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ROSSI C'E'

Doverosa premessa … Carissimi lettori, se state leggendo questo articolo è perché siete amanti dei motori e io non posso far altro che imparare dalla vostra passione e dalla vostra esperienza. Negli anni, però, ho affinato la sottile tecnica di “guardare le ruote che girano”, ascoltare le tante storie che portano con sé: strade, viaggi, idee, ricordi, memorie. Ed è così che “darò voce alle storie”... lasciando che John Lennon faccia da colonna sonora. People say I'm crazy doing what I’m doing I'm just sitting here watching the wheels go round and round (Whatching the wheels, John Lennon) Tavullia non ti capita tra le ruote. A Tavullia ci vai perché stai cercando quel qualcosa che lo rende un paese diverso da tutti gli altri disseminati sull’Appennino. Ci vai perché vuoi respirare l’odore di giuggiole e pneumatici. Ci vai perché è diventata una mecca del motociclismo e le testimonianze sono numerose e tangibili a partire dal cartello che annuncia il nome del paese: prima stazione per selfie di rito e firma d’ordinanza.

Se arrivi da nord non hai nemmeno il tempo di chiederti come trovare le tracce di Valentino perché, appena formuli questo pensiero, trovi alla tua sinistra il logo fluorescente “Vr46” e anche lì incontri bikers di tutto il mondo, pronti a sfilarsi il casco per uno scatto da inviare a tempo record agli amici per farli morire d’invidia. Tavullia non ti capita tra le ruote e sai che tra gli Appennini e le coste romagnole, potresti trovare molti posti pittoreschi per gustare le delizie della cucina romagnola, ma sei a Tavullia anche per andare all’Osteria Rossi, sederti a quel tavolo circondato da una famiglia di centauri, con una vista spettacolare… quasi come le polpette al ragù che, nel frattempo, ti hanno messo nel piatto e ti fanno scordare in un attimo i km fatti per arrivare. Lì non hai bisogno di litigare per far cambiare canale al gestore del bar: il monitor è fisso sulla MotoGp, si guarda insieme, ci si piega in gruppo e si grida “Rossi c’è” … anche se parte dal 72° posto.

Intorno, code di appassionati vogliono acquistare un ricordo di Valentino Rossi, abitazioni trasformate in B&B a prova di motociclista e i disegni dei bambini (anche qui di ogni provenienza), salutano il loro Campione in attesa di veder nascere lo Yellow Park. Più in là, lo sguardo cerca il crinale del colle dove scorgere il suo memorabile ranch. Mentre cammino e vivo questa comunanza tangibile, accarezzo con lo sguardo il muro di Valentino, dove il suo fan club ha raccolto le foto che raccontano la storia di questo ragazzino smilzo, che aveva più ricci che chili addosso e che, a ogni età, era pronto a dar di matto con la sua moto. Sorrisi, vittorie, lacrime: c’è tutto nella vita di un Campione. Ci sono anche quei 24 km che separano Tavullia da Coriano, quei secondi tra la vita e la morte, tra il continuare a correre e il volare.

Nella vita di molti, e di certo in quella di Valentino, c’è un prima e un dopo Sic. Lo vedi nel suo sguardo che si è perso definitivamente qualcosa dietro quel casco che rotolava sull’asfalto, mentre la sua ruota continuava a correre. Chiunque avrebbe mollato. Chiunque avrebbe chiuso dentro un silenzio implacabile la parola basta. Vale no e mi piace pensare che abbia continuato a stare in sella per onorare quel folle Amore che lo univa, e lo unisce al Sic. Mi piace pensare che nello stare accanto al fratello Luca o ai Morbidelli che si avvicenderanno nella sua vita, Vale terrà fede al Sic, tenendo in vita quella Passione che li unirà per sempre.

Per gli amanti dei numeri e del business, è importante sottolineare che le uniche due società in perdita del regno VR46, sono quelle dedicate alle scuderie dei giovani con la VR46 Junior Team con un passivo di 0,05 milioni di Euro e la Test Track che segna un rosso di 0,2 milioni. Un investimento coperto ampiamente dagli utili delle altre società della costellazione Rossi (fonte https://www.money.it/quanto-guadagna-Valentino-Rossi-fatturato-societa) Ripensando a questo viaggio a Tavullia di qualche mese fa, non riesco a non pensare che le critiche piovute da ogni dove in queste prime gare di Moto Gp 2021, non rendano merito al campione Rossi. Esplosivo quando vince, irruento quando perde e si sente tradito, soprattutto da se stesso, arrabbiato con chi era amico solo nei giorni di gloria.

Io non mi intendo di motori, passo il mio tempo a guardare le ruote che girano, ascoltando le storie di uomini e donne, ma una cosa l’ho capita. Quel posto, su quella moto, anche a 42 anni, anche nella Moto Gp del 2021 il Campione Rossi, l’Uomo Valentino, l’imprenditore di Vr46, se l’è guadagnato, e credo che non spetti a chi misura solo in podi il successo di una persona, infierire gridando a gran voce “ritirati”. Vale resta in sella, al primo o all’ultimo posto perché lo sguardo di un campione va oltre il traguardo dell’ultimo giro. testo e foto: Laura Defendi Read the full article
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MEGOLA

Nel 1921 in Germania, esattamente a Monaco di Baviera, i signori Meixner, Cockeral e Landgraff fondano una società meccanica e giocando con le iniziali dei loro nomi, la chiamano “Megola”. In quegli anni, del dopo guerra, si respirava una forte aria di rinnovamento. La corrente avanguardista del Futurismo gridava ad alta voce il potere liberatorio della velocità e le auto e le moto divennero veri oggetti di culto. Anche gli aerei divennero famosi, grazie anche alle prime trasvolate oltre oceano. Furono proprio gli aerei che influenzarono i tre ingegneri tedeschi nella progettazione di quella che divenne la moto più innovativa del XX secolo (e oltre). Decisero, infatti, di realizzare un motore stellare come quello montato sugli aerei, ma in dimensioni decisamente più piccole, e alloggiarlo all'interno della ruota anteriore.

La differenza sostanziale con un classico motore a stella (oltre alle dimensioni) era che negli aerei l’albero motore centrale girando trasmette il movimento (infatti è lì che viene montata l’elica), mentre nella Megola l’albero motore è il mozzo, ed è fisso; bloccato con la forcella. E’ tutto il blocco motore che gira portando in rotazione anche la ruota. Geniale. La prima ed unica moto a trazione anteriore era stata inventata.

Ma le innovazioni non si fermano qui. I cinque cilindri del motore stellare portavano la cilindrata a 640 cc con una potenza di 14 cv (direttamente alla ruota) che portavano la Megola a fare gli 85 km/h. Niente male per l’epoca. La manutenzione era studiata per essere facile e semplice, lo stesso copertone era realizzato per essere sostituito senza smontare la ruota. L’assenza della frizione rendeva impossibile fermarsi senza spegnere il motore ma l’avviamento era talmente facilitato che bastava una spinta per ripartire.

Il telaio, con l’assenza di un motore, del cambio e della trasmissione, poteva estendersi senza interruzioni, dal canotto alla ruota posteriore ed essendo “scatolato”, il suo interno veniva usato come serbatoio portando il baricentro molto in basso a tutto vantaggio della guida. Nella seconda versione, la seduta era ricavata nel telaio stesso. Insomma, una specie di scooter ante litteram.

Questa moto/scooter ebbe un grande successo di pubblico (anche nelle competizioni sportive tedesche) e furono vendute 2000 esemplari fino al 1925 anno in cui la Megola smise la produzione. Ad oggi, di questo mezzo avveniristico e rivoluzionario, ne sono “sopravvissute” solo 10 esemplari di cui uno è custodito nel Museo Guggenheim di New York. Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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IL CIRCUITO DELL'EUR

Il circuito cittadino di Roma è uno dei più lunghi nel calendario del Campionato del Mondo di FormulaE. Si svolge sulle strade del quartiere dell'EUR, quest'anno il circuito è stato variato per evitare di bloccare il congestionato traffico cittadino e non recare disagi ai cittadini che risiedono lungo il tracciato. Il via verrà dato a Lago Parri, si girerà intorno all'obelisco di Piazza Marconi prendendo via della Civiltà del lavoro direzione "Colosseo Quadrato", si scenderà poi verso Viale Tupini per lasciare sulla sinistra la fermata MetroB della Magliana e prendere in velocità il viale delle Tre Fontane. Staccata decisa e svolta a destra su viale dell'Industria costeggiando in salita il LUNEUR lasciando il palazzo dei Congressi e il piazzale dell'Industria dove ci sono i BOX.

Ultimo tratto della Cristoforo Colombo per tornare all'Obelisco! Il tracciato è lungo 3385 metri è conta 19 curve. La ristrutturazione del tracciato prevedeva ampie tribune per il pubblico, purtroppo le norme per il COVID-19 hanno imposto lo svolgimento della manifestazione a porte chiuse. Inizio della Gara1 per le ore 16:00, domani alle 13:00 si replicherà con Gara2. testo THE BIKE - foto ABB FormulaE Read the full article
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FIAT MONSTER

Se pensi che il tuo V8 da 6000 litri sia il top da avere sotto il cofano, dovresti sfogliare qualche libro di auto storiche da record per accorgerti che è stato fatto di meglio. Di molto meglio. La passione per i record di velocità in auto nasce negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale ma si sviluppa negli anni seguenti. Perché? Non ponendosi alcun problema di aerodinamica, chi costruiva le auto da record, voleva mettere sotto il cofano il più grande motore possibile e, a quel tempo, i motori di aerei militari in eccedenza era il propulsore più potente e facilmente disponibile.

Alcuni “mostri” dell’epoca sono sopravvissuti fino a noi, altri sono stati costruiti con pezzi e idee dell’epoca. Ad esempio la Bentley Meteor è un’auto da corsa costruita nel 2011 da Bob Petersen rispettando i criteri e i materiali dell’epoca, infatti il telaio è di una Rolls-Royce Phantom II del 1930 mentre il motore è un mostruoso V12 da 27 litri preso da uno Spitfire. Oppure la Brutus, realizzata nel 2006 da Hermann Layher, che ha preso un telaio di una camion dei pompieri American La France del 1908 e ci ha messo su un V12 aeronautico VI del 1926 della BMW da quasi 46 litri!

Ma non sono gli unici. C’è una Pakard-Bentley da 41.800 di cc, una Campbel-Railton Blue Bird di 36.582 cc, una Chitty Bang Bang di 27.000 cc, una Sunbeam 1000 HP da 22.444 cc, ecc ... tutte costruite con criteri e materiali di inizio secolo. In questa classifica non poteva mancare la Fiat che con quattro modelli “mostruosi” si difende egregiamente. FIAT SB4 ELDRIDGE MEFISTOFELE - Questo modello venne realizzato nel 1924 da Ernest Eldridge con l’obiettivo di battere il record di velocità. Ad Ernest venne l’idea di quest’auto quando, un paio di anni prima, stava assistendo ad una gara di velocità sul circuito di Brooklands. John Duff al volante di una vecchia SB4 del 1908 stava spingendo al massimo per recuperare posizioni, quando un cilindro esplose ed il pistone sparato fuori trascinò il cofano con se e lascio John a piedi. Ernest comprò il rottame a pochi soldi, allungò il telaio con pezzi di un autobus e riuscì a montarci un Fiat A12 da 21.700 cc preso da un aereo. Quando nel ’22 si presentarono ad Arpajon in Francia per battere il record, il pubblico ribattezzò subito la macchina con il nome “Mefistofele” per il rumore e le fiamme che faceva quando accesa. Eldridge portò la macchina a 230,55 km/h battendo il record, oggi la vettura è conservata nel Centro Storico Fiat a Torino.

FIAT BOTAFOGO SPECIAL - Di quest’auto si hanno poche notizie. Si sa che il suo costruttore, Adolfo Scandroglio, era un appassionato di velocità come Ernest Eldridge che costruì la Fiat Mefistofele. Non sappiamo in quale anno costruì questo prototipo artigianale ma sappiamo che usò lo stesso motore aeronautico Fiat A12 montato sulla Mefistofele. L’auto era molto difficile da guidare tanto che Scandroglio gli diede il nome di Botafogo come la razza dei puledri argentini. Con la sua morte anche l’auto sparì, Forse smontata o distrutta. Jay Leno, autore televisivo e collezionista di auto, l’ha fatta ricostruire tenendo fede ai filmati e alle foto dell’epoca.

FIAT-ISOTTA FRASCHINI 1905 – Il collezionista Graham Rankin comprò questa Fiat-Isotta Fraschini negli anni ’90 con l’idea di portare avanti il progetto Fiat (che mai a Torino portarono a termine) di realizzare un’auto da corsa per i record di velocità. La sua idea era quella di mettere sotto al cofano un motore potente che non richiedesse molte modifiche al telaio. Nella tenuta del record-man Gar Wood, Graham trovò quello che fa per lui. Un motore del 1907 di un dirigibile della Prima Guerra Mondiale. Un sei cilindri di 16.500 cc. Graham purtroppo fu costretto a vendere la sua auto incompleta, ma il nuovo proprietario, il britannico Mike Vardy ha terminato i lavori e oggi la guida nelle rievocazioni storiche.

FIAT S76 RECORD - Conosciuta anche come Fiat 300HP (la Belva di Torino) la S76 era un’auto costruita tra il 1910 e il 1911 (in soli due esemplari) dalla Fiat con l’unico obiettivo di battere il record di velocità. Il motore, opportunamente modificato, era un S76 a quattro cilindri di origine aeronautica e vantava una cilindrata di 28.353 cc per 290 cv. Mentre il primo dei due esemplari fu smantellato al termine della prima guerra mondiale, il secondo, sopravvissuto solo il telaio, fu comprato da Duncan Pittaway che con pazienza si dedicò al restauro. Grazie anche al grande lavoro di un giovane tecnico e storico italiano, Leonardo E. M. Sordi, il motore fu ricostruito completamente e nel 2015 iniziò a girare. Oggi la Belva di Torino è facile vederla Goodwood Festival Of Speed.

Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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UNA MOTO CHIAMATA CAVALLO

Verso la metà degli anni ’80 la Ducati navigava in acque tormentate. Le vendite andavano male, il modello di punta della produzione, la Ducati F1, trovava difficoltà ad essere venduta (specialmente all'estero) perché non superava più le nuove norme restrittive in materia di inquinamento, (tanto che nel ‘88 la produzione si sarebbe fermata). Quindi la Ducati, spinta anche dal rinnovamento ispirato dall'acquisizione del marchio da parte dei fratelli Castiglioni, cercò nuovi mercati e nuovi clienti per le proprie moto e decise di mettere in produzione dei modelli che andassero incontro a quei clienti, amanti del marchio, ma meno “pistaioli”.

I primi modelli del rinnovamento escono con il marchio Cagiva. La Alazzura è la versione ringiovanita e più turistica della Ducati TL e la Elefant è la versione bicilindrica e più dakariana della Aletta Rossa. Fu proprio quest’ultimo modello che ispirò la realizzazione di una custom, dallo stile americano, con il marchio Ducati. L’Indiana. Presentata all’ EICMA del 1985, l’Indiana aveva "rubato" il telaio doppia culla a tubi quadri e il motore Pantah 350 e 650 (portato poi a 750) della Paso e della Elefant.

L’obiettivo della Ducati era di conquistare i biker più rock, quelli che preferivano (specialmente in America) moto come la Suzuki Intruder, la Yamaha Virago o la Kawasaki Vulcan. Le carte c’erano tutte: Linee piacevoli con gusto europeo, cromature ben fatte, potenza disponibile e soprattutto guidabilità invidiabile se paragonata alle giapponesi. Nonostante la moto piacesse e nonostante una campagna pubblicitaria fatta di forniture alle forze dell’ordine di molti comuni, la Indiana fu venduta in pochi esemplari.

La Ducati fece un doppio errore: Anticipò troppo il boom delle custom che sarebbe arrivato all'inizio degli anni ’90 e smise la produzione quando l’interesse sulle custom stava nascendo. Un marketing fallimentare. Nel ’89 produzione si fermò con all'attivo poco più di 2.300 unità vendute che la rendono, oggi, un modello molto ricercato dagli appassionati. Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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L’ORIGINE DELLA 600

Quando nel 1955 Dante Giacosa presentò al pubblico la FIAT 600, disse che aveva creato una innovativa auto con soluzioni semplici per amore del progresso. In effetti era già dal 1952 che la FIAT studiava un progetto per sostituire la Fiat Topolino. Ne vennero realizzati 5 prototipi tutti con il nome "FIAT TIPO 100".

Abbiamo pubblicato sulla nostra pagina FACEBOOK in filmato realizzato nel 2015 dalla rivista "RUOTECLASSICHE", dove la TIPO 100 del 1952 viene portata in uno studio fotografico. La parentela con la futura FIAT 600 è palese, portiere controvento, motore e trazione posteriore, quattro posti comodi e un bagagliaio anteriore dove trova spazio anche il serbatoio della benzina. All'interno un solo strumento dove ci sono delle spie di indicazione, l'indicatore della velocità e il totalizzatore dei km.

I sedili sono in tela tipo sedia a sdraio, soluzione che troveremo nel 1980 sulla FIAT PANDA. Il motore è un bicilindrico a V di 150°, 579cc, 15 cavalli di potenza, raffreddamento ad aria, cambio a tre marce con frizione automatica...manca infatti il pedale del comando. Il peso contenuto in 510 kg per una velocità massima di 85km/h.

Questo non fu il motore che adottarono al lancio della FIAT 600, si scelse un 4 cilindri ad aste e bilancieri raffreddato ad acqua, con cambio a 4 marce. Questo motore con iniziali 633cc con 21,5cv di potenza ebbe tante evoluzioni, equipaggiò la versione della 600 portata a 750cc, la FIAT 850, la 127, la A112, la PANDA e per finire la FIAT UNO. Con la FIAT 600 l'Italia si motorizzò nel momento in cui l'economia del nostro paese ebbe un'impennata favolosa...il boom economico. Altri tempi! testo THE BIKE - foto RUOTECLASSICHE Read the full article
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PLINIO CODOGNATO

Plinio Codognato nacque a Verona nel 1878. Fin da ragazzo manifestò la sua passione per la pittura tanto che in seguito si iscrisse all’ Accademia d’Arte di Verona. Mosè Bianchi, allora direttore dell’Accademia, notò subito il talento di Codognato e gli suggerì di tralasciare la pittura per dedicarsi alla pratica dell’illustrazione e della grafica pubblicitaria, materie in cui era notevolmente portato.

Codognato seguì il consiglio tanto che nei primi del 900 era già molto conosciuto avendo realizzato parecchi manifesti pubblicitari per numerose aziende e lo divenne molto di più quando nel 1906 vinse la medaglia d’oro al concorso organizzato dalla Prima Esposizione d’Arte Pubblicitaria.

I disegni di Codognato erano riconoscibili in quando si allontanavano molto dallo stile Liberty e Belle Epoque molto in voga a quei tempi. Nel 1910 realizzò un manifesto per ricordare l’impresa di un aereo che aveva sorvolato il valico del Sempione. Fu l’antipasto di un argomento che Codognato amò molto. Quello dei motori. Anticipando le rappresentazioni grafiche del progresso meccanico, dei mezzi di comunicazione e della velocità tanto care al Futurismo.

Dopo la fine della guerra, verso il 1923, inizia la sua collaborazione con la Fiat, diventandone l’illustratore, a seguire anche altre aziende dell’industria meccanica affidarono a lui le proprie pubblicità (Bianchi, Pirelli, Frera, Atala, Dunlop, Pirelli, ecc) ma i manifesti ove Codognato rendeva al meglio erano quelli dedicati al tema delle gare motoristiche di velocità.

Nei suoi disegni era facile vedere alcune figure mitologiche che il maestro amava “miscelare” con contenuti moderni. Sirene, fauni, grifoni e centauri erano quasi una firma dei suoi lavori che, con il dilagare dello stile grafico “Futurista” di quegli anni, risultarono sempre più anacronistici. Codognato non ebbe tempo di dispiacersi del suo calo di notorietà perché nel settembre del 40 morì a Milano. Delle sue 1000 opere buona parte sono raccolte nel museo civico di Treviso, mentre le altre distribuite in altri musei e collezioni private.

testo: WeeGee - foto: Web Read the full article
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DORIANO ROMBONI

Doriano Romboni, per tutti era Rombo, insieme a Biaggi e Capirossi era considerato la nuova speranza del motociclismo Italiano. Era nato a Lerici nel 68, arriva al motomondiale a 20 anni in 125, nel 90 si mette in luce con le prime vittorie terminando 4 nel mondiale nel 90, un risultato enorme per quei tempi visto il numero dei partecipanti a quella categoria. Nel 91 il passaggio alla 250 in Honda con un podio l'anno successivo in Francia. Nel 96 arriva alla 500 in Aprilia dove eredita la moto sviluppata dall'amico Loris Reggiani. Nel 98 passa alla MuZ, dove corre una sola gara in Giappone raccogliendo 4 punti...nella successiva tappa in Malesia un grave infortunio lo tiene fuori per il resto della stagione. Ristabilitosi fisicamente, nel 99 passa alla SBK con la Ducati, ma la sfortuna si riaffaccia e a Monza ha un nuovo incidente dove frattura la gamba destra. Rientra l'anno dopo a fine campionato. Doriano ha un lungo stop fino al 2004 dove conclude la sua carriera con la Yamaha.

Romboni è un uomo tranquillo ha una bella famiglia...Loris Capirossi suo amico lo descrive come un vero combattente ma con il cuore d'oro, Doriano è sempre pronto a tendere una mano a chi è in difficoltà. Nel 2013 accetta di partecipare alla gara di Supermotard per una raccolta fondi a favore della Fondazione dedicata a Marco Simoncelli. La gara si svolge sul circuito "Sagittario" di Latina. Durante le prove un concorrente si allarga troppo su una curva ed investe Romboni...si capisce subito che la faccenda è grave, arrivano subito i soccorsi ma per Doriano non c'è più nulla da fare. Ai suoi funerali ci sono tutti i suoi amici...Capirossi, Biaggi, Lucchinelli, Gianola, Gramigni, Reggiani e Dovizioso ...

Una mia considerazione...dopo anni di indagini la Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio per tre imputati per omicidio colposo. La prima udienza si terrà il prossimo 15 aprile. Una maniera per appurare che Romboni non sbagliò nulla, Doriano era un bravo professionista e il giorno della sua morte era a Latina solo per beneficenza nei confronti di chi ha bisogno! testo THE BIKE - foto WEB Read the full article
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GUELFI E GHIBELLINI

Siamo abituati ad identificare la terra dei motori come l’Emilia Romagna, ma in maniera differente, altre regione d’Italia hanno trascorsi storici legati ai motori. Dopo la Lombardia, terra di nascita di tantissime aziende motoristiche, oggi parliamo della Toscana. La Toscana è una terra dove il campanilismo è molto “praticato”. Se pensate che sia limitato soltanto ai rapporti fra Guelfi e Ghibellini o più recentemente tra Livornesi e Pisani vi sbagliate di grosso. Se ne accorse anche Goethe nel suo viaggio in Italia, che in proposito scrisse: “Qui sono tutti in urto, l’uno contro l’altro, in modo che sorprende. Animati da un singolare spirito di campanile, non possono soffrirsi a vicenda”. Anche nei motori la storia si ripete con la Ancillotti Meccanica e Moto Gori. Entrambe native a Firenze iniziarono l’attività come officine di riparazione e modifiche ma fu negli anni del boom del secondo dopoguerra che si fecero conoscere. Fu la Firenze spensierata degli anni ‘60 la cornice della loro rivalità spesso regolata con sfide vere e proprie sui rettilinei del posto o sul tratto fiorentino della nuovissima autostrada A1. Ancillotti - Gualtiero, seguendo gli insegnamenti del padre Ernesto, aprì la sua officina nel ’38 e nel dopo guerra il suo nome divenne conosciuto come “inventore” di una soluzione per rendere elastico il telaio rigido delle Harley Davidson WLA sia per quelle già presenti a Firenze (erano di ordinanza ai Vigili Urbani della città) sia per quelle poi dismesse dall'esercito americano. Soluzione rivoluzionaria per quegli anni e di grande successo tanto. Era questa la filosofia di Ancillotti. Prendere un modello di moto o scooter e modificarlo ed elaborarlo per farlo rendere al meglio.

Nel frattempo i figli di Gualtiero, Alberto e Piero (che subentreranno alla guida dell’azienda), iniziarono a seguire le orme del padre specializzandosi nei motori due tempi spagnoli (Montesa e Bultaco), che all'epoca erano all'avanguardia per soluzioni e prestazioni, cercando di riprodurne la tecnologia. Decisero di trasferire queste conoscenze modificando una Lambretta che negli anni ’60 era il mezzo più venduto.

Tutto veniva fatto in casa o meglio in officina, Gualtiero era un mago del fai da te, bronzine, candele, pignoni, cambi, marmitte venivano realizzate dalle sue mani o da artigiani del posto, anche perché non era facile reperire pezzi già fatti. Alberto e Piero modificarono una Lambretta che subito si sfidò con una Vespa modificata da Gori. Anche se veloce la Lambretta non soddisfaceva i due ragazzi che presero una 175TV e la portarono a 202cc che con Alberto alla guida raggiunse i 121,212 km/h. Furono immediatamente invasi dalle richieste del kit di trasformazione.

Nella metà degli anni ’60 fu avvita la produzione di teste e cilindri per elaborazioni sportive anche per altri modelli di moto e la produzione di moto artigliali da “cross/regolarità” con il marchio Ancillotti, visto il boom di popolarità per quel tipo di moto e di competizioni. Gli anni che seguirono furono il periodo di maggior successo del marchio tanto da divenir popolare in tutta Europa. In questo periodo Alberto Ancillotti depositò una serie di brevetti che tuttora vengono utilizzate nelle produzione di moto di serie di tutte le marche. A causa delle crisi economica e l’invasione del mercato da parte delle moto giapponesi la fabbrica chiuse ma rimase di proprietà dei fratelli Ancillotti che nel 1991 riprese la produzione ma questa volta di biciclette.

Gori - La passione per i motori nasce in Giancarlo Gori verso la fine degli anni ’50 quando da ragazzino inizia ma “mettere le mani” sul piccolissimo due tempi del suo aeromodello. Complice la poca voglia di studiare, Giancarlo passa il suo tempo a conoscere i motori 2T aiutato dal padre Vasco. Appena i soldi glielo permisero si comprò una Lambretta, una TV 175 prima serie “a parer mio è più stabile e maneggevole rispetto ad altri scooter” disse in un’intervista, e iniziò a modificarla.

Nel 1958 apre un’officina tutta sua e aiutato dal padre inizia a lavorare. Il padre faceva il meccanico “tradizionale” mentre Giancarlo si occupava delle modifiche e delle elaborazioni. A quel tempo non c’era una tradizione sull'elaborazione, si andava avanti a tentativi e sperimentazioni, ma a Giancarlo riuscivano benissimo tanto che le richieste dei clienti di “truccare” i propri mezzi aumentarono tantissimo.

Fu così che nacque la rivalità tra l’officina Gori e l’officina Ancillotti, alimentata anche dai rispettivi clienti che non perdevano l’occasione di sfidarsi nello “sparo” da Ponte San Niccolò al semaforo di Ponte alle Grazie. Gori disse “… era una sana rivalità, mai andata oltre della pura voglia di velocità, ma si sa, noi toscani siamo fatti così … mi ricordo di una sfida tra una Lambretta, elaborata da me, e una Ferrari sul rettilineo di Forte dei Marmi. La Ferrari, sconfitta più volte, abbandonò dopo aver fuso la frizione …”

Anche sui record di pura velocità, Gori volle sfidare Ancillotti, La sua Lambretta 175 TV terza serie (che usava quotidianamente) portata a 200cc, sul circuito di Monza arrivò a 165 km/h con una media sul giro di 122 Km/h che per il 1965 non era affatto male! Un anno dopo accadde un grande dramma. Una alluvione allagò tutta Firenze e anche l'officina Gori. Giancarlo per riprendere a lavorare, accettò di fare il rivenditore della Vespa della Piaggio (più richiesta rispetto alla Lambretta) e contemporaneamente mise in produzione un kit per elaborarla.

Negli anni seguenti, Giancarlo cambiò ancora direzione. Venne la moda dei motorini da cross e i ragazzi snobbarono lo scooter, per cui la produzione Gori si concentrò su questa tendenza. La prima moto, uscita nel ’68 con il marchio Gori, fu il “50 cross” con motore Minarelli che venne venduta con il marchio Gori-Bimm in molti esemplari. Nel 1969 i motori Minarelli furono sostituiti dai Sachs e le cilindrate iniziarono a salire. Dagli anni ’70 agli ’80 le Moto Gori riscossero grandi successi (anche in ambito sportivo) e la produzione viene esportata in tutta Europa e anche in Australia.

Nel 1980 Giancarlo acquistò una grande partita di motori Rotax con i quali vennero prodotte moto dalla 125 alla 350 di cilindrata. Le vendite andarono bene ma la crisi economica che seguì, costrinse la casa Austriaca ad interrompere la produzione e le relative forniture. La Gori non riusci a trovare un motore valido alternativo e smaltite le giacenze chiuse l’attività nel 1983. Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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LINTO MARILINA

Linto Tonti, romagnolo doc, fu uno di quegli uomini, poco conosciuti alla massa, che scrissero la storia del motociclismo italiano. Appena dopo essersi diplomato come Perito Aeronautico, Linto venne assunto come disegnatore, in Benelli alle dirette dipendenze di Tonino Benelli che gestiva in prima persona il reparto corse. Per un po’ di anni fece grande esperienza in Benelli ma a causa del conflitto bellico fu chiamato a prestare servizio militare in aeronautica dove acquisì conoscenze importanti in campo motoristico, e il relativo uso di nuovi materiali tanto che il Ministero dei Trasporti (a fine guerra) gli offrì un posto da funzionario che Lindo rifiutò per dedicarsi liberamente alla sua passione motociclistica.

Infatti, in società con Massimo Pasolini (papà del futuro campione Renzo), aprì un’officina che acquistava i mezzi militari dismessi per convertirli all'uso civile. Sfruttando le potenzialità dell’officina e l’esperienza accumulata, nel 1947, Linto decise di costruire una moto da far partecipare alle gare stradali che in quel periodo erano molto diffuse in Romagna. Prese due testate Aermacchi Ala Oro e le inserì in un unico basamento anticipando di anni l’idea che avrà Taglioni con il bicilindrico fronte-marcia Ducati. Il bicilindrico quattro tempi di 125 cm3 fu chiamato LinTo (acronimo del suo nome). La sua LinTo (anche nelle realizzazioni future in cilindrate superiori) fu guidata da grandi campioni ed ottenne molti successi ma con l’avvento dei due tempi giapponesi, che negli anni 70 dominarono la classe 500, le moto a quattro tempi scomparvero inesorabilmente.

Linto continuò le collaborazioni con le più grandi case motoristiche italiane. FB Mondial, Bianchi, Moto Guzzi, Patton, Gilera, contribuendo a realizzare molte moto famose, una per tutte la Guzzi V7 sport. Ma torniamo un po’ indietro. Nel frattempo, Lindo aveva iniziato, nel 1948, a progettare uno scooter innovativo a ruote alte, cavalcando l’onda della popolarità del Guzzi Galletto, che incontrò l’interesse dalla Aermacchi che ne acquisì i progetti per la produzione. Nel 1958 Linto decise di avventurarsi personalmente nella costruzione di un proprio scooter. Acquistò un 250 Aermacchi bicilindrica e iniziò a trasformarla nella sua officina di Varese. Con l’abile lavoro dei suoi colleghi Alcide Biotti, Silvio Taberna e Massimo Pasolini, realizzarono uno scooter capolavoro, chiamandola Marilina in onore di Marilyn Monroe di cui tutti erano evidentemente fan.

Della Marilina non si sa bene se ne furono prodotti uno o due esemplari. Si hanno notizie solo di una che venne venduta nel 1961 e successivamente rivenduta di nuovo. L’ultimo proprietario la portò da un carrozziere di Varese per cambiarle colore, ma non si sa perché il lavoro non fu più fatto e lo scooter rimase 25 anni abbandonato nell'officina. Nel 2005 il telaio e il motore furono venduti separatamente. Nel 2015 fu ritrovata (o quello che rimaneva) dal collezionista francese Alan Nibart che portò tutto in Francia per iniziare un restauro.

Alan inizia il restauro comprando una Aermacchi 250 standard al Nord Italia e acquisendo le uniche due foto originali della LinTo Marilina, ritrovate nell'archivio fotografico dell'Aermacchi Aeronautica. Con l'assistenza di Dominique Secco presso l'officina Renard, con due anni di lavoro, gli abili artigiani francesi, modificano il telaio e ricostruiscono le carrozzerie mancanti per riportare in vita questa splendida moto che verrà esposta al Motor Legende del 2019. Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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COLLEZIONE UBALDO ELLI

Ubaldo Elli, classe 28, è stato un’importante imprenditore lombardo che ci ha lasciato da qualche anno. Nel ’63 mette su un calzificio (tuttora esistente), specializzandosi nella produzione di specifiche calze da donna che commercializza con il suo nome inglesizzato “Elly Calze”. La produzione è di prima qualità ed il successo economico non tarda ad arrivare, questo permetterà ad Ubaldo Elli di rimanere nella storia del motociclismo. Ubaldo è stato sempre appassionato di moto fin da ragazzo quando girava con una Guzzi Airone “forcella stampata” per le vie di Busto Arsizio. Quando nel 1986 gli arrivò la notizia che, dieci anni dopo la cessazione dell’attività produttiva, la EFIM (Ente Partecipazione Industria Manifatturiera) decise di mettere in vendita le moto che conquistarono (dal 1952 al 1974) il record di 75 titoli iridati, Ubaldo si mise subito alla ricerca di come poterle acquistare.

Oltre alla moto vi erano anche prototipi, motori e ricambi, il tutto sparso tra i magazzini di Ferno e Borgomanero. Ubaldo acquistò il lotto presente a Ferno, mentre quello più prezioso, compreso il prototipo del motore boxer, se l’aggiudicò per un miliardo e 200 milioni (nel 1986 era una fortuna!) l’avvocato newyorchese Robert Iannucci del team Obsolete.

A differenza del compratore americano, Ubaldo volle che le sue moto raggiungessero un pubblico più ampio possibile. In una intervista dichiarò: “Comprare una moto d’antiquariato significa appropriarsi di un modello che si era apprezzato in gioventù, ma che non si aveva avuto la possibilità di acquistare, perché da giovani si hanno scarse possibilità economiche … con le mie vecchie MV Agusta partecipo a raduni in Australia, Nuova Zelanda, nell’isola di Man, a Spa in Belgio, a Daytona negli Usa e naturalmente anche in Italia, a Misano, Vallelunga, Varano de’ Melegari“.

E’ un vero appassionato e sa quanta attesa ci sia nel rivedere quell'epoca d’oro del motociclismo. Per questo motivo, le sue MV Agusta non rimangono immobili in museo ma ritornano sui circuiti cittadini e permanenti, guidate dai grandi campioni, come Giacomo Agostini e Phil Read durante le rievocazione delle storiche competizioni. Il successo è immediato e la sua scuderia di motociclette inizia a fare il giro del mondo, dalla MV 125 monocilindrica alla 500 quattro cilindri (di Ubbiali e Provini), maniacalmente curata dal fedele “Ginetto”, meccanico di fiducia. Ma non solo, anche Ducati, Aermacchi e Gilera (una 8 bulloni del ’39) fanno parte della sua flotta.

Grazie alla passione e l’impegno di questo grande uomo, un patrimonio storico e sportivo dell’Italia motociclistica non si è disperso nel mondo, ma è rimasto a disposizione di tutti quegli appassionati del marchio storico di Schiranna. Uno spazio adiacente alla Fabbrica in Via Palermo, 36 a Busto Arsizio (VA) è stato creato il Museo “Collezione Ubaldo Elli” che vi invito caldamente a visitare. Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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RAID AUTOMOBILISTICO DELLA FRATELLANZA E DELLA PACE

Un vecchio video in bianco e nero dell’Istituto Luce del 1968 introduceva l’intervista a Maner Lualdi (capo spedizione) così “… non si trattava di ripetere l’impresa di Borghese e Barzini nel raid Parigi-Pechino, ma soltanto di manifestare, con una singolare avventura sportiva, la fratellanza che lega, o che dovrebbe legare, popoli di razze e continenti diversi …”. Il servizio proseguiva con le parole di Lualdi che raccontava le disavventure finali della squadra in terra cinese. Ma cosa successe? Andiamo con ordine… Maner Lualdi, aviatore e giornalista, era un appassionato di raid automobilistici. Esperto di questo tipo di avventure aveva, nel 1952, organizzato e condotto una spedizione in Sud America che lo aveva portato a percorrere circa 7000 km sulle strade (spesso inesistenti) di quel continente con il preciso obiettivo di aprire una nuova via di comunicazione dall'Oceano Atlantico all'Oceano Pacifico.

Verso la fine degli anni 60 decise di organizzare un viaggio che combinasse lo studio delle auto sottoposte a stress di durata e la beneficenza. Decise che l’obiettivo di raggiungere Pechino, dall'Italia, fosse un ottimo banco di prova. Trovò il Vaticano pronto a dare il “Patrocinio” al viaggio e l’Alfa Romeo come sponsor tecnico che offrì le autovetture per farlo. Il Vaticano veniva rappresentato dal nome del viaggio che fu “Raid della Fratellanza e della Pace” e dal colore bianco delle vetture, mentre l’Alfa Romeo veniva rappresentata dalle quattro Alfa Romeo Giulia Super e dalle due Alfa Romeo “Matta” (che fungevano da mezzi di assistenza) debitamente modificate per superare i percorsi spesso disagevoli.

Verso la fine del 1967 fu deciso il percorso e chiesto i permessi a tutti i governi che la carovana attraversava. Il tragitto era: Partenza da Roma con direzione Francia, poi svolta a destra scavalcando le Alpi e attraversando le due Germanie, lambire la Russia (che in seguito negò il transito nel suo territorio) e poi riscendere dalla costa est dell’Adriatico. Attraversare i paesi del sud-est e girare a sinistra per entrare in Asia. Entrare in India e scendere verso la penisola Asiatica per poi risalire la Cina in direzione Pechino. 27.000 km di cui un terzo era di strade sterrate e piste in terra battuta.

Tutte e sei le vetture arrivarono in Cina ma furono fermate a Canton. La voce stessa di Lualdi racconta nell'intervista, nel suo studio di Milano, cosa accadde. “Arrivati a Canton dopo una buona accoglienza, siamo stati immediatamente consegnati, per non dire arrestati, nell'albergo dove avevamo preso alloggio. Accusa: Portavamo la benedizione del Papa ai cinesi e addirittura, avremmo dovuto aver l’incarico di recare la benedizione ai cinesi comunisti. Nulla di più falso. Abbiamo affermato che non eravamo dei preti. Mi hanno detto di firmare una dichiarazione che il Papa è un criminale al servizio delle potenze imperialistiche e capitalistiche occidentali. Ho rifiutato. Tra l’altro mi hanno ricordato che loro non vogliono la pace”.

Dopo pressioni dell’ambasciata, tutte le auto e i componenti del team furono rimandati in Italia ma questo non sminuisce l’incredibile prestazione delle Giulia rinominate “Giulia dei miracoli” parafrasando il titolo del film di Fellini “Giulietta degli Spiriti”. Tutte e quattro le auto arrivarono a Canton senza sostanziali problemi. Anche le “Matta” opportunamente modificate come magazzino mobile e officina mobile vinsero la sfida di resistenza confermandosi degne rivali della più famosa Campagnola della Fiat.

Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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LA PICCOLA 103

Con il lancio della FIAT 600, in Italia si comincia a pensare a motori 4 cilindri di piccola cubatura per vetture piccole a una larga diffusione commerciale. Anche l'Alfa Romeo in quegli anni con i suoi ingegneri Hruska, Satta Puliga e Busso cominciò a progettare una vettura semplice da produrre. Nel 1959 si realizzò il prototipo della Tipo 103, una macchina tre volumi, 4 porte e 4 posti...una vera e propria innovazione per il Biscione. Sarebbe stata la progenitrice della Giulia che venne presentata nel 1962. La 103 era la giusta soluzione per la casa di Arese per avere in listino una vettura più abbordabile per evitare la commercializzazione di modelli Francesi come la Renault 4 e la Douphine.

Era dotata di un 4 cilindri bialbero da 896cc, con 52cv di potenza che spingevano la 103 a 140 km/h. Cambio a 4 marce, motore e trazione anteriore. Ne furono realizzati tre esemplari per poi decidere di mettere in listino le utilitarie Renault. Il progetto "tuttavanti" rimase nel cassetto fino al 1967 quando si misero le basi per l'ALFASUD!

La Tipo 103 finì cosi in un magazzino per poi essere di ispirazione per la RENAULT 8. Esiste solo un esemplare di 103, custodito nel MUSEO STORICO ALFA ROMEO di Arese. testo THE BIKE - foto MUSEO ALFA ROMEO Read the full article
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LE MICRO SPIDER ITALIANE

Milano è da sempre riconosciuta come un polo espositivo di carattere internazionale. Tra le fiere più importanti che vi si svolgono quella che riguarda i motori sicuramente è tra le più antiche. Prima che si chiamasse EICMA e che avesse la sede che oggi conosciamo, il Salone della Motonautica, Auto, Moto, Ciclo e Accessori, si svolgeva nel Palazzo dello Sport nella Fiera Campionaria di Milano. Negli anni ’40 le aziende che trattavano di motori non avevano una gamma vasta di modelli ed era quindi facile radunarle in un unico spazio. Venivano esposti anche gli aerei.

Nell’edizione del giugno del ‘47 al padiglione 31 della Fiera Campionaria vennero esposti due modelli di micro vetture aperte. La Fimer presentò la “Fimer 250” e la Alca la “Volpe”. La FIMER, Fabbrica Italiana Motoveicoli e Rimorchi era un’azienda milanese che produceva piccoli veicoli commerciali e le motociclette Rondine. Dopo la fine della guerra una parte della sua produzione fu occupata per realizzare questo prototipo funzionante di “Super Vetturetta Fimer 250” come riportato sul catalogo. Era una micro vettura a due posti secchi, spinta da un motore posteriore motociclistico a due tempi da 246cc, ruote indipendenti gommate Pirelli, freni idraulici e avviamento elettrico. Per i tempi non le mancava nulla. Solo pochi modelli furono costruiti e la Fimer 250 non ebbe il successo aspettato e nel 1949 l’azienda chiuse.

La ALCA, Anonima Lombarda Cabotaggio Aereo era una piccola azienda milanese che lavorava in campo aeronautico. Grazie alla collaborazione di altre aziende del settore riuscì a sviluppare e realizzare un piccolo motore a due tempi di 125 cc che montò su una micro car a due posti. Il prototipo fu finito giusto in tempo per essere presentato alla Fiera Campionaria del ’47 con il marchio Volpe. Subito dopo la Volpe fu sottoposta ad un leggero restyling da parte della Società di design italiana Flaminio Bertoni. Non si sa molto altro su questa vetturetta. Anche lei come la Fimer non ebbe il successo ipotizzato e l’ALCA smise di produrla per dedicarsi a costruire ambulanze su telaio Fiat 1100L e ALR.

testo: WeeGee - foto: Web Read the full article
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CICCIO - CEFALU’ - ITALY

Ciccio da Cefalù, uno dei siciliani più famosi al mondo, professione calzolaio. Ma andiamo per gradi...nasce nel 1936 in una famiglia numerosa e a 6 anni va a lavorare nella bottega dello zio per imparare il mestiere dello "scarparo"! Impara tutti i segreti dell'arte calzolaia e a metà degli anni 50 apre una sua bottega, sono gli anni del turismo a Cefalù e i suoi sandali sono ai piedi di tutti i turisti. Oltre ad essere meta del turismo, Cefalù è nota per essere tappa della Targa Florio, una delle gare automobilistiche più famose. Nel 1965 Ciccio riceve la visita di un pilota romano di origini calabresi, Ignazio Giunti che va nella sua bottega chiedendogli di fargli un paio di scarpe per poter pilotare la sua auto...da lì tutti i piloti della Targa (e non solo) si servono da lui, Elford, Andretti, Redman, Reutmann, Fittipaldi, Regazzoni, Siffert, Ickx, Merzario, Munari e il celebre Palermitano Nino Vaccarella!

Niki Lauda diventa Campione del Mondo di Formula uno con ai piedi un paio "Racing Shoes" firmate da Ciccio Liberto...Ferrari lo ringraziò pubblicamente. Clay Regazzoni scrive a Liberto dal Giappone chiedendogli di mandargli un paio di scarpe rosse e bianche...sulla busta da lettera si legge come destinatario "CICCIO - CEFALU' - ITALY".

Liberto è famoso in tutto il Mondo, basta dire Ciccio e tutti capiscono di chi si sta parlando...riceve telefonate e visite da tutti i piloti più famosi, non parla l'inglese ma l'intesa è perfetta...Ciccio è universale!

Le sue scarpe sono esposte in tanti musei, l'UNESCO lo iscrive come TESORO UMANO VIVENTE...la Porsche lo sceglie come protagonista nello spot della 718 BOXSTER GTS. Ciccio ha da poco compiuto 85 anni e lo potete sempre incontrare nel suo negozio a Cefalù pronto a raccontarvi "cose da corsa" che nessun giornalista potrebbe mai narrarvi! testo THE BIKE - foto "LIBERTO" Read the full article
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DEFENDER P400e IBRIDO

L’idea che ci eravamo fatti (e che ci piaceva tanto) era che il Defender della Land Rover, fosse un mezzo “ignorante”. Piacevolmente ignorante. Squadrato, scomodo, rustico, semplice, insomma un mezzo per “uomini rudi”. Oggi il nuovo Defender smentisce tutto questo. Certo è anche lui inarrestabile, ma morbido nelle linee, sofisticato nella tecnologia, comodo come una berlina ma soprattutto ecologico.

E’ da pochissimo sul mercato la versione ibrido plug-in del fuoristrada. Realizzata sul modello P400 passo lungo monta la stessa soluzione ibrida della Range Rover e cioè il collaudato motore 4 cilindri turbo benzina di 2000cc e 300 cv, abbinato al motore elettrico da 120cv posizionato nella scatola del cambio automatico a 8 marce.

Quando lavorano insieme, i due motori spingono il Defender a circa 180 km/h con un consumo medio (a velocità codice) di un litro per 30 km. La Land Rover dichiara che il suo Defender può andare anche con la sola trazione elettrica ma solo per 40 km, in piano e senza fare fuoristrada, prima che il gruppo batterie alloggiate sotto il bagagliaio, si esaurisca.

Il Covid ha rallentato la produzione ma a breve è prevista la commercializzazione di un ibrido a passo corto, di un modello con un nuovo motore diesel euro 6 e di un modello da lavoro omologato autocarro con solo i posti anteriori … a proposito di posti, nessun modello adotta le panchette posteriori … peccato. Testo: WeeGee – foto: Web Read the full article
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SAFARI

Da buon vecchio motociclista, ho sempre avuto bene in mente quella massima che recita: “4 ruote muovono il corpo, 2 ruote muovono l’anima”. Vero, per carità, la passione è la passione e non si discute. Ma, come per ogni altra cosa di questo mondo, ci sono sempre delle eccezioni. Potrei pensare, ad esempio, alla guida di un’auto sportiva in pista. Emozione pura. L’esperienza più bella della mia vita su 4 ruote, però, non è legata alla sola passione per i motori o per la velocità, ma l’ho vissuta grazie ad una vecchia Toyota Land Cruiser appositamente allestita, con la quale ho avuto la fortuna di partecipare a diversi safari in Africa, tra Sudafrica, Zimbabwe, Zambia e Botswana. La sveglia alle 4 di mattina, il freddo della savana all'alba, la vegetazione coperta di rugiada, il silenzio. Il panorama attorno a noi che cambiava repentinamente e l’aria che diventava di un caldo torrido, secco, non appena sorgeva il sole che poi si alzava a picco sulle nostre teste. Un miscuglio indefinito di sensazioni che culminavano con la vista, e la sorpresa, ogni volta, dei protagonisti che potete ammirare in queste foto.

Emozioni così forti da farti dimenticare in un attimo l’alzataccia, il freddo, il caldo, le zanzare… La percezione di essere un microscopico ed insignificante dettaglio di un quadro infinito quale è la natura più incontaminata e selvaggia, splendida e crudele come le leggi che la governano. Sua Maestà, il Re della foresta. Un colpo al cuore vederlo passeggiare a pochi passi di distanza. Grandi famiglie di Elefanti africani. Maestosi Kudu, che spuntano in silenzio tra i cespugli nonostante la loro mole. Rinoceronti giganteschi. Mandrie di Bufali neri africani, incuranti dei piccoli amici che mangiano i loro avanzi.

E poi ancora Ghepardi, Leopardi, Ippopotami e Coccodrilli. Tutti ad una distanza massima di qualche metro da noi, seduti sulla Land Cruiser a guardare a bocca aperta cercando di scattare più fotografie possibili, ma contemporaneamente di ammirare e fare proprio ogni irripetibile momento. Quando si dice che l’Africa ti resta nel cuore, è assolutamente vero. Lo spettacolo che ho avuto la fortuna di osservare così da vicino è così saldamente stampato nella memoria, che ne ricorderò tutti i minimi dettagli per il resto della vita. Con l’inarrestabile fuoristrada di Casa Toyota, ho percorso parte del famosissimo Kruger National Park, nella regione a nord-est del Sudafrica. Un parco grande quanto la Puglia, con i suoi 19.500 km².

Abbiamo proseguito poi nella riserva privata Karongwe Game Reserve, ancora in Sudafrica, ma situato nella provincia del Limpopo. Una location magnifica, gestita da una famiglia di persone simpaticissime e davvero accoglienti. Infine, l’incredibile esperienza del Chobe National Park in Botswana. Ospiti dell’ Elephant Valley Lodge, siamo andati alla scoperta di altri 10.000 km² sempre a bordo della fidata Land Cruiser, instancabile compagna di avventure. Il panorama infinito della Elephant Valley che ci apparve davanti, rimarrà una delle immagini più belle ed indimenticabili.

Il momento dell’aperitivo al tramonto, gentilmente offerto dai Ranger che ci accompagnavano, una volta scesi dal fuoristrada nel bel mezzo della Savana, rappresentava la degna conclusione dei Safari, un momento di relax in cui poter scambiare sensazioni e commenti alle foto scattate con gli altri equipaggi che incontravamo sulla strada del ritorno. Dunque, cari amici, credetemi… anche 4 ruote possono muovere l’anima, vi basterà solo scegliere la strada giusta da percorrere! … Alla prossima,

testo e foto: L. Moka. Read the full article
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