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Pfizer &C., quando la pandemia è una ‘opportunità’ I governi occidentali hanno messo le loro popolazioni nelle mani di cinici adoratori del denaro, che si apprestano a “cogliere l’opportunità” della pandemia in corso per realizzare profitti senza precedenti e anzi magari sperano che essa assuma carattere endemico, per continuare a mungere i loro committenti. La rivelazione di quanto in realtà si sa già da tempo giunge da un giornalista di “The Intercept”, meritoria agenzia stampa che, al pari di Julian Assange ed altri, scopre da tempo i peggiori altarini di governi e aziende, avendo fra l’altro avuto il merito di scoperchiare i putridi retroscena della persecuzione organizzata dall’ex giudice brasiliano e altri ai danni di Lula. Stavolta Lee Fang ha pubblicato i verbali della Barclays Global Healthcare Conference in cui sono intervenuti alcuni dirigenti della multinazionale farmaceutica Pfizer, produttrice di molti dei vaccini oggi impiegati negli Stati Uniti e in Europa. Si tratta per la precisione di Charles E. Triano, vicepresidente senior e capo del Dipartimento relazioni investitori, e di Frank D’Amelio, vicepresidente esecutivo e capo ufficio finanziario. La Conferenza appare volta a fornire ai potenziali investitori dati sulle attività incorso da parte di Pfizer e i profitti che esse generano. Tutto bene, da questo punto di vista. Una performance “davvero solida” nelle parole di D’Amelio, che fa riferimento a 15 miliardi di dollari in sole entrate relative al Covid che determinano un incremento pari al 41% dei ricavi complessivi. E la conversazione prosegue piacevolmente, sulle prospettive di sviluppo del vaccino e i miglioramenti tecnologici in corso che ne permettono una più comoda somministrazione, nonché la sua asserita capacità di venire a capo anche delle maledette “varianti”. Un passaggio chiave è quando D’Amelio, stimolato dall’esponente della Barclays, fa riferimento al probabile passaggio della malattia a una fase endemica, con conseguente obbligo di vaccinazione annuale e possibile aumento di prezzo, il che, commenta, “costituisce per noi un’opportunità”. Anche la comune influenza, del resto, rappresenta un’opportunità di questo genere, aggiunge. Grazie a queste meravigliose opportunità si prevedono ricavi aggiuntivi pari a 8 miliardi di dollari nel quinquennio 2020-2025. Nulla di scandaloso, ovviamente. Almeno non per coloro la cui capacità di provare scandalo e indignazione è drammaticamente scemata al punto di indurli ad accettare la normalità di un mercato capitalistico che vede malattie e morte altrui sotto forma di opportunità di guadagni e stimolo a cospicui investimenti finanziari. Proprio perché i vaccini sono invece uno strumento indispensabile per combattere e sconfiggere la pandemia in corso, sarebbe invece opportuno, anzi indispensabile, non dipendere da organizzazioni e persone che si muovono in quest’ottica. Il gioco attuato da Pfizer e dagli altri produttori privati di vaccino sui prezzi e sulle consegne, approfittando della concorrenza fra gli Stati messi alle strette, ha del resto già provocato ritardi e danni enormi alla campagna vaccinale, anche grazie all’atteggiamento servile e subalterno dei governi nazionali e della Commissione europea. Atteggiamento che si riproduce in modo davvero inquietante anche per quanto riguarda le questioni relative alla sicurezza, dato che solo dopo che la Germania aveva sospeso Astrazeneca il nostro governo ha deciso di fare altrettanto. Intanto, le balle sui contributi promessi ai Paesi più poveri si rivelano fuffa della peggiore specie: basti pensare che contro 39 milioni di dosi distribuite nei Paesi a più alto reddito sono davvero insignificanti le quantità di cui possono disporre quelli a reddito più basso, uno dei quali ha ottenuto ben 25 dosi di vaccino. E’ sempre più evidente come la guerra contro il virus non possa essere vinta dal sistema capitalistico che peraltro aveva da tempo smantellato in vari Paesi, anche nel nostro, i presidi sanitari, privatizzando la salute e l’assistenza. Ci avviamo sempre più verso un mondo disumano in cui la sopravvivenza o una vita minimamente dignitosa saranno garantite solo alle persone adeguatamente solvibili, seguendo l’esempio luminoso degli Stati Uniti d’America. L’unica alternativa è attuare una cooperazione internazionale a 360 gradi con tutti, compresi ovviamente Paesi come Cuba, la Cina e la Russia che sono oggi all’avanguardia della produzione vaccinale, e riprendere in mano pubblica la produzione dei vaccini, attuando se necessario indispensabili misure di nazionalizzazione ed esproprio delle industrie monopolistiche private. Fabio Marcelli
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Il comandante della caserma di Tor Sapienza e un carabiniere testimoniano le pressioni. Colombo Labriola: «Il colonnello Cavallo impose le modifiche. Il Nucleo investigativo ignorò la mail»
Il processo bis per la morte di Stefano Cucchientra in una nuova fase. Ieri davanti ai giudici della Corte d’Assise di Roma hanno deposto alcuni dei testimoni chiave del tentativo (riuscito per nove anni) di insabbiare il pestaggio del giovane geometra romano da parte dei carabinieri che lo arrestarono la sera del 15 ottobre 2009, e del depistaggio delle indagini (nel primo processo, infatti, ad essere accusati delle violenze furono gli agenti di polizia penitenziaria che custodirono Cucchi in tribunale prima dell’udienza di convalida del fermo).
Testimoni – alcuni dei quali sono ora indagati – chiamati dal pm Giovanni Musarò nell’ambito dell’inchiesta integrativa al processo aperta in seguito alla denuncia presentata il 20 giugno scorso da Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati che ha deciso raccontare la verità su quanto accaduto quella notte, peraltro già trascritta in un’annotazione di servizio depositata negli archivi della caserma Appia la sera stessa della morte di Stefano, ma poi scomparsa nel nulla.
È UNO DEGLI INDIZI dell’insabbiamento e del depistaggio, ma ieri sono diventate prove dibattimentali anche altre due testimonianze: quella del luogotenente Massimiliano Colombo Labriola (da settembre entrato nel registro degli indagati di questo secondo filone d’inchiesta), comandante della caserma di Tor Sapienza dove Cucchi passò la notte, ma a sua insaputa: non venne infatti avvisato malgrado dormisse nell’alloggio di servizio della caserma, e seppe di quanto accaduto durante la notte solo al suo risveglio, il mattino dopo. In udienza anche la testimonianza dell’appuntato scelto Gianluca Colicchio che era di turno a Tor Sapienza, prese in consegna Stefano e chiamò il 118 quando il giovane cominciò a sentirsi male. Colicchio, a differenza dell’altro piantone, Francesco Di Sano, si rifiutò di firmare le modifiche imposte «da ordini gerarchici» al verbale nel quale descriveva le condizioni fisiche di Cucchi all’arrivo nella stazione.
ERA IL 27 OTTOBRE 2009, durante la visita quadrimestrale dell’allora maggiore Luciano Soligo, comandante della compagnia Talenti-Montesacro dalla quale dipendeva la stazione di Tor Sapienza: Colombo Labriola, riferisce il carabiniere, gli chiese di portargli l’annotazione di servizio che aveva steso la sera precedente. «A fine turno Soligo mi chiese di firmare l’annotazione, ma mentre lo facevo mi resi conto che era stata modificata, non solo nella forma ma nella sostanza, e così mi rifiutai. A quel punto – prosegue Colicchio – telefonarono al tenente colonnello Francesco Cavallo (all’epoca vice capo ufficio comando del Gruppo carabinieri Roma, ndr) e me lo passarono. Lui mi chiese di firmare ma io rifiutai. Non mi lasciai intimidire dal grado». «Perché invece Di Sano firmò?», chiede il pm. «Perché è un tipo un po’ più ansioso – è la risposta di Colicchio -: aspettava una licenza per andare a casa, in Sicilia, ma il maggiore dispose che non partisse perché doveva rimanere a disposizione per il caso Cucchi. Dopo aver firmato gli fu concessa la licenza».
Un episodio, questo, confermato dalla testimonianza del maresciallo Ciro Grimaldi, anch’egli della caserma di Tor Sapienza: «Ricordo che il 27 ottobre 2009, in occasione della visita quadrimestrale del comandante in Stazione, il collega Colicchio era arrabbiatissimo e, andandosene, ebbe con me un breve sfogo. Mi disse “mi volevano fare cambiare l’annotazione, ma li ho mandati aff…”». Quella mattina, riferisce il luogotenente Colombo Labriola (interrogato ieri davanti alla Corte per oltre cinque ore), «Soligo convocò me, Colicchio e Di Sano. A me disse che le note erano troppo particolareggiate e ridondanti e quindi disse che dovevano essere modificate». Soligo comunque inviò per mail le due note al colonnello Cavallo, e «la risposta mi arrivò dopo un’ora. C’era scritto: “Meglio così”, e nell’allegato c’erano le due annotazioni modificate che dovevano sostituire quelle precedenti». Una mail che Colombo fece visionare al Nucleo investigativo quando, il 5 novembre 2015, si presentò in caserma chiedendo di vedere tutti gli atti riguardanti Cucchi. Ma «il comandante del nucleo investivativo non la acquisì».
Colombo Labriola e Colicchio hanno raccontato anche di aver partecipato alla riunione al vertice presso il comando provinciale di Roma che si tenne la mattina del 30 ottobre 2009, appena pochi giorni dopo questi avvenimenti. Eppure, durante quella riunione che il comandante di Tor Sapienza definisce «simile a quelle degli alcolisti anonimi nelle modalità, perché ognuno a turno si alzava e diceva quale ruolo aveva avuto nella vicenda Cucchi», «nessuno – riferisce al manifesto l’appuntato Gianluca Colicchio – fece cenno alla correzione di quelle annotazioni». Come è ovvio, se è vero che nessuno in quell’occasione fece minimamente cenno al pestaggio. Una riunione mai verbalizzata.
«DA UNA PARTE c’erano i vertici dell’Arma che ponevano le domande, il generale Vittorio Tomasone e il colonnello Alessandro Casarsa (oggi a capo dei corazzieri del Quirinale, ndr) – racconta Colombo Labriola – e dall’altra io, Colicchio, Di Sano, il maresciallo Roberto Mandolini (allora comandante della stazione Appia, attualmente imputato nel processo con l’accusa di falso, ndr) e tre o quattro carabinieri della caserma Appia. Quando è stato il turno di Colicchio, il generale Tomasone si è complimentato perché aveva chiamato il 118. Il generale invece rimproverò Mandolini perché uno dei suoi carabinieri non riusciva a spiegarsi bene, e Tomasone gli fece notare che se non riusciva ad essere chiaro davanti al suo generale chissà cosa avrebbe potuto fare davanti all’autorità giudiziaria. Disse proprio così».
Eleonora Martini
da il manifesto
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27 apr 2021 15:50
SILERI VA ALLA GUERRA - IL SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE BOMBARDA IL MINISTERO DELLA SALUTE E L’EX DIRETTORE VICARIO DELL’OMS: “A DICEMBRE 2020, CONTINUAVA A DIRMI CHE AVEVA LASCIATO UN PIANO AGGIORNATO. PIANO CHE IO NON HO MAI TROVATO” - I VERBALI FALSI DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ E L’ALLARME INASCOLTATO A GENNAIO 2020: “NON HO MAI AVUTO RISPOSTE DAL CTS” - L’ATTACCO ALLE “MELE MARCE” TRA I BUROCRATI DEL MINISTERO. SPERANZA POTEVA NON SAPERE? – VIDEO
1 - ECCO COME SILERI STRONCA GUERRA E I BUROCRATI DEL MINISTERO DELLA SALUTE
Giusy Caretto per www.startmag.it
Inviti (inascoltati) 15 mesi fa a comprare respiratori e incrementare le terapie intensive. Rassicurazioni (poi rivelatesi farlocche) di Ranieri Guerra sull’aggiornamento del piano pandemico. Verbali del Cts chiesti e mai ricevuti. E addirittura collaboratori diretti di Sileri non pagati per mesi dal ministero. Ecco le ultime accuse del sottosegretario al Ministero della Salute, Pierpaolo Sileri, ai vertici amministrativi del dicastero della Salute retto da Roberto Speranza. Ecco tutti i dettagli.
LE CRITICHE DI SILERI A GUERRA
“Ranieri Guerra, a dicembre 2020, continuava a dirmi che aveva lasciato un piano aggiornato. Piano che io non ho mai trovato”. Non ha mezzi termini il sottosegretario al Ministero della Salute, Pierpaolo Sileri, che intervenendo ad Omnibus, programma di La7 racconta quanto è avvenuto nei mesi scorsi.
SILERI: MI DICEVANO CHE IL PIANO PANDEMICO ERA STATO AGGIORNATO
Partiamo da uno degli argomenti più spinosi di questi mesi: il mancato aggiornamento del piano pandemico. “Alcune cose si capiscono nel tempo. Fino a dicembre, quindi per tutto maggio, giugno luglio, agosto, continuavano a dirmi, alcuni che ora non sono più qui al Ministero, che il piano pandemico era stato aggiornato. C’è voluta la procura d Bergamo per confermare che il piano era quello del 2006”, afferma Sileri intervenendo ad Omnibus.
COSA DICEVA GUERRA A SILERI
“Le garantisco che nonostante un e-mail ricevuta il 15 aprile del 2020, nella quale si diceva che era stato aggiornato nel 2008-2009 ci sono stati soggetti all’interno del Ministero che erano convinti, forse a forza di dire una bugia diventa verità, che il piano pandemico era stato aggiornato”, continua Sileri, aggiungendo che “Ranieri Guerra a dicembre del 2020 continuava a dirmi che aveva lasciato un piano aggiornato. Piano che io non ho mai trovato. Lei capisce che è anche difficile avere risposte”.
IL SILENZIO DEL CTS
Risposte, secondo quanto afferma il sottosegretario alla Salute mai concesse anche dal Cts, il Comitato Tecnico Scientifico. “Lei dimentica che probabilmente che io non ho mai avuto i verbali del Cts. Lei dimentica che su 30 domande fatte al Cts io non ho mai avuto risposta”, sostiene Sileri. “Agostino Miozzo, candidamente, nel mese di ottobre 2020 mi dice <<Si guarda, io ho avuto disposizioni di non dare informazioni>>. Ancora devo capire chi è che aveva dato queste disposizioni”.
L’ALLARME INASCOLTATO
Sileri, dunque, tagliato fuori, Eppure settimane prima dello scoppio della pandemia era stato proprio l’attuale sottosegretario alla Salute, come racconta lui stesso, a capire il pericolo e a chiedere interventi seri.
“Io il 28-29 gennaio 2020 ho chiesto di comprare i respiratori. Io avevo detto che forse il virus sarebbe arrivato da noi e che quindi era meglio assumere nuovo personale ed aumentare i posti di terapia intensiva, in medicina interna”, racconta Sileri lasciando intendere che l’allarme è rimasto inascoltato.
ALL’OMS VERBALI FALSI
Le accuse di Sileri vanno ben oltre la sola pandemia. “Abbiamo un’Italia, e purtroppo il Ministero della Salute lo ha dimostrato, che quando venivano fatte le certificazioni di qualità inviate all’Oms eccetera, veniva scritto che era tutto apposto”.
Una prevenzione fatta di sola burocrazia, spiega Sileri: “Io ho sentito una sconcertante intervista fatta dal Direttore Generale della prevenzione, in cui riferiva che questi report che mandavano all’Oms, di cui l’ultimo fatto i primi di febbraio 2020, era burocrazia. Come può cambiare un Paese se non si responsabilizza l’amministrativo”.
UN UFFICIO NON PAGATO
E dalla burocrazia dipenderà il mancato pagamento dell’ufficio di Sileri? “Io ho avuto un ufficio completamente non pagato. Ho un capo della segreteria, da quando sono stato viceministro, mai retribuito. Ho avuto un Generale dei Carabinieri mai consolidato nel mio ufficio, un Tenente dell’Aeronautica che non è mai stato pagato, in tutto per sei mesi. Tutto si può dire al sottoscritto, tranne che non abbia lavorato a testa bassa e con il massimo della trasparenza”.
“Sarà un piacere per me, quando avrò finito il mio mandato, chiamare i giornalisti, dare la password del mio computer e lasciarlo a vostra completa disposizione”, spiega Sileri sostenendo che “ci sarà modo” di parlare della verità, ma “Prima dobbiamo portare i morti a 10, 5, 0 morti al giorno e poi fare i conti con chi ha sbagliato”.
LA SMENTITA DI SILERI A SPERANZA E GUERRA
Pierpaolo Sileri, comunque, non è nuovo a queste dichiarazioni.
Sul mancato aggiornamento del piano pandemico, intervenendo a Report, aveva confessato: “Che il piano pandemico fosse vecchio è vero”. “Credo che qualche spiegazione da questo punto di vista dovrebbe essere data”, aveva detto Sileri, smentendo Ranieri Guerra e chi lo difendeva, ovvero il ministro alla Salute Roberto Speranza.
SILERI: PIANO DEL 2006. FATTO NULLA ANCHE PER INFLUENZA
Lo stesso sottosegretario alla Salute, intervistato da La Verità retrodata il piano al 2006, aggiungendo: il punto non è avere un piano ‘vintage’, bensì avere un piano che, anche se vecchio, sia stato declinato a livello periferico”.
“Che cosa è stato fatto per l’influenza? – aggiunge Sileri – Io, da quando sono tornato in Italia, cioè tra il 2005 e il 2018, in ospedale non ho mai fatto un corso sull’influenza. O sul bioterrorismo. O sugli attacchi nucleari”.
SILERI: ECCO CHI E COME HA SBAGLIATO
E sempre al quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, Sileri aveva aggiunto: “Guerra ha mandato una lettera datata 15.09.2017 in cui c’è un appunto sul rinnovo del piano. La stessa cosa ha fatto Claudio D’Amario nel 2018 con il ministro Giulia Grillo”.
“E infatti Lorenzin e Grillo si sono mosse. La prima ha istruito la pratica, la seconda l’ha portata avanti con tanto di gruppi di lavoro“. Il punto è che “se io fossi stato direttore generale avrei scritto una nota relativa al piano che riepilogasse quanto avvenuto negli ultimi dieci anni. Non una semplice paginetta”.
SILERI ED IL DISAPPUNTO SULLE LUER LOCK
Il disappunto di Sileri con le scelte Ministeriali, viene fuori anche sulle scelte delle siringhe luer lock per le vaccinazioni fatte da Domenico Arcuri, l’ex Commissario Straordinario all’emergenza. Per Sileri, più che ad evitare lo spreco della dose del vaccino (improbabile anche con le siringhe standard) bisognava fare attenzione alla sicurezza degli operatori.
“Sarei molto più attento invece alla copertura dell’ago: un conto è vaccinare qualche decina di persone; un altro qualche milione di italiani. E io devo tutelare i miei colleghi, che non raramente si pungono mentre si rincappuccia la siringa. Avere l’ago che si può coprire, per poi gettare tutto, è l’aspetto più importante. Questo protegge l’operatore”, aveva detto Pierpaolo Sileri a Quarta Repubblica.
“Le luer, che si avvitano, permettono di evitare qualche spreco, come avviene quando magari la siringa si apre. Ma, francamente, è molto improbabile che accada. Quasi impossibile, a dire il vero”, aveva aggiunto Sileri.
2 - SILERI SFIDUCIA SPERANZA «SUL PIANO PANDEMICO BUGIE DALLE MELE MARCE»
Estratto dell’articolo di Felice Manti per "il Giornale"
Alla vigilia delle mozioni di Fdi ed ex Mx5 in Senato anche il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri sfiducia il «suo» ministro Roberto Speranza sul piano pandemico.
(…) Il sottosegretario in tv ha lanciato accuse pesanti anche a Ranieri Guerra, ex responsabile della Prevenzione del ministero oggi all' Oms, («A dicembre del 2020 continuava a dirmi che aveva lasciato un piano aggiornato, piano che non ho mai trovato») e al suo successore Claudio D' Amario, che nei giorni scorsi in tv ha ammesso di aver gonfiato il test Oms del 4 febbraio 2020 sull' autovalutazione della capacità dell' Italia di resistere a una pandemia come il coronavirus.
All' Agi qualche giorno fa Sileri disse che proprio D' Amario lo aveva rassicurato sull' aggiornamento del piano pandemico («È stato rinnovato al 2016, ed è pronto anche il nuovo», gli avrebbe detto). Non basta. Sileri ha anche detto che alla vigilia della pandemia avrebbe chiesto (invano) al ministero di comprare dei respiratori e di aumentare i posti disponibili nelle terapie intensive. «Non ho mai avuto i verbali del Comitato tecnico scientifico, a cui ho fatto una trentina di domande. Non ho mai avuto risposta, mai!».
Tra le «mele marce» (Sileri dixit) che l' avrebbero rassicurato sul piano pandemico, oltre a Guerra e D' Amario ci sarebbe anche Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute, già ascoltato per sei ore come persona informata sui fatti dai magistrati di Bergamo lo scorso 18 gennaio.
L' assenza di un piano sarebbe precisa responsabilità di Guerra e D' Amario, come confermano diverse carte in mano agli inquirenti che il Giornale ha potuto consultare, ed è per questo che Guerra si sarebbe speso in prima persona per cancellare il report Oms redatto a maggio dall' equipe guidata dal funzionario della sede Oms di Venezia, Francesco Zambon.
Il documento che sbugiardava il ministero - poi ripescato da Robert Lingard, il consulente dei legali dei familiari delle vittime della Bergamasca - era sparito dopo 24 ore anche perché Zambon si sarebbe rifiutato di postdatare il piano, facendolo sembrare aggiornato al 2017. Ma questo non discolpa Speranza, che probabilmente sapeva del report già ad aprile, perché informato dal suo capo di gabinetto Goffredo Zaccardi. (…)
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Grillo ama i giornalisti, a cominciare dai direttori dei Tg, «gentaglia che la pagherà» (ma è detto con ironia), e ha un debole per i cronisti parlamentari, «folle di gossipari e di pennivendoli, mercanti di parole rubate», ai quali voleva addirittura riservare un' area tutta per loro: «Non devono infestare Camera e Senato e muoversi a loro piacimento. Vanno disciplinati in spazi appositi, fuori dal palazzo». E infatti per i giornalisti lui ha persino organizzato dei premi. Il primo, varato il 6 dicembre 2013, fu «Il giornalista del giorno», e la vincitrice numero uno fu Maria Novella Oppo dell' Unità, che quel giorno raccolse sul blog un diluvio di insulti (tutti ironici e affettuosi, si capisce, da «cogliona di merda » a «vai a cagare, parassita »). Poi vennero «Il giornalista dell' anno», ovvero «quello che più si è distinto per il suo livore prezzolato» (16 mila votanti, vincitore Giuliano Ferrara) e «Lo sciacallo del giorno», assegnato d' ufficio a Vittorio Zucconi. Infine, l' ultima geniale pensata, quella di far giudicare tg e quotidiani a una giuria popolare, così «se viene accertata la falsità di una notizia il direttore, a capo chino, deve fare pubbliche scuse», un' idea che non era venuta neanche a Mao. Ora, vogliamo considerare tutto ciò «intimidazioni verbali »? Ma no, via. Erano battute, gag, scenette per farci ridere un po'. Perché Beppe Grillo, in fondo, è solo un comico. O no?
Su LaRepubblica, una pettinatina al Venezuelano de’noantri, che se la ride (è solo un comico, come non è titolare di blog) quando Reporters Sans Frontieres lo cita come uno degli elementi di ARRETRATEZZA riguardo la libertà di stampa in Italì.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/cogliona-merda-vai-cagare-parassita-leccaculo-collusi-146640.htm
(ps.: è un garone tra escrementi. Intanto Trump dimezza le tasse; voi consolatevi con questa interessante sfida dialettica, fin che vi fotte lo statalismo in salsa sinistra o 5 stelle).
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2 ott 2020 08:40
A CHI E’ FINITO IL BONIFICO DA 700 MILA EURO, SU UN CONTO AUSTRALIANO, EFFETTUATO DALL’EX CARDINALE BECCIU? C’ENTRA QUALCOSA IL PROCESSO PER PEDOFILIA A GEORGE PELL, GRANDE NEMICO DEL PRELATO SARDO? SECONDO MONSIGNOR PERLASCA NEGLI ULTIMI ANNI BECCIU SI SAREBBE SERVITO DI ALCUNI GIORNALISTI E DI ALTRE FONTI PER SCREDITARE I NEMICI - IL DOSSIERAGGIO E LA LOTTA TRA CARDINALI…
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Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
C'è una vera e propria attività di dossieraggio di alcuni prelati dietro la svolta dell' inchiesta che ha portato alle dimissioni di monsignor Angelo Becciu. Monsignori - ma anche funzionari della Segreteria di Stato vaticana - che avrebbero conservato documenti sugli investimenti immobiliari e sulla movimentazione dei conti correnti.
Le verifiche riguardano numerosi bonifici, compreso uno da 700 mila euro che l' ex Sostituto avrebbe effettuato su un conto australiano. E tanto è bastato per far scattare i controlli. Proprio in Australia è stato infatti processato e poi assolto dall' accusa di pedofilia uno dei «nemici» di Becciu, monsignor George Pell. E adesso si sta verificando se sia stato effettivamente lui ad ordinare il versamento e chi ne siano i beneficiari.
Sono gli atti dell' inchiesta a svelare la guerra che si sta combattendo all' interno della Santa Sede. Decreti di perquisizione e sequestro, richieste di rogatorie, soprattutto verbali di chi ha deciso di collaborare con i promotori di giustizia, probabilmente sperando così di evitare conseguenze ben più gravi. Uno è certamente Alberto Perlasca, per anni capo dell' ufficio che all' interno della Segreteria di Stato gestisce l' Obolo di San Pietro, adesso indagato per l' investimento del palazzo di Sloane Avenue a Londra e per tutti gli altri esborsi milionari che hanno «depredato le casse del Vaticano».
Secondo le verifiche compiute dai promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi tra il 2014 e il 2017, Perlasca ha autorizzato il fondo Athena Capital Global riconducibile al faccendiere Raffele Mincione (indagato anche dalla Procura di Roma per riciclaggio) ad effettuare una serie di investimenti che si sono rivelati disastrosi per le finanze vaticane: depositi in conti correnti Deutsche Bank per 38 milioni di dollari; acquisizione di azioni della società Stroso Jersey per circa 13 milioni di dollari, sottoscrizione di bond, emessi dalla Time and Life S.A. (che faceva capo a Mincione) per 16 milioni di dollari; finanziamenti a Cessina Limited (a cui fa capo un' altra iniziativa immobiliare di Mincione) per 20 milioni di dollari;
acquisizione del 30 per cento di Alex srl; acquisizione di 26 unità del fondo immobiliare Tiziano San Nicola della Sorgente sgr; acquisizione di azioni di banca Carige; acquisizione di azioni della Banca popolare di Milano; sottoscrizione di 3,9 milioni di euro di obbligazioni della società italiana Sierra One, che aveva acquisito i crediti vantati dal Fatebenefratelli con la Regione Lazio e che si era impegnata a riconoscere i crediti a una società che fa capo a Gianluigi Torzi, l' altro finanziere inquisito nell' inchiesta.
Nel febbraio scorso, quando è stato convocato dai Promotori di giustizia per rendere conto della propria attività nella Segreteria di Stato e ha ricevuto un ordine di perquisizione, Perlasca ha capito che rischiava di finire agli arresti.
Nel provvedimento oltre a contestargli le accuse di peculato, abuso di autorità e corruzione in concorso con i dipendenti della segreteria di Stato e i faccendieri che hanno portato avanti gli investimenti, i promotori evidenziano che «la violazione della disciplina sovrana dell' amministrazione dei fondi dello Stato e attraverso lo sfruttamento della posizione ricoperta nella struttura amministrativa della Segreteria; l' aver usato in modo illecito e a vantaggio proprio e di altri le somme vincolate a opere di carità; aver ricevuto per gli atti compiuti denaro e altre utilità».
Pochi giorni dopo si è presentato di fronte agli inquirenti e ha cominciato a collaborare ricostruendo quanto accaduto e mettendo in cima alla lista proprio monsignor Becciu. Ha parlato del suo ruolo collegato ai faccendieri, dei soldi fatti arrivare alle imprese dei fratelli attraverso un giro di conti proprio per mascherare la destinazione finale. Ha rivelato che appena dieci giorni fa, l' 11 settembre, l' Apsa, amministrazione del patrimonio della sede apostolica, ha pagato l' ultima tranche di 45 milioni, su 150, per riscattare l' immobile di Sloane Avenue. Poi ha aperto il capitolo più scottante.
Secondo Perlasca negli ultimi anni Becciu si sarebbe servito di alcuni giornalisti e di altre fonti per screditare i nemici. E proprio in questo filone rientra il versamento che sarebbe stato fatto in Australia e il possibile collegamento con il processo a Pell. La replica di Becciu è lapidaria: «Pur compatendolo, umanamente e cristianamente, per il difficile momento personale che sta attraversando, respingo decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa».
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