#democrazia e algoritmi
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pier-carlo-universe · 8 months ago
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La Rielezione di Trump e l'Alba di una Nuova Era di Caos Informativo
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un cambiamento radicale nel modo in cui l’informazione viene creata, condivisa e consumata. La prima fase di questa trasformazione digitale, guidata dai social media, è quasi al termine e la fase successiva promette una maggiore turbolenza. Con l’avvento dei giganti della tecnologia, il potere di pochi individui di plasmare il discorso pubblico globale è…
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abr · 1 year ago
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Sin dai tempi più antichi l'Umanità cerca senza mai trovarlo un modo sicuro per nominare governanti che siano davvero "giusti" e imparziali, gente davvero degna di "metter le mani" sulle tasche e non solo delle persone. Un fallimento dopo l'altro, dalla teocrazia alla aristocrazia alla democrazia.
Oggi si lamenta che i politici siano lontani dai veri problemi della gente: sono lì in funzione di ideologie o di interessi personali, sovente di entrambe.
Potrebbe esserci un futuro in cui algoritmi e intelligenza artificiale si assumano buona parte dei compiti dei politici e delle burocrazie.
Già oggi basterebbe analizzare i dati che le grandi aziende tecnologiche raccolgono su di noi da come usiamo i nostri cellulari. In questo modo, conoscerebbero i bisogni del "consumatore" per dar risposte più adeguate.
Berlusconi trent'anni fa fece irrompere i sondaggi nella politica. Oggi si può fare prima, si potrebbe addestrare l’intelligenza artificiale ad elaborare in modo disintermediato i dati fluenti dal nostro GEMELLO DIGITALE, in modo da gestire le scelte politiche. La capacità analitica di TUTTI i dati (disponibili) della AI, sostituirebbe una moltitudine di consiglieri e risparmierebbe un’infinità di burocrazia.
L’algocrazia, cioè il potere degli algoritmi di sostituire il lavoro dei politici e dei burocrati ma anche dei giudici o dei medici, può sembrarci la cosa più distopica ma è una possibilità reale.
Fa paura? Dice, dietro all'algoritmo c'è chi lo ha definito coi suoi bias. E i dati si manipolano. Invece dietro al politico o al giudice (a al medicozzo) chi c'è? Lo spoglio manuale di schede è davvero sicuro? Le decisioni di un giudice o di un medico sono prese nell'interesse di chi?
Di più, le masse beote non si mobilitano perché ora c'è la AI: lo fanno da millenni seguendo il manipolatore di turno.
Il punto come sempre non è criminalizzare, la tecnologia mica la fermi, va avanti lo stesso, o ce l'hai tu o chi la può usare come crede; il punto è rimanere pronti, aggiornati e vigilare.
Questa cosa della delega a entità non umane ci aiuterebbe imho a comprendere la follìa della politica (affidare il monopolio virtuale della violenza a gente selezionata con meccanismi criminogeni) e definire quali siano davvero gli ambiti (minimissimi) in cui serva davvero un regolatore "sociale" sovrapposto e prevalente al singolo individuo e alle leggi naturali dello scambio volontario.
ispirato (e stravolto) da https://lamenteemeravigliosa.it/benvenuti-nellalgocrazia-il-potere-del-pregiudizio-algoritmico/
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darktimefacta · 20 days ago
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pollicinor · 2 years ago
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Personalmente considero quello di AirBnB un caso di studio di eccezionale interesse per svariate ragioni. In primo luogo perché contribuisce, come accennato in apertura, a smitizzare le narrazioni ideologiche sull’intelligenza artificiale come strumento di democrazia economica e di liberazione delle classi medie dal dominio monopolistico delle grandi imprese (narrazioni, sia detto per inciso, cui contribuiscono certi intellettuali di sinistra infatuati del presunto carattere progressivo delle tecnologie digitali). Gli algoritmi di piattaforme come AirBnB, Uber e i vari social network, non “innovano” i rapporti socio-culturali né le modalità di produzione e distribuzione della ricchezza: si sovrappongono piuttosto sulla realtà socio-economica esistente parassitandola, estraendone dati che si traducono in opportunità di profitti (soprattutto per i grandi player) non giustificati da reali miglioramenti della produttività sociale (il che rappresenta una ulteriore spinta al processo di finanziarizzazione dell’economia).
Dall’articolo "AirBnB come metafora della guerra fra poveri" di Carlo Formenti
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3nding · 4 years ago
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Si autodefiniscono i baluardi della democrazia, a differenza dei social che a loro dire la democrazia la stanno distruggendo anche per colpa degli algoritmi cattivi che alimentano il business dell'odio e della disinformazione.
Esempio plastico di questa forma disgustosa di ipocrisia è l'amplificazione delle parole idiote di un idiota totale ma famoso che nega il virus e si dice certo che ''ci nascondono la verità" etc etc.
Cosa pensa e dice questo personaggio su covid e misure di sicurezza dovrebbe essere del tutto irrilevante e andrebbe ignorato invece in un sistema compromesso e corrotto diventa una 'notizia' da far girare proprio sui social facendo leva su dinamiche e meccanismi tossici da cui ci mettono quotidianamente in guardia perché loro sarebbero i buoni.
Senza scrupolo si diffondono parole sconsiderate, indegne, offensive davanti a centinaia di morti al giorno, centinaia e centinaia di persone che muoiono da mesi ogni giorno da più di un anno.
Ma non fatevi ingannare il problema non è questo o quel titolo, questa o quella notizia. Lo scempio è sistemico, strutturale e irredimibile. E quel poco di qualità e servizio pubblico che si salva e ci salva per quel che può non fa sistema.
I veri nemici della democrazia stanno qua.
Quelli che spacciano per giornalismo queste operazioni ciniche e bastarde e si intestano, senza pudore e senso del ridicolo, la battaglia contro i social che fanno troppo poco per contrastare la disinformazione e da cui pretendono fiumi di denaro (ottenendoli) per i loro contenuti di presunta originalità e qualità. Solitamente palate di monnezza, una catena di rilanci di copia e incolla, notizie tutte uguali, che riversano sui social per scatenare le reazioni e i commenti degli utenti (senza avere alcun interesse nella discussione e conversazione pubblica), reazioni utili, nella loro miope visione, a generare traffico, senza sentire un minimo di responsabilità e nella tipologia dei contenuti e nella moderazione. E per le conseguenze di tutto questo nel breve e lungo termine. - Arianna Ciccone, Fb
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spettriedemoni · 4 years ago
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Due parole sui social media.
Sei cose a partire dal ban di Trump, su libertà di espressione e violenza, sui social e non solo.
1. Libertà di espressione e chiamata alla violenza non c’entrano nulla. Se Facebook rimuove un mio post in cui chiedo, anche velatamente, ai miei amici o follower di picchiare x, non sono stato “censurato da un monopolista privato”: mi è stato giustamente impedito di arrecare danno alla salute di x. Se io comunque imperterrito continuo per mesi ad attentare alla vita di x, y, z o della collettività democratica tutta, e Facebook (o Twitter, o Twitch, o Instagram, o che piattaforma volete) mi sospende il profilo a tempo indeterminato, di nuovo non sono stato “censurato da un monopolista privato”: sono stato accompagnato alla porta dal padrone di casa, prima di poter sparare (o far sparare) ai commensali. Il mio diritto di dire finisce quando, dicendo, metto a repentaglio il diritto degli altri di esistere a prescindere da cosa io pensi di loro. E sapete perché Twitter ha bannato Trump? Tra gli altri motivi, perché ha trovato piani per ulteriori violenze, direttamente collegati alle parole di Trump. Meglio contare altri morti il 17 gennaio o un profilo Twitter in meno?
2. Se queste elementari regole di civiltà valgono per me, che sono un cittadino qualunque, debbono valere a maggior ragione — e molto di più — per un leader politico con milioni di seguaci. Lo scrivo da tempo immemore, nel disinteresse generale (perché della libertà di espressione dei comuni mortali non interessa mai a nessuno: interessa molto, invece, per qualche ragione, quella dei potenti, meglio se estremisti): maggiori le responsabilità pubbliche e il seguito, maggiori devono essere le restrizioni e i controlli. In un mondo civile questo sarebbe conseguenza logica del fatto che chi rappresenta le istituzioni dovrebbe farlo con “disciplina ed onore” (art. 54 Cost., per es.), cioè fungere da modello di civiltà e non di barbarie; ma siccome non siamo in un mondo civile, meglio un tweet rimosso in più che qualche morto a terra in più, come detto, come conseguenza di parole “libere” ma violente. Davvero rimpiangiamo uno status quo in cui per un comune cittadino è l’arbitrio totale, in assenza di qualunque trasparenza o reale meccanismo di appello, mentre per i leader politici, gli influencer e chiunque porti grossi volumi di traffico alle piattaforme è la licenza assoluta o quasi di dire e fare la qualunque? Oggi che si inverte finalmente la tendenza, ci si lamenta — mentre fino a ieri, che la tendenza era inaccettabile, andava bene così? Complimenti ai “cani da guardia” dei cittadini, invece che dei potenti.
3. Fino a ieri si diceva: “I social media, non eliminando odio, violenza e fake news, distruggono la democrazia”. Quante volte lo abbiamo letto? Ne hanno fatto bestseller, TED talk virali, infiniti editoriali indignati — e, in alcuni casi, anche vere e proprie norme, per costringere a rimozioni rapide, idealmente istantanee (tramite filtri stupidi, ma automatici — quindi accettabili per chi ancora caschi nel mito della neutralità e oggettività degli algoritmi). Ora che le piattaforme hanno finalmente agito, mettendo al bando quello che molto probabilmente è il più grande odiatore bugiardo e istigatore di violenze della storia contemporanea in contesti democratici, dovremmo dunque assistere a un tripudio, un coro di celebrazioni. Non si chiedeva facessero proprio quello? E invece no. Ora il coro dei critici dice che i social media restano comunque una minaccia per la democrazia perché avrebbero violato la libertà di espressione (no, vedasi punto 1) del suddetto odiatore bugiardo e istigatore di violenze. Come? Impedendogli di fare l’odiatore bugiardo e istigatore di violenze. Non ci capite più niente? Esatto, nemmeno io.
4. “Ma così si crea un precedente!” Sì, e finalmente. A parte che i precedenti non sono granito, non sono immodificabili, non ci costringono a diventare algoritmi che ubbidiscono al precedente, sempre e in ogni circostanza. Il punto è che era ora di dire basta. Anzi, il vero problema è che le piattaforme abbiano agito solo ora che c’è stata una tentata insurrezione in Campidoglio, e che ci sono morti a terra (ovviamente quando le insurrezioni e i morti sono altrove tutto ciò non accade: gli USA sono ancora il centro del mondo, quando si parla di politiche tecnologiche, visto che le aziende che regolano il nostro dire sono — ancora e in massima parte — statunitensi). Dovevano farlo molto prima, soprattutto visto che le parole del suddetto odiatore e istigatore di violenza (Donald Trump) sono le stesse da mesi, e le conseguenze logiche si potevano e dovevano tirare molto prima che una banda di terroristi estremisti assaltasse le stanze che rappresentano — nel bene e nel male — la democrazia occidentale, distruggesse postazioni e aggredisse giornalisti, scrivendo sulla porta d’ingresso (ma è la loro libertà di espressione, giusto?) “murder the media”. Andavano fermati molto prima, e questa è una enorme responsabilità storica delle piattaforme, che non si può tacere.
5. No, non abbiamo comunque trovato una panacea a ogni male. Le piattaforme sono incoerenti e ipocrite, seguono l’opinione pubblica e i loro interessi quanto tutti i soggetti con interessi come i loro. Molti altri violenti saranno ospitati su piattaforme: la violenza è parte ineliminabile dell’umano, e quando ci sono milioni di contenuti al minuto come si fa controllo editoriale su ciascuno di essi prima che diventi pericoloso? (Per questo chi dice che i social media sono editori sbaglia completamente: un editore può controllare facilmente ogni contenuto da lui prodotto — anche se, come ben sappiamo, molto spesso non lo fa, producendo il giornalismo penoso che finisce poi per ingrossare le fila di violenti e complottisti; ma di questo non ci piace parlare, ci piace parlare dei social media cattivi in isolamento dal resto del contesto mediatico, che fa più contemporaneo) E no, non esiste un sistema di credenze perfettamente coerente che consenta di gestire in modo infallibile ogni questione di moderazione dei contenuti in un’era come la nostra. Semplicemente, dobbiamo ragionare caso per caso, e non possiamo né dobbiamo impedire ai futuri casi ipotetici di agire su un reale caso attuale. La violenza è qui e ora, non è un’ipotesi astratta.
6. Siamo davvero ossessionati dai social media. C’è stato un tentato colpo di Stato nella democrazia più rappresentativa dell’idea di democrazia (di nuovo, non concordo con l’idea ma questo è il messaggio che passa da decenni) del mondo, ci sono morti, ci sono minacce concrete di altra violenza, ci sono testate e network tv che continuano a screditare le istituzioni democratiche e il risultato delle elezioni senza alcuna prova, estremisti intervistati come intellettuali — ma il problema sono Facebook e Twitter. Viviamo tutti dentro a un enorme incubo di determinismo tecnologico, dove la politica, la storia, la società, l’individuo nella sua interezza ormai contano solo in quanto profili, pagine, account, bot o simili. Dobbiamo uscire da questo incantesimo maledetto, o usciremo dalla civiltà in quanto tale: non si può scambiare l’esistenza con la comunicazione.
Postilla: sì, questo è uno spazio di discussione *privato*, non un servizio pubblico. Lo accettiamo ogni volta che lo usiamo. Volete un social network di Stato? Bene, se pensate sia una buona idea, chiedete venga realizzato. Ma lamentarvi che il privato che vi apre la porta di casa faccia le regole di ospitalità in casa sua è, francamente, ridicolo.
(Fabio Chiusi su Facebook)
Da far leggere ai tanti voltariani di Tumblr, ai teorici della "libertà di espressione", ai fascisti che si lamentano della censura per un tweet o un post rimosso. La mia libertà finisce dove inizia la tua.
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corallorosso · 5 years ago
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L’ultimo stadio del populismo: il risultato non ci piace? Ci inventiamo brogli e cancelliamo la democrazia Il bamboccione, il vero bamboccione, è quel ragazzo attempato che guida una superpotenza mondiale e ieri è riuscito nella mirabile impresa di svolgere la peggiore conferenza stampa di questi ultimi anni in una cosiddetta democrazia. Il ragionamento di Trump, come tutti i ragionamenti semplici di chi è incapace di affrontare la complessità, è basico e feroce, come quello dei bamboccioni, e si srotola tutto nel ritenere il potere un proprietà privata che contiene tutto: presidenza, favor di popolo e persino la democrazia e tutti i suoi meccanismi. I nuovi populisti, che ci auguriamo vengano spazzati via presto se basta un Biden per spodestarli, sono dalla parte del popolo solo se il popolo è dalla loro parte poiché si riempiono la parola della parola “patria”, ma l’unica patria che riconoscono sono loro stessi, perfino i propri elettori sono semplicemente un ingrediente fastidioso e detestabile che serve solo per raggiungere lo scopo. E così Trump che ci parla di “brogli alle elezioni” senza uno straccio di prova e che legge come voti utili solo i voti che riguardano se stesso sono l’ultimo stadio del populismo che ci ha infettato tutti, da parecchi anni, e che passa dalle più disparate e screanzate teorie che permettono di restare a galla (o di illudersi di restare a galla come nel caso di Trump) senza nemmeno assumersi l’onere della prova. Trump sta disfacendo la credibilità degli Usa nel mondo senza nessun senso di responsabilità nei confronti dell’onore del suo Paese, quell’onore di cui si è riempito la bocca per tutti questi anni fingendo di parlare di Usa quando in fondo era solo una proiezione della propria identità. E siccome sono personaggi fragili, fragilissimi, riescono a misurarsi solo con la ricchezza e con il potere che hanno conquistato senza mai riuscire a fare i conti con un’eventuale sconfitta. Un presidente Usa che viene perfino censurato dagli algoritmi social per le sue strampalate teorie senza né capo né coda è un bamboccione che ha già perso, è quello che grida dall’ultimo banco per farsi notare, è quello che dice “la palla è mia ora non si gioca più”, solo che lo fa nelle vesti di presidente di una superpotenza mondiale. Trump ha a disposizione tutti i mezzi per verificare e per raccontarci la regolarità delle elezioni: lo faccia, indaghi, porti i numeri, presenti i fatti. Ma no, non accadrà perché questi sono solo la loro narrazione, in sostanza non esistono e quando la narrazione si incaglia sanno solo svoltolare. Come bamboccioni. Di Giulio Cavalli
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italian-malmostoso · 6 years ago
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Provo a fare un esperimento
Simone Di Stefano di CasaPound sostiene che Facebook usi algoritmi per il riconoscimento dei volti, in questo caso il suo, per cancellare i post col suo viso o per chiudere temporaneamente o definitivamente le pagine dove si trovano.
Da San Tommaso, quale mi ritengo, proverò quindi a fare un post con questa foto in una mia pagina FB di paesaggi e arte italiana, che non aggiorno da tempo, ma sempre con un buon seguito, e stare a vedere che succede.
Se Di Stefano ha ragione ho avuto buon naso nel non usare più FB, altrimenti il nostro altro non sarebbe che un quaquaraquà piagnone e vittimista; ritengo, comunque, più veritiera la prima ipotesi.
Resta il fatto che, effettivamente, ogni pagina riconducibile a CP è stata chiusa, il che non fa buon gioco alla democrazia, ispira simpatia per il bandito (nel senso del verbo bandire, che avete capito?) e consenso per il suo movimento.
E Facebook dovrebbe, con lo stesso criterio, chiudere milioni di pagine di odio comunista, verso i bianchi, di femminismo farneticante, e via di questo passo.
Starò a vedere e vi terrò informati.
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primavereautunni · 6 years ago
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La politica newtoniana era adatta a un mondo lineare, controllabile, nel quale a un'azione corrispondeva una reazione e gli elettori potevano essere considerati come atomi dotati di appartenenze ideologiche, di classe o territoriali, dalle quali derivavano scelte politiche definite e costanti. La democrazia liberale è, in qualche modo, una costruzione newtoniana [...]. Nella politica quantistica una realtà obiettiva non esiste. Ogni cosa si definisce, provvisoriamente, in relazione con qualcos'altro e, sopratutto, ogni osservatore determina la propria realtà. Nel nuovo mondo diventa sempre più raro accedere a contenuti che non siano stati tagliati su misura. Gli algoritmi di Apple, di Facebook, di Google fanno in modo che ciascuno di noi riceva le informazioni che ci interessano [...]. Il risultato è che, nella politica dei quanti, la versione del mondo che ciascuno di noi vede è letteralmente invisibile agli altri. Il che rende sempre più remota la possibilità di un'intesa. [...] Ognuno di noi cammina nella propria bolla, dentro la quale si sentono alcune voci e non altre, esistono alcuni fatti e non altri, senza la minima possibilità di uscirne, figuriamoci scambiarla con quella di un'altra persona. "Sembriamo pazzi gli uni altri altri" dice Jaron Lanier e in effetti è proprio così, perché a dividerci non sono più le opinioni che portiamo sui fatti, ma i fatti stessi.
Giuliano Da Empoli, Gli ingegneri del caos, Marsilio 2019.
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pier-carlo-universe · 8 months ago
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La Rielezione di Trump e l'Alba di una Nuova Era di Caos Informativo
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un cambiamento radicale nel modo in cui l’informazione viene creata, condivisa e consumata. La prima fase di questa trasformazione digitale, guidata dai social media, è quasi al termine e la fase successiva promette una maggiore turbolenza. Con l’avvento dei giganti della tecnologia, il potere di pochi individui di plasmare il discorso pubblico globale è…
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personal-reporter · 2 years ago
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La disinformazione online e il ruolo dei social media
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La disinformazione online è diventata un problema sempre più diffuso negli ultimi anni, soprattutto a causa del ruolo dei social media nella diffusione delle notizie. I social media hanno acquisito un ruolo sempre più fondamentale nella vita quotidiana delle persone, diventando una fonte di informazione per milioni di utenti in tutto il mondo. Tuttavia, la diffusione di notizie false e di disinformazione sui social media rappresenta una minaccia per la democrazia e per la libertà di informazione. La disinformazione online si diffonde attraverso i social media in modo rapido e virale, grazie alla condivisione di contenuti da parte degli utenti. Spesso, i contenuti falsi o fuorvianti vengono creati con l'obiettivo di influenzare l'opinione pubblica o di promuovere interessi particolari. Inoltre, la disinformazione online può essere utilizzata per diffondere odio e discriminazione, creando tensioni e conflitti tra gruppi sociali. Per contrastare la disinformazione online, i social media hanno adottato diverse misure, come l'introduzione di algoritmi per identificare e rimuovere i contenuti falsi e la collaborazione con organizzazioni di fact-checking per verificare la veridicità delle notizie. Tuttavia, la lotta alla disinformazione online è ancora lunga e complessa, e richiede un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti. Inoltre, è importante che gli utenti dei social media siano consapevoli del problema della disinformazione online e siano in grado di identificare i contenuti falsi o fuorvianti. Gli utenti dovrebbero verificare la fonte delle notizie e cercare di ottenere informazioni da fonti affidabili e indipendenti. Inoltre, gli utenti dovrebbero evitare di condividere contenuti senza averli verificati, per evitare di contribuire alla diffusione della disinformazione online. In conclusione, la disinformazione online rappresenta una minaccia per la democrazia e per la libertà di informazione. I social media hanno un ruolo fondamentale nella diffusione delle notizie, ma devono fare di più per contrastare la disinformazione online e garantire la veridicità delle informazioni. Inoltre, è importante che gli utenti dei social media siano consapevoli del problema della disinformazione online e siano in grado di identificare i contenuti falsi o fuorvianti. Solo attraverso un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti sarà possibile contrastare efficacemente la disinformazione online e garantire un'informazione libera e indipendente per tutti. Read the full article
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abr · 3 years ago
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(P)erché Musk si sia lanciato in un’operazione tanto vistosa (acquisizione di Twitter)  in una fase in cui le sue attività più volte sono state oggetto di critica, dalla possibilità di un suo insider trading sulle criptovalute al braccio di ferro con le autorità del governo per le attività di Tesla in Paesi rivali come la Cina. Una spiegazione può essere quella del tentativo di Musk di accreditarsi nel gotha di Big Tech, forzando una rivoluzione nella gestione di un social che non rappresenterà il suo core business aziendale, per poi portare queste pratiche a diffondersi sulle altre piattaforme. Consacrandosi come vero “rivoluzionario” del mondo social e, dunque, entrando con un’azione da guastatore negli affari di compagnie come Facebook, Google, Amazon, notoriamente molto disinvolte nella gestione dei dati degli utenti. Una partita che va di pari passo con il tentativo di creare un oligopolio tech non necessariamente legato al trittico Silicon Valley-Partito Democratico-cultura liberalprogressista e che è stato anticipato dalle mosse di Musk in Stati federali conservatori come il Texas. “Authenticating all humans“: sarà questa la chiave di volta del Twitter del futuro,  (...) in pratica, al fine di sconfiggere i bot (che hanno avuto un peso enorme nel diffondere le fake news negli ultimi anni) vuole obbligare tutti gli utenti ad autenticarsi sulla piattaforma (...).  Una manovra che può anticipare alcuni interventi dei regolatori ma anche di fatto forzare cambiamenti che poi altre piattaforme dovranno adattare (...).  Bezos e Biden sul piede di guerra Che ci sia ruggine per l’operazione di Musk tra il patron di Tesla e il mondo politico-imprenditoriale americano è chiaro. Oltre a sdoganare il suo quotidiano, ad esempio, Bezos ha scritto che l’acquisizione da parte di quest’ultimo del social media Twitter rischia di esporre tale piattaforma digitale all’influenza della Cina. (...) Bezos ha ricordato che “il secondo maggiore mercato di Tesla nel 2021 è stata la Cina”, e che “i produttori di batterie cinesi sono importanti fornitori per le auto elettriche di Tesla”. (...) Biden, invece (...) è “preoccupato dal potere dei social media al di là di chi è alla guida”, afferma la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. I democratici e i repubblicani sono uniti contro lo strapotere della Silicon Valley e delle piattaforme social (...) per motivi diversi. Ai liberal preoccupati per la disinformazione, le fake news e le teorie della cospirazione si contrappongono i conservatori contrari alla censura dei social controllati da un gruppo di ricchi democratici della California.  (...) (E') bene sottolineare che questo problema precede l’ascesa di Musk alla guida di Twitter. E il fatto stesso che negli ultimi tempi si sia vista la natura decisiva della classificazione delle informazioni secondo gli algoritmi di Facebook, il peso di Google News nell’orientare il (...) pubblico e lo scatenamento della potenza di fuoco del duo Bezos-Washington Post lo testimonia. L’affare Musk è una conseguenza, non una causa, del matrimonio sempre più organico tra big tech e circuiti informativi.  (...). Più potenza di fuoco del big tech, in fin dei conti, vuol dire più lobbying a Washington e più freni a ogni tentativo di riaffermare le leggi della concorrenza e della trasparenza. Con un danno generale alla democrazia economica internazionale che senza regole precise contro la creazione di monopoli permetteranno di rimediare.
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/non-ci-liberiamo-dei-cretini-rossi-2029123.html
Interessante analisi, peccato per il finalino statalista demenziale; le distorsioni di mercato e i MONOPOLI li crea sempre lo Stato e la sua ansia di porre rrrrregole ai comportamenti della gente (cfr. Pfizer, cfr. Banche Centrali).  Lo Stato crea monopoli, per abbattere i monopoli serve più Stato, ripete il bot-izzato. 
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olafoel · 3 years ago
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Elezioni italiane del 25 settembre 2022
“Tranquilli, chiunque vinca, il potere continuerà ad essere delegato all’ottusità di una batteria di algoritmi (Mario Draghi ci tranquillizza “.. tanto c’è il pilota automatico”), gestiti da un batteria di ottusi maggiordomi-burocrati di 27 Paesi, guidati da una baronessa tedesca, vestita con i colori pastello del cielo e del grano, sulla base di implacabili accordi notarili approvati dai singoli Parlamenti. Gerarchicamente sopra di loro non c’è nessuna Spectre, ma, in ordine sparso, i G 7, un pugno di CEO di Silicon Valley e di Wall Street, una batteria di potentissime società di consulenza, una batteria di media mainstream che producono dosi industriali di fake truth ad usum plebe. Curiosamente, chiamano questo accrocchio di potere verticalizzato “democrazia parlamentare”. E fingono che sia eletta dal popolo.”
firmato Riccardo Ruggeri
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spritzapeiron · 3 years ago
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Informazione e soggetti passivi
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Il tempo per comprendere
L’informazione è un tema importante, vasto e in continua evoluzione, sia da un punto di vista strettamente tecnico, o meglio tecnologico, che osserva e analizza gli strumenti attraverso i quali le notizie si propagano, sia da un punto di vista più umano, se vogliamo interpretativo, che richiede invece di soffermarsi sull’aspetto della ricezione delle stesse notizie. Di fronte a queste ultime noi siamo soggetti passivi, ricettori di contenuti che ci vengono offerti: un lusso che l’uomo del ventunesimo secolo si può permettere. All’abitante del comune medievale ciò non era concesso: Non avrai altro Dio al di fuori di me.
Una formula più o meno appropriata che rende l’idea. La Chiesa era il filtro, non a caso solo al clero era concesso di prendere visione delle pubblicazioni dell’epoca, per poi decidere cosa censurare e cosa invece potesse essere visibile agli occhi dei fedeli. La Chiesa era furba, più furba di quanto lo è oggi. Mutatis mutandis, potremmo in questo senso affermare che il metodo ecclesiastico sia stato uno dei primi esempi di manipolazione dell’informazione da quando la nostra specie ha imparato a comunicare. Però la Chiesa ha avuto un’attenuante, ossia quella di non essere parte di un sistema che si professava democratico, attributo che oggi invece è molto richiesto. Democrazia e libera informazione dovrebbero andare a braccetto, questo è almeno quello che c’è scritto sui libri. L’informazione e le sue dinamiche fungono da cartina tornasole per le nostre amate democrazie, modelli politici in cui molti credono. È un tema complesso, che soffre di costante semplificazione, specie da parte di chi le informazioni le trasmette. Ovviamente oggi non è più la Chiesa che si occupa di setacciare tutto ciò che circola e rimbalza da uno schermo all’altro, non avendo appunto i mezzi per farlo. La gestione del flusso di informazioni è affidata a un oligopolio composto da Stati e alcuni soggetti privati. Ognuno lo fa ovviamente cercando di portare l’acqua al proprio mulino, ma non mancano i taciti accordi. Capire chi detiene realmente l’informazione è un altro paio di maniche, sempre che ciò possa dirsi di un unico soggetto. Certo, ci sono gli algoritmi, ma un ruolo importante lo giocano i soggetti passivi, noi insomma. Recepire un input ci mette di fronte a un bivio, le cui strade ci portano da una parte ci porta ad assorbire completamente l’informazione rivelata, dall’altra a tenerla prudentemente a distanza, per poterla analizzare e comprenderla, ed eventualmente, criticarla. Risulta comunque difficile riuscire a non essere minimamente influenzati dal propagarsi continuo di notizie che ogni giorno si diffondono, proprio per il fatto che le molteplici e diverse fonti da cui scaturiscono veicolano i contenuti alla stregua di un pensiero dominante, o comunque polarizzato rispetto a due unici estremi. L’informazione, o più precisamente l’esposizione della stessa, viene semplificata in modo da essere velocemente compresa e fraintesa. Qualsiasi questione viene posta in maniera immediata, facile; la complessità è d’intralcio. 
Bianco o nero.
In sostanza è come se vi fossero degli ingegneri che semplificano per noi il problema, riproponendocelo in modo che possiamo acquisirlo e risolverlo più agevolmente. Ciò è accettabile quando l’oggetto di una notizia riguarda un argomento meno sensibile, meno politico. Ma spesso e volentieri tale iter speculativo viene adoperato nella trasmissione di ogni tipologia di informazione, facendo sì che le importanti questioni di un dato momento storico vengano allo stesso tempo semplificate e distorte. Tutto questo si ripercuote sulle stesse istituzioni democratiche, i cui modelli si ispirano alla libera circolazione delle opinioni, e dunque delle informazioni. Il problema che si pone è quindi legato al momento ricettivo, in cui noi soggetti passivi riceviamo un input che spesso non corrisponde alla realtà delle cose. La differenza a questo punto la fa la capacità di elaborare una sorta di filtro rispetto a tutto ciò che ci viene detto, in modo da assumere una posizione che sia passiva ma allo stesso tempo conoscitiva, che ci renda possibile esprimere un giudizio critico. Come detto sopra, non è un’impresa facile, anzi, a volte risulta quasi impossibile. Vogliamo o meno, l’ambiente che ci circonda e gli stessi strumenti utilizzati per la circolazione dei media assumono una prepotenza tale da rendere difficoltosa la comprensione delle informazioni che riceviamo, che sono tante e veloci. Di conseguenza, la tendenza è quella di ammettere soltanto due se non addirittura una soluzione argomentativa alle questioni che la quotidianità ci mette di fronte, poiché in questo modo si accelerano i tempi del dibattito. Ma la comprensione di una notizia e l’analisi dei fatti sono processi speculativi che richiedono prima di tutto tempo:
“Il problema è che per comprendere bisogna faticare, bisogna mettere in campo fatica e soprattutto tempo”
È quello che afferma Antonio Salvati, magistrato attivo sul tema della pena di morte in Italia, durante un’intervista inerente alla sua opera La penna e la forca. La pena di morte è sicuramente un esempio di quei temi sensibili e politici di cui si è detto in precedenza, un insieme di questioni che richiedono studio e attenzione, ergo tempo. Ecco dunque il nodo cruciale: siamo disposti a prenderci il tempo necessario per comprendere al meglio le informazioni che ci vengono trasmesse? 
Uno studio tutto italiano afferma che il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni soffre di analfabetismo funzionale, termine che allude all’incapacità di comprendere a pieno le informazioni quotidiane. Un dato recente che di certo non diffonde speranza, ma che mette in luce il problema. Non si tratta perciò solamente di una questione di cattiva informazione, o di manipolazione della stessa da parte di alcuni soggetti o istituzioni pubbliche. La riflessione deve porsi anche rispetto alla capacità e all’attitudine dei soggetti passivi di interpretare e comprendere realmente ciò che li viene trasmesso. Tornando al discorso sulla democrazia, la concezione di un libero dibattito fra i diversi individui politici necessita la conoscenza delle questioni che si discutono e che si intende risolvere, sia da parte di chi lo fa per mestiere, sia da parte di chi ne parla soltanto davanti a un caffè in un bar. Nel 2022 la mole di informazioni che circolano ogni giorno è immisurabile; il corretto utilizzo delle stesse è sempre più difficile. La partecipazione pubblica richiede in primis la capacità di comprendere e il tempo di farlo. I primi a subire gli effetti di una cattiva politica siamo noi cittadini. Perciò ha ragione Rodotà quando dice:
“La direttrice di marcia può essere quella di far votare tutti su tutto. Ma appunto votare soltanto: e non conoscere, discutere, progettare, controllare”
A chi si è preso il tempo per arrivare fino in fondo a quest’articolo, dico che volere tutto e subito non è sempre l’opzione migliore. 
Prendiamoci del tempo per capire.
Fonti:
https://www.lindipendente.online/2022/01/31/analfabetismo-funzionale-litalia-e-uno-dei-peggiori-paesi-in-europa/
Stefano Rodotà – Tecnopolitica: la democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione
Tommaso Mosole
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amgiacobazzi · 4 years ago
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La giustizia robotica La robotica e gli algoritmi applicati alla giustizia sono al servizio degli uomini e costituiscono strumenti che non sostituiscono gli esseri umani ma affiancano e agevolano la macchina del processo. Il soggettivismo del giudice in fondo è una garanzia di democrazia anche se a discapito della prevedibilità del risultato. La ragione ultima delle professioni forensi risiede…
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corallorosso · 5 years ago
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Perché il populismo digitale minaccia la democrazia
di Gabriele Giacomini (...) Internet, oltre a incentivare tendenzialmente reazioni “calde” e “di pancia” rispetto a riflessioni “fredde” e “di testa”, produce una (falsa) dis-intermediazione: tramite i social si ha l’illusione di avere un contatto diretto con il proprio “idolo”. Il leader può – appunto – appellarsi direttamente al popolo, addirittura ad ognuno di noi! E viceversa. Ma è una truffa: attorno al leader ci sono spin doctor, staff di comunicazione, addirittura algoritmi automatici che manipolano gli elettori, e che creano una cortina fumogena, una vera e propria “filter bubble” attorno al cittadino. Il digitale facilita “l’investitura elettoral-popolare” del leader, ma in realtà è un nascondimento di ben altri filtri; più misteriosi ed opachi di quelli del passato, ma non per questo inesistenti, anzi proprio per questo rilevantissimi: la Bestia, oppure gli algoritmi delle piattaforme di partecipazione diretta, Cambridge Analytica. Il rapporto diretto politico-popolo è solo un’illusione populista. ...Ormai non ci sono dubbi che Internet abiliti l’emersione di nuovi poteri, chiamati “neointermediari” da chi scrive, sia in ambito economico (Google, Amazon, Facebook eccetera) sia in ambito politico. In ambito politico sembrano fiorire “partiti piattaforma” ... e soprattutto “partiti personali 2.0”... Tutti questi sono aspetti rilevantissimi, che rischiano di aumentare in quantità e qualità le frecce all’arco di coloro che preferiscono attuare forme di comunicazione strategica e manipolatoria. ...sono due gli ingredienti essenziali di cui il populismo, il risentimento, l’insicurezza si nutrono: da una parte, la rabbia delle classi popolari fondata su cause economiche e sociali reali, dall’altra parte, una poderosa macchina comunicativa.... La nostra democrazia ... è ben di più della legittimazione popolare (necessaria ma non sufficiente): è un insieme di regole ed istituzioni che promuovono, ad esempio, i diritti umani, la libertà della stampa, la scienza, l’indipendenza della magistratura. Tutte cose che non vengono (o meglio che non dovrebbero essere) votate a maggioranza, magari con un clic distratto sullo smartphone, perché sono pre-condizioni irrinunciabili, valori superiori, anche alle questioni economiche. Dobbiamo ricordarcelo, perché il populismo esiste e opera, non solo digitalmente, fra noi.
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