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#stavo tirando in dentro la pancia
stephpanda · 8 months
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A little bit of confidence
Come sempre: io 🤝🏻 gioco di specchi
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sciatu · 3 years
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IL MERAVIGLIOSO VIAGGIO DI ROSALIA E GIOSUÈ
Parte prima Via Divisi, via Alloro, Vicolo Cefalo, Palazzo Mirto, Antica Focacceria San Francesco Via merlo, Via Paternostro, Via Vittorio Emanuele, Via Roma e la Vucciria.
“Allora io vado” “Rosalia a unni vai? veni ca fatti vedere” La mamma arrivò di corsa “Hai preso il bastone? Ti sei messa al collo la busta con la carta d’identità e il gruppo sanguigno e la scritta “IPOVEDENTE”?” “Mamma quella busta non la metto, sembro una scema” “Ha ragione mamma, sembra una capra con il campanaccio …” Disse Agata, la sorella gemella intervenuta a sua difesa. “… La prenderebbero tutti in giro” Concluse Ninfa l’altra gemella a rinforzare il concetto “Mi raccomando torna presto e se chiamo rispondi” “mamma lasciala stare è la prima volta che esce con un ragazzo…” “… e tu le vuoi già rompere le scatole” Le gemelle aprirono la porta e spinsero fuori la sorella. Rosalia sentì la mamma gridare alle sorelle “Vui m’ aviti fari u favuri di farvi i cazzi vostri” E sentì aprire la porta di nuovo. Lei però si era avvicinata alla scala e con il bastone bianco aveva sentito il primo gradino e stava già scendendo. “Rosalia sta attenta a mamma, nun mi fari stari cu pinseri” “No mamma, tranquilla che torno presto” Incominciò a scendere toccando con il bastone bianco prima il gradino a poi il muro e arrivando presto nell’atrio. Con la mano sinistra segui il muro facendo oscillare davanti a se il bastone fino a che non arrivò al portone che apri mettendosi a lato dei citofoni. Agata e Ninfa le avevano detto che Giosuè era giù che l’aspettava così pensò che vedendola si sarebbe avvicinata o l’avrebbe chiamata. Invece non sentì nessuno. Girò la testa per sentire se arrivava e nel far questo senti il suo profumo. Chiamò “Giosuè?” “O Rosalia, non ti avevo vista. Stavo guardando una signora al secondo piano che si sta sporgendo dal balcone come se si volesse buttare e due ragazze che la stanno tirando per portarla dentro casa. Sarà qualcuno che si vorrà suicidare” “No è mia madre che sta cercando di vedere dove sono. Le mie sorelle staranno cercando di portarla dentro. Saluta la mamma con la mano così rientra in casa” “Buongiorno signora” e sentì l’aria smossa dalla mano di Giosuè sfiorarle il volto. Senti benissimo Agata dire alla mamma “Lo vedi che mala figura … “ “…Hai fatto fare a Rosalia? entra mamma” concluse Ninfa “Mia mamma è apprensiva e questa è la prima volta che esco con un ragazzo” “Davvero? pensavo che una bella ragazza come a te invece uscisse spesso” “Questa è proprio suonata molto paracula come frase…..” “Si devo migliorare, ma sto scaldando i motori, vedrai fra un po’ che cose meravigliose saprò dirti. Vieni agganciati al mio braccio che partiamo” “Ma dove andiamo? non mi hai voluto dire niente” “Andiamo in un mondo meraviglioso che è giusto poco più in là” “Davvero? e come faccio a vederlo essendo cieca?” “Ci sono io no, lo vedrai con me” “Sei strano” concluse Rosalia, ma era contenta di aver accettato di uscire con lui dopo le sue mille insistenze. Le sue compagne di classe alla scuola di musica, le avevano detto che era un bel ragazzo e lei sentiva che aveva una bella voce e un buon profumo. Sarebbe stata una passeggiata interessante. “Ecco, ora siamo nel lungo tortuoso fiume chiamato Viadivisi con a lato terribili scogli …. Rosalia toccò con la punta del bastone bianco il bordo del marciapiede e toccò una macchina parcheggiata “Ma è una macchina….” “ se la guardi con gli occhi degli altri, ma per noi sono scogli coperti di alghe dove vi sono i resti di civiltà antichissime…” “e puzzano anche…” disse Rosalia toccando con la punta del bastone un cassonetto dell’immondizia “il cielo è terso e ha colori tropicali, mentre sulle montagne scoscese che costeggiano il fiume gli abitanti hanno scritto la loro disperazione: SUCA!” “Ma è una parolaccia…” “no sono le iniziali di Senza Una Certezza Appassisco!” “È vero...” “Ecco continuiamo in questo stretto fiume ed arriviamo con il nostro vascello in un lago chiamato dagli indigeni locali Piazzarivoluzionen …” “rivoluzionen…? “ “È una parola Normanna vuol dire “Il tempo in cui ci siamo rotte le pallen”” “Ah si giusto, le pallen, parola normanna” “Infatti, ecco ora la nostra nave prende un emissario tortuoso via Alloro ma è stretto, troppo stretto…” “Affondiamo?” “No il nostro valente capitano ha trovato uno slargo eccoci qui salvi ed ospiti del Principe Lanza Filangeri di Mirto …” “Ah Palazzo Mirto, deve essere bello” “Infatti risplende di ricchezza , ecco la Principessa Maria Concetta Lanza Filangeri di Mirto ci accoglie con i suoi servitori in livrea azzurra con i bottoni d’oro e ci fa vedere la grande sala dei arazzi e del lampadario in cristallo di Murano, gli orologi d’oro, le porcellane cinesi,  poi la sala tappezzata con le sete cinesi intessute d’oro, poi il fumoir con il pavimento in cuoio, i trompe-l’oeil…” “E i pianoforti, ci sono anche i pianoforti?” “Si ce ne sono quattro, la Principessa ti chiede di suonare qualcosa e tu ti siedi e suoni la suonata K141 di Scarlatti…” “Ma è difficile..” “Ma tu sei bravissima e alla fine la principessa ti applaude battendo il suo antico ventaglio spagnolo sulla mano sinistra e fa venire un maggiordomo per donarti una preziosa tabacchiera in oro avorio e corallo rosso..” “Ma cosa me ne faccio della tabacchiera?” “Metti gli auricolari del cellulare” “Giusto, è un regalo utile” “Ora dobbiamo ripartire, c’è la Marea giusta ed i pirati sono a mangiare” “Peccato stavo bene con Maria Concetta…” “Risaliamo con i venti a favore questo strano fiume dall’odore di arancina..” “Non ci crederai ma lo sento...” “Si, questo è un fiume fatato che subisce l’incantesimo di un antico mago. Ecco ci stiamo avvicinando all’antro dove il mago fabbrica le sue pozioni e porzioni fatate. È un antro buio e oscuro a cui i dotti cartografi arabi di Re Ruggero hanno dato un nome arabo : A-cà, che tradotto in lingua corrente vuol dire più o meno “Antica Focacceria San francesco…”” “C’era già allora?” “Certo, è nell’anima di ogni siciliano. Vieni entriamo” “Uhmm che profumo” “Senti? gli apprendisti stregoni stanno preparando le pozioni magiche “U pani ca meusa” che dona allegria e sazietà, “U sfinciuni” che uccide la tristezza” “In effetti sono un po' triste” “I “Cazzilli” che ti scoppiettano di gusto in bocca, o “U Cannolu” che ti dona felicità perenne” “Ecco magari un po' di felicità perenne mi aiuterebbe…” “Ecco, mangiane uno, devi mangiarlo in silenzio chiudendo gli occhi e masticarlo lentamente” “Ma io gli occhi li ho sempre chiusi” “Allora la felicità aumenta. Senti come dalla lingua scende fino al cuore e da li si diffonde in tutto il corpo” “Si si sta diffondendo, magari se beviamo qualcosa si diffonde meglio” “Giusto prendiamo una birra?” “Anche una coca va bene” “Ora riprendiamo la nostra marcia e ci dirigiamo verso la ricca Samarcanda” “non è un po' lontano?” “No è qui vicino, prendiamo l’antica strada carovaniera Parternostro e quindi arriviamo nella grande valle Corso Vittorio Emanuele e la li saremo a pochi metri dalla ricca Samarcanda ed i suoi suck” “Vuoi dire la Vucciria” “Si Vucciria è il nome che tutto gli danno ma in realtà quello è il luogo dove i mercanti dell’oriente e dell’occidente si incontrano per scambiare preziose merci: Tappeti, zanne dei triglocefali, pietre preziose e sete…” “E cavolfiori e pesce fresco e arance…” “Tutto quello che riempie il cuore di gioia” “e la pancia di cose buone”
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Oggi volevo aprirmi una volta per tutte, con voi. E volevo farlo sul mio blog. Grazie a chi leggerà la mia storia.
Martina
Mi chiamo Martina, ho sedici anni.
Nella vita il mio unico sogno è scrivere un libro, è l’unica cosa che probabilmente mi riuscirebbe bene fare. Forse un giorno lo farò, e se tu stai leggendo questo testo significa che sei una delle poche persone alla quale dedicherò il mio libro.
Uso questo momento per scrivere sotto una sinfonia di Beethoven, per lasciare libero sfogo ai miei pensieri.
Tu, che probabilmente sarai l’unica persona a me vicina che leggerà questo testo, forse ora riuscirai davvero a capire chi è Martina.
Mi chiamo Martina, ho sedici anni. Non sono mai stata la figlia che i miei genitori avrebbero voluto, mi hanno sempre etichettato come colei che gli disobbediva, tornava tardi la sera, gli rispondeva male. Sono sempre stata etichettata come una delusione, nonostante io mi impegnassi a portare a casa quei voti straordinari, ai quali loro non hanno mai dato importanza.
Fin da piccola, sono sempre stata derisa da tutti, specialmente per il mio aspetto fisico. All’asilo ero l’unica bambina che per non stare in classe si faceva i bisogni addosso per poi andare a girovagare con la bidella intorno alla scuola. Cinzia, la mia salvezza fin dall’asilo. Cinzia sapeva che Martina odiava stare in quella classe, a fare cose di cui non aveva interesse.
Ho imparato a leggere a casa, nel periodo dell’asilo, da sola. Alle elementari sapevo già leggere e quasi scrivere. Non mi è mai servito l’aiuto di nessuno. Sono sempre stata sola, fin dall’asilo.
Alle elementari probabilmente ero un pochino più felice, ma nemmeno troppo. C’erano già all’epoca quelle persone che mi prendevano in giro per il mio aspetto fisico, avevo dei salsicciotti al posto delle gambe e delle braccia, probabilmente mi vestivo anche male, ma non perdonerò mai queste persone. L’unica cosa che mi rincuorava anche se è brutto dirlo, come scoprirai, era la presenza di un mio compagno di classe, che aveva probabilmente qualche problema. Lui toccava le parti intime di quasi tutte noi ragazze, anche le mie, e allora lì mi sentivo più contenta, magari qualcuno, anche se in un modo schifoso, mi apprezzava.
Alle elementari ho incontrato uno spiraglio di luce, Marta. Marta è stata per me il motivo per cui vivevo, quasi ogni pomeriggio, oltre a scuola, stavamo insieme. E’ stata l’unica persona che per un periodo della mia vita conosceva tutto di me, Marta non mi ha mai giudicato. E questo per me è stata una liberazione, poiché già a quei tempi avevo paura del giudizio degli altri.
Marta purtroppo non fa più parte della mia vita, a causa di un mio errore, non l’ho calcolata per molto tempo, per pensare al mio fidanzatino dell’epoca, la capisco, ha fatto bene a lasciarmi da sola.
Il periodo delle medie è stato il periodo più brutto della mia vita.
Per i miei genitori ero una bambina strana, tornavo da scuola e mi chiudevo in camera fino al giorno dopo. Non si sono mai chiesti come stava Martina, hanno sempre pensato che fossi una ragazza antipatica, che ti aggrediva appena avresti osato dirle qualcosa.
In classe venivo ogni giorno derisa, venivo chiamata cicciona, obesa di merda, e chi più ne ha più ne metta. Quelle voci mi risuonavano in testa in ogni momento, ero diventata folle, folle e depressa. La sera mi addormentavo col desiderio di non risvegliarmi più, ma puntualmente la mattina mi svegliavo. Vedevo già tutto nero, mi vestivo, mi mettevo le cuffie e sentivo Nitro, Nitro e Mecna. Entravo in macchina sempre con le cuffie, senza ascoltare nessuno, scendevo a scuola e andavo a sedermi sulle scalette, stavo lì fin quando non suonava, dopodiché entravo in classe e le offese ricominciavano. Non ce la facevo più. Avrei voluto uccidermi istantaneamente, e quante volte ci ho provato. Passavo ore e ore sul balcone, provando a buttarmi, ma ogni volta ripensavo alla mia famiglia, quella che non mi ha mai amato.
Nonostante non mi abbia mai amato, non mi sono uccisa pensando a non dare un altro problema ai miei genitori. Io ero già abbastanza.
Oltre tutto, in quel periodo non avevamo i soldi, a volte non mangiavo. I miei genitori litigavano ogni giorno, non sono mai andati d’accordo. E quante volte io rimanevo fuori la porta sentendo le loro grida. Sentivo sia le grida nella mia testa che le loro, qualcosa di straziante.
Mi sentivo brutta, grassa. Molte volte prendevo le forbici, credendo di poterli tagliare quei rotoli di pancia che ho. Rompevo temperini per quella lametta che c’era dentro, per tagliarmi le braccia. Pensando che il dolore fisico avrebbe sovrastato quello psicologico, ma infondo non era così.
Una persona che, alle medie, mi ha aiutato in quel periodo è stato Luca. Luca mi diceva ogni giorno che ero bellissima, e non meritavo di stare così. Ma io e Luca eravamo uguali, ci sentivamo alla stessa maniera. Ci guardavamo negli occhi e vedevamo dolore su dolore negli occhi dell’altro. Un giorno uscii con Luca, provò a baciarmi ma mi discostai. Mi discostai poiché all’epoca avevo un altro fidanzatino di cui ero cotta, Nicolò. Nicolò non mi ha mai apprezzata, in classe nemmeno mi parlava, lui era amico di coloro che mi prendevano in giro, ma io ero pazza di lui. Nicolò in chat mi diceva tante belle cose, dal vivo non mi parlava. Insomma, Luca non l’ho baciato per colpa sua, e mi tengo questo rimorso ormai da anni. Luca non fa più parte della mia vita. Ma è stato l’unico a sapere del mio blog e io l’unica a sapere del suo.
Ci siamo rivisti una volta, di nascosto, quest’estate. Quando a me era di nuovo crollato il mondo addosso, questa volta per colpa di Matteo. Luca mi aveva fatto credere di volermi vedere per parlare e stare insieme, ma quello che poi voleva era scoparmi. Ci siamo baciati però, ma non era un momento magico come lo sarebbe stato alle medie. Non ci ho scopato, me ne sono andata. In quel momento, proprio in quel momento, ho smesso di credere nell’essere umano. Come può una persona che sa del tuo dolore, fare ciò?
Ora quando lo vedo per strada nemmeno ci salutiamo, abbassiamo la testa. Ma sappiamo entrambi come stiamo, forse non cambieremo mai, questo dolore ci sovrasterà sempre.
In questo testo non nominerò tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita, ma quelle che mi hanno reso quella che sono oggi.
Alle medie ho creato il mio blog, su tumblr, dove mi seguono circa mille persone. Pensa, mille anime che leggono i pensieri di Martina, qualcosa di straordinario per me. Quel blog non è diventato famoso, poiché molto spesso non scrivevo, avevo troppo dolore dentro. E tutt’ora l’ho lasciato un po’ andare.
Come ho raccontato, non sono mai stata una persona felice.
Quel periodo straziante però in parte l’ho superato, da sola, dopo molto tempo, dopo pianti ininterrotti, occhi gonfi, faccia viola. Sì, quando piango a volte non respiro, entro in apnea, a volte sento di svenire, ma poi riesce ad entrare di nuovo un po’ d’aria nei miei polmoni.
La depressione è un mostro bruttissimo. La depressione è qualcosa di straziante, ti porta a vedere tutto nero, ti porta ad ucciderti se non riesci a rialzarti.
Purtroppo o per fortuna io sono ancora qui. Ma dalla depressione non sono guarita del tutto. Rivivo, molto spesso, quel dolore che non andrà mai via da me.
Ho passato e passo una marea di brutti periodi. Spesso non mangio, non tocco cibo, arrivo a svenire, ma questo non lo sa mai nessuno. E ogni volta spero di non risvegliarmi più dopo essere svenuta. Ma invece non è così. Il dolore non passa vomitando o non mangiando, nemmeno svenendo. Le ho provate tutte, ma non sono mai riuscita a farla finita.
Il periodo del Liceo è stato il periodo in cui sono stata “meglio” poiché non piangevo tutti i giorni. Ho avuto i miei primi fidanzatini, Italo e Matteo, che mi hanno salvato, dopodiché mi hanno ributtato giù. Non sto qui a raccontare quanto sia stata male e ciò che mi abbiano fatto, forse ne parlerò nel mio libro. Dopo di loro sono diventata quello che sono ora: un verme.
Sono un verme, mi definisco così. L’essere umano mi ha deluso, e mi ha ucciso, ha ucciso tutti i bei sentimenti che provavo. Ora ciò che mi fa sentire libera è una scopata. Ma perché della mia scopata non ne parlo con nessuno? Poiché ho paura del giudizio degli altri, potrebbe uccidermi una volta per tutte.
Le ragioni per cui sono diventata un verme penso le avrai capite, ora non mi importa più degli altri, non mi importa più niente.
Ho scopato senza sentimento, sì, ma non mi sono sentita sporca, mi sono sentita bene. Bene perché forse è l’unica cosa che mi rimane da fare per avere dei momenti in cui non soffro.
Ogni giorno Martina invece di vivere, SOPRAVVIVE. Voglio farla finita ogni fottuto giorno, ma puntualmente non lo faccio mai, il motivo è sempre lo stesso.
Perché voglio farla finita? Perche mi sento fottutamente sbagliata, in un mondo di merda. Vivo con un perenne peso in petto, dentro ho un dolore straziante, ma fuori sorrido, mai nessuno è entrato dentro di me da capire come io veda il mondo. Vedo il mondo tutto nero, non ho un motivo per andare avanti. Sfogo questo dolore scrivendo, tirando cazzotti al muro, piangendo. Non so più che fare. Sono esasperata. Nessuno mi conosce, mi giudicherebbero tutti come un’autolesionista di merda se sapessero queste cose, come una che non sa quali sono i veri problemi della vita. Io invece penso di conoscerli. So cosa significa non avere nulla da mangiare, stare senza soldi, avere continue liti in casa, essere la delusione dei tuoi genitori, essere bullizzata, sfortunatamente conosco tutto ciò e anche qualcosa in più.
So, perché lo vivo ogni giorno, cosa significa sperare di non svegliarsi più, ma puntualmente ritrovarsi a vivere questa vita di merda. So cosa significa guardarsi allo specchio e odiarsi talmente tanto da scoppiare a piangere. Nessuno lo sa. Da fuori sembro la solita narcisista che si ama alla follia, che si fa le foto al culo credendosi bella. Forse sì. Bella molto spesso mi ci sento, ma poiché sopravvivendo ho imparato ad accettarmi, e a capire che sono così. Con quei chili in più, col culo grosso e le braccia cicciotte. Sono io, sono Martina.
Con questo testo non voglio sembrare una vittima, ma voglio far capire realmente perché oggi, sono quella che sono.
Sono lacerata dentro, e spero che un giorno tutto questo finirà.
Un giorno dissi a mia madre:”Mamma, voglio scrivere un libro.” Cosa mi rispose? Di stare zitta poiché sono una buona a nulla. La mia passione derisa a nulla, quanto dolore provai.
Non ho parlato della morte di mio nonno poiché sarebbe davvero straziante. Martina ha visto il suo corpo morto sul letto, senza versare nessuna lacrima. La mia anima, se ne avevo una, è andata via con lui. Il mio angelo.
L’unica persona che merita di essere ringraziata, tra tutti, è Simone. Non so se leggerai mai questo testo, ma sei l’unica persona che mi ha permesso, almeno per un attimo, di vedere uno spiraglio di luce in questo periodo. Questo spiraglio si chiama Simone. Meriti tutto il bene del mondo, che io in questo momento e in questo stato non sarò mai in grado di darti, ma spero che un giorno tu sarai felice. E magari vedendoti così, il mio male si attenuerà davvero. Poiché tu per qualche istante sei riuscito ad attenuarlo.
Questa è Martina, quella che nessuno conosce.
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Mi sono messa fare l'acqua nel bollitore e tornando in camera mia, la trovai sdraiata a pancia sotto sul mio letto. Di primo istinto le guardai il culo che era una delle cose che mi attrae di lei (non capisco come non riesca ad apprezzare il suo corpo formoso è una delle cose più belle che io abbia mai visto; e di cui sono fottutamente innamorata…). Questa volta non ci sono riuscita a trattenermi come mio solito. Come ha fatto svariate volte, mi siedo sulla sua schiena non pesandomi troppo, e inizio con avvicinarmi al suo collo lentamente. Sentivo il suo battito accelerare, o era il mio?
Inizio a soffiare lievemente e a strofinare il naso contro il suo collo, che immediatamente si riempì di brividi, e anche io ero una scossa unica. Forse fu proprio quella a darmi la forza di continuare, senza ascoltare il cervello. Mi sistemai meglio sul suo corpo e iniziai a lasciarle baci umidi fino ad arrivare vicino all'angolo delle labbra. Non reagiva, aveva gli occhi aperti e sorrideva come se il tutto la incuriosiva e piaceva.
Iniziai a usare le mani, non so cosa volevo fare ma era come se l'istinto prendesse il sopravvento e iniziai a tirarle su la maglia, facendole grattini per calmarci. Ha iniziato a mugolare di piacere, e boh era come se le mie dita funzionassero da sole ero talmente presa dai brividi che non mi accorsi di essere arrivata praticamente al gancino del reggiseno e come mia abitudine mi misi a slacciarlo con una mano. Tac! Alzò la testa e mi guardò interrogativa. 
“Mara?”
Forse lo disse ma non sono nemmeno sicura di quella faccia, era interrogativa o cosa? La guardai e dissi “Sono io” e ci mettiamo a ridere come due cretine. Scesi dalla sua schiena e mi sederti al suo fianco, ridendo. A quel punto si mise seduta davanti a me e mi guardò, forse si era seduta tra i miei pensieri e li stava sfogliando tranquillamente. Io in tutti i modi cercai di sostenere quello sguardo, ma alla fine cadde sulle sue labbra e lì mi mancò seriamente il fiato. Lei capì e per ripicca si avvicinò sempre più a me.
“Lo sai” sussurrai ma continuava, tanto che mi toccò la punta del naso col suo. Feci un respiro profondo e mi buttai, la baciai dopo tutto quello che il mio cervello aveva represso per un anno. E fu lì che capii la cazzata colossale stavo facendo, ma necessitavo di baciarla. La cosa che mi stupì di più fu il suo ricambiare il bacio, anzi fu proprio lei a portarlo più a fondo. Inizio ad accarezzarmi la guancia mentre mi baciava, non stavo capendo nulla la lingua funzionava da sola, anche se in un primo momento non avevamo il ritmo giusto. Appena capito come fare, le mie mani finirono sotto la camicetta che indossava. Lentamente finì su di lei e continuando a baciarci ci ritrovammo a petto nudo entrambe, tra qualche risata e certi momenti prendi fiato. Iniziai a guardarla e lei iniziò a giocare con me, per vedere quanto ci sarei stata. Iniziò ad accarezzarmi un fianco e con la bocca fare i suoi soliti rumori, per nulla fastidiosi apposta. Mi avvicinai e avendo capito che il suo punto debole era il collo iniziai a baciarlo, mordicchiandolo di tanto in tanto. Sentivo i suoi brividi scorrermi addosso, ed entrare in me. Una delle due mani arrivò al seno e iniziai a massaggiarglielo lentamente, mi stavo gustando la morbidezza e il corpo nuovo sotto di me. La sua mano intanto cercava di scendere sempre di più, e trovò l'elastico dei pantaloni, mi bloccai e la guardai negli occhi.
Sì, ero in panico, non sapevo come… e perché stava accettando tutto questo senza rifiutarmi. I suoi occhi cioccolato fondente erano calmi, o meglio non in totale crisi come i miei.
“Ma le mutande del diciottesimo le usi?” Chiede sorridendo, io sempre più stupita la guardai e annui, mi era finita di colpo tutta la saliva in bocca.
“Vediamo come ti stanno” disse ridendo, arrossì giuro non so il perché ma era una situazione tanto imprevista che non capivo che stavo facendo.
Mi girai nel letto e tolsi i pantaloni, tirai il culo per farlo apparire “decente” come una deficiente e dissi “Voilà, credevate che non le mettessi, invece” scoppiammo a ridere. Ricaddi tipo in trans a guardarla ridere per la battuta. E mentre sorrideva la ribaciai, non riuscivo a stare lontana dalle sue labbra, troppo perfette. Mi prese dal fianco e ricambiò il bacio, più intensamente rispetto a prima.Con la mano scesi, non so come arrivai i suoi pantaloni e sorpassai gli elastici non pensando a lei… dovevo sentirla mia. Ora fu lei a irrigidirsi, in effetti era nuovo puntare così alto “stupida Mara” urlò il cervello e la mano si blocco. Ma il pollice no, continuava a fare cerchi immaginari come se fosse l'unica cosa che poteva muoversi. Non so se i suoi occhi stavano leggendo dentro di me, o era tanto facile capire cosa stavo pensando, mi guardò e sorrise, io turbata ma allietata continuai a scendere lentamente. Il mio corpo stava tentando cose solo immaginate… la guardai e le abbassai con la mano i leggins e le mutande scoprendola.
“Sicura?” Non so che voce lo disse ma annuimmo entrambi e un dito finì nella sua intimità, entrando nel caldo e sentendosi calmo. Iniziai a fare su e giù e con una mano la accarezzavo. Era bellissima, mentre cercava di capire cosa fosse, mi spinsi forse troppo oltre quando aggiunsi un altro dito. La sua faccia cambiò espressione. Mi fermai e mossi lentamente entrambe dentro di lei, mi appoggia alle sue tette e le baciai un capezzolo.
“Non va?” Sentivo il suo battito a mille ma qualcosa non era al suo posto, “Forse” “Tolgo” “Continua” quindi le piaceva? O non voleva deludermi, o non voleva… 
La mia testa esplose… ma il battito mi tranquillizzò così veloce da fare esplodere il mio. Continuai a muovermi, come facevo di solito con me, sperando piacesse anche a lei, ma non capivo. Iniziai a baciarla a ritmo e rideva “Mi fai il solletico col naso” diceva. Sorrisi e continuavo. A un punto mi fermò con la mano e aggiunse una stretta “Troppo?” 
“No poco” spinse più a fondo e sentì dei muscoli non so dove contrarsi. Emise un gemito diverso, mi sa che avevo trovato, continuai per un po’ con gemiti suoi e anche miei, aveva ricominciato a giocare con le mani sul mio fianco e ogni tanto faceva scoccare l'elastico. Iniziò a far scendere le mutande e a capire come si doveva muovere, io la guardavo incredula, era un sogno o ero svenuta nel mentre, “Ma come si fa?” Disse tirando fuori la linguetta per capire “Tu sai come e io no” la guardai e la posizionai nel punto e poi “Dito” mi diede un dito e sorrisi “Proprio?” “Oh ci tento poi capirò, mai fatto su nessuno” “Neanche su te” io mi stupisco per poco, e mi accorgo sempre di più di essere strana. Piano entra con il dito e fa una faccia mista tra disgusto e curiosità. 
“Eh” sospirai, aveva la mano gelida “Sì, vai e poi torni indietro, meno tremi più siamo sicure, spero” “Ma è caldo” dice tipo bimba e torna indietro “No o si?” Dico e lei riaffonda più insistente, diciamo che i brividi era talmente forti che il fiato e forse anche il battito si interruppero, sono morta pensai. Al mio bloccarmi usci velocissima “Ho sbagliato vero, non dovevo, non sapevo” mi guarda agitandosi. La guardo e giuro la sicurezza che mostrai in quel momento non so dove la trovai “Scherzi, era wow” le presi la mano e dito contro dito iniziammo a fare a prendere un ritmo mentre con la bocca iniziai a baciarla, non so come eravamo incastrate ma ero felice, appagata e eccitata. Capito come fare, tolsi la mano mentre lei aggiunse un altro dito. Tutto questo terminò dieci minuti dopo sentendoci entrambe esauste. E con i cuori scoppianti.
“Tè?" dissi ripensando al bollitore. Sorrise e mi guardò in faccia. Non ricordo nemmeno se annui ma io mi ero dispersa nei suoi occhi. Le toccai con la punta del dito il capezzolo e mi misi a giocare chiudendo gli occhi, profumo misto a sudore e eccitazione nell'aria mi hanno reso talmente tanto calma che quasi mi addormentai.
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raccontidiragazzi · 6 years
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Il Mio Fratellino - VI parte
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Davanti a me, in ginocchio di fronte al mio migliore amico, c’era Marco bendato e con un cazzo enorme che scorreva tra le sue labbra arrossate. Respirava rumorosamente dal naso per riuscire a prendere quanto più possibile di quell’asta in gola.
Dario gli teneva una mano sulla nuca e quando mi vide sulla soglia sorrise mentre faceva scivolare anche gli ultimi centimetri di cazzo in bocca al mio fratellino, tenendolo premuto a sé per qualche secondo.
«Sei pronto per un altro cazzo, frocetto?!» Chiese a Marco, liberandolo momentaneamente dalla sua stretta. Una scia di saliva univa la cappella alle labbra socchiuse.
«Si! Si, usatemi vi prego!» Rispose Marco in tono lamentoso rivolgendosi ad entrambi. Ignaro che l’amico di Dario fossi proprio io, suo fratello maggiore.
Lo fissai rapito. Aveva le labbra gonfie e arrossate e il mento ricoperto di saliva e presperma. L’odore nella stanza era inebriante. Ad un cenno di Dario mi feci avanti e iniziai a togliermi la maglietta, afferrai Marco per la nuca spingendo il suo viso sui miei addominali, mentre le sue mani iniziarono ad esplorare il mio corpo senza bisogno di alcun incoraggiamento. Emise persino un gemito soffocato, a dimostrare che apprezzava.
«Pregalo di fartelo succhiare, stronzetto!» Gli ordinò Dario.
«Ti prego, usami come vuoi, è questo che mi piace, ti supplico!» Gemeva senza ritegno e non dubitai per un secondo che fosse la pura verità. Il suo tono e le sue azioni non lasciavano spazio all’interpretazione.
«Che frocio!» Ringhiai, rendendo ancora più profondo il mio tono di voce. Speravo che fosse sufficiente a mascherare la mia identità.
Esitai qualche secondo per capire se mi avesse riconosciuto, ma tutto quello che sentii da lui furono gemiti lamentosi e impazienti. Allora lo afferrai nuovamente per la nuca e gli spinsi il viso all’altezza del mio inguine rigonfio.
Marco inspirò rumorosamente e mi baciò il cazzo ancora coperto dai pantaloni. Non poteva aspettare e iniziò a rosicchiarne la stoffa con impazienza. Guardai Dario che si era inginocchiato e si masturbava lentamente mentre massaggiava e stringeva il sedere di Marco facendolo rabbrividire.
Gli sorrisi complice e mi slacciai la cintura tirando giù i pantaloni. Marco gemette soddisfatto e un attimo dopo affondò il naso nei miei slip. Attraverso la stoffa sottile seguì il profilo dell’asta già dura come una roccia fino alla punta che sporgeva dal bordo e ci si attaccò iniziando a succhiare come se la sua vita dipendesse da questo.
«È così grosso! Ti prego, dammelo!» Mi implorò.
Tirai fuori il cazzo dagli slip e anche Dario che era inginocchiato a pochi centimetri rabbrividì. Mi sentivo un dio. Afferrai il mio cazzo e lo sbatacchiai sul viso di Marco alcune volte, mi piaceva il suono che faceva a contatto con sua pelle. Lo appiattii sul suo viso e notai che lo superava di tutta la lunghezza, e allora mi eccitai ancora di più.
Marco aveva iniziato subito a leccarmi la base dell’asta e proprio in quel momento capii per davvero perché ne Alessio ne Dario riuscivano a resistergli. La sua fame e il suo desiderio erano contagiosi e in un modo o nell’altro finivano per prendere il sopravvento sulla ragione.
Riportai lo sguardo su Dario, gli aveva abbassato gli slip e faceva scorrere le dita sul buco di mio fratello, massaggiandolo. Il contrasto tra la pelle delicata di Marco e la muscolatura possente del mio amico attizzò ulteriormente il mio desiderio. Poi Dario gli diede una sonora sculacciata.
«Oh… si! Ti prego continua così!» Gemette Marco mentre Dario continuava a massaggiargli il buchetto.
Intanto Marco iniziò a sfregarsi la mia cappella bagnata di umori sulle labbra, e quando una goccia di presperma le bagnava la leccava subito via. Lo afferrai per la nuca e spinsi la mia asta nella sua bocca fino in fondo. Tossì, impreparato all’assalto che gli stavo dando ma ormai non mi importava più, se era questo ciò che voleva, era esattamente quello che gli avrei dato.
«Prendilo, frocio!» Grugnii, continuando a camuffare la voce.
I gemiti di Marco erano musica per le mie orecchie. Continuai a stringergli la nuca mentre gli scopavo la gola. Le sue labbra erano tese sul mio cazzo, e la sua mano sembrava a malapena in grado di avvolgere l’asta.
Uscii dalla sua bocca calda e umida quando vidi Dario rialzarsi alle sue spalle. Lo guardai perplesso chiedendomi che cosa avesse in mente. Lui mi fece l’occhiolino prima di tornare a concentrarsi su Marco.
«Alzati, frocetto, voglio farti il culo sul letto di tuo fratello!» Gli disse guardando me negli occhi. Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Il mio migliore amico aveva un sorriso complice stampato in faccia, anche lui si stava godendo appieno quanto fosse sbagliata tutta questa situazione. E io ero così perso nel piacere che ormai non mi importava più di nulla. Così fissai Marco in attesa della sua risposta.
«No, ti prego! Non possiamo, se ne accorgerà se mi scoperai sul suo letto!» L’espressione di piacere sul suo viso si dileguò all’istante. Adesso sembrava preoccupato e un po’ nervoso.
«Non te l’ho chiesto, finocchio, e ora alza il culo!» Gli ordinò Dario.
Marco obbedì e si alzò con le mani tese in avanti. Dario lo afferrò per una spalla e lo guidò sul mio letto. Mentre si alzava notai la piccola tenda nei suoi slip, tuttavia quando finalmente si girò verso il letto constatai una volta per tutte che quello che gli mancava davanti lo compensava certamente didietro.
Non riuscii a trattenermi dal colpirlo sul sedere tondo e sodo per poi stringerlo nella mia mano, facendolo gemere ancora. Una volta sul letto Dario fece piegare in avanti mio fratello e riprese posizione dietro di lui.
«Ti eccita sapere che ti scoperemo sul letto di tuo fratello? Scommetto che gli daresti il culo se te lo chiedesse! Non è vero?!» Gli chiese sottolineando la sua domanda con una sculacciata.
Avevo appena iniziato a masturbarmi lentamente e fui costretto a bloccarmi in attesa della sua risposta.
«Si! Si, sento il suo odore qui! Ti prego, non resisto più, scopami!» Lo implorò Marco, spingendo il culo contro di lui.
Sentirlo parlare di me in quel modo rischiò seriamente di mandarmi oltre il bordo. Andai al mio cesto della biancheria sporca e recuperai gli slip con cui lo avevo sorpreso poco prima di uscire. Tornai velocemente da loro e sollevai la testa del mio fratellino tenendolo per i capelli con una mano mentre con l’altra gli premetti sul naso e la bocca la biancheria che avevo indossato per tutto il giorno. Marco emise un sospiro di piacere e iniziò a respirare rumorosamente attraverso la stoffa, come inebriato.
In quel momento Dario allineò il suo cazzo al buco poggiandoci sopra la cappella ma senza entrare. Marco era impaziente e cercava di convincerlo a penetrarlo spingendosi sull’asta, ma Dario si stava solo divertendo a stuzzicarlo e la troietta iniziò a lamentarsi sommessamente senza mai sollevare il naso dai miei slip sudati. Il mio amico gli teneva le natiche divaricate con le mani, poi chinò in avanti la testa e sputò sul buchetto un attimo prima di iniziare a penetrare dentro mio fratello.
Dario mi sorrise soddisfatto mentre afferrava Marco per la vita e allora iniziò a spingere dentro e fuori dal buco teso al limite. Lo penetrava completamente per poi uscire del tutto e ogni volta che lo tirava fuori tutto quello che vedevo era un buco aperto e pulsante. Marco gemeva rumorosamente, pregando Dario di andare più veloce e non fermarsi. Il mio cazzo era duro come non mai, pulsante di piacere e impaziente. Non osavo toccarmi per timore di venire prima di fare quello che desideravo più di ogni altra cosa.
«Preparati finocchio, sto per sborrare!» Ruggì Dario qualche minuto dopo accelerando le spinte.
Marco gridò di piacere sentendo Dario scaricarsi dentro il suo buchetto voglioso. Sentivo il forte odore di sesso nella mia stanza ed ero in paradiso. Quel culo doveva essere mio. Non mi importava che fosse ancora allargato e pieno dello sperma di un altro uomo, dovevo scoparlo.
Dopo l’orgasmo Dario uscì dal culo di Marco con un suono di risucchio udibile. Mi spostai accanto a lui per ammirare la sua opera. Lo sperma stava già iniziando ad uscire e il buchetto era arrossato e pulsava leggermente.
Non potevo aspettare un attimo di più e senza dargli il tempo di riprendersi conficcai il mio cazzo dentro mio fratello.
Marcò emise un lungo gemito lamentoso mentre spingevo la mia asta fino in fondo. Anche se il mio cazzo era più grosso sia di quello di Dario che di Alessio rimasi comunque sorpreso di quanto fosse stretto e caldo e umido il suo buchetto che sembrava volesse stritolarmi risucchiandomi al suo interno. Allora strinsi i suoi fianchi tra le mani e iniziai a scoparlo con foga.
Dario si avvicinò al suo viso e lo afferrò per la nuca costringendolo a sollevare la testa.
«Apri la bocca, frocio!» Gli ordinò.
Senza esitare, Marco dischiuse le labbra e Dario ci fece scivolare dentro il suo cazzo intriso di sperma, facendosi ripulire.
Dopo averlo scopato per qualche minuto da dietro, mi tirai indietro e lo feci girare a pancia in su. Gli sfilai gli slip semi abbassati e notai che doveva essere venuto mentre Dario lo scopava perché erano schizzati di sperma. Gli feci sollevare le gambe e le allargai, poi mi chinai su di lui e lo penetrai nuovamente con foga. Marco ansimava continuando a chiedermi di più.
«Ti prego, non fermarti, scopami, ti prego!» Mi implorava.
Dario mi guardò e fece l’occhiolino. Non disse nulla ma il suo sguardo era piuttosto eloquente: te lo avevo detto!
Ricambiai il sorriso stringendo le gambe di Marco mentre martellavo il mio cazzo dentro e fuori dal suo buco.
«Di al mio amico quanto sei troia!» Disse Dario.
«Non ci posso fare nulla, mi piace il cazzo! Mio fratello mi ha scoperto mentre lo succhiavo a Dario, ma non riesco a fermarmi. Annuso la sua biancheria quando lui non è a casa e una volta l’ho sentito masturbarsi e subito dopo ho leccato lo sperma dalla sua biancheria mentre si faceva la doccia.» Dichiarò Marco con certo orgoglio, tra i gemiti.
Il mio cuore saltò un battito, sospettavo da tempo che frugasse nella mia biancheria e quella sera ne avevo avuto la conferma, ma non avevo idea che si fosse spinto fino a leccare via il mio sperma da un paio di slip. Non c’era bisogno di altre conferme, la troietta mi desiderava forse anche più di quanto io volessi lui. Mi assicurai di lasciare solo la cappella dentro di lui poi spinsi fino in fondo con un colpo secco. Tutte le mie ragazze si lamentavano quando lo facevo a loro, e volevo che il mio fratellino avesse tutto quello che potevo offrirgli. Eppure Marco non fece una piega e in realtà credo che non ne avesse mai abbastanza.
Mi asciugai la fronte con il dorso della mano, grondavo di sudore - anche addosso al corpo di Marco. Tutto questo era meglio di qualsiasi fantasia avessi mai avuto su di lui. Mi chinai in avanti, poggiando le labbra sui suoi piccoli capezzoli rosa, iniziando a succhiarli leggermente e lui si lamentò di piacere, contorcendosi. I suoi gridolini acuti riempirono la stanza. Non mi importava che qualcuno potesse sentirci, ero sull’orlo dell’orgasmo e niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi.
Mi lasciai cadere sul letto di lato trascinando Marco sopra di me. Portai le sue mani sul mio petto come supporto e lo afferrai per i fianchi, con una presa salda. Lo guidai su e giù, imponendogli un ritmo serrato. Avevo quasi dimenticato che Dario fosse lì, fino a quando non si fece più vicino, incoraggiandomi.
«Si, amico mio, sfonda il frocetto, rompigli il culo!» Sospirò al mio orecchio, ricominciando a masturbarsi lentamente.
«Ti prego, si, riempimi il culo di sborra!» Gridò Marco un attimo dopo, mandandomi letteralmente fuori controllo.
Spinsi con i fianchi, premendo l’intera asta dentro di lui. Sentii le mie palle contrarsi e il cazzo pulsare ferocemente mentre scaricavo una sborrata colossale nel buco accogliente del mio fratellino. E allo stesso tempo lui gridò di piacere stringendosi forte a me.
Restammo così, senza fiato, sudati e con il cuore che batteva all’impazzata.
«Bel lavoro, troietta, e adesso preparati ad ingoiare il mio sperma!» Disse Dario raddrizzando la schiena, inginocchiato accanto a me. Un attimo dopo lo vidi schizzare sulla lingua distesa di Marco che inghiottì con piacere ed evidente soddisfazione. Poi Marco ricadde sul mio petto, esausto e io lo riabbracciai stretto, avvolgendolo tra le mie braccia. Aveva le labbra arrossate e scosse da un leggero tremito mentre il mio cazzo che oramai si stava sgonfiando lentamente usciva dal buco. Il suo respiro si era fatto lento e regolare, segno che probabilmente si era addormentato e presi ad accarezzarlo continuando a stringerlo tra le mie braccia.
Qualche minuto dopo, lo liberai cercando di farlo scivolare sul mio letto il più dolcemente possibile. Quando riuscii ad alzarmi però sentii la sua voce.
«Adesso posso togliere la benda?» Chiese innocentemente.
«No!» Ringhiai rapido, sperando di aver alterato a sufficienza il mio tono di voce.
«Va bene, è che non voglio che mio fratello mio scopra,» disse. «Voglio continuare a fare sesso ma se ci scopre non lo potrò più fare.»
Che troia, dopo quello che gli avevamo appena fatto pensava già alla prossima scopata.
Mi avvicinai e gli sussurrai all’orecchio. «Quando senti la porta chiudersi, la puoi togliere.» Lui annuì convinto.
Raccolsi i miei vestiti e prima di uscire dalla mia stanza vidi Marco annusare la mia biancheria intima e iniziare a masturbarsi. Ringraziai silenziosamente Dario, poi uscii chiudendomi la porta alle spalle.
Mi ritrovai a sorridere tra me nella penombra del corridoio, pienamente soddisfatto. La nostra prima scopata era stata eccezionale, ed ero certo che la prossima volta sarebbe stata ancora meglio!
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