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#tizia auser
sguardimora · 4 months
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Nel dispositivo scenico di Tilia Auser per Tre Voci #GenerazioneScenario
Alcuni giorni fa, ospiti del Teatro Lavatoio di Santarcangelo, abbiamo assistito alla prova aperta di uno dei lavori menzionati dal Premio Scenario di quest’anno: si tratta di Tre Voci di Tilia Auser, studio scenico per un radiodramma in versi di Silvia Plath.
La poetessa scriveva Three Women quando aveva da poco dato alla luce il secondo figlio e si era appena separata dalla relazione con il poeta inglese Ted Hughs. Siamo nel 1962 e solo un anno dopo, a trent’anni si toglierà la vita. Questo testo rappresenta forse l'unico caso di cosciente ingresso nel filone della letteratura al femminile. Sganciandosi da una cultura letteraria di tradizione maschile, Plath sperimenta la letteratura delle madri e riesce così ad affrontare un tema tradizionale come quello della maternità in modo personale, liberandolo dal simbolismo positivo della fecondità femminile che fa emergere la cultura maschile, per sottolineare invece la trama di angosce e dolori che si mescolano con la gioia del dare la vita. È un “dramma per ciechi” quello che immagina la Plath, scrivendo questo radiodramma dentro al quale lei stessa si riconosce nelle sfaccettature di quelle tre voci.
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Tilia Auser sceglie allora una scena che ospita una figura femmine a dar voce e corpo alle tre donne del dramma, accompagnata e sostenuta dai suoni distorti di una chitarra elettrica, suonata da un’ombra maschile che incombe, a volte minuscola più spesso gigantesca, dietro un velatino. Le tre figure senza nome, che Plath immagina come tre maschere che portano ognuna un’idea della maternità, incarnate da Sara Bertolucci, si muovono delineando tre livelli sulla scena e tre differenti grammature di voce: c’è la donna feconda, la moglie che aspetta un bambino, che si muove in piedi a centro scena e parla chiaramente al microfono; la segretaria sterile che non riesce ad avere figli che striscia a terra e la cui voce si distorce negli effetti elettronici; e la donna ribelle, la studentessa universitaria che decide di partorire e non riconoscere la figlia che sta più spesso seduta e la cui voce è emessa da un registratore a mangianastri.
Non c’è il reparto di maternità del radiodramma; c’è piuttosto una sorta di serra, riconoscibile dai materiali utilizzati per la scena, ad ospitare il dramma delle tre donne che Plath descrive attraverso metafore naturali. 
PRIMA VOCE: Sono lenta come il mondo. Sono molto paziente, compio il mio ciclo, soli e stelle mi guardano con attenzione.
Sono muta e bruna. Sono un seme prossimo a spaccarsi.
SECONDA VOCE: Sono accusata. Sogno massacri. Sono un giardino di supplizi neri e rossi. Li bevo, odiandomi, odio e ho paura.
TERZA VOCE: Sono una montagna adesso, in mezzo a donne-montagna.
A dominare nei versi e nelle parole intonate da Sara sono “paradigmi naturali, corredati da immagini di fiori, piante ed uccelli, che costituiscono una delle principali nervature della narrazione. Essi si ramificano nell'abbondanza rigogliosa della gioia feconda nella 1a voce, si riducono numericamente nella seconda voce, rattrappendosi nel gelo di un inverno sterile per sopravvivere solo in minima parte nel rifiuto della 3a voce, diversificandosi, a seconda della prospettiva dei personaggi, in elementi di natura 'solare' o 'lunare'” (Russo, 1998).
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Pur condividendo questa scena scura e notturna le figure non si incontrano mai e Sara scivola nei panni dell’una e dell’altra senza soluzione di continuità, portando il groviglio emotivo di ognuna e tenendosi addosso l’ombra a tratti un po’ ingombrante della Plath stessa. È un teatro musicale contemporaneo quello che mette in scena Tilia Auser innescando un meccanismo lirico d’effetto che tesse sapientemente le parole dette e cantate, quelle distorte o registrate ed emesse da un vecchio mangianastri con le melodie post rock suonate dal vivo da  Riccardo Ferri Succimarra.
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[ph. Chris Mazzoncini]
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Rif.
Russo, C. (1998). La maschera a tre voci. Studi Urbinati, B-Scienze umane e sociali, 68, 403-435.
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