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#siamo morti insieme
lunamarish · 1 month
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Dicono che quando una persona ha compiuto la sua missione su questa terra, se ne va. Come se non avesse più nulla da fare qui. Siamo noi, che siamo ancora vivi, che dobbiamo trovare un senso al dolore, affinché non ci imprigioni e non ci faccia perdere di vista il nostro compito. Ma per ora dobbiamo avere pazienza. Prima di tutto, con noi stessi. Non esiste un manuale su come attraversare il nostro lutto. È personale e unico. E cercare di incasellarlo per la comodità degli altri non farà altro che prolungare indefinitamente la sofferenza e bloccarci in un pantano dal quale sarà difficile uscire. È necessario appoggiarsi alle persone che ci vogliono bene, come se fossimo bambini di nuovo. Abbiamo bisogno di loro per attraversare con fiducia questo sentiero sconosciuto, questo cammino misterioso che prima o poi tutti dovremo percorrere. Senza dimenticare, come disse C.S. Lewis dopo la perdita di Joy, che il dolore che ora sentiamo è parte della felicità di allora. Attraversare un lutto profondo è come rinascere. Ci sembra di attraversare un canale di parto oscuro, scivoloso, in cui ci sentiamo compressi, spaventati. In cui a volte non possiamo vedere la luce alla fine del tunnel. Ma un giorno sporgiamo la testa, vediamo il sole, altre facce ci sorridono. Ci rendiamo conto che non siamo soli. Che non siamo gli unici nell'universo ad aver sofferto una perdita. E, soprattutto, che i nostri cari che sono morti continuano a vivere nel nostro cuore. Il miglior omaggio che possiamo fare loro è vivere la nostra vita pienamente. Grati per il tempo che li abbiamo avuti accanto a noi e fiduciosi che un giorno saremo di nuovo insieme. Mi sarebbe piaciuto dirti addio.
(dal web)
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l-incantatrice · 4 months
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Ti scorrerò nelle vene in quel momento così forte da farti sembrare impossibile che io possa entrare come mare nel tuo corpo. Ti accorgerai che la bellezza fa male, che tutto ciò che è troppo forte spinge sul petto e può far soffocare, dilaniare la carne quando debole si è arresa a un facile addio. Siamo morti insieme senza saperlo…
Massimo Bisotti
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susieporta · 5 months
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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palmiz · 2 years
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Nulla sarà come prima.
Tre anni fa era "solo" il lavoro, con annessi e connessi, con le difficoltà che con il passare del tempo ci hanno messo di fronte ad una situazione a dir poco di disagio o meglio ancora catastrofica….ma il fondo lo dobbiamo ancora raggiungere: in Italia la magistratura in cui tutti speravano ha detto, in buona sostanza o puntura o non mangi. E non è che le cose vadano molto diversamente in altre parti del mondo: tanto per dire, in Canada i giudici hanno detto che sia gli arresti dei manifestanti che il blocco dei conti bancari sono assolutamente legittimi.
Ora i mutui sono triplicati per non parlare di benzina alimenti e bollette, ma arriverà il salvatore, il Q o il guru di turno.
No. L'unico salvatore che ci potrà mai essere ce l'hai di fronte allo specchio.
Leva la maschera amico e amica mia.
È una semplice questione di raziocinio: pensi che ti possano salvare il culo i ricorsi in tribunale? Credi ancora che i mezzi approntati dal sistema possano volgersi in tuo favore? Credi ancora in politica e giustizia? Perché se sei ancora a questo punto, forse la questione coso19 non ti ha dato una lezione sufficiente.
Hanno inoculato i bambini, e già questo dovrebbe bastare.
Gli artefici di tutto ciò che è accaduto negli ultimi tre anni sono tutti ancora in posti di comando, con tanto di segreto militare.
Le case farmaceutiche protagoniste della campagna vaccinale stanno ancora beatamente facendo soldi a palate.
Ovunque si parla di reazioni avverse anche fatali, morti improvvise, ma tutto procede come se niente fosse.
Si mandano armi ad uno Stato con cui non abbiamo niente a che fare, ma è perché l'articolo 11 della costituzione va reinterpretato in chiave gialloblù.
Insetti.
Casa a classi energetiche.
Auto a combustione estinte,
Gli UFI…
E queste sono solo alcune piccole pennellate di un quadro esposto a Davos che definire dimmmerda è un eufemismo.
È servito comprarti l'auto euro 5 anche se la vecchia funzionava ancora benone? No. Te l'hanno bloccata comunque: se l'obsolescenza programmata non basta, te ne impedisco l'uso per legge.
Ora, credi davvero che per le case non sarà lo stesso, e che la ristrutturazione che hai già in mente ti basterà per schivare la mannaia di questi criminali? La tua ristrutturazione non basterà mai, perché sposteranno gli standard sempre più in là: lo hanno già fatto con le auto e hanno visto che il popolo bue accetta tutto, perché non farlo su qualcos'altro che per loro è infinitamente più redditizio?
Ma la vera domanda è un'altra: ancora non ti basta? Ancora non hai capito che l'unica salvezza non verrà dall'esterno, ma solo da te stesso , dal tuo cambiamento, e dall'unione di tanti uomini che si sono guardati allo specchio e hanno deciso che si sono rotti i coglioni?
Stanno continuando ad alzare l'asticella.
Forse è il caso di bloccargli la mano, e infilargli quella asticella su per il culo.
Ma non solo un pezzettino. Non un pezzo per volta.
No. Tutta insieme. Tutta in una volta con insetti, casa a classi energetiche, auto elettrica, siringa, armi e green pass.
Perché questi stanno andando spediti verso crediti al carbonio, moneta digitale a tempo e ci manca un tanto così per lo sdoganamento definitivo dell'eutanasia obbligatoria al raggiungimento di una certa età.
Possiamo ancora prendere in mano l'asticella, possiamo ancora cambiare le cose cambiando noi stessi, le nostre credenze, finendola di applaudire chi recita.
Nessun mercante fa affari senza la complicità di chi compera la sua merce.
Siamo ancora in tempo.
Nulla sarà come prima.
Ma nulla deve essere come prima, perché è proprio quel PRIMA che ci ha portato a questo.
Fabiano Mazzoni.
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sciatu · 8 months
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IL DUOMO DI MONREALE IN UNA PUBLICAZIONE DI INIZIO SECOLO
In questo giornale di inizio 1900, la cattedrale di Monreale è rappresentata con i mezzi di allora e quindi le sue tessere d’oro e la sua luminosità solare si è persa  nel grigiore oscuro dell’inchiostro. Questa differenza tra la bellezza reale, dorata e luminosa, e quella rappresentata, buia e triste, mi ricorda la differenza tra la vita come dovrebbe essere e quella attuale. Tra la vita nella pace e quella delle guerre quando non è più il motivo per scrivere credendo nell’uomo. Troppe guerre, troppi morti, troppi orfani mutilati e madri senza più figli. Siamo tutte pedine mosse dal potere del male, illusi con motivazioni ridicole ad accettare, a donare sangue e speranze insieme ai nostri domani. È come se ogni cosa perdesse colore, come se i cieli si oscurassero e le primavere si vestissero a lutto e tutto, tutto quanto diventasse il grigiore che precede il buio. In questa nevicata oscura, scrivere d’amore e dei fiori della gioia, pare un insulto, come schiuma del mare  colorata di sangue. Il dolore non ha un passaporto, l’ingiustizia non ama nessuno e a tutti ruba tutto: alle vittime la vita, ai carnefici la loro umanità. I versi perciò sanno di fango, le parole non sono più tessere d’oro nella magnificenza di un mosaico, ma solo la fuliggine di un fuoco infernale, l’arsura degli assetati, l’impotenza amara dei padri, le lacrime acide delle madri. Le parole diventano bossoli vuoti, avanzi di vita, orme nella sabbia o nella neve di chi non c’è più. La luce abbandona ogni cuore e spegne le chiese, le anime, prosciuga la gola e spinge i poeti e i sognatori a nascondersi nel profondo della terra  per pagare anche loro il loro prezzo alla follia della storia.
In this OLD newspaper from the early 1900s, the Monreale cathedral is represented with the means of the time and therefore its gold tiles and its solar brightness have been lost in the dark grayness of the ink. This difference between the real beauty, golden and bright, and the represented one, dark and sad, reminds me of the difference between life as it should be and what it is now. Between life in peace and that of wars when it is no longer the reason to write believing in man. Too many wars, too many deaths, too many mutilated orphans and mothers with no more children. We are all pawns moved by the power of evil, deluded with ridiculous motivations to accept, to give blood and hopes together at our tomorrows. It's as if everything lost color, as if the skies darkened and the springs dressed in mourning and everything, everything became the grayness that precedes the darkness. In this dark snowfall, writing about love and the flowers of joy seems like an insult, like sea foam colored with blood. Pain does not have a passport, injustice loves no one and steals everything from everyone: the victims' life, the executioners' humanity. The verses therefore taste like mud, the words are no longer golden tiles in the magnificence of a mosaic, but only the soot of an infernal fire, the thirst of the thirsty, the bitter impotence of fathers, the acid tears of mothers. Words become empty shells, leftovers of life, footprints in the sand or snow of those who are no longer there. The light abandons every heart and extinguishes churches, souls, dries up the throat and pushes poets and dreamers to hide in the depths of the earth to also pay their price to the madness of history.
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gregor-samsung · 11 months
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" Domenica 17 ottobre 1993
Cara Mimmy, ieri i nostri «amici su in collina» ci hanno rammentato che sono sempre là, e che possono uccidere, ferire, distruggerci… Ieri è stata davvero una giornata spaventosa. 590 bombe. Dalle 4,30 del mattino fino alla sera. Sei morti e cinquantasei feriti. Questo è il bilancio della giornata di ieri. Souk-bunar è stato il quartiere più preso di mira. Non abbiamo notizie della zia Melica. Dicono che metà delle case siano state sventrate. Siamo scesi in cantina. In quella fredda, buia, stupida cantina che odio con tutte le nostre speranze. Sembrava che non dovesse più accadere, che fosse la fine, che tutto sarebbe finito ben presto. CHE QUESTA STUPIDA GUERRA SAREBBE TERMINATA! Signore, perché rovinano tutto quello che abbiamo? A volte penso che sarebbe meglio se continuassero a bombardare; eviteremmo 'così di dover fare la terribile fatica di riabituarci. Si tira un attimo il fiato, e poi tutto RICOMINCIA. Sono convinta che non finirà mai. Alcuni non vogliono che finisca, gente malvagia che odia i bambini e la gente come noi. Continuo a pensare che siamo da soli in questo inferno, che nessuno pensa a noi, che nessuno ci sta dando una mano. Invece ci sono delle persone che pensano a noi e a cui noi stiamo a cuore. Ieri la troupe della televisione canadese è venuta insieme a Janine per vedere se eravamo riusciti a sopravvivere a quei folli bombardamenti. Un gesto gentile. Umano. E quando abbiamo visto che Janine era venuta con un sacco di provviste, siamo scoppiati a piangere. C'era anche Alexandra. Le persone umane si preoccupano di noi, pensano a noi, quelle disumane ci vogliono distruggere. Perché? Mi chiedo in continuazione: perché? Noi non abbiamo fatto niente. Siamo innocenti, ma impotenti! Zlata "
Zlata Filipović, Diario di Zlata. Una bambina racconta Sarajevo (traduzione di Raffaella Cardillo e Maria Teresa Cattaneo), Rizzoli, 1994¹; pp. 165-166.
[Edizione originale: Le journal de Zlata, Fixot et éditions Robert Laffont, S.A., Paris, 1993]
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francescosatanassi · 1 year
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QUANDO C'ERA LUI
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Berlusconi era postfascista sionista sessista sfruttatore approfittatore megalomane e tutto il peggio che già sappiamo. Ha raccontato così tante volte le stesse cazzate che per molte persone queste sono diventate vere. Non lo rispettavo da vivo, ma molti dicono che dovrei farlo ora che è morto. Perché i morti meritano rispetto. Questa è un'altra cazzata partorita dal grande appiattimento culturale operato da lui e dai suoi collaboratori dal 1994 a oggi sfruttando i mezzi d'informazione e plasmando le leggi a suo piacimento. Un meccanismo che dopo un po' non ha avuto più bisogno di energia per macinare del marcio, andava avanti da solo, in automatico, iniettando oscenità e buffonate quotidiane nei cervelli, tanto da arrivare a dedicare a una persona del genere il lutto nazionale. Non che mi importi della nazione, concetto per me senza valore, ma il grande piano di pacificazione, del siamo tutti uguali, del "nel bene e nel male ha fatto la storia dell'Italia" e del santificare chi ha devastato un Paese, continua e continuerà finché esisterà una gestione del potere tale da dividerci in sfruttati e sfruttatori. Un sistema talmente corrotto e insito nella società che gli sfruttati piangeranno lo sfruttatore dopo la sua morte, mettendolo a pieno titolo dentro al grande insieme del "si stava meglio quando c'era lui." Di una cosa però quasi lo ringrazio, aver fatto capire a quelli della mia generazione da che parte stare. Quella degli ultimi, degli sfigati, degli emarginati, degli insoddisfatti, dei sempre arrabbiati. La stessa parte degli antifascisti, dei solidali, degli ironici, dei romanticamente illusi. Dei perennemente sconfitti, ma invidiosi mai.
[foto: 3.000 persone si radunano a Londra nel 2013 per festeggiare la morte di Margaret Thatcher]
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colorfulprincewombat · 9 months
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Noi Boomer
"Molti sono morti, e quelli che sono ancora qui vengono chiamati ""gli anziani. ""
Siamo nati negli anni 40-50-60.
Siamo cresciuti negli anni 50-60-70
Abbiamo studiato negli anni 60-70-80.
Eravamo insieme negli anni 70-80-90.
Ci siamo sposati o no e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90.
Avventure negli anni 80-90.
Ci stiamo ambientando negli anni 2000.
Siamo diventati più saggi negli anni 2010.
E andiamo forte fino al 2020 e oltre.
A quanto pare abbiamo attraversato OTTO decenni diversi...
DUE secoli diversi...
DUE millennial diversi...
Siamo passati dal telefono con l'operatore per chiamate interurbane, cabine a pagamento, videochiamate in tutto il mondo.
Siamo passati dalle slide a YouTube, dai vinili alla musica online, dalle lettere scritte a mano alle mail e Whats App.
Giochi in diretta radio, TV in bianco e nero, TV a colori, poi TV 3D HD.
Siamo andati al videonoleggio e ora guardiamo Netflix.
Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischi e ora abbiamo gigabyte e megabyte sui nostri smartphone.
Abbiamo indossato pantaloncini per tutta la nostra infanzia, poi pantaloni, pantaloni ep o minigonne, Oxford, Clarks, sciarpe palestinesi, tute e jeans blu.
Abbiamo evitato paralisi infantile, meningite, poliomielite, tubercolosi, influenza suina e ora COVID-19.
Abbiamo fatto pattinaggio a rotelle, pattinaggio a rotelle, triciclo, bicicletta, motorino, benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrico.
Abbiamo giocato con i piccoli
cavalli e dama, struzzi e biglie, soglia 1000 e monopoli, ora c'è Candy Crush sui nostri smartphone
E leggiamo... molto
E la religione dei nostri compagni di scuola non era una materia...
Bevevamo acqua di rubinetto e limonata in bottiglie di vetro, e le verdure nel nostro piatto erano sempre fresche, oggi ci arrivano i pasti a domicilio
Sì, ne abbiamo passate tante ma che bella vita che abbiamo avuto!
Potrebbero descriverci come "ex-annuali"; persone nate in questo mondo anni '50, che hanno avuto un'infanzia analogica e un'età adulta digitale.
Dovremmo aggiungere la Rivoluzione Biologica a cui abbiamo assistito. Nel 1960, la biologia era molto descrittiva. Abbiamo assistito all'evento della Biologia Molecolare: scoperte le molecole della Vita: DNA, RNA ecc. Quando vedi tutto quello che ne è uscito: terapia genica, impronte genetiche, e altri i progressi sono considerevoli.
Abbiamo tipo "visto tutto"!
La nostra generazione ha letteralmente vissuto e assistito più di ogni altra in ogni dimensione della vita.
Questa è la nostra generazione che si è letteralmente adattata al "CAMBIAMENTO".
Un grande augurio a tutti i componenti di una generazione davvero speciale, che sarà UNICA.. "
Ph.Woodstock 1969
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schizografia · 2 months
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Requiem per l’Occidente
Verso la fine del XIX secolo, Moritz Steinschneider, uno dei fondatori della scienza del giudaismo, dichiarò, non senza scandalo di molti benpensanti, che la sola cosa che si poteva fare per il giudaismo era assicurargli un degno funerale. È possibile che da allora il suo giudizio si applichi anche alla Chiesa e alla cultura occidentale nel suo complesso. Quel che di fatto è, tuttavia, avvenuto è che il degno funerale di cui parlava Steinschneider non è stato celebrato, né allora per il giudaismo né ora per l’Occidente.
Parte essenziale del funerale nella tradizione della chiesa cattolica è la messa detta di Requiem, che nell’Introito si apre appunto con le parole: Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Fino al 1970, il missale romano prescriveva inoltre per la messa di requiem la recitazione nella sequenza del dies irae. Questa scelta era perfettamente conseguente col fatto che il termine stesso che definiva la messa per i defunti proveniva da un testo apocalittico, l’Apocalisse di Esdra, che evocava insieme la pace e la fine del mondo: requiem aeternitatis dabit vobis, quoniam in proximo est ille, qui in finem saeculi adveniet, «vi darà la pace eterna, perché è vicino colui che viene alla fine del tempo». L’abolizione del dies irae nel 1970 va insieme all’abbandono di ogni istanza escatologica da parte della Chiesa, che si è in questo modo del tutto conformata all’idea di un progresso infinito che definisce la modernità. Ciò che viene lasciato cadere senza il coraggio di esplicitarne le ragioni – il giorno dell’ira, l’ultimo giorno – può essere raccolto come u’arma da usare contro le viltà e le contraddizioni del potere al momento della sua fine. È quanto intendiamo qui fare, provandoci a celebrare senza intenzione parodica, ma al di fuori della Chiesa, che appartiene al numero dei defunti, una sorta di funerale abbreviato per l’occidente.
Dies irae, dies illa
solvet saeclum in favilla,
teste David cum Sybilla.
Giorno d'ira, quel giorno
distruggerà il mondo nella cenere,
come testimoniano Davide e la Sibilla.
Di che giorno si tratta? Certamente del presente, del tempo che stiamo vivendo. Ogni giorno è il giorno dell’ira, l’ultimo giorno. Oggi il secolo, il mondo sta bruciando, e con esso anche la nostra casa. Di questo dobbiamo essere testimoni, come Davide e come la Sibilla. Chi tace e non testimonia, non avrà pace né ora né domani, perché è appunto la pace che l’occidente non può né vuole vedere né pensare.
Quantus tremor est futurus
quando iudex est venturus
cuncta stricte discussurus.
Quanto terrore ci sarà,
quando verrà il giudice,
per giudicare rigorosamente ogni cosa.
Il terrore non è futuro, è qui e ora. E quel giudice siamo noi, chiamati a pronunciare il giudizio, la krisis sul nostro tempo. Alla parola «crisi», di cui non si fa che parlare per giustificare lo stato d’eccezione, noi restituiamo il suo significato originale di giudizio. Nel vocabolario della medicina ippocratica, krisis designava il momento in cui il medico deve giudicare se il paziente morirà o sopravviverà. Allo stesso modo noi discerniamo ciò che dell’occidente muore e ciò che è ancora vivo. E il giudizio sarà severo, non si lascerà sfuggire nulla.
Tuba mirum spargens sonum
per sepulchra regionum,
coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
iudicanti responsura.
Una tromba che diffonde un suono meraviglioso
nei sepolcri di tutto il mondo,
chiamerà tutti davanti al trono.
La morte e la natura stupiranno,
quando la creatura risorgerà,
per rispondere al giudice.
Non possiamo far risorgere i morti, ma possiamo almeno preparare con ogni cura lo strumento meraviglioso del nostro pensiero e del nostro giudizio e, facendolo poi risuonare senza timore, liberare la natura e la morte dalle mani del potere che con esse ci governa. Sentire stupire in noi la natura e la morte, presagire qui e ora un’altra vita possibile e un’altra morte, è la sola resurrezione che c’interessa.
Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus iudicetur.
Iudex ergo cum sedebit,
quidquid latet apparebit,
nil inultum remanebit.
Verrà aperto il libro,
nel quale tutto è contenuto,
e da quello il mondo sarà giudicato.
Non appena il giudice sarà seduto,
apparirà ciò che è nascosto,
nulla resterà invendicato.
Il libro scritto è la storia, che è sempre storia della menzogna e dell’ingiustizia. Della verità e della giustizia non vi è storia, ma apparizione istantanea nella krisis decisiva di ogni menzogna e ogni ingiustizia. In quel punto la menzogna non potrà più coprire la realtà. La giustizia e la verità manifestano infatti se stesse, manifestando la falsità e l’ingiustizia. E nulla sfuggirà alla forza alla loro vendetta, a condizione di restituire al questa parola il significato etimologico che ha nel processo romano, in cui il vindex è colui che vim dicit, che mostra al giudice la violenza che è stata fatta a colui che solo in questo senso egli “vendica”.
Quid sum miser tunc dicturus,
quem patronum rogaturus,
cum vix iustus sit securus.
E io che sono misero che dirò,
chi chiamerò in mia difesa,
se a mala pena il giusto è sicuro?
Il giusto che presta la sua voce al giudizio è in qualche modo coinvolto nel giudizio e non può chiamare altri in sua difesa. Nessuno può testimoniare per il testimone, egli è solo con la sua testimonianza -in questo senso non è sicuro, è dentro la crisi del suo tempo -e nondimeno pronuncia la sua testimonianza.
Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis…
Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
iudicandus homo reus
Condannati i maledetti,
gettati nelle vive fiamme,
chiama me tra i benedetti…
Giorno di lacrime quel giorno,
quando risorgerà dalla cenere
l'uomo reo per essere giudicato.
Benché l’inno sul giorno dell’ira faccia parte di una messa che chiede pace e pietà per i morti, il discrimine fra i maledetti e i benedetti, fra i carnefici e le vittime è mantenuto. Nell’ultimo giorno, i carnefici, come stanno ora facendo senza forse avvedersene, si confutano infatti da soli, lasciano cadere le maschere che coprivano la loro ingiustizia e la loro menzogna e si gettano nelle fiamme che hanno essi stessi acceso. L’ultimo giorno, il giorno dell’ira, ogni giorno è per essi un giorno di lacrime, ed è forse proprio perché ne sono consapevoli che si fingono così sorridenti. Solo il consenso e la paura dei molti tiene in sospeso quel giorno. Per questo, anche se ci sappiamo senza potere di fronte al potere, tanto più implacabile deve essere il nostro giudizio, che non possiamo separare dal requiem che stiamo celebrando. Signore, non dare loro la pace, perché essi non sanno che cosa essa sia.
Giorgio Agamben, 11 luglio 2024
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archivio-disattivato · 11 months
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Un importante giro di boa verso la manifestazione nazionale del 4 novembre a Roma
Nonostante un tempo inclemente, oltre duemila persone hanno sfilato dalla basilica di San Piero a Grado sino alla base militare di camp Darby, sino ad arrivare alle reti della base del CISAM (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari), dove pende il progetto di insediamento di una base dei Gruppo di InterventI Speciali dei carabinieri.
Una manifestazione preparata da tempo dal Movimento contro la base a Coltano ed altrove, per dire no alla nuova base che il governo Draghi prima e il governo Meloni adesso intendono costruire nel cuore di un parco naturale già occupato da queste due servitù militari statunitense ed italiana.
L’emergenza palestinese di queste ultime settimane, riesplosa con l’insurrezione popolare del 7 ottobre, ha profondamente condizionato il clima e le parole d’ordine del corteo, orientando tutte le componenti che hanno incarnato la manifestazione ad esprimere la propria solidarietà con il popolo palestinese e la sua resistenza contro Israele, con contenuti diversi ma convergenti sul no al massacro in atto a Gaza.
Una manifestazione importante, che ha visto sfilare molte soggettività provenienti dal centro e nord Italia, impegnate sia nella lotta contro la guerra, sia su tematiche ambientali territoriali riconducibili al clima di “guerra interna” che subiscono i territori, martoriati dal produzioni nocive, discariche e scandali continui, che vedono amministratori locali di tutti gli schieramenti politici coadiuvare e coprire imprese private nell’interramento abusivo di residui cancerogeni.
Insieme alle questioni ambientali sono state agitate le tematiche della militarizzazione della formazione e dell’Università, anche grazie alla forte presenza dei giovani di Cambiare Rotta e di OSA (organizzazione Studentesca di Alternativa), che insieme alla Rete dei Comunisti hanno animato la manifestazione con uno striscione che recitava: “Con la Palestina fino alla vittoria – no basi no guerre no NATO – sabato 4 novembre tuti a Roma”.
Forte la presenza di Potere al Popolo, con la presenza della portavoce nazionale Marta Collot, intervenuta ai microfoni e sulla stampa sui temi del No alla guerra, alla NATO e all’invio delle armi in Ucraina, oltre che alla solidarietà con la resistenza palestinese.
Infine ma non per ultima l’Unione Sindacale di Base, che nel suo intervento al microfono ha evidenziato il clima di guerra “interna” che si sta vivendo a livello continentale con l’arresto di un sindacalista della CGT francese per “apologia di terrorismo” per aver solidarizzato con la resistenza palestinese.
Anche in Italia si susseguono provvedimenti liberticidi contro il diritto di sciopero e contro le mobilitazioni studentesche. Una guerra fatta di tagli enormi alla spesa sociale e ai salari per pagare missioni militari e invio di armi, ma anche di centinaia di morti sul lavoro e decine di migliaia di invalidi.
A Pisa abbiamo vissuto un momento importante di mobilitazione, che ha portato in piazza istanze generali e territoriali.
Ora si tratta di mettere a valore la forza espressa contro basi militari, militarizzazione della società e devastazioni territoriali, orientandola contro il primo responsabile di queste politiche: il governo Meloni e il suo allineamento totale con l’euroatlantismo NATO, che sta portando il paese nell’occhio del ciclone di un escalation pericolosissima per la pace nel mondo.
Per questo siamo scesi in piazza indicando nella manifestazione nazionale del 4 novembre come ulteriore passaggio, insieme a tutte le mobilitazioni che si svolgeranno in quel giorno in altre città, per dare una nuova prospettiva al movimento contro la guerra nel nostro paese.
Ci vediamo a Roma il 4 novembre!
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filorunsultra · 1 year
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Leadville Trail 100 Run
Nel reportage che scriverò sul viaggio negli Stati Uniti di quest'anno non dirò nulla della mia gara, ma siccome volevo scrivere comunque qualcosa lo faccio qui, almeno per ricordarmi cosa è successo.
Ho passato il giorno prima della gara steso nel bagagliaio della GMC che avevamo noleggiato, ho dormito qualche ora e verso il tramonto abbiamo lasciato il paese e siamo andati a dormire a Turquoise Lake, sul percorso. La mattina la sveglia era dannatamente presto, alle 2:30am perché la gara partiva alle 4:00, il classico orario del cazzo delle gare americane. Abbiamo parcheggiato al liceo, in fondo alla 6th St. e siamo arrivati alla linea di partenza quando era ancora deserta. Un tipo aveva acceso un fuoco sul marciapiede appena fuori casa e se ne stava lì a bere il caffè con un plaid sulle gambe guardando i corridori infreddoliti cercare di scaldarsi. Ho bevuto un caffè nell'unico locale aperto, una gelateria messicana che quel giorno ha chiuso il bilancio di un anno. Nella caffetteria c'era anche Dean Karnazes, che dal vivo sembra anche più scemo che in foto. La partenza è figa, si respira tensione e si sente già puzza di morti ancora prima di partire, ma come col sudore non capisci mai se sei tu o è quello a fianco.
Da Leadville a Hope Pass
È la mia terza 100 miglia ma la cosa non mi dà nessuna fiducia: ho sentito tanto la quota nei giorni precedenti e non sono affatto sicuro di essermi acclimatato. Sono nervoso. Cerco Brent e Natalie ma non li vedo, ascolto l'inno. Poi vedo una nuvola di polvere da sparo, e solo dopo sento il colpo. La prima salita è a un quarto di miglio dalla partenza ma non la sento, ho già fatto 400 metri e mi restano solo 159,6 chilometri di gara. In fondo alla Sesta si volta a sinistra sul Boulevard, poi il gruppo si allunga e si costeggia il lago. Davvero una bomba, cazzo mi sento Anton Krupicka. Sarò in centocinquantesima posizione e va bene così. La aid station di May Queen è una bomba e non sono preparato al volume del tifo. Trovo un gruppetto col mio ritmo e arrivo in controllo ad Outward Bound, con la prima salita della gara alle spalle. Outward Bound è in mezzo alla prateria ed è pieno di gente, non trovo Elisa e perdo un po' di tempo ma sono al 38esimo chilometro in meno di quattro ore di gara quindi cerco di restare tranquillo. Uscito dalla aid station, che è lunghissima, cerco le cuffiette e metto un po' di fottuto country. Inizio ad avere le gambe stanche verso Halfpipe, circa al 45esimo chilometro a memoria. Mi fermo a fare pipì e riparto. C'è un gruppetto di gente che corre bene, due tipi un po’ swag corrono insieme e si danno i cambi: penso che prima o poi salterò ma intanto provo a stargli dietro. In salita camminano lentissimi, poi fanno degli scatti improvvisi, sul tecnico si piantano, ammesso che ce ne sia, sulle discese corribili si lanciano in picchiata: corrono tutti in modo insensato. Passo a Twin Lakes (62km) in meno di sette ore, dopo aver visto i due specchi d'acqua turchesi dominati dalle montagne del Sawatch Range. La aid station è indescrivibile, ricorda Les Contamines a UTMB ma piena di gazebo e di gente che griglia come il giorno del Super Bowl. Mi rifornisco, prendo i bastoncini e lascio le borracce a mano e parto col mio amico francese di cui ho dimenticato il nome verso Hope Pass. Lui è un fottuto francese ma in salita non va molto forte. Il sentiero è più duro di quanto mi aspettassi ma la valle è bellissima e sembrano le Alpi. Sopra alla Timberline ci sono dei Lama e un accampamento di tende su cui rifornirsi. Gli ultimi tornanti fino al passo, che ho visto mille volte nei video, sono massacranti ma arrivo in cima un'ora e mezza dopo aver lasciato Twin Lakes. Ho una fitta sotto alle costole e non riesco a correre in discesa: è un pezzo tecnico, a tutti gli effetti e fanculo a chi dice il contrario. Il versante di Winfield è molto ripido e sebbene siano solo 850 metri di dislivello te li fa maledire tutti. In fondo alla discesa c'è un tratto molto lungo e poco corribile in leggera salita fino al giro di boa e solo qua inizio a incontrare i primi che iniziano a tornare indietro.
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At the top of Hope Pass, 3800m above sea level
Da Winfield ad Half Pipe: scavando nel profondo, quasi
Non vedo Rob Krar, che trovo alla aid station seduto su una roccia a guardare chi passa. Si è ritirato e mi dispiace, glielo dico e lui mi incoraggia. Alla aid station ci sono dei ragazzi e delle ragazze super gentili che portano ai corridori quello di cui hanno bisogno senza farli alzare da dove si trovano. Mi propongono diverse cose ma non ho voglia di niente, così mi alzo, vado in bagno, prendo l'ultima benedizione da Rob Krar e me ne vado. Mi giro per tornare a Leadville dopo 10 ore e mezza. Mi scende una lacrima, ma devo correre ancora 80 chilometri, sono appena a metà, non è finita. Riparto da Wienfield comunque meglio di come ci sono arrivato. Fa caldissimo e il sole dei tremila metri è caldo. Ritorno per la seconda volta alla quota più alta in cui sia mai stato in vita mia nemmeno tre ore dopo averla lasciata: Hope Pass, 3800 dannati metri sul livello del mare. La salita è massacrante, vado lentissimo ma supero tutti e nessuno mi supera. Sono un fottuto europeo dopo tutto, camminare in salita è l'unica cosa che so davvero fare. Su tira vento e sono stanco e c'è Leadville sul fondo, e sembra vicina ma la strada è ancora lunga. Alla fine di questa discesa mi mancheranno soltanto 60 chilometri di strade bianche corribili, e finalmente troverò Lapo, il mio dannato pacer.
In discesa ho i quadricipiti andati e le fitte continuano a torturarmi ma riesco a correre a un ritmo decente. Quando entro a Twin Lakes, in 13 ore e 4 minuti, sono passato in 40esima posizione, ho 12 ore per fare 60 chilometri per avere la fibbia grande, potrei anche camminare fino all'arrivo e probabilmente ce la farei comunque: la gara sta andando dannatamente meglio del previsto, la parte tosta è alle spalle, ma manca sempre una maratona e mezza, e la dannata notte. Elisa è all'inizio della aid station ad aspettarmi e Lapo è pronto a petto nudo, esattamente come l'ultima volta che ci siamo visti, in mezzo al deserto, un anno prima. "Tu non preoccuparti per come mi vesto io, preoccupati di cosa ti devo portare". Gli smollo tutto: zaino, borracce, frontali, bastoncini. Ripartiamo e sulla salita di Mt Elbert riprendiamo quattro persone: in salita vado più di chiunque altro ma restano solo 1000 metri di dislivello, non molti per fare la differenza, insomma, devo correre. Quando inizia la discesa mi ritrovo piantato, non riesco a correre continuativamente e lentamente diventa un'agonia. Lapo mi impone di alternare corsa a camminata e così in qualche modo arriviamo ad Half Pipe. C'è un signore con un cappellino da camionista che va su e giù per il percorso con una bici elettrica. Dice qualcosa, non ricordo cosa ma mi fa sorridere. Poi Lapo mi porta un bicchiere di caffè che mi rimette al mondo. Cristo mi ero dimenticato di quanto è buono. Capisco che il caffè è la chiave per arrivare in fondo, riparto confortato verso Outward Bound, so che è vicino.
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Lapo and me at the Halfpipe aid station, km 115
Da Halfpipe a Leadville: inizia la gara
Siamo immersi nell'oscurità, intuisco la distanza dalla aidstation di Outward Bound, sperduta in mezzo alla prateria. Da qualche miglio corriamo sempre con le solite persone: la seconda donna, il numero 267 e il mio tipo francese. Tutti con relativi pacer, francese escluso. Non stiamo bene ma nessuno ci supera e non superiamo nessuno, ho l'impressione che siamo rimasti soltanto noi in gara. Arriviamo ad Outward Bound e io sembro essermi ripreso. "Ti do tempo fino alla cima di Sugarloaf Pass per convincerti che stai bene" mi ordina Lapo, "da là cambiamo marcia e ti tiro fino all'arrivo". Signorsì, io d'altronde sono lucido ma ho smesso di pensare lasciando a lui anche questo ingrato compito. Non ho mai avuto un pacer e lui non l'ha mai fatto, ma mi trovo bene e insieme formiamo una bella squadra: lui mi parla per tenermi cosciente, io non rispondo ma sono contento di ascoltarlo. Alla aidstation c'è la Eli, chiacchieriamo un po', mi cambio, bevo un altro caffè. Ripartiamo correndo e raggiungiamo in fretta Fish Hatchery e poi l'attacco della salita di Powerline: è dannatamente dritta, una fila di frontali fa intuire dove finisce. Mancano 34 chilometri all'arrivo e inizio ad averne i coglioni pieni, così faccio quello che so fare meglio, finalmente: abbasso la testa e mi metto a sbacchettare. Cristo se sbacchetto: passo uno, due, tre, cinque, dieci atleti. Stacco di qualche metro persino Lapo che resta a una ventina di metri da me. Non avendo nulla da ascoltare inizio a imbambolarmi e gli occhi iniziano a chiudermi, se rallentassi mi arenerei così continuo a spingere: mancano ancora tanti chilometri ma non c'è più nulla per cui salvare le gambe, insomma, è il momento di andare, e al diavolo tutto il resto.
Alla aid station di Sugarolaf c'è un rave party in miniatura: la aid station è avvolta da una nuvola di erba e ci sono musica e luci stroboscopiche. Un tale fa delle bolle di sapone giganti, sarà mezzanotte. Bevo l'ultimo caffè e ripartiamo per l'ultima discesa verso Mayqueen. In discesa ho ancora male ai quadricipiti ma Lapo mi costringe a correre. Quando il sentiero diventa più tecnico ritrovo la gioia di correre in discesa e supero qualche altro atleta incartato tra le radici: sono davvero degli incapaci. Entriamo alla aid station di May Queen e Lapo mi precede di un po'. Quando arrivo al ristoro non mi siedo, ho voglia di ripartire. C'è una lavagnetta bianca appoggiata per terra con sopra scritti dei nomi. Chiedo alla ragazza cosa siano e lei mi dice che sono i passaggi. Solo quelli? Faccio un rapido conto e sono in 26esima posizione: non sono mai stato così davanti in una 100 miglia. Vedo la lavagnetta e mi ricordo che sono in gara, che per una volta potrei anche provare a fare qualcosa di meglio che correre contro me stesso e cercare di superare attivamente qualcuno. Ringrazio e riparto, Lapo mi sta dietro, io imposto un ritmo attorno ai 5' al chilometro, dopo 120 chilometri di corsa per me è un ritmo incredibile. Non ho più male, sono caldo, se mi fermo muoio. Corro. Il sentiero di Turquoise Lake è al buio come la prima volta che ci sono passato, non c'è niente da guardare, tanto vale correre e correre ancora. Corro e a un certo punto mi accorgo che dietro di me Lapo è scomparso. Cazzo. Non ho acqua, la frontale si sta scaricando e mi mancano 15 chilometri. Nel frattempo supero due persone, chiedo una borraccia a una, una frontale all'altra. Continuo a correre. I chilometri passano, il tempo vola. 14, 13, 12. Passo il campground in cui ho dormito la notte precedente, imbocco il Boulevard, trovo il mio amico francese che cammina a bordo strada, gli dico di seguirmi ma mi dice di andare. Continuo a correre. Quando imbocco il Boulevard, a 5 chilometri dall'arrivo, c'è una fila di cartelli a bordo strada, a una distanza precisa uno dall'altro, che riportano i nomi dei vincitori della gara dal 1983 ad oggi: sei stanco sai ancora fare i conti e sai anche che prima di arrivare di quei dannati cartelli dovrai superarne 39. Così inizio a contarli, trovo davanti a me un ultimo corridore, lo supero accelerando: corro in salita, corro sul Boulevard, tre chilometri prima di finire Leadville Trail 100 Run. Sono sulla 6th, vedo l'arco d'arrivo, delle persone che applaudono. Gli ultimi metri sono in salita, fanno male, ma io sto bene: sono sempre stato bene. Spengo l'orologio. Marilee mi abbraccia, mi dà una medaglia, Ken appoggia il fucile, mi abbraccia anche lui. Mi siedo sotto all'arco di arrivo, insieme a loro, resto lì per un po'. Poi arriva Lapo, arriva Elisa. Bevo una cioccolata, prendo la dannata fibbia, poi andiamo a dormire, è stata una lunga giornata, ma, in fondo, non è poi stata così lunga.
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arhalternativo · 7 months
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"Molti sono morti, e quelli che sono ancora qui vengono chiamati ""gli anziani. ""
Siamo nati negli anni 40-50-60.
Siamo cresciuti negli anni 50-60-70
Abbiamo studiato negli anni 60-70-80.
Eravamo insieme negli anni 70-80-90.
Ci siamo sposati o no e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90.
Avventure negli anni 80-90.
Ci stiamo ambientando negli anni 2000.
Siamo diventati più saggi negli anni 2010.
E andiamo forte fino al 2020 e oltre.
A quanto pare abbiamo attraversato OTTO decenni diversi...
DUE secoli diversi...
DUE millennial diversi...
Siamo passati dal telefono con l'operatore per chiamate interurbane, cabine a pagamento, videochiamate in tutto il mondo.
Siamo passati dalle slide a YouTube, dai vinili alla musica online, dalle lettere scritte a mano alle mail e Whats App.
Giochi in diretta radio, TV in bianco e nero, TV a colori, poi TV 3D HD.
Siamo andati al videonoleggio e ora guardiamo Netflix.
Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischi e ora abbiamo gigabyte e megabyte sui nostri smartphone.
Abbiamo indossato pantaloncini per tutta la nostra infanzia, poi pantaloni, pantaloni ep o minigonne, Oxford, Clarks, sciarpe palestinesi, tute e jeans blu.
Abbiamo evitato paralisi infantile, meningite, poliomielite, tubercolosi, influenza suina e ora COVID-19.
Abbiamo fatto pattinaggio a rotelle, pattinaggio a rotelle, triciclo, bicicletta, motorino, benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrico.
Abbiamo giocato con i piccoli
cavalli e dama, struzzi e biglie, soglia 1000 e monopoli, ora c'è Candy Crush sui nostri smartphone
E leggiamo... molto
E la religione dei nostri compagni di scuola non era una materia...
Bevevamo acqua di rubinetto e limonata in bottiglie di vetro, e le verdure nel nostro piatto erano sempre fresche, oggi ci arrivano i pasti a domicilio
Sì, ne abbiamo passate tante ma che bella vita che abbiamo avuto!
Potrebbero descriverci come "ex-annuali"; persone nate in questo mondo anni '50, che hanno avuto un'infanzia analogica e un'età adulta digitale.
Dovremmo aggiungere la Rivoluzione Biologica a cui abbiamo assistito. Nel 1960, la biologia era molto descrittiva. Abbiamo assistito all'evento della Biologia Molecolare: scoperte le molecole della Vita: DNA, RNA ecc. Quando vedi tutto quello che ne è uscito: terapia genica, impronte genetiche, e altri i progressi sono considerevoli.
Abbiamo tipo "visto tutto"!
La nostra generazione ha letteralmente vissuto e assistito più di ogni altra in ogni dimensione della vita.
Questa è la nostra generazione che si è letteralmente adattata al "CAMBIAMENTO".
Un grande augurio a tutti i componenti di una generazione davvero speciale, che sarà UNICA.. "
In gran parte ispirato da un autore sconosciuto
Woodstock 1969
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susieporta · 8 months
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Quattro di Coppe.
"Il sentire la Vita è un dono prezioso".
Quante volte vi sarà capitato di trovarvi in mezzo ad un gruppo nutrito di persone ed accorgervi di sentirvi profondamente soli.
O magari in relazioni intime, con amici o compagni, in momenti di condivisione di attività piacevoli, avvolti dalla medesima svuotante sensazione di distacco l'uno dall'Altro.
O ancora, mentre c'è in atto una conversazione di chiarimento o di aiuto, essere interrotti dal suono di un messaggio o da una telefonata ed abbandonare compulsivamente tutto per rispondere.
E lasciare l'Altro lì, con la sensazione di non essere accolto, ascoltato, di non essere importante.
Le persone non si connettono.
"Fanno" le cose insieme. Ma poi giocano da soli.
E non si accorgono.
Non ne hanno la minima percezione.
Esiste per loro un piano di realtà limitato. Dove l'Altro non può entrare con il Cuore, ma solo con il Corpo. E dove esiste solo il loro bisogno, la loro vita, il loro appagamento.
L'Ombra dei nostri tempi.
La "distrazione di massa".
Non accorgersi.
Equivale a dire: non sono radicato nel Presente.
Sono una foglia al Vento. Non so dove sono, non so dove sono gli Altri, non sono concentrato su cosa creo o "non creo".
L'inconsapevolezza è una fuga dalla realtà.
E' una negazione del Dolore.
Quando diciamo: "Non me n'ero accorto che stavi male", "Non mi rendevo conto che mi stavi usando violenza", "Non pensavo di essere stato così distratto", stiamo semplicemente confermando la nostra "assenza dalla Vita e da noi stessi".
Stiamo negando la Verità.
E stiamo scappando dalle Emozioni.
E ci riempiamo di anestetici. Messaggini, telefonate, social, abusi di sostanze, cibo, rumore, materia, lavoro.
Tutto per non avere tempo, per non creare silenzio e ascolto.
Non ci fermiamo mai.
E se ci fermiamo, non riusciamo a placare l'ansia, quell'ansia che nasconde un disagio, un dolore, una paura.
E così il circolo vizioso continua, si moltiplica e si ingigantisce.
Le relazioni non funzionano, da anni oramai, perché siamo gravemente deficitari nella Connessione interiore e nel Radicamento.
E in questa disconnessione, al nostro passaggio, creiamo morti e feriti. E ci ammaliamo di disamore.
Molti agognano l'attenzione di un partner che si fonda insieme a loro. Per non sentire più quella mancanza o quel vuoto abissale.
Ma non si rendono conto che è proprio ciò che "non troveranno" nell'Altro. Perché l'Altro non è "il preposto a riempire vuoti".
Queste relazioni sfociano poi nella simbiosi, nella dipendenza, nella ribellione, nel distacco, nella violenza ed infine in una dolorosa rottura.
Interi, radicati e connessi.
Così potremmo aspirare a relazioni sane.
L'Altro non è un magazzino energetico, non è un surrogato di genitore, non è un bastone, non è un complice della disfunzione, non è un pupazzetto.
E' un individuo sacro e autonomo.
E se è vero che per anni ci siamo rifugiati nell'attesa del Salvatore e nella idealizzazione dei rapporti, ora abbiamo l'immensa opportunità di ritornare all'Essenza, di rompere con gli automatismi distruttivi e di depurare le future relazioni da queste rovinose eredità disfunzionali.
Febbraio chiede Radicamento.
Ci sosterrà nella Ri- connessione con noi stessi e con l'Altro.
Ci porterà a sentire il nostro Corpo nella sua interezza. Riaprirà le porte alla cura fisica e psichica. Ci farà camminare a piedi nudi sulla Terra. Ci accompagnerà nel nostro "bagno di realtà" finale.
Febbraio sarà il "grande connettore". Dal Prima al Dopo. Dal Passato al Futuro. Dall'Assenza alla Presenza.
Salutiamo Gennaio con gratitudine. Con il suo motto "Progresso e Coscienza" ci ha regalato delle perle di saggezza evolutive davvero straordinarie.
Oggi ci lascerà. Lo porteremo sempre nel Cuore. Ha rivelato immense Verità su noi stessi e su dove siamo diretti.
Addio Gennaio. E grazie!
E avanti con Febbraio... ne vedremo delle belle!!! Prepariamoci!
Mirtilla Esmeralda
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1.
Chiudo gli occhi stanchi e nella mia testa la tua immagine si fa strada tra i mille pensieri che alloggiano indisturbati nella mia mente e so che è la fine. Un dolce finale anche se speravo in uno diverso per noi. 
Ora siamo un quadro.
Uno di quei dipinti attaccati alle pareti di qualche cazzuto riccone alla ricerca di qualcosa che riempi il vuoto che lo accoglie ogni volta che posa piede nel suo regno fatto di monete d'oro. 
Siamo quel quadro sul muro della sala da pranzo. 
Lo vedi? 
Amore, caro amore mio.
I colori freddi, tristi, pieni del dolore e del odio che ci siamo buttati addosso, come piatti buttati sui muri candidi di una cucina vuota, fin troppo grande per delle presenze talmente piccole. 
La tua mano stringe il fondo della bottiglia rotta, il resto, i suoi frammenti, ora sono sparsi sul pavimento scuro del triste ambiente. 
Siamo due morti che se ne sono scordati di crepare, percorriamo la strada verso l'inferno, ma ci perdiamo alla ricerca della grande porta che accolga le nostre anime dannate. 
La mia gola tagliata.
Il corpo ricoperto di sangue rosso, fin troppo nero, ormai secco e quasi bruciato. 
La testa all'indietro.
Le labbra schiuse. 
Gli occhi stanchi. 
In una supplica di pietà e perdono. 
Il tuo sguardo fermo, freddo, fisso sul mio corpo svuotato da ogni briciolo di vita. 
Siamo un quadro.
Amore, caro amore mio. 
I miei polsi legati col nastro rosso che scende tra le mie scapole coprendo a malapena la mia nudità. 
Il tuo piede sul mio petto preme come se potessi scappare, alzarmi e come uno zombie affamato iniziare a correre in modo scomposto alla ricerca di qualcosa che non riuscirei a raggiungere. Alla ricerca di qualche lampo di pietà, pentimento o dispiacere che non troverò mai nei tuoi scuri, cupi e freddi come il ghiaccio, occhi. Quei maledetti occhi che non fanno trapelare nemmeno l'amore, nemmeno la paura, nemmeno l'umanità che si cela da qualche parte in quel guscio tremendo che ti fa da corpo. 
Sono morta, un ultimo respiro ed il bianco della mia pelle ora è malato, spento, grigio. Il corpo senza vita di una bestia che ha lottato. I graffi. I lividi e persino le lacrime secche sulle guance che increspano il sangue che le colora. 
Una lacrima sola sulla tua guancia, appena visibile tra le ciocche dei capelli che ti ricadono delicatamente sul viso stanco. 
Siamo un bel quadro nella sala da pranzo di un riccone cazzuto, triste, privo di senso. 
Guardalo mentre entra nella vuota, spoglia casa. Appoggia il soprabito sulla sedia della cucina, non guarda lo specchio davanti a se mentre passa per il corridoio freddo con le pareti più bianche del latte, si fa schifo, o forse si odia. Non lo saprai, non lo saprò nemmeno io. Siede nella poltrona scura, il trono del suo regno. Le spalle curve, le braccia abbandonate vicino al corpo sulle maniglie consumate. Spacca la bottiglia di vino dopo averla svuotata bevendone a grandi sorsi e sporcandosi il davanti della candida camicia. Afferra il fondo della bottiglia. Un taglio netto, la testa ricade all'indietro, il sangue schizza sui muri donando loro per la prima volta un colore vivo, la casa inizia a vivere, i muri si muovono e i mobili iniziano a ballare un valzer triste, Jean Sibelius regna nell'aria fresca che odora di ruggine. Il nostro quadro ora è ricoperto di un rosso diverso. 
Amore, caro amore mio. 
Il cazzone ricco muore, come muoio anch'io. 
Un taglio netto e moriamo insieme, o muoio solo io?
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the-leegend-99 · 1 year
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Il 30 agosto 5 operai sono morti travolti da un treno a Brandizzo. Lavoravano sui binari, costretti dall'azienda a farlo nonostante il passaggio dei convogli non venisse interrotto, per risparmiare tempo e soldi.
Li chiamano incidenti, ma è una strage continua di lavorator3 in nome del profitto. Ma non siamo impotenti di fronte a questi orrori. Possiamo unirci, convergere per mettere insieme le forze e attaccare questo sistema. L'Unione Sindacale di Base insieme a diverse forze politiche d'alternativa #anticapitalista ha messo in campo una legge di iniziativa popolare per introdurre il reato di omicidio sul lavoro. Potete partecipare alla campagna e sapere dove firmare contattando le organizzazioni del comitato promotore e saperne di più da qui:
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gregor-samsung · 2 years
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“ Venerdì 1° gennaio 1993
Cara Mimmy, BUON ANNO NUOVO! Che questo anno ci porti pace, felicità, amore, e consenta alle famiglie e agli amici di ritrovarsi. Ora ti voglio raccontare come abbiamo salutato l'anno vecchio e accolto quello nuovo. Innanzitutto noi (la mamma, il papà e io) siamo andati da Melica per il suo compleanno. Abbiamo pranzato da lei. Come regalo per il Nuovo Anno, Melica ci ha dato un vasetto di carote in conserva. Poi siamo tornati a casa. La mamma è andata a prendere l'acqua, mentre io e il papà non ci siamo mossi. Quando la mamma è tornata siamo rimasti seduti insieme per un po', abbiamo preparato i panini con la margarina (in ufficio la mamma ha ricevuto per l'inverno un pacchetto di provviste, che conteneva fra l'altro della margarina), la crema fresca e del patè di fegato. Dei panini fantastici! Gnam... Gnam..! Verso le otto abbiamo fatto un pisolino. Poi é arrivata la zia Boda che ci ha rimessi tutti sull'attenti: siamo quindi andati tutti a casa sua, dove abbiamo mangiato del «tacchino» (una scatoletta di carne), e del vero emmenthal. Verso le dieci avevamo nuovamente sonno, e a qualcuno è venuto in mente di accendere la radio, dove c'erano i Surrealisti, un gruppo teatrale della città. Ci siamo svegliati tutti. E così, a poco a poco, è arrivato anche L'ANNO NUOVO. Žika ha aperto una bottiglia di champagne (che aveva tenuto in serbo per celebrare la fine della guerra, ma visto che essa non si vede, ha deciso di aprirla oggi), e ci siamo baciati tutti (la nonna, Žika, Boda, la mamma, il papà, Cici e io). Mancava Nedo, che era andato a festeggiare con gli amici. Mamma e papà mi hanno donato un pettine e una pinza per i capelli, i Bobar mi hanno regalato un uovo musicale (ha un sensore luminoso) e dello Slaim. Hanno regalato alla mamma dell'acetone, mentre noi abbiamo dato loro patate, cipolle, e cavoli bianchi. Wow! E così abbiamo trascorso la serata fino all'1,30 di mattina. Quando siamo tornati a casa eravamo stanchi morti. Non siamo andati a letto prima delle 2,00. Abbiamo dormito come dei ghiri. Ancora una volta, Mimmy, Buon Anno a te e a tutta la gente di Sarajevo. Ti voglio bene, Zlata “
Zlata Filipović, Diario di Zlata. Una bambina racconta Sarajevo (traduzione di Raffaella Cardillo e Maria Teresa Cattaneo), Rizzoli, 1994¹; pp. 102-103.
[Edizione originale: Le journal de Zlata, Fixot et éditions Robert Laffont, S.A., Paris, 1993]
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