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Una serie seria
Domenica pomeriggio, per una strana congiunzione astrale, concatenata ad una serie di sfortunati eventi, mi trovo da solo. Che fare? Ok Netflix, mo so’ cavoli tuoi!
Facendo zapping (oddio tecnicamente non è proprio zapping, ma non so se esiste un termine che indica quando una persona pigia compulsivamente i tasti del telecomando scorrendo ¾ dell’intero catalogo di Netflix), nel fottigliardo di opzioni disponibili, casualmente mi imbatto in “Zoo”, una serie tv.
Non so come mai abbia deciso di iniziare a vederla. Sono quelle cose che fai così, senza un vero e proprio motivo, tipo comprare un SUV, vedere una puntata di Porta a Porta o votare Grillo.
La storia che c’è dietro non sembra affatto male.
Gli animali impazziscono. Leoni che ogni mattina si svegliaon in Africa ma ignorano le gazzelle, preferendo assaltare tristissimi villaggi vacanze in Africa. I cani che si comportano in modo strano.

Complotti su multinazionali / Big Pharma...
Cose del genere.
Sono curioso. Dopotutto ho visto tutta la saga di Sharknado, quindi la mia asticella della decenza vola veramente ad altezza rasoterra.
La sigla è un misto tra The Walking Dead e Manimal.
Il protagonista, un certo Jackson Oz (forse il nipote del famoso Mago), un belloccio dalla faccia da cucciolotto, è buono e aiuta tutti, è onestissimo e non farebbe male ad una mosca e… vabbè insomma, capito il tipo. Non si capisce bene se Jackson è studiato o meno, e se è studiato, non si sa in cosa di preciso sia studiato. Sembra un incrocio tra uno zoologo, un veterinario e Bear Grylls. Sta di fatto che Jackson Grylls fa la guida naturalistica per ricchi svedesi, che pagano migliaia di dollari per dei safari in cui -se ti va di culo- riesci a malapena a vedere un rinoceronte. Da lontano.
Piccolo particolare: il babbo di Jackson era un illustre scienziato che a quanto pare, a na certa, è andato fuori di melone e ha iniziato a blaterare di strane teorie, secondo cui gli animali si stanno evolvendo e non hanno più paura dell’uomo, anzi, lo vogliono proprio annientare per salvare la terra, o qualcosa del genere. Se ne esce con una “pupilla indomita”, che spero tanto sia un aborto dovuto alla traduzione. Sta di fatto che tutta la comunità scientifica lo prende per quello che è, ovvero un tizio con dei seri problemi di dipendenza da sostanze cannabinoidi e lo invia gentilmente a cagare. Lui, il babbo di Jackson ascoltandoli, si ritira a vita privata, continua a fare esperimenti e posta video deliranti su internet. In pratica diventa uno youtuber.
Chiusa la parentesi “babbo”, torniamo ai personaggi principali.
Con Jackson lavora Abraham, un omone di colore. Abraha è talmente tanto “one” che sembrano due. Anche Abraham è buono, molto buono, talmente buono che sembra il gigante buono della valle degli orti, solo parecchio più abbronzato.
Ha un passato misterioso, è più saggio del Dalai Lama, ogni due per tre sforna un antico proverbio africano e nella savana sa seguire le tracce di uno stercorario, vecchie di settimane, anche dopo giorni di pioggia.
I due, senza un valido motivo, raggiungono il villaggio turistico del cugino di Abraham, villaggio che è “misteriosamente” deserto. A quanto pare dei leoni in fila indiana hanno sbranato mezzo villaggio.
Ok, hai scoperto ‘sta cosa, che fai, chiedi aiuto? No, ma che, andiamo nella savana dove l’erba è alta due metri e venti e per girare col fuoristrada ti serve un periscopio, che nemmeno un U-Boat! Nella savana vengono attaccati, del tutto inaspettatamente e imprevedibilmente, da ‘sta coperativa di leoni e il buon Abraham, che stava cercando di salvare un cadavere in un fuoristrada, viene assalito alle spalle da un leone.
Stacco su Jackson che urla ad Abraham di stare attent… e niente, troppo tardi.
Tre spari.
Un ruggito.
Il leone che esce dal fuoristrada.
Un classico: il negro muore alla terza scena. Morto Abraham, dalla savana sbuca l’unica superstite di tutto il villaggio, una biondina francese. Corre incontro a Jackson, che ci mette 5 secondi a passare dalla modalità “Sono triste, ho perso il mio migliore amico” alla modalità “Ah però, mica male sta francesina”. La francesina è uno dei primi misteri della serie.. Mentre stanno fuggendo dai leoni assassini superintelligenti a bordo di un fuoristrada che non voleva partire, Jackson le chiede in inglese “Parli la mia lingua?” lei “No”. E già lì… Non pago, lui intigna passandole una fiaschetta “Bevi questo, è Burborn del Tennessee”. Lei prende una sorsata dalla fiaschetta e fa “Sanno fare un buon lavoro nel Tennessee”, solo che lo dice in inglese. E da quel momento, da una che “non parlava la sua lingua” diventa praticamente una madrelingua inglese. Cazzo, doveva essere veramente buono quel whisky!
Ovviamente il fuoristrada con cui tentavano di raggiungere la salvezza si sfascia, a pare che uno dei leoni della cooperativa, forse il leone ingegnere, abbia manomesso il radiatore sfondandolo a zampate. Escono dalla macchina e indovina un po’? Esatto! Ancora ‘sti leoni del menga... che giustamente vorrebbero finire il lavoro iniziato due scene fa, ma Jackson e la biondina con la erre moscia scivolano in una specie di burrone e riescono a salvarsi. Poco prima di cadere, però, Jackson nota che la pupilla di quel leone è diversa, ha una forma strana… Cacchio! la pupilla “indomita”. Sì, esatto, proprio la roba di cui blaterava suo padre. Siamo a metà della prima puntata e ti sei già sputtanato ‘sta cosa.
Le storie di Topolino che leggevo da bambino avevano più suspance.
Comunque i due piccioncini continuano la fuga e pant pant sbuff sbuff, arrivano al villaggio mezzo sbranato e chiamano aiuto. Trenta secondi dopo, ecco giungere la polizia a sirene spiegate, a bordo di SUV ultrafighi nuovi fiammanti, che -voglio dire- in Africa mi pare un po’ strano.
Scendono dai macchinoni e arrestano Jackson, perché in mezzo al safari di inizio puntata, aveva scassato la minchia ad un pappone mezzo cinese mezzo stronzo che voleva schioppettare un rinoceronte e lui, il pezzo di sterco con gli occhi a mandorla, giustamente lo ha denunciato.
Jackson rimane in cella il tempo equivalente a quello di un coito di Flash, giusto per non perdersi lo stereotipo delle carceri africane che sono gestite un po’ ad minchiam, che tanto c’è il poliziotto amico tuo che ti fa uscire, basta che prometti che fai il bravo, anche se ti hanno beccato mentre mettevi in atto pratiche sessuali estreme con una gazzella. Maschio.
Colpo di scena! Abraham è su un albero, vivo. Mezzo vivo. Vabbè, respira ancora. Ce l’ha portato un leone e l’albero è circondato da leoni, che però non ci pensano proprio a mangiarselo, anzi uno a furia di pestare su un cellulare casualmente caduto dalla tasca della giacca di Abraham, fa partire una chiamata. A Jackson, ovviamente, che tosto e lesto procede al salvataggio.
Ora spunta una vecchia dottoressa, che dovrebbe curare i feriti della mattanza felina, ma, essendoci solo cadaveri, non ha una beata fava da fare e si azzecca a Jackson.
Abraham viene curato da un infermiere vestito di tutto punto, con tanto di camice, guanti in lattice monouso e porta-cartella medica in alluminio, che sembra appena uscito da una puntata di Dottor House e che stona giusto un filo con il contesto, nel senso che in Africa, in mezzo al nulla, nella savana, tra baracche, polvere, fango ed ebola, dubito fortemente ci siano infermieri con queste dotazioni tecniche. Dubito proprio che ci siano infermieri.
La vecchia e Jackson fanno discorsi completamente inutili, che hanno il solo scopo di far capire che ‘sta vecchia in realtà è la mamma di Jackson.
Abbiamo capito che Jackson ha capito che suo padre aveva capito. La vecchia, però, insiste nel dire a Jackson che non ha capito, che il padre era solo un povero demente e che hanno fatto bene ad abbandonarlo.
Sembrano più che altro scuse per giustificare l’affido esclusivo e gli alimenti nella causa del divorzio.
Jackson, non contento, si fa portare alcuni video postati dal padre youtuber e li vede su un portatile antidiluviano.
La vecchia, intanto, visto che non ha una cippa da fare, apre un paio di sacchi neri dei cadaveri e al terzo che apre esclama un “Mio Dio!”. Corre dal figlio dicendogli che anche lei ha capito che il padre aveva capito e che quindi il figlio aveva capito bene quando ha capito che il padre aveva capito.
Capito no?
Quindi nel giro di due scene, il padre passa da sociopatico delirante a genio incompreso con un pizzico di profeta.
Ora si scopre che il profetico genio sociopatico incompreso nonchè youtuber ha fatto 12 video, Jackson ne ha solo 5, la mamma scrive su un pezzo di carta un indirizzo, dove sono gli altri video mancanti.
A quanto pare sono in Giappone. Jackson parte col fuoristrada per andare in Giappone. Certo, dall’Africa al Giappone in fuoristrada è un bel giro, quindi Abraham, fasciato, incerottato e ricucito che pare il mostro di Frankenstein solo parecchio più abbronzato, lo accompagna.
In tutto ciò, in America, una giornalista, stagista in uno pseudo giornale dal nome scontatissimo e gestito dal medico legale di Law&Order SVU,

sta in fissa con una multinazionale, impero del male, che secondo lei è la causa di tutti i mali del pianeta.
Una grillina praticamente.
La tizia, oltre a farsela col vice capo, tiene un blog complottista seguito da 4 sfigati, tra l’altro usando uno pseudonimo veramente imbarazzante, una cosa tipo “la ragazza col genio blu tatuato sulla spalla”, veramente osceno. Spero sia anche questo un mero frutto della traduzione.
Insomma, la tizia indaga su dei leoni che, scappati dallo zoo, hanno fatto un po’ di cadaveri qui e lì in città.
Ella asserisce anche che la causa di tutto sia un pesticida prodotto da questa super mega multinazionale del male e, girando a destra e a manca, dopo essersi fatta licenziare dal giornale e aver rotto col vice capo al quale la dava, incontra un patologo veterinario che le dà una mano nelle sue indagini, arrivando a parlare anche con il governatore dello Stato, che tra l’altro aveva un ufficio che la portineria del mio palazzo è più bella.
Forse anche per questo, il governatore aveva un leggero risentimento verso l’universo in generale e non se li fila di pezza mandandoli a fare un giro.
Ultime due righe sulla francesina salvata da Jackson, che a quanto pare lavora per i servizi segreti francesi, parla 82 lingue e ha trovato la sorella a letto col futuro marito pochi giorni prima delle nozze. La mangialumache viene avvicinata da un losco figuro che la recluta per una missione supersegretissimissimaspiralitosa, ovvero capire cosa sta succedendo agli animali.
Sempre lo stesso losco figuro, in uno dei peggiori bar di Caracas, recluta il patologo veterinario e di conseguenza anche la giornalista complottista che si trovava lì per caso.
Nella seconda puntata recluterà anche Jackson e Abraham.
Ma non vorrei spoilerare troppo…
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Era una casa molto carina
Sai com’è... Un giorno ti svegli e ti rendi conto che sei grande, e ti rendi anche conto che forse è il momento di lasciare il nido. Alcuni fortunati hanno già un altro posto dove andare, altri no.
Ovviamente io faccio parte della nutrita schiera degli altri.
Quindi che fai? Hai uno smartphone, installi app su app per cercare un tetto e quattro mura che ti costringeranno a 30 anni di amicizia coatta con un istituto di credito.
Inizi a vedere e valutare possibili soluzioni, basandoti su improbabili descrizioni e foto fatte con fotocamere con qualità lievemente inferiore a quella di questi attrezzi

e scattate da pseudo agenti immobiliari che si improvvisano fotografi. Inizi con lo scegliere quelle che più incontrano i tuoi gusti, o nel quartiere che più ti piace.
Poi ti rendi conto che sei povero e inizi ad ordinare le ricerche dal più economico.
Dopo tanto, finalmente trovi quell’appartamentino carino, con due camere, due bagni, salottino e spigolo cottura, ti fai coraggio e contatti l’agenzia immobiliare.
Questo è il primo passo di una lunghissima strada che ti porterà a vedere le più svariate “soluzioni abitative” - che altro non è che un simpatico sinonimo per “catapecchie” - della città.
Questo passo io l’ho fatto un po’ di tempo fa, e di cose strane ne ho viste veramente tante.
Ho visto agenti immobiliari vestiti di tutto punto uscire da Mercedes, portarti in giri lanciati degni del miglior Bolt dentro case di estranei con tanto di estranei dentro, e solo alla fine dire “ah comunque piacere, io sono Gianfranco della Immobiliare Petacca”.
Ho visto gente definire cose come questa

“...uno spazioso terrazzo abitabile”
e scandali come questi

commentati con un onestissimo “come può vedere, tutti gli impianti sono a norma”
il tutto poi concluso con un amichevolissimo “ah, guardi, però l’avverto: c’è un’altra signora che è interessata all’appartamento...”
Sì sì, certamente, può tranquillamente dire alla signora che ha campo libero.
Una cosa particolare mi è capitata poco tempo fa.
Su una nota app di annunci immobiliari, trovo un appartamentino apparentemente carino, ad un prezzo ragionevole. Cosa decisamente strana, perché dopo aver visto diversi annunci e anche diverse soluzioni abitative ho capito che se il prezzo è basso, di solito c’è qualche magagna.
Decido di dare fiducia all’annuncio e chiedo tramite app se è possibile visionare l’immobile, in quanto interessato all’appartamento. Mi risponde Melania, non via mail, né via telefono, ma lo fa direttamente da WhatsApp.
Fico! - penso io - Finalmente un’agenzia immobiliare al passo con i tempi!
Con un paio di chattate ci accordiamo per il sabato successivo alle 11:30, appuntamento direttamente in Via Cerea 9, dove si trova l’immobile in questione. Perfetto.
La settimana finisce e arriva il sabato dell’appuntamento. Alle 10 di mattina arriva un messaggio, sempre su WhatsApp, sempre della mia cara amica Melania, che mi ricorda il nostro appuntamento. Gesto tanto carino quanto apprezzato.
Questo messaggio le ha appena fatto guadagnare 10 punti.
Arrivo in via Cerea alle 11:15, in quanto non conosco bene la zona e preferisco non arrivare in ritardo. In 5 minuti sono parcheggiato di fronte al cancelletto di ingresso dello stabile, noto così che non è una palazzina singola ma quasi un residence costituito da due luuuuuuunghe palazzine di 3 piani ciascuna, una di fronte all'altra, separate da un vialetto centrale, mentre sullo sfondo in lontananza, molta lontananza, si intravede un piccolo parchetto verde, che fa anch'esso parte del comprensorio.
Sono le 11:20 e la mattinata è freschina, mi rintano in macchina per evitare l’ipotermia e consumare qualche giga di traffico dati del mio piano telefonico, ma sempre con un occhio puntato sulla strada, fosse mai che Melania arrivasse in anticipo.
11:30 - decido di abbandonare il caldo tepore dell’abitacolo della mia auto per aspettare sul marciapiede Melania.
11:35 - ho fatto almeno una cinquantina di volte avanti e indietro sul marciapiede di fronte l’ingresso, ma di Melania ancora nessuna traccia. Ha perso i 10 punti guadagnati con il messaggino delle 10 su WhatsApp.
11:40 - non si vede ancora nessuno, controllo la suoneria del cellulare, è al massimo. Nessun messaggio, nessuna chiamata persa… e fa freddo.
Scrivo a Melania su WhatsApp un laconico “sono qui” e le invio la posizione GPS, sperando in una sua risposta, in un suo segno di vita. Mi sarei accontentato anche di qualcosa tipo “mio padre ieri è rimasto chiuso nell’autolavaggio”, ma niente.
11:42 - arriva una panda grigia, forse è lei.
Però… me la immaginavo un po’ più giovane, inoltre il carrellino da mercato non è molto professionale…

che forse non sia lei?
Mi passa accanto, mi guarda e mi fa “no, no grazie giovanotto, non ci serve nulla. Calzini e fazzoletti li ho, accendini non fumo.”
Poi mettendomi qualcosa in mano, aggiunge “tieni, vatti a comprare un gelato” e riprende in direzione del comprensorio, con una perfetta andatura claudicante.
La fisso incredulo per qualche istante, poi guardo la mia mano e vedo una moneta da 20 centesimi.
No, non credo sia Melania.
11:45 - di Melania ancora nessuna traccia. Inizio ad essere un po’ contrariato, non ci si comporta così. Se fai tardi, almeno avvisa! E che cavolo. Chiamo il numero con cui ho messaggiato. Squilla. Squilla. Squilla. Squilla… segreteria telefonica. Riprovo.
Risquilla. Risquilla. Risquilla. Risquilla… risegreteria telefonica.
Prendo la chat su WhatsApp e scrivo “sono ancora qui, ma non vedo nessuno, e fa anche un po’ freschino…” .
Nessuna risposta, neanche a dirlo.
11:50 - ho praticamente scavato una scolina sul marciapiede di fronte all’ingresso del comprensorio. Da un balcone un signore mi guarda con sospetto, e come dargli torto. Vedere un cretino che fa avanti e indietro, per 20 minuti al freddo, non è una cosa normale. Ma ecco che da lontano sopraggiunge una macchina, una Mercedes ultimo modello. Mentre si avvicina vedo che al volante c’è una donna. Non so cosa sperare. C’è del disappunto in me. Non so se far finta di nulla o se dirle che sono 20 minuti che sono qui ad attendere. Sempre ammesso che sia lei.
La Mercedes parcheggia. Si apre la portiera ed esce una avvenente ragazza dalla lunga e fluente chioma bionda. Lo ammetto, il mio primo pensiero è stato “beh, almeno è valsa la pena di aspettare”. L’avvenente ragazza dalla lunga e fluente chioma bionda fa il giro dell’auto, apre la portiera posteriore e prende una voluminosa borsa da donna. Attraversa la strada e si dirige nella mia direzione. Noto con una punta di perplessità che l’avvenente ragazz… vabbè, sì lei, indossa degli stivali con un tacco che definirei “importante”, tacco che spiega anche la sua altezza. Faccio per muovermi nella sua direzione quando dalla borsa spunta una specie di topo con un collare. Ora io e l’avvenente siamo praticamente faccia a faccia. Io la guardo, lei mi guarda. Io la guardo, lei mi guarda.
Vabbè, ora si presenterà...
Lei mi guarda, io guardo il cane, il cane guarda me, poi guarda lei, ma nessuno parla. Nemmeno quel sorcio col collare emette alcun suono.

Prendo l’iniziativa “...Melania?” L’avvenente mi lancia un’occhiata alla “spaco botilia amazo familia” e risponde
“Melania ci è tua sorela!”
“...ah, mi scusi, credevo fosse… no niente. Scusi ancora”
Mi sa che non è nemmeno lei.
Non appena la versione femminile di Zlatan Ibrahimovic si allontana, dal cellulare parte a cannone la sigla del Trono di Spade. Melania mi sta chiamando.
La telefonata inizia con un “scusa, Fabio, avevo il cellulare in modalità silenziosa… non ho sentito le chiamate e i messaggi”, continuando con “comunque io sono già qui, mi affaccio dal balcone, così mi vedi. Entra dal cancelletto”
Sono basito, provo un impellente desiderio di inviarla a espletare le proprie funzioni fisiologiche, ma oramai sono qui, vediamo questo appartamento.
Mentre sono ancora al telefono con Melania entro dal cancelletto, faccio pochi passi e vedo una tizia in tuta che si sporge da un balcone sbracciandosi con un cellulare in mano.
Deduco sia lei.
...in tuta.
Copro la breve distanza che mi separa dal portone d’ingresso del palazzo, mentre lei dall’altro capo del telefono mi fa “ma Fabio, potevi citofonare!”
Certo, se conoscessi il cognome del proprietario dell’appartamento!!
Brutta cerebrolesa che non sei altro!
Quando sono quasi arrivato al portone, dal balcone mi urla “citofona ‘che ti apro!”
Ma fai sul serio? Non so a chi cavolo devo citofonare! Lo vuoi capire o no? Fortunatamente per lei non le do retta, in quanto sono intento ad avvisare di un molto probabile ritardo -no, non quello di Melania- un altro appuntamento che avevo fissato.
Arrivo al portone della scala e fortunatamente corre in mio aiuto la persona con il numero giusto di cromosomi della famiglia. Il marito di Melania. Esce dall’appartamento e viene ad aprirmi il portone.
Presentazioni di rito, neanche a dirlo, due gradini dopo la stretta di mano, già non ricordo più il suo nome.
Mettendo insieme i pezzi del puzzle, un dubbio si stava prepotentemente insinuando nella mia mente. Il cell della tizia muto... lei che è già nell’appartamento, sempre lei che mi accoglie in tuta dal terrazzo…
Porca paletta! Vuoi vedere che non è un’agente immobiliare, ma un privato? Appena si apre la porta di casa, il dubbio svanisce per lasciare posto alla certezza. Melania NON è un’agente immobiliare. Mi accoglie infatti con una tuta di pile grigio topo, con i capelli legati alla buona.
“Piacere, Melania”
“Piacere, Fabio”
“Fabio, scusami per il telefono, non so come mai, ma non l’ho proprio sentito”
Penso “forse perché era in modalità Do Not Disturb, brutta beota che non sei altro!”
Dico “ma no, figurati, non ti preoccu”
Non riesco a finire la frase, che una specie di incrocio tra una pecora, Bob Marley e una cesta di biancheria sporca mi si avventa sulla gamba con tutta l’intenzione di arricchire il patrimonio genetico della sua prole, donando agli eventuali cuccioli il dna dei miei jeans.
“No Spike! Fermo Spike! Cattivo Spike! Non si fa così Spike!” dice Melania a quello scherzo della natura, mentre per il collare lo trascina fuori sul balcone.
“Scusa, Fabio, ma il nostro cagnolino è un po’ vivace, se vuoi ti faccio vedere la casa”
Va detto che l’ingresso dà su una stanzetta in cui è concentrato salone, sala da pranzo, angolo cottura. Concentrato in tipo 10 metri quadrati. La porta d’ingresso dà direttamente sulla cucina. Cucina che è praticamente un angolo con un lavandino e 4 fornelli. Una finestrella che dà sul “terrazzo”, anche quello microscopico. Il salone non è da meno: un divano due posti lo riempie abbondantemente.
Melania mi guarda e mi fa:
“Questo è il salone con angolo cottura, che si affaccia sul terrazzo”
“sul balcone...”
“No guarda, questo è un comodo terrazzo vivibile”
Dalla finestra del terrazzo, il cane maniaco mi fissa con uno sguardo che implora pietà. Tra la sua cuccia, il motore del climatizzatore e un paio di ramazze, ha praticamente il muso appiccicato alla finestra e, scodinzolando, con la coda suona la ringhiera come fosse la batteria di una canzone dei Motörhead.
Diciamo che io e Melania abbiamo una concezione leggermente differente del termine “vivibile”.
“Ok, Fabio, continuiamo con il giro, questa è la cucina, qui c’è un piccolo disimpegno, questo è un armadio a muro che abbiamo fatto...”
“Scusa, Melania, non capisco perché dici che continuiamo con il giro se sono ancora fermo nello stesso punto da quando sono entrato.”
“Ora andiamo a vedere il bagnetto di servizio, come vedi ha la doccia, poi è anche finestrato, abbiamo fatto qualche soppalco lì, lì e anche lì e lì e lì e lì, per poter mettere qualcosa, come avrai notato lo spazio interno deve essere gestito accuratamente”
“Sì, in effetti, ho visto che avete soppalcato anche i soppalchi... ”
“Questo è un altro armadio a muro, che abbiamo ricavato qui lungo il corridoio. E’ bello profondo, ci possono entrare anche le valigie ed i trolley, vedi”
“Sì, nell’armadio ci entreranno pure i trolley, ma nel corridoio non ci passiamo noi”
“Questa è la stanza di Leopoldo, vedi come è spaziosa e luminosa, la cosa particolare è proprio la finestra, tutta in vetro, una vetrata in pratica, ma senza il solito terrazzino che dà noia e che ostruisce la visuale.”
“Ok, per il terrazzino che ostruisce la visuale, ma almeno una tapparella, uno scuro, un’imposta...”
“Questa invece è la stanza matrimoniale, vedi com’è spaziosa, luminosa”
“Ma è identica alla stanza di Leopoldo”
“Sì, ma questa ha anche il bagno padronale in camera, vedi quanto �� carino?”
“Sì, devo dire che sono veramente graziosi quei sanitari nascosti tra i soppalchi”
“Va bene, Fabio, il giro è finito. Che te ne pare? Pareri? Impressioni?”
“Che dire, il giro è stato abbastanza breve. Mettiamola così, se fosse stata una giostra, probabilmente non ci salirei di nuovo. Se dovessi descriverla con un aggettivo… Compatta. Ecco. Sì. E’ molto compatta”
“Guarda, Fabio, a me piace essere onesta con la gente. Questa casa noi l’abbiamo pagata 2000 euro al metro quadro”
“Quindi, considerando la metratura, non vi è costata tanto...”
“L’abbiamo pagata 2000 euro al metro quadro e ora la stiamo svendendo a 1600 euro al metro quadro, perché abbiamo fretta di vendere per poter comprare poi altrove... Quindi ecco, non vorrei farti perdere tempo e non vorremmo perdere tempo nemmeno noi, il prezzo è quello riportato nell’annuncio. A noi non piace alzare il prezzo per poi dover contrattare, ribassare, offerte, contro offerte… Il prezzo è quello.”
“Sì sì, ok, chiaro. Ho capito. Il prezzo è quello e non è trattabile. Grazie per la disponibilità, Melania. Per la disponibilità e per il giro panoramico. Allora facciamo così, se sento che qualcuno cerca un appartamentino da queste parti, lo mando da te.”
Più o meno questa è stata la visita all’appartamento di Melania.
La prendo come un’esperienza formativa. Un’esperienza mistica quasi.
Ha indubbiamente arricchito la mia anima.
Ah, se state cercando un appartamentino, ve ne posso consigliare io uno veramente carino.
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Trasferta franzosa, trasferta fumosa
Trasferta franzosa, trasferta fumosa
2017.
Febbraio.
Si vocifera di una possibile trasferta presso un cliente.
In Francia.
Nulla contro la Francia.
Tranne il fatto che la odio, assieme ai suoi abitanti, ma tolto questo, nessun problema.
Francia, che come si sa è il paese romantico per antonomasia.
Per coerenza, quindi, la trasferta è a cavallo di San Valentino.
La romantica meta del romantico viaggio per la romantica trasferta è la romanticissima Lilla.
Lilla, la capitale del Nord (anche se io ricordavo fosse Grande Inverno…)
Lilla che sta al romanticismo come Gigione sta alla musica.
Non solo, Lilla sta alla Francia come Bolzano sta all’Italia.
La trasferta in sé per sé non è andata male, anzi...
C’è stato anche tempo per una cenetta romantica con il mio amicollegamante Paolo, la sera di san Valentino.
Cenetta a base di cheddar al cheddar con contorno di cheddar.
Sì, al Nord fanno un uso smodato di cheddar.
E di alcol…
Non fosse stato per il cheddar, mi sarei sentito quasi a casa.
Ci sarebbero tanti aneddoti carini da narrare su questa trasferta, come ad esempio il mio omologo franzoso che prendeva a pugni la scrivania al grido di “putain!”, lo stesso che si portava il cibo da casa dentro un sacchetto della spazzatura, di quelli neri.
Ma voglio raccontare un accadimento accaduto la mattina del rientro.
Piccola premessa. Per motivi logistici, si è volato da Roma a Bruxelles, da lì poi in auto fino a Lilla. Al ritorno stessa storia, solo al contrario.
Per essere più vicini all’aeroporto ed evitare di perdere il volo del rientro causa traffico, si è prenotato un hotel in Belgio a due passi dall’aeroporto di Zaventem.
Comodo. Pratico. L’hotel era anche un Novotel, quindi niente male, poi il prezzo (a detta dell’ufficio acquisti) era veramente conveniente.
Cosa vuoi di più dalla vita?
Una volta giunti nell’hotel vicino all’aeroporto ci siamo recati alla reception per fare il check-in.
La prima domanda che ci fa il biondino al di là del bancone è “English or French?”
La risposta è arrivata all’unisono “English!”
Forse era meglio in francese…
Il simpatico concierge, infatti, aveva un modo alquanto singolare di parlare inglese. Tralasciando il suo accento, che era una spanna sotto a quella di un indiano medio.
Oltre alla pronuncia impronunciabile, aveva una variazione di ritmo che Vivaldi levati proprio! Spaziava allegramente dal parlare molto lentamente scandendo bene le parole al Chicco Mentana in piena trance da maratona in diretta per le elezioni in Qatar.
Inutile dire che per le informazioni importanti entrava in modalità Mentana strafatto di coca,
mentre per le cose più inutili tipo “siamo a soli 5 km dall’aeroporto” o “domani è previsto bel tempo sullo stretto di Gibilterra” switchava in modalità Flash il bradipo.
Destreggiandoci tra accenti improbabili e cercando di seguire le fasi più concitate del discorso del concierge - che abbiamo scoperto solo una volta finito essere stato diretto dal maestro Vessicchio - abbiamo capito perché la prenotazione era costata poco.
Nell’ordine:
Parcheggiare l’auto costa 15€ al giorno, e il parcheggio non era incluso nella prenotazione. (Tra l’altro in caso di smarrimento del tagliandino con la ricevuta, il costo del parcheggio sarebbe stato di 150€ indipendentemente dai giorni di sosta dell’auto nel loro parcheggio.)
WiFi pezzente free, WiFi con i controcazzi, lo si paga a parte, e il WiFi coi controcazzi non era incluso nella prenotazione.
Il costo della colazione 20€ e - nemmeno a dirlo - non era inclusa nella prenotazione.
Quindi un attimo, facciamo due conti, noi si è in due. Una colazione a testa, per due, fanno un totale di due colazioni, che a 20€ l’una... fanno solo 40€.
Il nostro amico è li in attesa, dall’altra parte del bancone, di sapere se imputare o meno le colazioni sul conto delle camere.
Io e il mio compagno di merende, o meglio il mio compagno di colazioni, ci scambiamo uno sguardo d’intesa, con tanto di sorrisino beffardo che stava per:
“fottesega a me, tanto paga il cliente sta trasferta!”
Quindi quasi in coro è partito un “Garson, segni pur la colasion!”
Non so come sia stato possibile, ma il tizio capisce e segna le due colazioni.
Mentre con tanto di bagagli a seguito ci dirigevamo all’ascensore, non abbiamo potuto non commentare la leggerissima esosità, a parer nostro, della succitata colazione.
Ma nel farlo giungemmo tutti e due alla medesima conclusione, ovvero...
“Poveretti, non sanno con chi hanno a che fare”
Durante il percorso ascensore-camere abbiamo avuto il tempo di progettare un malefico piano di vendetta, tanto semplice quanto geniale: fare una colazione della madonna, farglieli sudare, anzi no, farglieli rimpiangere questi 20 euri che ci hanno appena fottuto.
Avete presente il detto “Fai attenzione a quel che desideri, perché potrebbe avverarsi”? Ecco in questo caso casca a pennello.
Tralasciamo i dettagli delle camere, tipo doccia e lavabo in un bagno e SOLO il water in una toilette separata, ma sempre nella stessa camera. Con tutte le implicazioni del caso sull’igiene, con un occhio di riguardo per la maniglia della porta della toilette.
Andiamo direttamente alla mattina.
Appuntamento alle 07:15 nel salottino del piano e si parte in direzione sala ristorante per la famigerata colazione.
Prendiamo posto ad un tavolino per due, verso il fondo della sala, come la più classica delle coppiette e decidiamo di fare prima il giro “salato” e poi un giro sul “dolce”.
Perfetto: il mio amico Paolo mi precede e io lo seguo per prendere spunto, primo perché non sono molto pratico di colazioni continentali, secondo perché credo di aver dimenticato il cervello sopra il cuscino del letto della camera, quando sono uscito.
Uova strapazzate, bacon, ok.
Poi salsiccette, quella cosa che assomiglia al prosciutto, ottimo.
Un paio di formaggi a caso, tanto saranno sicuro cheddar.
Poi mi avvento sui backed beans e una confezione monodose di maionese.
Perché sì, insieme al cervello, in camera, ho lasciato anche la decenza.
Stiamo per tornare al nostro tavolino per consumare questa cacofonia di colori, sapori e consistenze che mi ostino a chiamare colazione continentale, che Paolo mi fa “lo vuoi un toast?” e io, per rispettare il piano deciso la sera prima, rispondo con un “ovvio!”.
Paolo prende una fetta di pane per me, una per lui e le mette dentro uno strano parellelepipedo di metallo che come per magia, prende queste due fette e le fa lentamente sparire al suo interno, per poi defecarle dopo qualche manciata di secondi calde e croccanti al punto giusto.

Questa è magia, è stregoneria!!
Inutile dire che rimango affascinato da questo trisavolo di R2-D2.
Torniamo al tavolo a consumare la nostra colazione salata, annaffiata nel mio caso da un bicchiere di succo di pompelmo.
Finito il giro salato, facciamo 5 minuti di pausa e poi si parte per la dolce spedizione punitiva.
Complice il pompelmo e il giro di salato appena divorato, il mio cervello è un po’ meno in ferie, inoltre sul dolce sono più ferrato, quindi stavolta vado in avanscoperta da solo.
Scoprirò solo più tardi che la troppa fiducia nei miei mezzi è stata un gravissimo errore.
Comunque altro giro, altro piatto.
Iniziamo con un bel cornetto semplice.
Un saccottino...
Poi sì, un muffin...
Vediamo vediamo, ah sì ecco, strudel.
Nooo!!! La girellina con la cannella, troppo buona, la prendo!
Un paio di biscottini che non fanno mai male...
Il piatto è quasi pieno, sto finendo il giro della tavola quando vedo uno scaffale con tanti tipo differenti di pane.
Penso tra me e me “porca paletta, se l’avessi visto prima, col salato ci sarebbero stati divinamen...”
Il pensiero si blocca e svanisce in un baleno perché il mio sguardo si è appena posato su un fantastico pane dolce all’uvetta.
E’ stato amore a prima vista, ne prendo una fetta perché sono curioso e goloso. Il piatto sta veramente straripando, mi arrendo e mi dirigo verso il tavolino dove c’è Paolo che mi sta aspettando.
Mentre sono li che tento di tornare al tavolo cercando di non spargere a terra alcun pezzo del mio dolcissimo bottino, mi imbatto nel mio caro amico, l’antenato di R2-D2, il tostapane magico di prima.
La mia mente, la mia migliore amica, ma a volte anche una grandissima infame, fa un’associazione di idee tanto ardita quanto divinamente geniale:
se :
fetta di pane bianco triste +
tostapane magico
--------------------------------- =
toast buonissimo
allora:
fetta di pane buonissimo con uvetta +
tostapane magico
----------------------------------------------- =
arcobaleni di gattini che cavalcano unicorni rosa
Quindi, senza titubare e senza pensarci troppo su, prendo questa fetta di pane all’uvetta e la do in pasto al tostapane di mago merlino.
E’ l’inizio della fine.
Il tostapane delle meraviglie, infatti, accetta con gioia la prelibatezza che gli ho dato e inizia lentamente, come ha già fatto centinaia e centinaia di volte, a farla sparire dentro la sua magica pancia.
Io lo guardo estasiato, pregustando il tripudio delle mie papille gustative quando assaggeranno questo toast.
“Però... che strano, è da qualche secondo dentro al tostapane ed è già di un colore ambrato carico... Mah, sicuramente essendo un pane diverso rispetto da quello bianco tradizionale, assumerà delle nuance di colori differenti”, mi dico.
Tuttavia non mi sento a mio agio, continuando a fissare la mutazione che sta avvenendo all’interno di quel parellelepipedo delle meraviglie.
Accipicchiolina, non è nemmeno a metà del percorso ed è già bello biscottato… e a guardare bene credo stia anche iniziando a produrre un filo quasi impercettibile di fumo.
Sarà normale, poi tra poco uscirà dal tostapane. Tra poco.
Tra poco…
Però… non ricordavo fosse così lento questo tostapane a nastro.
Continuo a tenere d’occhio la mia fetta oramai biscottata, e vedo che avanza lentamente tra due grill incandescenti, uno posto sopra e uno sotto il nastro trasportatore di pani.
Avanza molto lentamente.
Avanza decisamente troppo lentamente…
Arrivato a circa tre quarti del nastro, è oramai nero e ha iniziato a produrre fumo, tanto fumo.
Fumo che ora mi accorgo uscire copioso dal retro di questo maledetto tostapane.
Panico.
Gocce di sudore mi imperlano la fronte. La situazione sta precipitando, non ce la farà mai ad uscire quella cavolo di fetta di pane ormai carbonizzata, e soprattutto non ce la farò mai io a defilarmi senza dare nell’occhio. Cosa faccio?
Alcuni degli astanti sono stati attirati dal fumo che fuoriesce dal fottuto tostapane che però non accenna a sputare fuori la fottuta fetta di pane.
Tento la sorte, ci sono due manopole alla base del demoniaco elettrodomestico industriale.
Sì, ma come funzionano? Le scritte sono in francese, maledetti siate!
Malnati mangiaranocchie, voi e lo vostro franzoso idioma!
Quale delle due sarà l’accensione? Quale regolerà la velocità? Quale manderà indietro il tempo evitandomi questa transalpina figura di merda?
Come il più classico dei John McClane mi trovo a dover disinnescare una bomba, senza avere la minima idea di cosa sto facendo.
Ok, taglio il filo rosso.
No, il blù…
No, aspetta, taglio il rosso, sono indeciso, ma tanto ho ancora altri 2 secondi per pensarci.
Ok, vado sulla manopola di destra e la giro tutta in senso antiorario. Il Christine dei tostapane si disattiva, sono salvo.
O almeno è quello che credo. Un attimo dopo aver tirato un sospiro di sollievo, mi rendo conto che il mostro si è fermato e così anche il nastro che trasportava il cadavere carbonizzato del mio toast dolce.
Toast che però non ne vuole sapere di smettere di produrre fumo. Mezza sala ristorante è invasa dal fumo.
Inutile, non ho scampo. Meglio affrontare il mio destino con dignità. Dignità… quel po’ di dignità che mi è rimasta dopo questo maldestro attentato terroristico.
Mi dirigo verso la cucina e con la più angelica delle facce che ho nel repertorio esordisco con un “Sorry… Excuse me… Sorry ”, non appena una cameriera si affaccia dalla porta della cucina continuo con un “I think I’ve made something wrong...”
La cameriera alza lo sguardo e nota la coltre di fumo che avvolge i lampadari nascondendo quasi il soffitto e, con uno sguardo tipo Mara Carfagna di fronte a domande scomode su Berlusconi

segue la scia di fumo fino a capire che la fonte di quel disastro è quel cazzo di tostapane.
Biascica un “No… no problem, monsieur” e sparisce in cucina, per tornare cinque secondi dopo brandendo una pinza da insalata come fosse uno stocco, e a furia di affondi e fendenti riesce ad attraversare la coltre di fumo e a raggiungere il tostapane; una volta avuto un contatto visivo con il nemico, la malcapitata tenta di rimuovere quella che oramai è più simile a una scoria radioattiva che a un alimento.
Dopo qualche tentativo, riesce ad avere la meglio sull’artefatto alieno, che stava tentando di conquistare la terra producendo una strana nebbia, iniziando l’invasione dal Belgio stavolta, e non da Tokyo in Giappone, come tutti i cartoni della nostra infanzia ci hanno insegnato.
Con quel tozzo di carbone saldamente stretto nella pinza e imprecando sottovoce, si dirige verso la cucina e un attimo dopo la vedo sparire dietro le porte a molla che separano lei e i coltelli presenti in cucina dalla mia persona.
In tutto ciò, non mi sono reso conto di avere ancora il piatto con il giro di dolce in mano.
Mi viene da ridere, è più forte di me, non ne posso fare a meno. La situazione è troppo paradossale. Mi rendo anche conto che forse non è il caso di farlo, se tengo alla mia vita.
Perché secondo i miei calcoli, tutti i presenti dovranno spendere più di qualche euro in lavanderia per togliere l’odore di bruciato che ora impregna i loro abiti.
Quindi, trasudando ilarità da tutti i pori - da qualche parte doveva pur uscire - e ridendo sotto i baffi, mi dirigo finalmente verso il tavolino dove il buon Paolo mi sta aspettando.
Mi siedo al tavolo, provo a darmi un contegno, ma mi torna in mente l’immagine della cameriera che con le pinze porta il tizzone fumante in cucina, e inizio a ridere come un demente, e vedendo la faccia perplessa di Paolo gli racconto cosa ho combinato.
Lui mi guarda e fa “ecco chi minchia era allora quello che ha dato fuoco a mezzo hotel!”
Sentendomi leggermente osservato, ho consumato il resto della mia colazione velocemente e tenendo un profilo estremamente basso.
Prendiamo i bagagli, saldiamo il conto e ci dirigiamo a passo spedito verso la macchina.
Nella breve distanza che ci separava dal rifugio sicuro dell’auto a noleggio, ricordo chiaramente di aver sperato che non uscisse nessuno dall’ingresso chiedendo lumi sull’accaduto.
Anche se la mia paura più grande non era tanto quella di dover rendere conto della cazzata fatta, quanto quella di veder sbucare da dietro l’angolo, da un momento all’altro, la cameriera armata di coltello da macellaio...
Fortunatamente i miei incubi sono rimasti tali e siamo riusciti a prendere il volo di ritorno.
Beh, stato di parola. Quei 20€ di colazione glieli ho fatti rimpiangere.
A distanza di tempo, ancora ci ripenso e ancora rido come un cretino, ma una domanda mi assilla, non mi dà pace:
...chissà come era quel cazzo pane dolce all’uvetta?
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La caduta della Barba
Chi mi frequenta giornalmente lo sa, a chi non mi vede da un po' lo dico ora: sono solito portare la barba.
Non è folta come vorrei.
Non è vichinga come vorrei.
Non è nemmeno hipster come vorrei (non che hipster fosse la mia prima scelta, ma visto che non posso averla vichinga…)
Sta di fatto che ho la barba che ho. Con i suoi pregi (pochi) e i suoi difetti (indubbiamente più numerosi dei pregi).
Qualche tempo fa, venni colto da uno strano desiderio, ossia quello di dare una sistemata alla mia un po' troppo incolta peluria facciale. “Ma sì, dai roba di dieci minuti, che ci vuole…” mi dissi.
Ecco, quando parli tra te e te, non ti dare retta. Mai!
Le più grandi cazzate della storia sono nate da un soliloquio. Nerone che diceva tra sé e sé: “Mah... quasi quasi l'accendo un'altra candela... ",
o il tuo amico che: "Cacchio ho finito i goldoni, ma vabbè che ci fa, quando è ora, faccio retromarcia e sta tutto a posto..." e ora gira con un passeggino biposto,
o Berlusconi che pensava: "Caro Silvio, mi consenta, io ci provo, scendo in campo, saranno mica così pirla ‘sti italiani da andarmi a votare..."
… ma sto divagando, come al solito. Chiedo scusa.
Dicevo che non so per quale motivo presi in mano il mio fido regolabarba pura marca Braun e iniziai a spuntare la mia mediamente virile barba.
Devo dire che Il risultato, parziale, era anche soddisfacente.
Se non fosse che ad un tratto il fermo che bloccava il pettine e regolava la lunghezza della barba ha deciso che era giunta la sua ora e cedette.
Il rasoio passò da un tranquillo "vrrrrrrrr" ad un "VRCXZCHHHH".
Udire quel suono fece sorgere in me un leggero e atroce dubbio.
Dubbio confermato appena spento il rasoio.
Una zona della guancia era quasi completamente deforestata.
"Oh cazzo!! E ora?" pensai. Dopo qualche minuto di prove per tentare (inutilmente) di recuperare lo sfregio, giunsi all’unica e triste soluzione.
Sbarbamento completo.
Sbarbamento che durò parecchio, come a voler infierire...
Finita la rimozione chirurgica, mi guardai allo specchio e a prima vista non mi riconobbi, sembravo un'altra persona, un bambino.
Ora capisco i bimbi che si vedono in lacrime su YouTube quando il babbo barbuto si rade.
Assieme alla barba erano spariti almeno dieci anni di età, il che devo dire che ha anche i suoi risvolti positivi.
Per un paio di giorni, bariste, cassiere, commessi, bimbiminchia non mi hanno chiamato "signore" e non mi han dato del lei.
Tuttavia, se da un lato la dipartita del mio vello facciale aveva fatto sparire un paio di lustri dalla mia età apparente, dall'altro aveva riportato alla luce cose che avrei di gran lunga preferito non vedere.
Cose come le guance pienotte o un accenno di doppio mento.
Ok sì, era più di un accenno, lo confesso.
Queste apparizioni mi hanno fatto riflettere. Effettivamente ho messo su qualche chiletto, sto facendo un po' troppi strappi alla regola, cedo un po' troppo ai piaceri della tavola, e anche del boccale...
Basta! Non posso più continuare così. Ho fatto tanta fatica per perdere peso in passato. Forse questo incidente è un segno.
Qualcuno ha voluto farmi prendere coscienza del mio stato.
Ok, messaggio ricevuto, o potente Signore dei Rasoi, grazie.
Grazie per avermi mostrato la verità.
Da quel giorno, dal giorno della mia presa di coscienza mi sono impegnato, ho fatto tutto quanto era in mio potere per mantenere fede alla promessa fatta a me stesso.
Pesanti sacrifici, immani privazioni, indicibili sofferenze fisiche e spirituali.
Più di qualche volta sono stato sul punto di cedere, è stato molto arduo non cadere in tentazione.
Ora, a distanza di un paio di mesi dal disboscamento posso dire con orgoglio e anche con una punta di commozione che ci sono riuscito, ho raggiunto il traguardo che mi ero prefissato. Sono veramente felice. Ho di nuovo la barba lunga.
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Workshop bagnato, workshop fortunato
Il telefonino si accende, inizia a vibrare e ad emettere fastidiosi rumori. Non so che ore sono, so solo che è stramaledettamente troppo presto. Non faccio in tempo a sedermi sul letto che come un gavettone d’acqua gelata mi torna in mente che oggi devo andare a Roma per un Workshop. Mi affaccio alla finestra e mi scappa un “piove...” mentre penso “cazzo!”, o forse il contrario, non ricordo. Mi faccio forza e scendo, faccio colazione, mi preparo per la giornata e parto alla volta di Roma, facendo uno stop a casa del mio fido scudiero; puntiamo il navigatore in direzione Via Odorico da Pordenone, Roma e via!
Con nostra immensa gioia assistiamo al miracolo della variazione in rosso del percorso calcolato dal navigatore, quindi traffico, incidenti, pioggia… la giornata inizia incredibilmente bene.
Dopo due ore di Pontina e un paio di svincoli toppati grazie alla signorina del navigatore, arriviamo con soli 5 minuti di ritardo al Polo Didattico (ancora non ho ben capito cosa diamine sia). Siamo a destinazione, al coperto e al caldo, il peggio è passato.
E invece No.
Accendo il PC e il WiFi non si vuole connettere alla rete. Vengono un paio di persone al mio capezzale per provare a darmi una mano, ma niente, nulla di fatto. Sono fuori dal mondo. Vabbè poco male, penso, dovrei avere tutto il necessario per il workshop…
Il tizio, talker per gli amici, inizia a parlare e le prime parole che dice sono: “Ok, allora possiamo iniziare, possiamo fare il clone del repository http://github.com/...”
Mapporch!!
Nel frattempo dall’ufficio mi giungono voci di malfunzionamenti di praticamente tutto. Ora mancano solo le piaghe d’Egitto e siamo a posto. Per una buona mezz’ora litigo di brutto col WiFi e alla fine mi vedo costretto a fare tethering col cellulare. Non appena mi connetto Skype e Mail come se piovesse… e infatti pioveva. Tento di connettermi via VPN in ufficio, ma ovviamente non ne vuole sapere di andare. Potevi sbagliarti? Con l’aiuto di qualche buon uomo sistemo i macelli in ufficio e finalmente posso dedicarmi al workshop, che prosegue tranquillo fino a dopo le 11 di mattina, quando il talker decreta una pausa. Usciamo dalla stanza e notiamo una leggera variazione climatica, seconda solo a quella di una doccia svedese. La nostra aula aveva un clima sub sahariano, mentre fuori c’era un clima quasi polare, noto ai più come “temperatura ambiente”. Durante la pausa mi vedo negata la possibilità di sgranchirmi le gambe perché una signora, chiamata da una delle hostess (no, non immaginatevi ste megatopolone in gonnellina e tacchi 12), è venuta ad aiutarmi col WiFi. La faccia della tizia quando ha visto il mio pc è stata impagabile.
Mi guarda e mi fa: “Ma che sistema operativo hai?” e io: “Linux...” e lei: “ah... ecco, beh, vedi, emm… io, è che anche nell’altra aula uno con linux aveva un problema… senti, senza che ci metto le mani sopra, facciamo così, connettiti a questa rete”, io clicco su “HotSpot” e lei mi digita una password, e come per magia mi connetto. Che emozione!
Riesco a malapena a prendere una bottiglietta d’acqua al distributore automatico che si riprende. Il Workshop fila liscio fino all’una passata, in una soporifera penombra e un ancor più soporifero caldo asfissiante, dovuto alla presenza di trenta cristiani e 30 PC che ravanano abbondantemente i PC, non i cristiani; il tutto supportato dai caloriferi a cannone e da un essere umano apparentemente femminile che voleva chiudere la porta perché faceva freddo (?!?!?!?).
Pausa pranzo, finalmente! Perché invero iniziavo ad avere un pelo di appetito. Ah… non è previsto il pranzo nel Workshop… cioè? Ah, se volemo magnà dovemo annà a procacciarci il cibo… Fortuna vuole che fuori dal portone del Polo Didattico, c’è un Fornaio e un Alimentari-Gastronomia. L’alimentari ha esposto un cartello che recita: “Pasta all’Amatriciana con guanciale di Norcia 3,50€”, ma nessuno mi appoggia l’idea. Quindi ripieghiamo sul Fornaio, che si rivela una piacevole sorpresa: la pizza all’nduja, stracchino e patate non è niente male e anche quella ripiena al prosciutto crudo ha il suo perché. Certo il tutto mi è costato 5€, ma avevo fame e va bene così.
Poco dopo si riprende col Workshop e all’accoppiata penombra-caldo si aggiunge anche l’effetto carboidrato. Sto terno secco sulla ruota di Roma porta un generale stato di abbioccamento, quindi siamo tutti un po’ rallentati. Nota positiva: il WiFi pare ancora andare, nota ancora più positiva: dall’ufficio nessuna nuova e come si sa, no news, good news.
16:00. Piccola pausa, ma nemmeno quella brodaglia che la macchinetta spaccia come caffè espresso può arginare l’avanzata dell’abbiocco.
Ultima tirata, fino alle 18:00 quando il nostro amico stalker ci saluta e ci dice che se vogliamo uscire dobbiamo prima compilare il questionario di valutazione.
Vabbè usciamo e toh, diluvia. Siamo carichi di borse e il mio scudiero è rimasto anche senza ombrello, quindi facendo un rapido conto: due persone, 4 borse, un ombrello… La domanda che ci poniamo quasi contemporaneamente è: “Ma dove abbiamo parcheggiato?” Sopra la mia testa è apparsa una nuvoletta su cui campeggiava la scritta “Oh Cazzo!”, ma tento di bluffare spudoratamente, mettendo il mio sorriso migliore e dicendo con fare sicuro: “Abbiamo parcheggiato qui dietro...” eh ma qui dietro dove? Usciamo sotto la pioggia con una media di mezzo ombrello a testa e ci dirigiamo verso la macchina. Arriviamo alla fine della strada ma non mi pare di vedere nulla di familiare, tantomeno la Ford Fiesta nera che ci ha portato fin lì. Ok torniamo indietro, sicuramente è l’altra traversa, mi sarò sicuramente confus… no, niente, non è nemmeno l’altra traversa. inizio ad essere un po’ in apprensione. Nel frattempo alla pioggia si è aggiunto anche il vento, che rende praticamente nullo quella finta di ombrello che shariamo in due. Grazie al freddo ho una illuminazione: Google Now si ricorda dove cavolo hai parcheggiato!! Abbiamo vinto! Trovo un portico aperto e ci rintaniamo, e provo a chiedere una mano a Google Now, ma il succitato ha uno strano senso dell’umorismo e ovviamente ha deciso che oggi non era il caso di ricordarsi dove ho parcheggiato. Certo: te ricordi di dirmi quando la parcheggio nel garage di casa, ma non quando sono in giro per Roma sotto l’acqua, no ma grazie eh! Come se non bastasse, si affaccia una tizia che, con un lievissimo accento dell’Europa dell’est, ci dice che non è colpa sua, che non dipende da lei, che “scusa scusa scusa ma io deve chiude” e con gentilezza e cortesia ci butta fuori, sotto l’acqua. Rintanati sotto la tettoia di un negozio di qualcosa che non ricordo, crechiamo nella mappa, quando ho un flash: vedo via Belardi (che mi ricordava il nome di un prof) e mi autoconvinco che la mia macchina sia parcheggiata lì. Arriviamo finalmente in via Belardi e la percorriamo quasi fino alla fine, quando scorgo i fari della mia cara Fiesta che mi guardano e mi sento decisamente più rilassato: oramai il più è fatto, ci siamo un po’ bagnati, abbiamo preso un po’ di freddo, ma ora saliamo in macchina e andiamo a casa.
…
…
Strano, il telecomando non apre la macchina a distanza. Il mio compagno di ombrello ipotizza che magari si è bagnata la chiave e quindi non funziona, ma io non ne sono convinto. Infilo la chiave nella portiera, giro e niente. Giro ancora, ancora niente. Panico.
Sotto l’acqua, al freddo, a Roma, a piedi, e con tanto di pc a tracollo…

Pare che Cthulhu sia stato visto sul lungomare di Ostia nel tardo pomeriggio, forse in risposta all’infinita serie di invocazioni a sfondo più o meno divino che sono uscite a profusione dalla mia bocca… C’è da dire però che i testimoni raccontano che sono stato molto equo: ho nominato divinità e figure religiose appartenenti a praticamente il 90% delle religioni ufficialmente riconosciute, iniziando da quelle cristiane a quelle norrene, passando per Unkulunkulu.
Riesco in qualche modo ad aprire la portiera dal lato guida e finalmente torniamo ad avere un tetto sopra la testa. Visti i sintomi, sicuramente è la batteria che mi ha abbandonato. Guardo l’ora: sono le 18:30, chiedo nuovamente l’aiuto a Google e cerco gli elettrauto in zona, fortunatamente ce ne sono diversi. Provo a chiamare il primo ma niente, non risponde nessuno, inizio a pensare che sia tardi, che siano chiusi. Il secondo tentativo è più fortunato.
Dopo diversi “tuuuuuu” dallo speaker del telefono sento provenire un “Pronto, chi è?” Da qui ha inizio una conversazione telefonica abbastanza surreale. io: “Pronto, elettrauto?” elettrauto: “Sì, mi dica” io: “Guardi, mi trovo in via Belardi e sono rimasto a piedi con la macchina” elettrauto: “E ‘ndo cazzo sta via Belardi?” io: “Se non lo sa lei che è del posto, si figuri io che vengo da fuori… guardi, non lo so, come punto di riferimento le posso dire che di fronte a me ho il palazzo della Regione Lazio” elettrauto: “Pur’io se m’affaccio da qua vedo il palazzo della Regione Lazio, ma mica sto in via Belardi” io: “Effettivamente, ha ragione. Guardi, le spiego: io vengo da fuori, sono stato tutto il giorno qui per lavoro e ora non mi parte più la macchina, credo sia la batteria che mi ha abbandonato” elettrauto: “Guarda, mi dispiace ma io sto da solo in officina e oggi ho preso già tanta acqua” io “eh.... non è il solo... Guardi, sono abbastanza disperato, se mi può aiutare le sarei veramente grato” elettrauto: “Eh vabbè, se poi aspettà che chiudo l’officina, che sistemo le macchine che c’ho in officina posso provare a passare” io: “Sarebbe magnifico...” elettrauto: “Ma devi aspettà che chiudo però, ce vorrà ‘na mezz’ora” io: “Ok, se mi dice che passa, io aspetto, non ci sono problemi” elettrauto: “Allora, senti, facciamo così, io mo chiudo, lì, di fronte al palazzo della Regione Lazio ce sta n’edicola, fatte trovare lì davanti che come ho chiuso passo” io: “Ok, grazie, gentilissimo, ma più o meno, tra quanto tempo è lì? No, perché, sa, piove, almeno mi regolo col tempo...” elettrauto: “Oh, io passo ‘na volta là, se non ce sta nessuno me ne vado e ciao” io: “Ok, capito, vado subito all’edicola. Grazie ancora!”
Non potendo chiudere la macchina, lascio il mio compagno di disavventure a presidiare il forte, anche perché avevamo ben due portatili dentro l’auto. Lo lascio con un “Se non torno entro un’ora partite senza di me”, esco e mi dirigo subito verso il punto di incontro, vorrei fare il figo e scrivere “randevù” ma ogni volta lo scrivo male, quindi eviterò.
Dopo qualche minuto mi trovo da solo, al buio, sotto l’acqua e con un vento che faceva praticamente piovere in orizzontale, rendendo quasi totalmente vano il fatto di avere un ombrello tutto per me.
Non so esattamente quanto tempo sia trascorso (al freddo e sotto l’acqua forse la percezione del passare del tempo è un po’ diversa), né quante altre madonne siano piovute e volate, per restare in tema con la situazione meteorologica.
Tra l’altro era anche l’orario di uscita degli impiegati della Regione, quindi ho fatto anche un paio di figure barbine, chiedendo a perfetti sconosciuti, dopo aver bussato sul finestrino e fatto allagare l’abitacolo, “Scusi è lei l’elettrauto?” Nel frattempo, pioggia e vento si divertivano alle mie spalle, e non solo… Ero una bustina da tè usata, con gambe, braccia, testa e ombrello. Dopo un paio di ore ecco che si ferma una multipla bianca e, di sua sponte, l’autista abbassa il finestrino e mi dice: “E’ lei che ha chiamato?” Non sto più nella pelle: finalmente è arrivato e, porca paletta, è arrivato davvero! Quasi non ci speravo… Io mi avvicino al finestrino e gli faccio: “Si, sono io che l’ho chiamata, grazie...” ma poi noto che al centro del cruscotto campeggia sornione un tassametro e penso: “Ma guarda te che roba: l’elettrauto mi viene a prendere con un taxi che aveva in officin…oddio, ma è l’elettrauto?” allora gli faccio: “Emm… io ho chiamato un elettrauto, non so se lei è un elettrauto.” Il tizio dall’altra parte del vetro semi abbassato mi guarda con evidente compassione e mi fa: “No, io so ‘n taccsi”. Ora ho capito come si sente Duffy Duck quando gli cade un peso da 50 Tons sulla testa. Guardo il taxista e con la morte nel cuore replico: “Emm, no allora no, non l’ho chiamata io...”. Questi, alludendo ai miei avi oramai passati a miglior vita, chiude il finestrino e se ne va. Io torno mestamente a farmi flagellare da raffiche di vento e pioggia per qualche altra ora, quando una Fiat Punto grigia si avvicina e un signore mi fa: “E’ lei che mi ha chiamato?” e io, memore del precedente malinteso: “Lei è l’elettrauto?” e lui: “Si, salga”. Lo conduco al luogo in cui riposava la mia povera auto, con dentro il mio giovine scudiero. Ah, va detta una cosa: non appena salgo sull’auto dell’elettrauto, improvvisamente, cessa sia di piovere che di tirare vento. Il buon uomo tira fuori una batteria gigantesca dal bagagliaio e con l’ausilio dei cavi mette in moto la mia macchina. Dopodiché lo seguo fino alla sua officina, che altro non è che un box auto con una porta di legno e vetro… e lì mi fa un rapido controllo, da cui sembrerebbe che la batteria stia tirando le cuoia. Va detto che non ha insistito più di tanto per farmela cambiare, anzi, è stato veramente onesto e alla mia domanda: “Quanto le devo per il disturbo?” lui mi ha risposto: “20€”, che era la cifra che avevo deciso di dargli nel caso in cui non mi avesse chiesto nulla.
Alla fine di tutto, almeno posso dire che esiste ancora qualche persona buona in questo mondo cattivo.
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Una notte da leoni... marini
Addio al celibato.
L'ennesimo.
Il 2014 verrà ricordato negli annali come l'anno in cui il 75% dei tuoi parenti/amici/colleghi/conoscenti si è maritato. Non importa chi tu sia.
Programma della serata, appuntamento in piazza per conoscere gli altri partecipanti. Catena di strette di mano tipo calciatori prima del fischio di inizio. Presentazioni assolutamente inutili perché la volta successiva che il tuo sguardo si posa su uno degli altri partecipanti ti ritrovi inevitabilmente a pensare "Ma come cazzo è che se chiamava sto fregno?". Arrivato anche l'ultimo ritardatario che per vergogna non scende nemmeno dall'auto e tenta disperatamente di buttarla in caciara, si parte in direzione del ristorante che di solito per ragioni inspiegabili, si trova a distanza abnorme da qualsiasi altro posto noto ai comuni mortali.
Si narra che posti come Narnia e Fantasia siano stati scoperti proprio durante degli addii al celibato.
Arrivati al ristorante si procede con una tranquilla cenetta rallegrata da simpatiche battute copiosamente farcite da doppi sensi, scherzoni goliardici che coinvolgono bambole gonfiabili o sfortunate avventrici di tavoli locati nelle vicinanze della simpatica comitiva. A voler essere onesti sarebbe meglio dire che si stuzzica qualcosa di tanto in tanto, tra le innumerevoli alzate di calici che vengono fatte adducendo le più improbabili motivazioni nel vano tentativo di fare ubriacare il futuro sposo, futuro sposo che avendo a sua volta preso parte in precedenza ad altri addii al celibato e avendo subodorato quello che lo aspetta nel proseguo della serata, con maestria finge di bere.
Dopo tre ore di cena quindi la situazione è che l'unico che può fare il guidatore sobrio è proprio lo sposo, mentre gli altri sono ridotti come delle merde, talmente ubriachi che potrebbero tranquillamente scrivere la prossima interrogazione parlamentare di Borghezio, e farla indubbiamente meglio.
Finita la cena, e superata la prova "fai i conti della cena con una distilleria intera in corpo" si parte per la prossima tappa della serata... LA DISCOTECA (detto con voce tipo la fantozziana "Corazzata Kotionkin")
Dopo aver percorso eoni di km dal nulla in cui si trovava il ristorante finalmente si arriva al nulla dove si trova la discoteca. Il fatto che gli uomini in divisa che ti hanno chiesto il passaporto parlavano un italiano stentato è una questione secondaria.
Arrivati alla discoteca, il primo ostacolo è trovare posto per l'auto. Il parcheggiatore ti indica di proseguire dritto. Lo stesso fa il secondo parcheggiatore, così come il terzo, il quarto, il quinto di dice di girare a destra e dopo proseguire dritto, arrivati al settimo parcheggiatore che fa cenno di proseguire con il braccio realizzi di essere di nuovo nel parcheggio del ristorante, quindi ti arrendi spegni il motore, tiri il freno a mano, scendi, chiudi l'auto e attendi il passaggio della prima diligenza tentando di ignorare i coyote che ululano in lontananza.
Arrivati all'ingresso, grazie all'aiuto di due sherpa, uno dei quali purtroppo non ce l'ha fatta, inizia la fila per entrare.
Ma l'organizzatore è stato scaltro e ha pensato di prenotare un tavolo nel privè. Peccato che altre venti persone hanno avuto la sua stessa idea e quindi quattrocento persone che tentano di far capire al buttafuori (buttafuori non certo per vocazione, ma con il diploma di scuola materna e quella grottesca conformazione fisica non hai tante altre alternative) che abbiamo un tavolo prenotato. Sperando anche che non sia lo stesso per tutti!
Dopo aver interagito a gesti coadiuvati da profondi suoni gutturali con l'armadio in giacca cravatta e auricolare che si stagliava di fronte la porta, riusciamo ad entrare e depositiamo l'obolo necessario a farci entrare. Va detto che l'aria fresca ci ha aiutato e la riconquistata lucidità ci ha permesso di fare i conti in soli 15 minuti, che sono un vero e proprio record se paragonati ai 45 impiegati al ristorante. Seguiamo l'hostess lungo un corridoio di specchi lungo il quale tutti, con la nonchalance propria di un muratore bergamasco ci aggiustiamo colletto, maniche, camicia, dato che non sappiamo cosa ci attende alla fine di quel tunnel, ho visto anche un paio di sistemate di pacco, ma non si sa mai...
La bionda con il cartellino "staff" appuntato al petto ci conduce ad un tavolo da giardino in un remoto angolo di una vasta sala con delle luci che si accendono e si spengono randomicamente e con della strana musica che esce da delle casse ad un volume decisamente troppo elevato. La sala è quasi vuota, e uno dei partecipanti, coso, la come se chiama... vebbè lui, mi dice "c'è poca gente, perché è ancora presto, vedi tra un po' come se riempie!" io penso "Presto? ma so le due de notte? Che ce viè a fa colazione quà la gente?" comunque essendo ignorante in materia mi fido e guadagno un posto nel divanetto dietro il tavolo da giardino. La serata vira in meglio quando poco dopo la bionda staffista consegna un cestello con dentro una bottiglia di vodka e altre bottiglie di scwepps al limone. Poi noto che è vodka alla pesca e la serata ritorna alla situazione iniziale ovvero tendente un po' al dubbioso. Dopo il primo giro di scwepps-vodkallapesca il tasso di allegria sale di una tacca. Nel frattempo qualche altro essere vivente ha iniziato a popolare il privè. Va fatta una precisazione. Nel pomeriggio dall'organizzatore della serata era partito un sms in cui si richiedeva un certo ritegno nell'abbigliamento per chi voleva poi continuare in discoteca. Per lo meno una camicia. Evidentemente l'sms non è arrivato a tutti, oppure i due tizi del nostro grupppo vestiti da tecnico dell'enel non sanno leggere. Fatto sta che non appena la sala inizia a popolarsi di gente... o meglio di soggetti, mi chiedo se quell'sms non fosse che un simpatico scherzone, dato che ho visto tutte le sfumature possibili e immaginabili di abbigliamento, dall'abito elegantissimo da testimone di nozze, alla canotta del mago Oronzo.

Tra un frizzo, un lazzo, un gesto istrionico la serata in disco prosegue. Dopo il secondo tonico, ovvero una boccia di rum e tante bottigliette di coca cola, siamo pronti per buttarci in pista a ballare, o per lo meno a provarci, dato che nel giro di 10 minuti la sala era completamente piena. Per me che sto al ballo come la Tatangelo al rock non è stato facile, ma gli anni di arti marziali sono serviti ad aprirmi un varco nella calca, ho usato solo gomiti e ginocchia, per creare un passaggio sicuro fino al centro della pista per il futuro sposo e gli altri partecipanti. Una volta raggiunto il centro della pista è sorto un problema, ovvero "e ora, che minchia faccio?". Con tutta la calma che avevo e con quel poco di lucidità che mi concedevano gli strobo che avevo saprati in faccia, ho tentato di imitare quello che facevano gli altri. Mi sono agitato un po' , ho dimenato le mani e braccia a cazzo, ho scimmiottato i movimenti di chi mi stava accanto, non si sono accorti di nulla, non si è creato un inquietante vuoto attorno a me, quindi forse quello che stavo facendo andava bene. Guardo l'orologio, sono almeno dieci minuti che faccio quello che sto facendo e che ancora non ho ben capito cosa sia, ottimo il mio dovere l'ho fatto, posso tornare al tavolo.
Mi siedo e dall'angolo estremo in cui ci hanno relegato posso osservare praticamente tutta la sala. Noto una transumanza assurda di donne, o ragazze o forse bambine, non è chiaro, perchè tra trucco, luci e alcol, non è facile definire la stagionatura delle transumanti. La cosa certa è che la stragrande maggioranza degli esseri di sesso femminile presenti nella sala deve aver risparmiato molto sul vestiario, alcune sembrano essersi vestite con un fazzoletto, altre invece sfoggiano addirittura un castissimo foulard. Ma se l'abbigliamento femminile è strano, quello maschile è indescrivibile. Ho visto passare ragazzi con la giacca e uno con la canottiera. Io stavo morendo di caldo e mentre pregavo per avere un rantolo di aria condizionata mi vedo passare uno con camicia, maglioncino smanicato e pashmina, pensavo fosse un miraggio, ma purtroppo era reale. Purtroppo per lui ovviamente!
Evidentemente sono io che sono fuori dal comune, perchè li sembravano tutti a loro agio, anche quello vestito con una maglietta da giocatore di football americano e un cappellino da baseball in testa.
Ad un certo punto la mia analisi della società contemporanea è stata distratta da un po' di movimento nel corridoio accanto al nostro tavolo, mosso da una insana e alquanto rischiosa curiosità mi affaccio per vedere cosa succede e mi trovo di fronte ad una scena insolita. Un buttafuori che cercava di fermare un altro buttafuori che stava letteralmente piantando a terra un tizio a suon di cazzotti. Vista l'aria che tirava ho fatto dietro front e sono tornato ad osservare a che punto ci ha portato l'evoluzione umana, giungendo alla conclusione che Darwin diceva cazzate quando parlava di selezione naturale.
Durante la mia osservazione mi sono sorti alcuni dubbi esistenziali, che ho sottoposto ad un mio amico frequentatore di questi ameni luoghi, ma non ho ancora avuto risposta.
Ma perché ogni fottutissimo trenino di ragazze finisce con un tamarro che chiude la fottutissima fila?
Ma perché se più di due ragazze si spostano, lo fanno tenendosi per mano?
La differenza tra una sala di una discoteca e una puntata di the walking dead è giusto la musica?
Io ero in dubbio sull'abbigliamento per la serata ma a quanto visto l'importante è riuscire a vestirsi più a cazzo di tutti gli altri...
Ad un certo punto saranno state le tre, un vicino di divanetto mi riporta alla realtà toccandomi il braccio e indicandomi con la testa la pista da ballo. Sulle prime non capisco, ma quando poi al movimento del capo tipo attacco fulminante di torcicollo ci aggiunge anche un occhiolino, capisco...
Non avevo notato che a poca distanza da me c'era una specie di Brienne di Tarth in evidente sovrappeso, con una criniera biondoplatino assolutamente naturale, con indosso un sobrissimo pareo leopardato che ballava in modo sensuale (o almeno credo che la sua intenzione fosse quella) con un hobbit femmina e ogni due per tre si girava nella mia direzione e sorrideva.
Sembrava un cetaceo spiaggiato che tentava senza successo di salvarsi tentando di raggiungere, sempre senza successo, acque più profonde.
La mia reazione è stata la stessa di un opossum di fronte ad un predatore, mi sono finto morto.
Ho fatto il vago e mi sono alzato per fare due passi. Al ritorno la coppia interspecie Brienne e la hobbit era sparita.
In ogni caso, avevo già salvato nelle chiamate rapide i numeri del wwf e di greenpeace, per ogni evenienza.
Concludo rivolgendomi al DJ.
Oh tu caro DJ
che dall'alto della tua console ci osservi,
son due ore che metti musica,
son due ore che vedi gente agitarsi e dimenarsi e sudare copiosamente come un esquimese a Tunisi...
lo sai, perché c'eri anche te!
Non mi puoi chiamare un SULEMANIIIIIIII!!!!!

...e che cazzo! Ma allora sei veramente stronzo!
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Panda Revolution
Ammiraglio Comandante!! Ammiraglio Comandante!!
Cossa casso te voi?
Ammiraglio comandante gò catà na panda 4x4! Podemo partir col far la rivolusion ziocan!!
Calma Tenente, calma. Che panda è? Quea nova tutta bombata che la sembra una cucciolo di multipla pisegata dale vrespe, o quea vecia, bea squadrà, tutta in lamierino che se teneva tacata con la colla a caldo?
Quea vecia Ammiraglio, la iera quea de me nono! La usavo per andar in caporea quando che iera bocia! L’ultima volta l’abbiamo usata per staccare il mascio da na vedela. Sa come che le va ste cose, mentre lui era li che faceva il suo dovere al fine di incrementare le riserve alimentari del M.O.N.A (Milizia Oltrepiave Nativamente Anti-italiana) ingravidando tutte le vacche, è passata una vedela da latte e lu non ghe gà più capio niente e gà scominsià a darge soto alla vedela. Per staccarlo abbiamo legato una corda al gancio traino della panda e abbiamo mandato mio cugino Ermede a legare l’altro capo della corda alle balle del mascio. Il mascio li per li non se n’è accorto, ma quando che gò ingranà la prima e go lassà la frission, orca sel se gà corto dea corda!
Tenente non mi interessa la bucolica storia della sua vita. Ok abbiamo quello che ci serve. Possiamo dare il via all’operazione Tanko Argentino! Raduni gli uomini della sua cellula dormiente, il rendez-vous è alle 21:00 di domani nell’officina dell’operativo Fantin.
Mi scusi Ammiraglio, non go mia capio ben indove che gavemo da catarse, da Fantin go capio, ae nove go capio, ma sto randevù, cossa l’è?
(facepalm) Tenente me disi come casso ghetù fato a diventar tenete ti? Semo così messi male? Tenente Bortolin, le coordinate sono:
domani sera, alle 9, dal Fantin con i suoi uomini. Chiaro?
Capio Capio Sior Ammiraglio Comandante!
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Buonasera Signori!
Buonasera Ammiraglio Comandante!
Bene signori siamo qui per decidere le sorti della nostra terra, per liberarla dal terrone oppressore e dal neger che ruba il lavoro ai nostri giovani!! Certo sono lavori che i nostri giovani virtuali non vorranno mai fare, ma chi siamo noi per giudicare!
(urla di giubilo) SIII!! Fora i terun!!! Fora i negher!!! Viva il Duce!!!
Come prego? Signori credo di non aver udito bene.
…viva il Doge Amiraglio, viva il Doge!!
Ah bon. Il nostro Tenente Bortolin con un gesto eroico e con grande sprezzo del pericolo ha donato alla nostra rivoluzionaria causa un mezzo di immenso valore.
La sua collezione di VHS di Milli D’abbraccio?
No signori, un bene molto più prezioso, una Fiat panda! Ma non una normale panda, una panda 4x4, con un mezzo del genere possiamo avviare l’operazione Tanko Argentino!!
Tan… cossa? Tanghero? ahhh Fango!!! Ma perchè il fango argentino? Non ne abbiamo abbastanza qui di fango noi? Perchè quello argentino? Comunque si, la panda 4x4 sul fango da il meglio di se. Se sei bravo riesci a far diventare marrone il tettuccio senza schizzare i finestrini…
Signori per favore!!! Ma voi non le leggete mai le mail con i dispacci del MONA? …già cretino io che faccio queste domande! A malapena riuscite ad usare il citofono, non sapete nemmeno cosa è un computer, e il tablet lo usate solo per pistolare siti porno! Dobbiamo progettare la nostra arma definitiva, il mezzo d’assalto necessario per conquistare piazza San Marco! Dobbiamo progettare il Tanko! Ok vedo dai vostri sguardi intelligenti che non avete la più pallida idea di cosa sia il Tanko. Partendo dalla Panda del nonno di Bortolin dobbiamo realizzare un carro armato, che useremo per marciare su San Marco e far vedere a Roma ladrona e a tutti i teroni e negher che noi non li vogliamo nella nostra terra!!
SIII!! Fora i terun!!! Fora i negher!!! Viva il Duce!!! (urla di giubilo)
(facepalm) ..ma lo fate apposta!! Signori, bando alle ciance! La secessione ci chiama!
Vi illustro il mio progetto. Per prima cosa io inizierei con il rivestire di lamierino tutta la carrozzeria della panda, lasciando degli spioncini per permettere all’autista di vedere dove sta andando,lasciando una fessura anche per lo specchietto retrovisore, in caso di retromarcia… Poi pensavo di piazzare un cannone sopra il tettuccio e delle mitragliatrici ai lati che escono fuori dai finestrini, anch'essi blindati. Che ne pensate? Tenente Bortolin, pareri?
Ammiraglio Comandante, come si vede che lei ha studiato! Lei si che ha fatto la scuola RadioElettra di Torino! Sta roba quà la avevo vista in tre quarti delle puntate dell’A-Team che fanno su Italia 2 indopo mezzanotte, ma quele erano cassate! Si vedeva lontano un chilometro che erano robe finte, ti pare a te che quattro persone lasciate da sole in un magazzino di attrezzi meccanici riescono a tirare su un trattore blindato con un cannoncino che poi spara e che liberano tutti? Qui invece si vede che lei ha studiato e si capisce dalla fessura per lo specchietto retrovisore, che quelli dell’A-Team non ci avevano mica pensato! Infatti per fortuna che non hanno dovuto fare retromarcia, se no volevo vedere io come facevano loro!!
Lei Maggiore Fantin, vista la sua esperienza nel settore meccanico, cosa ne pensa del mio progetto?
Progetto eccellente Ammiraglio Comandante! Mi domandavo solo una cosa. Adesso è Aprile, scominsiemo ad andar incontro alla bella stagione. Puta caso che scominsiemo doman a far i lavori, ora che catemo tutti i tochi, lamierin, cannoncin, mitragliatrici, salda tutto, daghe na mano de antirugine e do mani de pitura, na spruzzata di acqua del Po, se farà giugno o luglio, quindi sarà caldo, e quindi pensavo che drento il Tanko sarà ancora più caldo che de fora, quindi go avuo n’idea veramente genial, perchè non femo un Tanko Cabriolet? Go già in mente tutto, catemo il flex (frullino, smerigliatrice) e tiremo via tutta la capota, tutta un livello, dai finestrini in su, così che anca se fa caldo, almeno passa una scianta de aria e quel povero desgrasià che l’guida così non suda non si ammala e noi non perdiamo un soldato.
Comprendo pienamente e ammiro la sua preoccupazione per la nostra truppa Maggiore, ottima idea quella di far un Tanko cabriolet, c’è solo un piccolo problema, senza il tettuccio non possiamo fissare il cannoncino, quindi un MONA dovrebbe tenerlo in spalla come un sacco da 50 Kg di mangime per le galline ovaiole!
Ammiraglio Comandante permette un’osservazione?
Chi è lei? Si qualifichi
Operativo Battista Battiston, si ho dei genitori che sono veramente dei burloni. Sa Ammiraglio, pensavo che, essendo lei già stato al centro di polemiche per aver scalato il campanile di Piazza San Marco, per aver aizzato i Forconi contro lo stato, per aver organizzato le ronde notturne padane antinegro, per essere stato più e più volte fermato durante leggendari puttantour con tanto di fiat ducato carico di nigeriane… ecco ora non voglio elencare tutto il suo curriculum, ma dicevo non è che avendo già avuto delle “discussioni” con le forze dell’ordine, queste la stiano tenendo sotto controllo e questa riunione sia un po’ avventata, dove con avventata ho volutamente usato un sinonimo per dire che qui stiamo tutti rischiando la nostra virile verginità anale?
Battiston! I suoi genitori sono stati estremamente lungimiranti, un pusillanime come lei si merita un nome di merda! Per quanto riguarda quello che ha detto, si è vero, ho già avuto a che fare con le forze dell’ordine, ma tanto quei terroni in divisa al servizio di Roma ladrona non sono capaci di trovare neanche il cappello che hanno in testa! Poi tanto per non farci intercettare basta spegnere i cellulari… quindi possiamo stare più che tranquilli!!
Due minuti dopo le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nel covo dei MONA. Lo scontro è stato duro, dai rapporti depositati agli atti si legge che le forze dell’ordine hanno usato proiettili non letali e gas lacrimogeni, i militanti del MONA barricati dietro la panda 4x4 rispondevano al fuoco con poderosi lanci di porconi, intesi come suini che come bestemmie e citazioni del loro carismatico leader, il Trota. Ci sono stati alcuni feriti tra gli agenti di polizia, finiti sotto dei suini e due carabinieri colpiti fortunatamente di striscio da una raffica di Ziocan. Alla fine la legge e l’ordine hanno avuto la meglio e tutti i MONA sono stati catturati, ammanettati tradotti in questura e durante il tragitto, nella radio della camionetta dei Carabinieri c’erano in modalità repeat-all tutta la discografia di Pino Daniele e Gigi D'Alessio, ovviamente pezzotti!
Condannati dai giudici per sovversione, associazione clandestina, eccessiva ignoranza sono stati reclusi nel carcere dell’ucciardone.
Qualche giorno dopo, nell'officina del fu Operativo Fantin,nascosto sotto un telo, tra una fiat duna color sabbia e una ritmo cabrio diesel è stato ritrovato questo:

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Cosa abbiamo imparato oggi?
Oggi ho imparato alcune cosine sull'universo microsoft.
Vorrei premettere che PRIMA di imparare queste cosette ero una persona sensibilmente più felice, e che molti santi sono stati nominati in questa giornata.
Prima cosa: Windows Server 2008 è l'equivalente informatico de la corazzata potemkin, o semplicemente è il male.
Secondo cosa: Microsoft SQL Server 2012 NON E' compatibile con Windows Server 2012, e ritengo che questa sia una cosa a dir poco fantastica, rasenta la follia, ma è perfettamente in linea con le politiche di Microsoft.
Terza cosa: Ammettiamo per ipotesi ti venga chiesto di testare la compatibilità e verificare il funzionamento di una applicazione su Windows Server 2012 e tu perda una giornata a tirare su madonne per tirar su un ambiente virtuale e configurare tutto il necessario per fare i test. Ammettiamo che tu faccia i tuoi maledetti test di compatibilità. Ammettiamo che verifichi il corretto funzionamento dell'applicazione. Ammettiamo che sistemi anche qualche problemino su alcuni script, visto che ti ci trovavi. Ammettiamo che, a fine giornata, tu sieda, stanco ma soddisfatto del tuo operato, alla tua scrivania, devastato da questa e mille altre attività svolte nella giornata, arrivi qualcuno e ti dica: "...ma era Microsoft Windows Server 2012 o Microsoft SQL Server 2012?"
Avendo già invocato almeno due calendari nell'attività appena terminata, ho preferito entrare in "Guru meditation mode"
rifugiandomi nell'angolo sicuro della mia mente, isolandomi dal resto del mondo, coadiuvato, nel farlo, dall'assunzione una discreta quantità di alcol.
Evidentemente tutto il lavoro fatto sul mio io, sulla mia spiritualità è servito. Di quanto accaduto durante la mia meditazione non ricordo nulla. Solo una profonda pace interiore e un incredibile senso si soddisfazione.
Finito di meditare, ho notato alcuni strani fatti.
I colleghi in ufficio mi guardavano con sospetto, alcuni addirittura con terrore.
Le mie mani erano sporche di una sostanza densa e di colore rosso.
Alcune mattonelle dell'ufficio erano smosse e non più livellate come prima...
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Iniziamo con dolcezza
A quanto pare in ufficio sono una persona ben voluta da tutti, una persona con cui tutti si trovano bene.
In verità, non so come mai la gente abbia questa idea di me.
Forse per il fatto che sono una persona allegra ed estremamente buona... Forse per il fatto che i colleghi non riescono a leggere i miei pensieri... Forse per il fatto che se posso aiuto tutti senza distinzione di età, sesso, etnia, quoziente intellettivo... O forse perché nei due anni trascorsi al reparto infrastruttura mi sono fatto degli "amici".
Come già da tempo accade, in questi giorni abbiamo in visita dei collaboratori degli investitori americani. Uno di questi collaboratori viene dall'Inghilterra, ed è molto goloso di dolciumi, e il suo aspetto fisico lascia trasparire questa "passione". Dolciumi in genere e di cioccolato in particolare. C'è da dire però, che ci adopera la cortesia di portare ogni volta una buona scorta di dolci e dolcetti che qui da noi non si trovano e di condividerli con alcuni fortunati dell'ufficio. Va anche detto che questi colleghi da quando sono "fortunati" occupano più spazio e hanno una glicemia tale da far impallidire un responsabile della qualità della Ferrero. Oggi recandomi per facezie lavorative nella stanza dell'IT, sulla scrivania del mio "mentore" ho notato questo:

e ho avuto l'ardire di fare qualche apprezzamento ironico su questa "cosa".
La "cosa" in questione altro non è che la versione bastarda del nostro caro ovetto kinder. Trattasi infatti di un ovetto di cioccolato delle dimensioni leggermente inferiori a quelle del dolce compagno della nostra infanzia, ma essendo gli inglesi dei gran burloni, oltre che rinomati per la loro arte culinaria, hanno ben pensato di sostituire la sorpresa dell'ovetto (croce e delizia di ogni pargolo) con un ripieno, generando così il Godzilla dei cioccolatini. Un mostro, un abominio cioccolatoso, tanto buono quanto devastante. Vogliamo parlare del ripieno? Un uovo di cioccolato, con cosa lo puoi riempire? Con dell'altro cioccolato? Banale! Con della crema alla nocciola? Già visto! Con del riso soffiato che occupa spazio e ti fa anche risparmiare? Troppo salutare! Ovviamente no. Riempiamolo con del CARAMELLO! In pratica hanno creato il Chuck Norris degli Chocolate Eggs.
Il mio mentore che è risaputamente un infame, si è premurato di reperire uno di quei mostri e nel tardo pomeriggio me lo ha gentilmente depositato sulla scrivania.
Ringrazio il succitato infame per il pensiero, ovviamente.
Per qualche istante fui anche felice di questo dono. Fui felice finchè non ebbi la malaugurata idea di prenderlo in mano per saggiarne la consistenza. Per la consistenza nessun problema, ma quello che mi lasciò alquanto perplesso fu stato il peso. Come poteva un oggetto relativamente piccolo essere il detentore di una massa così grande? Se fosse stata di poco più grande avrebbe avuto una gravità propria e penne e matite della mia scrivania avrebbero iniziato ad orbitargli intorni. Ho pensato addirittura che il ripieno fosse a base di uranio impoverito!
Per evitare problemi o sbilanciamenti del'asse terrestre l'ho posato sulla scrivania, e con molta calma ho ripreso le mie attività lavorative, dimenticandomi completamente dell'artefatto iperglicemico. Solo mezz'ora dopo le 18, quindi in pieno straordinario non retribuito, il mio occhio stanco notò quel bozzolo variopinto che sporgeva dalle carte della mia scrivania. Non so dire per quale motivo lo feci, ma decisi di assaggiarlo, di sfidare la sorte, di infrangere le leggi della fisica, della chimica e della termodinamica, tutte in una sola volta. Rimossi con molta cura il sottile strato di alluminio colorato che proteggeva l'oggetto, notando il suo colorito nocciola, e abbandonandomi lungo le linee delle fantasie che fregiavano, impreziosendolo, quel perfetto guscio di cioccolato. Una volta nudo, mi apparve in tutta la sua magnificenza, un uovo perfetto, dalla superficie finemente ricamata, nelle cui aliene linee si rifletteva tutta la meraviglia dell'universo.
Mi ritrovai a sorreggere quella pietra filosofale della cioccolateria moderna con pollice indice e medio della mia mano destra mentre nella mia mente si combatteva l'eterna lotta tra il bene e il male. Una parte di me desiderava solo ammirare tale magnificenza all'infinito, l'altra bramava invece di assaporare, di saggiare se la sua bontà, fosse pari alla sua bellezza. Inutile dire chi ebbe la meglio.
Decisi quindi di addentare l'uovo, ma il bambino curioso che è in me, voleva vederne l'interno, quindi rimossi con un morso solo la punta, rivelando così un interno STRACOLMO di caramello LIQUIDO.
Il mio cervello ci mise qualche frazione di secondo per riprendersi dallo stato di estasi generata da quella visione, e non appena riprese le sue normali limitate funzioni mi accorsi del tremendo errore che avevo fatto incidendo la parte alta del nostro Godzilla Kinder. Grazie alla temperatura tropicale del nostro ufficio, il caramello già liquido di suo era ESTREMAMENTE liquido, pronto a colare e impiastricciare in ogni dove, e considerando la quantità di ripieno avrei potuto inzaccherare completamente la mia scrivania e tranquillamente quelle di altri tre o quattro colleghi.
La decisione fu sofferta ma rapida, feci come il Rag. Fantozzi fece con il tordo ( http://youtu.be/2veeOtqVSh4?t=4m25s )
UOVO INTERO!
In un solo boccone ho assorbito le calorie di circa 3 pranzi... matrimoniali. In principio il guscio di cioccolato protesse le mie ingenue papille gustative da quanto sarebbe loro toccato di li a poco. Anche se riflettendo meglio sull'accaduto forse non era gentilezza ma solo cattiveria di chi ha creato quell'abominio della pasticceria industriale. Ok avevo salvato l'ufficio da quello tsunami di caramello, ma ora era sopraggiunto un altro problema. Dovevo respirare e per farlo addentai con tutte le mie forze l'uovo che avevo nelle fauci... Una esplosione di caramello, una valanga di... di... di dolce, non so come altro descrivere quella sensazione. La cosa peggiore di tutto, non è stata l'abnorme quantità di calorie ingerite, ma la dolcezza provata. Non ho mai mangiato nulla di così stucchevolmente e nauseantemente dolce.
Ho provato dolore ai denti per quanto dolce era quel fottutissimo ovetto. Non mi era mai successo in 33 anni di vita una cosa del genere.
...ed ora, a distanza di ore dal fatto, sento distintamente il caramello scorrere nel mio corpo. Lo sento mentre attraversa i vari tratti del mio intestino. Lo percepisco mentre si insinua nelle mie vene... mente si impadronisce della mia mente.
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La taverna riapre
E' proprio il caso di dire "a volte ritornano".
Forse alcuni di voi non rammenteranno la mitica Taverna del Fax, (e per questo ritenetevi fortunati) per tutti gli altri
http://www.youtube.com/watch?v=vYturXuL8nQ
Purtroppo mi è tornata la voglia di scribacchiare, non so come mai, o meglio, lo so, io vado a periodi, e in questo periodo mi sento produttivo. In ogni caso so che non riuscirò mai a bissare il successo della prima taverna, ma così come si è evoluto il mondo, la società, la tecnologia, mi sono evoluto anche io e ho puntato su Tumblr per scrivere le mie cazzate.
Non so ancora cosa ci finirà qui dentro, forse frammenti della mia quotidianità, forse cose serie, molto più probabilmente cazzate...
che dire, datemi giusto il tempo di tirar giù qualche ragnatela, apparecchiare qualche tavolo e poi...
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