisogna tornarci, trovare il modo di fare sventolare le nostre bandiere, renderci visibili ed essere propositivi.
Il MSFT che intendo contribuire a disegnare avrà come primo impegno il ritorno nelle Piazze, tra la gente.
Comizi, banchetti, giornali parlati, comunicati stampa devono essere una costante della nostra azione politica.
Se non ci fanno arrivare alla gente mediante i media noi ci arriveremo in modo diretto, con la presenza fisica, col dialogo.
Sappiamo di non avere grandi possibilità economiche ma abbiamo una risorsa che nessun’altra forza politica può vantare, i nostri militanti.
Saranno loro, i giovani missini, a essere il traino del Movimento tutto. I nostri ragazzi che, come diceva Benito Mussolini: vogliamo raccolgano la nostra fiaccola, si infiammino della nostra fede e siano pronti e decisi a continuare la nostra fatica.
Un Movimento che nel terzo millennio vuole essere artefice della politica nazionale non può prescindere da alcuni metodi di comunicazione che la moderna tecnologia  mette a disposizione.
Quindi, oltre ai tradizionali sistemi di comunicazione, comizi, manifesti, volantini, banchetti, interventi su giornali e televisioni, come già detto prima, c’è da considerare la grande novità che in questo campo offre internet.  Blog e Social sono sempre più visitati dagli italiani e dai giovani particolarmente.
Un corretto e incisivo utilizzo di questi potenti sistemi, che tra l’altro sarebbero a costo zero, credo sia indispensabile.
Dicevo prima, che il Movimento non ha grandi risorse finanziarie, ed è a proposito delle finanze del Movimento che ribadisco, cosa tra l’altro che faccio ciclicamente a ogni Comitato Centrale, la necessità di attivare una forma di contribuzione volontaria che si affianchi al tesseramento, allo stato unica fonte di acquisizione di denaro.
Già avevo presentato in CC uno studio di massima su come realizzarlo, non fu ritenuto idoneo, ma da allora nulla è stato proposto in sua sostituzione.
Io constato solo che altre formazioni politiche ricorrono a sistemi simili a quello che suggerisco e riescono ad ottenere delle contribuzioni.
Finanziariamente siamo con l’acqua alla gola e ci permettiamo di non attuare questo sistema di raccolta fondi.
Dovremo provvedere nel più breve tempo possibile.
Noi Missini abbiamo un Progetto politico che nessuno ha; abbiamo una capacità di prospettare soluzioni che ci rendono unici nel panorama politico nazionale e oltre; abbiamo una classe dirigente preparata e volitiva; abbiamo giovani meravigliosi per dedizione e spirito di servizio, dobbiamo solo convincerci noi di tutto questo e dotarlo dei mezzi necessari per trasformarlo in azione concreta.
Abbiamo una classe dirigente di prim’ordine, capace di confrontarsi con chiunque su qualsiasi tema, capace di analisi e proposte assolutamente innovative e originali.
Con questi dirigenti intendo collaborare dando vita a un Movimento dinamico che sappia trasformare in azione politica gli input che verranno dall’attualità politica.
Una Classe Dirigente che va, comunque, costantemente riqualificata.  
A tal fine, io ritengo, devono essere riprese e rilanciate le scuole di formazione dei Quadri.
Già in passato questo è stato fatto e i risultati sono stati eccellenti.
E’ innegabile che le generazioni che si sono formate ai tempi dei famosissimi campi Hobbit, ma non solo quelli, sono poi stati Dirigenti di alto spessore.
Nel recente passato in Sicilia abbiamo fatto questo esperimento, ricordo che contribui come relatore, tra gli altri, Giovanni Salvaggio.
Dobbiamo smetterla con l’autocommiserazione, il Movimento Sociale dovrà da domani, anzi da oggi, partire all’attacco, saranno gli altri, gli avversari politici, i falsi amici, il Sistema, saranno loro a doversi preoccupare; non noi!
Ho cercato di non essere retorico, spero di esserci riuscito, avrei fatto torto alla vostra intelligenza se avessi formulato facili promesse di riscatto, se vi avessi spinto, sull’onda dell’emotività a sognare un Movimento Sociale, nell’immediato, assoluto protagonista delle vicende politiche italiane.
Ho voluto, invece, rappresentarvi il particolare momento che il Partito sta vivendo, perché è dalla consapevolezza della realtà che si può ripartire e, passo dopo passo, fare del MSFT un grande Partito, non solo per il Progetto politico ma anche per il riscontro elettorale.
Un Movimento che senza rinnegare alcunché sappia guardare avanti, impegnato nella realizzazione di un corporativismo possibile, il corporativismo del terzo millennio.
U Movimento Sociale coeso, con una guida capace, volitiva, che dia certezza di essere interprete indefesso dei contenuti statutari e dei deliberati congressuali..
Un capo intelligente, colto, onesto intellettualmente, come altri abbiamo avuto in un passato oramai lontano.
Una guida, un condottiero, un Segretario, che io indico in Attilio Carelli.
Grazie.
Mario Settineri
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paoloxl · 6 years
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Negli scorsi giorni con l'approvazione della Legge di Bilancio sono state modificate le regolamentazioni sul servizio pubblico di trasporto non di linea. Oltre a una moratoria e ad alcune deroghe, la modifica prevde che gli Ncc operino nei comuni in cui le licenze siano state rilasciate e non sul livello provinciale. Chiaramente questo apsetto colpisce pesantemente molti autisti di Ncc relegandoli in settori dove non si lavora e conseguentemente svalutando fortemente il valore delle licenze (come per i taxi anche le licenze degli Ncc hanno valori di diverse decine di migliaia di euro, variabili geograficamente). Su questo aspetto per quanto sia stata più volte sottolineata l'assurdità di un mercato privato delle licenze sul traposto pubblico, nessuno ha mai trovato una soluzione che possa tutelare chi ha investito somme molto elevate per lavorare. 
La giornata è stata lunga a Piazza della Repubblica. Iniziata intorno alle 14 con centinaia di autisti è durata fino a tarda sera. Molti interventi dal microfono contro il governo e contro i taxi, considerati "una lobby mafiosa". Un manifestante si è cosparso di benzina promettendo di darsi fuoco se il governo non fosse intervenuto entro la fine della giornata. Un manichino di Di Maio è stato dato alla fiamme. Gli autisti hanno affermato di voler rimanere la notte in piazza mentre le associazioni di categoria che dichiaravano che "la loro responsabilità finiva lì". In tarda serata la polizia è intervenuta in antisommossa spingendo i manifestanti fino a Piazza dei Cinquecento. Molta tensione tra le forze dell'ordine e gli autisti, in particolare, nel momento in cui i manifestanti sono passati accanto a un taxi. 
"Traditori, maledetti!" , "Salvini e Toninelli ci avevano fatto delle promesse" con queste affermazioni gli autisti Ncc hanno contestato il governo giallo-verde. E ancora "Sono degli ipocriti. All'ultima conferenza sulla Libia a Palermo, agli ultimi g7 in Sicilia hanno voluto le nostre macchine nere da Roma, e ora ci mandano a casa".
Le associazioni di categoria hanno convocato la manifestazione ma si sono mostrati subito incapaci di gestire la situazione. Hanno prima consegnato un documento al Quirinale. Dalle parti del Colle hanno liquidato la cosa affermando che non ci sono stati nè incontri nè dichiarazioni sulla questione da parte del Presidente della Repubblica. Poi hanno promesso ricorsi sulla base dell'incostituzionalità del decreto. Infine le associazioni hanno preso le distanze da qualsiasi forma di violenza, quando di violenza non se ne era vista. I tentativi di mediazione sindacale ancora una volta si mostrano insufficienti. Solo la capacità degli autisti di creare problemi al governo e alla gestione securitaria della città possono aprire spazi di trattativa.  
La natura corporativa della mobilitazione difficilmente riuscirà a produrre allargamenti. I tradimenti del governo a pezzi di società cui avevano fatto promesse alle ultime elezioni, stanno cominciando a moltiplicarsi. Dall'Ilva alle grandi opere, dai tagli all'istruzione agli Ncc sarà possibile costruire una convergenza? I 5 stelle dicono che in Italia i Gilet Jaunes sono al governo, per questo non sono in piazza. Ora le foglie di fico stanno cadendo una dopo l'altra, cosa succederà?
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paoloxl · 6 years
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Sabato 3 novembre un corteo antifascista si svilupperà lungo le strade triestine in risposta alla manifestazione di Casapound. 
Cent’anni dopo la conquista di Trieste da parte del regno italico borghese, alla vigilia dei festeggiamenti istituzionali che ricordano l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti e che vedranno per l’occasione la presenza di Mattarella nel capoluogo regionale, i neofascisti, sfilando per le vie centrali della città ottengono simbolicamente l’ouverture delle celebrazioni. 
La marcia casapoundista potrà così dispiegare tutti gli afflati nazionalisti e irredentisti che volteggiano nei meandri mefitici degli ambienti reazionari caratterizzandosi così come una sorta di cappello introduttivo alle celebrazioni del 4 novembre. 
L’esaltazione interventista della guerra imperialista del ’15-’18 si combinerà con la rivendicazione dell’italianità delle terre istro-dalmate assegnate all’allora Jugoslavia rivoluzionaria dal trattato di Parigi dopo la sconfitta del fascismo nel ’45. Ed infatti i neofascisti hanno già annunciato la traduzione operativa di questa rivendicazione ideale: l’organizzazione di un concerto dichiaratamente irredentista a Rijeka (Fiume) come proseguimento del corteo di sabato. 
Il fascismo e Trieste 
Al macello proletario e contadino causato dalla prima deflagrazione mondiale delle contraddizioni interimperialistiche, nelle terre friulano-giuliane, multilinguistiche e multinazionali, si sono aggiunte la distruzione di interi paesi e lo sfollamento forzoso di intere popolazioni. Questi fatti hanno rafforzato l’odio popolare verso le classi dominanti per una guerra subita e che ha deciso la collocazione politica dei popoli al tavolino dei potenti. Ancora di più se si pensa alle concessioni che il governo imperiale austriaco era disposto a fare ancora nel maggio 1915 pur di garantirsi la neutralità dell’Italia: cessione del trentino, del gradiscano e del cormonese ed elevazione di Trieste a “città libera”. Ma la prima guerra mondiale, con i suoi sovrapprofitti, era l’occasione che permise al capitale finanziario italiano di consolidarsi: dall’ascesa del gruppo Fiat all’ascesa della Banca d’Italia da istituto privato a banca centrale pubblica. Inoltre il crollo dell’esercito austro-ungarico permise al governo imperialista italiano, con le truppe operative già pronte in loco, l’annessione dei territori occidentali della Slovenia in esecuzione (ma andando anche oltre) del patto di Londra. 
Terra nazionalmente composita, senza soluzione di continuità nei confini naturali, con la presenza di un forte movimento socialista prodotto da una classe operaia e contadina multinazionali, il litorale orientale fu teatro fin dal 1919 del aspetto più aggressivo del fascismo come corollario dell’omogeneizzazione forzosa italiana operata dalle autorità civili subentrate a quelle militari nell’amministrazione delle “terre redente”. A Trieste si sviluppò per primo lo squadrismo urbano. Episodi salienti dell’inizio del fascismo triestino furono l’incendio dell’Hotel Balkan del 13 luglio 1920, centro culturale della comunità di lingua slovena e, sempre nello stesso anno, la devastazione della sede del quotidiano locale socialista Il Lavoratore il 14 ottobre. Successivamente si aggiungeranno le pesanti conseguenze delle leggi razziali sulla folta comunità ebraica triestina. 
Dopo l’8 settembre ’43 Trieste divenne la capitale della zona di operazioni Adriatisches Küstenland, territorio giuridicamente annesso al Terzo Reich e l’apparato politico-amministrativo fascista fu inglobato direttamente nel dispositivo repressivo dell’occupazione nazista. Luoghi sinistri della repressione della resistenza a Trieste come la sede dell’Ispettorato Speciale per la Venezia-Giulia in via Bellosguardo - denominata “Villa triste” per le torture inflitte agli antifascisti - o il campo di sterminio della Risiera di San Sabba sono diventati simboli esemplari di repressione nazifascista nell’immaginario di ogni memoria resistente. 
E nell’immediato secondo dopoguerra ancora è Trieste a diventare l’epicentro della strategia irredentista del governo democristiano contro gli effetti del trattato di Parigi del febbraio 1947, con la gestione politica dei flussi degli esuli optanti provenienti dall’Istria, Dalmazia e Fiume anche come bonifica nazionale della città al fine di ridurre il peso dell’elemento sloveno, con la protezione agli scampati fascisti responsabili di crimini di guerra in Jugoslavia, con la creazione del martirologio italico degli “infoibamenti” da parte dei barbari “slavocomunisti” attingendo cifre e resoconti direttamente dall’ufficio propaganda della X Mas in Istria alcuni dirigenti del quale, nel 1946, furono impiegati dalla Croce Rossa Internazionale (con beneplacito del governo della coalizione del CLN) per curare gli archivi dei dispersi. E’ per opera di un deputato triestino ex missino che nasce la legge istitutiva del “Giorno del Ricordo”, non a caso divenuto un viatico per un medaglificio fascista anche in forza alla “conciliazione nazionale” santificata dall’asse Violante-Fini. E ancora Trieste, per la sua posizione geo-politica, fu crocevia di attività connesse con la strategia della tensione, che vanno dalla presenza di Ordine Nuovo e l’attentato dimostrativo ad una scuola slovena nell’ottobre ’69 al dirottamento del Fokker presso l’aereoporto regionale di Ronchi dei Legionari nel 1972 da parte dell’ordinovista Ivano Boccaccio, evento legato all’attentato di Peteano e che si incrocia con la vicenda Gladio e i suoi depositi nascosti nel Friuli Venezia-Giulia. 
La marcia di Casapound, nell’epoca attuale, si inserisce nel periodo reazionario del governo giallo-verde che a Trieste trova interpreti “creativi” nella giunta del sindaco Dipiazza, autentico rappresentante della borghesia più retriva, a partire dal suo vice, il leghista Paolo Polidori, utilizzato come punta di lancia nella canea anti-immigrati quale arma di distrazione di massa e di educazione politica nazional-corporativa; cioè quell’educazione ideologica interclassista dell’“azienda Italia”, del “tutti uniti dietro alla classe capitalista per tenere botta nell’economia mondiale”. 
Emblematici gli episodi del saluto fascista di Dipiazza nel comizio elettorale di Forza Nuova lo scorso marzo; i rastrellamenti dei migranti presenti sulle Rive da parte di Polidori; il consigliere comunale di FN Fabio Tuiach, di maggioranza, che schernisce Stefano Cucchi nel giorno della confessione ufficiale del suo omicidio; l’avversione della giunta comunale verso la mostra sulle leggi razziali del ’38 allestita da studenti; la campagna Lega-FN contro l’educazione al riconoscimento del pluralismo sessuale nelle scuole. Ma la peristalsi reazionaria della giunta Dipiazza trova diretta continuità nel governo regionale del leghista Fedriga, nella sua militarizzazione dei confini, nel taglio dei finanziamenti per i progetti di accoglienza ed integrazione, nell’assunzione in sede regionale del modello di quote di apartheid scolastico varato dalla leghista Cisint, sindaca di Monfalcone, per le scuole dell’infanzia. 
In questo quadro si inserisce la legittimazione istituzionale della marcia casapoundista. 
Il fronte antifascista 
La tradizione antifascista triestina ha prodotto la costituzione della rete Trieste antifascista-antirazzista che ha organizzato il controcorteo che partirà da Campo San Giacomo lo stesso giorno del corteo neofascista. Questo raggruppamento ampio promosso inizialmente da ambienti scolastici (UDS, Cobas Scuola, Cgil FLC) ha permesso di avviare un processo mobilitante che ha travalicato i confini statali. 
Ma più in generale, nella risposta all’attività neofascista e alla sua raggiunta agibilità istituzionale, si impone una riflessione profonda sulla struttura materialistica dei rapporti sociali (cioè a partire da quelli economici) e della loro natura classista. E da questa impostazione ricavare, oggettivamente, la determinazione di quel blocco sociale che, per sua stessa natura, è portatore dell’eradicazione delle basi materiali del fenomeno fascista: un blocco sociale anticapitalistico strutturato attorno alla classe operaia e lavoratrice (a partire dalla classe operaia della grande produzione). 
La fiducia riposta sulla prefettura di proibire il corteo casapoundista, richiesta derubricata poi nella speranza (altrettanto disattesa) di impedire ai fascisti l’accesso alle vie centrali, rappresenta un po’ lo specchio della questione. 
L’arco dell’opposizione antifascista si dispiega oggi dalle posizioni della borghesia liberale che informa la politica del PD - sul cui ruolo e responsabilità dello stato di cose presenti non c’è bisogno di aggiungere nulla - agli idealismi della democrazia piccolo-borghese (Anpi, intellettualità di ambiti accademici e scolastici, LeU) e delle illusioni riformiste-socialdemocratiche vecchie e nuove (Cgil, Prc, Pap, parte dei sindacati di base, realtà associative e di movimento ecc.). 
Per acquisire quel necessario salto qualitativo politico e organizzativo per contrastare lo sfondamento di massa di orientamenti reazionari e neofascisti, bisogna avere chiari alcuni aspetti. 
Le organizzazioni fasciste sono il reparto avanzato della borghesia per la sua guerra civile al movimento organizzato dei lavoratori e a tutte le resistenze popolari alla politica del capitale. 
Per tale motivo di fondo, materialistico, anche in periodi avidi di grandi lotte di massa non ci può essere una contrapposizione totale e durevole tra la forma di difesa statale dell’ordinamento sociale capitalistico (“democratica”) e le propaggini dell’attività di gruppi fascisti, specie se è possibile far digerire nella legalità democratica (borghese) tali attività. Oggi i gruppi fascisti stanno già avviandosi al salto di qualità della loro ragion d’essere: da strumento armato della canea anti-immigrati (funzionale a dividere la forza-lavoro e sviare il campo popolare verso un’impostazione nazionalista) a dispositivo per gli assalti diretti contro sedi sindacali e picchetti di sciopero. Occorre rilanciare l’idea della democrazia proletaria come contro-potere politico al governo economico e statale della borghesia, per promuovere una piattaforma generale, unificante, di classe, partendo dalla costruzione (e loro progressivo raggruppamento) di organismi autorganizzati funzionali alle resistenze sociali sul posto di lavoro e sul territorio. In piena rottura con la partitocrazia della governabilità capitalistica. Ricorrere allo sciopero anche nella battaglia antifascista. Organizzare sul piano politico e sindacale le popolazioni migranti. Affrontare seriamente la questione dell’autodifesa dei cortei antifascisti e più in generale l’autodifesa popolare dal consolidamento organizzativo dello squadrismo. Ridare base operaia e popolare (cioè antiborghese) all’antifascismo. 
Bisogna avere le idee chiare sin da ora che, in caso di sviluppo di una lotta di classe capace di mettere a rischio il blocco corporativo nazional-economico, che è la base dell’attuale governabilità dell’accumulazione capitalista, e tanto più a fronte della persistenza della crisi da sovrapproduzione, il ricorso della classe dominante ad un utilizzo più sistematico di strutture fasciste sarebbe inevitabile.
Partito Comunista dei Lavoratori - nucleo isontino
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paoloxl · 7 years
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Le voci ignorate dell’opposizione di sinistra a Maduro
L’informazione sul Venezuela continua ad essere inadeguata: ai giornali borghesi fa comodo amplificare le denunce vittimiste della MUD per screditare un movimento bolivariano che nella fase ascendente aveva suscitato grandi speranze non solo in America Latina, mentre diverse frange di sinistra “campiste” ma soprattutto il Manifesto continuano a credere che lo scontro sia tra un governo socialista e uno schieramento imperialista aggressivo e golpista. Lo stesso criterio impedisce di capire le responsabilità di quello che già è accaduto in altri paesi come il Brasile o l’Argentina, evitando ogni riflessione autocritica sullo scollamento tra i governi “progressisti” e le masse. Il risultato è che questi difensori acritici dell’esistente non hanno dubbi nel sostenere incondizionatamente Maduro, anche mentre svende alle multinazionali ampi territori del paese, e punta tutto sullo sviluppo della distruttiva industria mineraria.
Come è accaduto altre volte nelle vicende del “socialismo reale”, gli zelanti difensori di ogni governo sedicente di sinistra ignorano le voci di chi critica da sinistra e cerca una strada diversa. A volte presentano i settori critici del chavismo come opportunisti che lasciano la barca che affonda, più spesso non riferiscono affatto le loro posizioni, e riducono il dibattito venezuelano a uno scontro tra un Maduro assimilato a un Salvador Allende e una per loro inspiegabile reviviscenza del nazismo. Questa intervista a Lander rende l’idea dello spirito equilibrato con cui la sinistra guarda, con allarme, le forzature propagandistiche ma anche istituzionali con cui Maduro e soci, appoggiati su non disinteressati settori dell’esercito, stanno cercando di sopprimere la dialettica tra i diversi poteri dello Stato per sottrarsi a una convalida del severo giudizio delle urne già espresso nelle elezioni legislative del 6 dicembre 2015, con una vittoria delle opposizioni grazie all’astensione di oltre due milioni di elettori chavisti. In primo luogo, come ricorda Edgardo Lander, Maduro lo ha fatto bloccando con pretesti diversi ogni forma di elezione prevista in questo biennio, per poi inventarsi una nuova supercamera Costituente eletta a modo suo senza discuterne i criteri con nessuno. Ma forse Lander ha ragione nel sospettare che tra gli obiettivi taciuti da Maduro sia quello di dar via libera a quell’accordo sull’Arco minerario dell’Orinoco che era stato tenuto segreto a lungo all’Assemblea nazionale e ai cittadini, per non indebolire la propaganda che presenta Maduro come baluardo del socialismo e dell’antimperialismo.[i] (a.m.)
“Questa costituente non significa dialogo, non significa accordo, è un’imposizione”
Intervista a Edgardo Langer[ii]
di Edgardo Agüer S.[iii]
(da https://www.aporrea.org/)
Lei ha dichiarato che questa proposta di Costituente spinge il paese a un punto di non ritorno. Ci siamo già arrivati?
Non ancora per il momento, ma ci stiamo pericolosamente avvicinando a una situazione di non ritorno, per molti aspetti. In primo luogo, siamo di fronte all’imposizione di un meccanismo di Assemblea Costituente il quale, per un verso, è incostituzionale, ma – quel che più importa – si basa su una modifica delle basi elettorali elaborata in modo particolarmente calcolato per garantire che, indipendentemente da ciò che possa pensare la maggioranza della popolazione venezuelana, il “madurismo” riesca a imporre la maggioranza.
In che modo e per quale ragione avverte che la composizione di questa Assemblea Nazionale Costituente (ANC) sarebbe già predisposta in anticipo
Per prima cosa, questo avviene tramite la sovra-rappresentanza dei municipi meno popolati, vale a dire: un municipio di 4.000 abitanti può avere la stessa rappresentanza di uno di 800.000; e non si tratta di casualità, ma di un disegno voluto. L’altro aspetto è che la rappresentanza corporativa, elaborata in base ad elenchi che non si sa da dove provengano e che non chiarisce chi siano coloro che ne fanno parte, introduce una differenza fra cittadini con diritto di voto per territorio e per settore e altri che hanno solo diritto al voto territoriale, cosa che viola completamente la concezione di “una persona – uomo o donna che sia – un voto”.
Si può in questo caso parlare di broglio?
Il broglio è qualcosa che si fa sotto banco se stai giocando a carte, ad esempio. Qui si tratta di un meccanismo elettorale e di una proposta di Costituente che viene fatta in condizioni in cui il governo mostra di non avere la capacità di vincere le elezioni. C’è il caso del referendum di revoca, che è stato ignorato nonostante si fossero rispettate le procedure e le condizioni richieste. Non ci sono state neanche le elezioni dei governatori, perché il governo sapeva che le avrebbe perse, né si sono tenute le elezioni comunali; in queste condizioni, non vi è alcuna garanzia che il prossimo anno si svolgeranno le elezioni presidenziali.
Allora, un governo che ha così riconosciuto di non poter vincere elezioni generali, dirette e con voto segreto, si inventa un meccanismo confezionato appositamente – prescindendo dal non avere la maggioranza – per disegnare un sistema politico che possa esercitare il controllo, il che è naturalmente la violazione di qualsiasi nozione di sovranità popolare e di democrazia, perché lo si sta imponendo alla maggioranza della popolazione. Si tratta di un meccanismo che corrisponde all’interesse del governo di mantenersi al potere e che non è espressione della sovranità popolare venezuelana.
L’obiettivo, quindi, è quello di cercare un sistema per rilegittimare il madurismo al potere, non quello della ricerca di una trattativa, o pace, o consenso, perché allora si sarebbe dovuto mettersi d’accordo su tutta una serie di cose e, ove si fosse pervenuti a trattare, allora convocare i cittadini, non invece tirar fuori una costituente convocata da un settore minoritario per imporla all’intera popolazione, che non può in alcun modo essere interpretata come dialogo. Questo non è dialogo, non è accordo, questo �� imposizione.
Ritiene praticabile in questo momento, come propongono alcuni, inclusa la Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, applicare l’articolo 350?
L’applicazione dell’art.350 non è assolutamente un decreto. Non si tratta che qualcuno dica: “allora oggi si applichi il 350”. No, siamo in una situazione in cui il processo di crescente delegittimazione del governo, da un lato, e i livelli di scontro e di violenza da parte di settori estremisti della destra e della repressione governativa, dall’altro lato, ci stanno portando a una situazione che potrebbe anche sfociare nella rottura completa, non dico dell’ordine costituzionale, ma dell’intero sistema di vita sociale collettiva, che in materia  di operatività della società, come gradatamente ci sta succedendo, interrompa le condizioni di riproduzione della vita sociale nei termini che conosciamo, la riproduzione del trasporto pubblico, dell’acquisto di beni alimentari, del recarsi a scuola e al lavoro, tutte cose che si stanno decomponendo di giorno in giorno sotto i nostri occhi. Non credo quindi che, a questo punto, quello dell’art. 350 sia il tema di dibattito giuridico costituzionale, ma che lo sia quanto sta accadendo, nella misura in cui la situazione si sta decomponendo fino a tali estremi. Che cosa succederà se fanno le elezioni il 30 luglio e partecipa solo il 10% della popolazione? Che conseguenze provocherebbero quei risultati? Che senso ha un governo che pretenda di trasformare il sistema politico, il disegno dello Stato, in base all’ammissione esplicita che una grandissima maggioranza della popolazione vi si oppone? Ci stiamo avvicinando a una situazione in cui l’ordine costituzionale sta smettendo di funzionare come tale.
Come interpreta il fatto che il governo abbia lasciato nelle mani dei militari il controllo dell’importazione, produzione e distribuzione dei generi alimentari?
Ovviamente, nella società venezuelana si è verificata, ma soprattutto si è accentuata negli ultimi tre o quattro anni, la militarizzazione della società. In questo momento ci troviamo di fronte al fatto che un terzo dei ministri sono militari, così come un’alta percentuale dei governatori. Una parte rilevante dei settori fondamentali in cui si è verificata la maggiore corruzione in questi anni, che si annida nei meccanismi di assegnazione delle divise, da un lato, e delle importazioni, dall’altro, sono stati nelle mani dei militari. Là c’è un problema molto serio dal punto di vista sia della corruzione amministrativa, sia della democrazia. Dal punto di vista della democrazia, vuol dire una società in cui si va imponendo una crescente cultura militare, antagonistica rispetto allo spirito della cultura della democrazia partecipativa, che si presume sia il senso di fondo del progetto bolivariano; questo, da un lato ma, dall’altro lato, vuol dire che esiste una crescente complicità e responsabilità nell’Alto comando militare e in importanti settori dell’Esercito che, in alcun modo, garantiscono al governo la forza fondamentale a suo sostegno che in questo momento, è appunto l’establishment militare.
Mi viene in mente che con questa manovra vogliano conservare il proprio inserimento, voglio dire nell’ipotesi che si verifichi un cambio di governo, non crede?
Da un lato, naturalmente tutto l’impegno che soprattutto Chávez ha rivolto all’Esercito, nel senso della formazione di nuove generazioni con un immaginario anti-elitario, popolare, ecc. ha provocato cambiamenti in seno alle Forze armate, facendo sì che in questa istituzione, dal punto di vista politico e ideologico, la maggior parte dei suoi membri sia oggi molto diversa da quello che era venti o trent’anni fa. Tuttavia, dall’altro lato, c’è il fatto che per gli alti comandi giochino i rilevanti interessi creatisi, ad esempio la difesa dei propri privilegi. Nei fatti, questo succede non solo con gli alti comandi militari, ma anche ai vertici del comando civile governativo, una delle ragioni per le quali c’è la disperata ricerca di frenare il cambiamento, qualora si presentasse. Si sa che, se avvenisse, vi sarebbero concrete possibilità di dovere affrontare processi, visto che potrebbero venire a galla imputazioni di corruzione e una quantità di cose che si conoscono, ancorché non vi siano meccanismi operativi né rapporti di forza che consentano di fare chiarezza. Se il governo perdesse le elezioni il prossimo anno, questo vorrebbe dire necessariamente che vi sarebbe da parte di altri settori la richiesta di una resa dei conti, che si vuole evitare.
Sembrerebbe essersi verificato uno sfaldamento graduale dello Stato, non le pare?
Nell’operare quotidiano di una parte notevole dello Stato c’è assoluta incapacità di gestione, vuoi per mancanza di risorse, di motivazione, per assenza di direzione, di gestione, in una situazione di crisi nel bel mezzo della quale nessuno sa che cosa accadrà. C’è perciò una sorta di speranza di riuscire ad afferrare il tutto. Lo Stato si è andato praticamente arrestando e tutto ciò fa sì che qualsiasi cosa abbia a che fare con questo sia molto più complicata, più lenta, più difficile, più marcia.
D’altro canto, c’è stata una trasformazione più profonda dal punto di vista della sfera istituzionale, perché il disconoscimento del Parlamento, o il modo in cui si reagisce di fronte alle posizioni assunte dalla Procuratrice della Repubblica sollecitando la Suprema Corte di Giustizia a nominare una commissione medica per indagare se sia realmente malata di mente, tutto fa parte della rottura del funzionamento dello Stato, che è strutturalmente disegnato in modo tale da avere attribuzioni diverse, con poteri distinti e autonomia di poteri; questo implica che possa esservi confronto o dissenso tra questi stessi poteri, ma non che vi possa essere un potere che si imponga sugli altri. Eppure, se un determinato potere avanza un’argomentazione in una direzione diversa, si dichiara chi lo fa malato di mente. Di fronte a ciò, evidentemente, ci troviamo in una situazione che esula completamente dalla normativa costituzionale, vale a dire dalle regole del gioco.
Verso dove porta il misconoscimento della Costituzione?
Apparteniamo a quella che abbiamo chiamato la Piattaforma Civica di Difesa della Costituzione, perché riteniamo che, in una situazione tanto gravida di tensioni e così complicata, oggi in Venezuela la Costituzione sia l’unica regola del gioco su cui contare, per cui dobbiamo rivendicarne il rispetto, in quanto l’alternativa al mancato rispetto della Costituzione è la violenza o la guerra. Questo, indipendentemente dalle posizioni politiche che si possano avere e ammettendo la possibilità che in futuro si possano verificare eventuali cambiamenti, perché nessuna Costituzione è eterna e perfetta. Per cui, in questo momento, il rispetto di queste regole del gioco condivise da tutti credo sia la condizione sine qua non per evitare la guerra.
Il Venezuela si sta trasformando in uno Stato poliziesco?
In questo momento l’incertezza è tale che ci troviamo a fare i conti con questo smantellamento dell’ordinamento giuridico costituzionale, e tali sono le divisioni presenti nella società, i livelli di polarizzazione degli interessi – per determinati settori da entrambe le parti – che spingono verso una soluzione violenta, che è davvero impossibile prevedere che cosa succederà.
Il massimo che si possa immaginare sono scenari eventuali, ma è anche difficile prevedere quale abbia maggiori probabilità. Potremmo stare andando verso un processo di progressiva disintegrazione della convivenza civile, che potrebbe portare, come fanno di solito questi processi, a un ordine militare, autoritario; o potremmo trovarci di fronte al fatto che il governo stesso, sulla base dei propri interessi, delinei un sistema giuridico il più possibile impenetrabile, per mantenersi al potere; potremmo trovarci di fonte livelli di violenza che crescano in modo tale da fornire l’alibi agli Stati Uniti, con il sostegno del governo colombiano, per l’eventuale intervento militare. Vale a dire che la gamma delle possibilità che si aprono  nel bel mezzo di questa disintegrazione è molto vasta, e ciascuna di esse è estremamente azzardata e rischiosa.
Sta forse prevedendo un’esplosione sociale in Venezuela?
Ti sembra poco quel che è avvenuto a Maracay? Non ti sembra un’esplosione sociale?
Va bene, professore, lei è un sociologo, uno scienziato, uno studioso della società; io sono solo un osservatore ai margini, un curioso, uno che guarda…
Già, già. In Venezuela, diversamente dal 1989, quando si verificò il cosiddetto “Caracazo” - che fu una sorta di esplosione simultanea, cominciata a Caracas e poi estesasi a buona parte delle principali città del paese - in questi ultimi due anni sono avvenuti lungo il paese piccoli “caracazos” a Cumaná, in Bolívar…; quello di Maracay, che colpì buona parte della rete di distribuzione dei prodotti alimentari, è espressione di questo: cominciano a verificarsi come conseguenza della decomposizione dello Stato, che parallelamente comporta la decomposizione del tessuto sociale, cosicché abbiamo in quei casi un misto tra gente che esce a protestare perché non trova di che mangiare, o perché non ha gas, ma scopriamo che ci sono anche mafie, una delinquenza più organizzata del resto della popolazione, che approfittano della situazione per assaltare negozi. In questi casi non si riesce a identificare chi sia il protagonista. Vi sono settori dell’estrema destra, che sono interessati; vi sono con assoluta certezza gruppi paramilitari colombiani, che operano finanziati da fuori; certamente ci sono proteste spontanee della gente; c’è tutto questo insieme. Ovviamente, quel che non può esserci è una spiegazione semplice che dica: questo è avvenuto per questo e questo corrisponde al gruppo tale.
Il presidente Maduro ha decretato la fine dell’era della rendita: è plausibile in un paese come il nostro, essenzialmente petroliero?
Maduro può decretare quel che vuole, a parole, ma nei fatti le decisioni che sono state prese, soprattutto l’apertura dell’Arco Minerario [dell’Orinoco], non stanno assolutamente ad indicare la fine del sistema della rendita, ma il suo approfondirsi, in quanto si sta sostituendo un sistema di rendita a un altro - quello petroliero con quello minerario. Oltretutto, per motivi politici, per ragioni ambientali, per l’equilibrio del pianeta ecc., è assolutamente indispensabile superare un’economia montata sul petrolio. in primo luogo pensando al pianeta.
Attualmente, le emissioni di gas a effetto serra sono arrivate a un tale livello che la temperatura globale del pianeta continua ad aumentare anno dopo anno. Nell’ultimo triennio le temperature sono state le più elevate di quelle di cui si sia tenuta la registrazione; ci stiamo pericolosamente avvicinando a una situazione di natura irreversibile di una serie di cambiamenti climatici catastrofici che mettono a rischio la preservazione della vita sul pianeta, e chi si pone l’esigenza del superamento della società capitalista deve necessariamente affrontare come asse assolutamente prioritario la costruzione di un altro fattore produttivo che non dipenda dall’emissione di gas a effetto serra.
La possibilità del superamento della rendita petrolifera non è, ovviamente, qualcosa che possa avvenire per decreto. Negli ultimi 17 anni di governo bolivariano, in cui si è parlato molto sul tema ambientale e sul superamento del sistema della rendita petrolifera, quello che tuttavia si è fatto è stato solo accentuare la dipendenza dalla rendita dello Stato venezuelano nel complesso della società venezuelana. Quando nel Piano della Patria ci si pone l’obiettivo di salvare il pianeta, viene fuori che c’è un altro obiettivo dello stesso livello ma che, in termini pratici, ha molte più implicazioni, in quanto si tratta di quelle che sono le politiche che concretamente si portano avanti, ad esempio quella di trasformare il Venezuela in una grande potenza energetica mondiale.
ll Piano della Patria contempla come primo obiettivo la sovranità alimentare e lo sradicamento della povertà in generale. È possibile, o si tratta semplicemente di buone intenzioni?
È chiaro che nei primi anni del governo bolivariano c’è stata una riduzione molto significativa dei livelli di povertà nel paese, ma dappertutto c’è la possibilità di politiche pubbliche che contribuiscano a ridurre la povertà. In questi momenti, come conseguenza, da un lato, del crollo dei prezzi del petrolio ma, dall’altro, come effetto del deterioramento del complesso della capacità produttiva del paese, sia industriale sia agricola, ci troviamo di fronte al fatto che lo Stato non è in grado di rispondere ai suoi doveri costituzionali rispetto ad impegni critici quali la sovranità alimentare, e il diritto della popolazione ad avere accesso al nutrimento non riesce ad essere soddisfatto perché lo Stato è incapace di amministrare, non ha abbastanza dollari, non c’è sufficiente produzione interna, e quindi la crisi che la società venezuelana sta vivendo è di gran lunga una crisi che va ben oltre la semplice congiuntura politica. Sul piano produttivo, è profonda e con ripercussioni di lunghissimo periodo: la ripresa della capacità produttiva del paese, per avere effettivamente sicurezza e autosufficienza alimentare essenziale, e il recupero di quello che è stato il deterioramento delle condizioni di vita intervenuto nell’ultimo triennio sono cose che prenderanno parecchio tempo.
Se il socialismo dà priorità all’elemento “comune”, vuol dire che con la nuova Costituzione socialista andremmo verso uno Stato comunale?
Il fatto dello Stato comunale è stato parte di un discorso e di tutta una richiesta di deleghe e di una quantità di strumenti, diciamo di leggi organiche, che sono state approvate, leggi dei consigli comunali e leggi delle comuni, del finanziamento del potere popolare, ecc.; ma finora, poiché non è cambiata la struttura produttiva di fondo del paese e la dipendenza dal petrolio continua ad essere non solo la stessa ma maggiore di prima, le politiche pubbliche hanno operato più come politiche redistributive che non come politiche di trasformazione del modello produttivo. Oggi, quella che è la produzione del settore comunale rispetto all’insieme dell’economia continua ad essere molto minoritaria, per cui passi in direzione di un modello produttivo comunale ci sono, ma molto lontani all’orizzonte.
Come terzo obiettivo dentro il Piano si contempla la protezione di bacini idrografici e ambienti naturali, il che ci porta all’Arco Minerario (AM). A cosa si deve che, essendo il chavismo - si presume - un movimento guidato dalla sensibilità sociale e in difesa degli interessi della patria, non vi sia una voce sensata che si levi in difesa della patria di fronte a questa madornale aggressione?
Questa è una domanda importante, perché in qualche modo ci riporta a come si muovono i partiti politici, come opera la logica del potere. Da parte mia, non mi limito a credere, ma mi incontro in vari luoghi con settori identificati con il chavismo che rispetto all’AM hanno posizioni molto critiche, anche se questo non è minimamente all’altezza della gravità di quel che c’è in ballo, che ha a che vedere con il modo in cui concepiamo il Venezuela del prossimo secolo: quelli infatti che si stanno rovinando sono i principali fiumi del paese, colpiti dall’AM. Siamo inoltre di fronte al fatto che c’è in gioco l’esistenza o meno di un importante gruppo di popoli indigeni venezuelani, il cui territorio sta venendo invaso dalla delimitazione dell’AM. AM occupa una parte rilevante dell’Amazonia, che costituisce una parte critica dei sistemi di regolazione ambientale planetari; mentre siamo di fronte a rischi cosi seri rispetto a tutto il cambiamento climatico globale, vediamo che il 70% dell’elettricità del paese si produce in invasi artificiali che stanno all’interno della delimitazione dell’AM; vediamo che l’apertura, cosi come è prevista, a un sistema economico speciale con un ruolo altrettanto speciale della forza armata di controllo, significa la possibilità di contratti a molto lunga scadenza che, anche con importanti cambiamenti di governo, sarebbe assai difficile o impossibile annullare.
Quel che c’è in gioco, allora, è il Venezuela che vogliamo e il Venezuela del futuro; perciò, a prescindere dall’intensità dello scontro politico, quello dell’AM non possiamo considerarlo un tema per dopo o un argomento secondario, perché le decisioni che si prendono avranno conseguenze a scadenza molto lunga. Per fortuna, il governo che sperava in fiumi di investimenti, perché sono molte le multinazionali minerarie interessate allo sfruttamento dell’AM, non li ha ancora trovati, visto che le imprese non vogliono rischiare, finché non potranno contare su un più solido terreno giuridico. Per il resto, tutta questa impalcatura si è costruita in violazione della Costituzione, della Legge Organica dei Popoli indigeni, della Legge Organica dell’ambiente, violando le leggi del lavoro, in condizioni eccezionali, per Decreto Presidenziale, senza consultare i Parlamento e, soprattutto, in condizioni di elevatissima precarietà giuridico-costituzionale; e poiché il recupero dell’investimento minerario non è a breve scadenza ma perlomeno a scadenza media, le imprese non stanno investendo come ci si aspettava. Uno dei miei personali timori è che tra gli obiettivi per cui è stata convocata l’ANC ci sia proprio quello di attribuirle questo peso giuridico, queste garanzie, questa sicurezza giuridica affinché le imprese si decidano veramente a investire, e questo sarebbe gravissimo.
Quale lettura merita la presunta collettivizzazione della società intorno a un pensiero unico?
Qualsiasi forma con la quale si pretenda imporre all’insieme della società un modo di organizzazione della vita collettiva calato dall’alto e non in quanto espressione di processi di dibattiti, di consenso nella costruzione collettiva, rivela solo tendenze autoritarie; è infatti impossibile decretare che una società, da un giorno all’altro, sia socialista, o debba essere cattolica, o debba essere quella determinata cosa. Le società contemporanee sono necessariamente plurali e diversificate, per cui qualunque forma di convivenza collettiva richiede di assumere come punto di partenza che esista questa realtà, che c’è questa diversificazione e che la costruzione dello spazio della vita collettiva non può avvenire se non attraverso il consenso, vale a dire: è possibile tramite negoziati in cui alcuni cedono su alcune cose e altri su altre. Se qualcuno si erge a custode della verità e pretende di imporre all’insieme della società il modo di organizzarsi, questo non può che produrre reazioni suscettibili di sfociare nella violenza.
Non posso non chiederle qualcosa sulla sua percezione del ruolo dei mezzi di comunicazione sull’attuale congiuntura.
Credo che i mezzi di comunicazione stiano giocando un ruolo atroce, in quanto non fanno altro che gettare, a tempo pieno, benzina sul fuoco. Mi sembra che non abbiano responsabilmente coscienza di ciò che si dice e che viene riprodotto e che, a partire dai media, si stia attivamente contribuendo a incrementare il clima di sfiducia nonché di odio esacerbato che si sta installando nella società: la visione dell’altro come nemico; sono cose che i mezzi di comunicazione stanno alimentando, e questo è particolarmente grave. Quando vi sono alcuni programmi televisivi in cui, viceversa, si propone la possibilità di dialogo, si intervistano persone con prospettive diverse, è un po’ come una boccata di ossigeno in una situazione che, dal punto di vista dei media, francamente appare asfissiante.
Traduzione di Titti Pierini
[i] A chi continua a presentare Maduro come se fosse un pilastro del socialismo, e considera “antichavista” e complice dell’imperialismo chiunque ne critichi le inverosimili forzature, raccomando di esplorare le molte decine di articoli sul Venezuela pubblicati sul sito: fin dall’inizio avevano appoggiato, sia pur con qualche cautela rispetto agli entusiasmi acritici di certi pezzi di sinistra, Hugo Chávez, e avevano segnalato da tempo le contraddizioni di Maduro: ad esempio (e scelgo quasi a caso) Guai alle Cassandre…, e Venezuela, una vittoria di Pirro?. Ma potrei rinviare al mio libro Il risveglio dell’America Latina, pubblicato da Alegre, e che dovrebbe tappare la bocca a chi vede agenti della CIA dovunque...
[ii] Edgardo Lander si è laureato in Sociologia all’Universidad Central de Venezuela, dove è docente in questa materia, ed è ricercatore associato del Transnational Institute. Lander, storico pensatore critico di sinistra e militante sociale e politico attivo, intervistato sull’ Assemblea Nazionale Costituente (ANC) promossa dal presidente Nicolás Maduro, afferma che si tratta di un meccanismo che corrisponde agli interessi del governo a “mantenersi al potere” e non all’espressione della sovranità del popolo venezuelano, come si è voluto far credere dalla propaganda ufficiale, per cui non si può assolutamente presentarla come “dialogo”. Si tratta di “un’imposizione”.
[iii] L’intervista è apparsa su “La Razón”, 11 luglio 2017
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2824:le-voci-ignorate-dellopposizione-di-sinistra-a-maduro&catid=8:lamerica-latina&Itemid=16
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