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21 APRILE 753 a.C. - ROMAE DIES NATALIS
In questo giorno meraviglioso nacque Roma.
In principio una Città piena di timore.
I nemici la circondavano in ogni dove.
NULLA assicurava la sua sopravvivenza. Da questa Città, generazione dopo generazione, nacque una Civiltà che oggi vive attraverso noi.
Una tomba modesta di un Africano, ucciso nel 238 d. C., dice di più sul successo di Roma che un lungo discorso.
Vi si può leggere difatti: "Morì per amore di Roma".
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📜 VOCI DI ROMA
CATONE E IL VINO DI MIRTO
"Così si fa il vino di mirto. Secca all'ombra le bacche di mirto nero. Dove siano già appassite, conservale per il tempo della vendemmia. Allora pesta mezzo moggio di queste bacche, mettile in un'urna di mosto e chiudila. Quando poi il mosto avrà finito di bollire, leverai via le bacche.
Questo vino giova a chi soffra di dolore alle costole, coliche ed indigestione".
✍️ Catone, Liber de agri cultura, 125 (a cura di Francesco Ventura), Ventura Editore, Reggio Calabria 2012.
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📜 ACCADDE OGGI
Il 17 marzo del 45 a.C. ci fu la battaglia presso le pianure di Munda, l'ultimo scontro di rilievo della guerra civile in Iberia e che vide contrapposti sul campo di battaglia Giulio Cesare contro Gneo Pompeo e Tito Labieno, suo ex legato in Gallia.
Il resoconto della battaglia ci viene fornito in modo dettagliato da Cassio Dione e dal Bellum Hispaniense (un'opera letteraria il cui autore, probabilmente un comandante di Cesare, è sconosciuto).
"L'ordine di battaglia constava di 13 aquile, che erano protette ai lati dalla cavalleria, con 6 mila uomini di fanteria leggera; si aggiungevano inoltre quasi altrettanti ausiliari. Le nostre forze consistevano in 80 coorti e 8 mila cavalieri" (Bell. Hisp., XXX, 1).
L'esercito di Pompeo era accampato su una piccola collina, posizione sfavorevole ad un eventuale attacco di Cesare: "Sebbene i nostri fossero superiori per valore, gli avversari si difendevano disperatamente sulla posizione superiore e c'era da entrambi i lati un forte rumore e un fitto tiro di proiettili, così che i nostri quasi disperavano della vittoria" (Ivi, XXXI, 1).
"Cesare e Pompeo, vedendo dai loro cavalli a dalle alture questo spettacolo, non sapevano se dovevano sperare o temere. Nel vedere la battaglia dall'esito incerto, saltarono giù dai loro cavalli e si gettarono nella mischia" (Cassio Dione, XLIII, 37, 3-4).
Vista la progressione di Cesare sull'ala destra del suo schieramento, Pompeo tolse una legione dal suo fianco destro per poter meglio fronteggiare l'avanzata di Cesare, commettendo un grave errore: infatti la cavalleria di Cesare attaccò in forze il lato destro di Pompeo, mentre la cavalleria del re di Mauretania Bogud, tenuta a riposo fino a quel momento, riuscì a portarsi sul retro dello schieramento del figlio di Pompeo Magno, creando totale scompiglio tra le fila dell'esercito avversario.
"[...] i soldati non poterono più ricostituire le proprie file, perciò fuggirono, dirigendosi verso la città, respingendo con vigore i nemici e non desistettero prima di essere circondati da ogni parte e la città fu conquistata solo dopo che tutti caddero nella varie sortite. Le perdite tra i soldati romani, tra i quali Labieno, furono da ambo le parti così elevate che i vincitori, non sapendo come sbarrare le uscite dalla città per impedire che di notte qualcuno fuggisse, ammucchiarono davanti ad esse i cadaveri dei nemici" (Ivi, XLIII, 38, 3-4).
La completa vittoria di Cesare e la pacificazione successiva della penisola Iberica segnarono l’eliminazione di ogni forza armata di opposizione ai progetti di Cesare, il quale tornò a Roma divenendo dictator.
(I passi sono tratti da: Cassio Dione, Storia Romana (a cura di Giuseppe Norcio), BUR, Milano 1995; Pseudo-Cesare, La lunga guerra civile (a cura di Luigi Loreto), BUR, Milano 2009).
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📜 ACCADDE OGGI
Nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 55 a.C., Gaio Giulio Cesare portava per la prima volta nella storia le armate romane in Britannia. Nel De bello Gallico il generale romano riferisce che l’invasione era dettata dal fatto che i Galli durante la loro resistenza contro i romani, ricevettero l’aiuto delle tribù britanniche e “se non gli fosse stata sufficiente la stagione propizia per una guerra, giudicava che gli sarebbe stato di grande utilità se anche solo fosse andato nell’isola e avesse avuto nozione di quei popoli e avesse conosciuto le località, i porti e gli approdi, cose quasi tutte ignote ai Galli […] Perciò, quantunque avesse convocati presso di sé da ogni parte i mercanti, non poté saper nulla né della grandezza dell’isola, né delle popolazioni che la abitavano, né della loro esperienza in guerra, né delle loro istituzioni e neppure se vi fossero porti adatti ad accogliere un grande numero di navi da guerra”. (De Bello Gallico, IV, 20).
Vista la difficoltà nel reperire informazioni decise di inviare in avanscoperta il tribuno Gaio Voluseno, con il compito di esplorare la costa. Intanto i mercanti riferiscono ai britanni le azioni romane e “ varie città dell’isola gli mandarono ambasciatori, promettendogli di dare ostaggi e e di obbedire agli ordini del popolo romano. Egli li ascoltò e con cortesi promesse li esortò a mantenersi in questa loro decisione, indi li mandò in patria e insieme con essi inviò anche Commio, che egli dopo la vittoria sugli Atrebati aveva creato re, uomo che egli apprezzava per il suo valore e per il suo senno”. (IV, 21).
Raccolse quindi una flotta composta da ben 80 navi a Portus Itius (odierna Boulogne) e decise di trasportare nell’isola la settima e la decima legione; suddivise le navi da guerra di cui disponeva tra il questore, i legati e i prefetti. A esse si aggiungevano altre diciotto navi da carico che furono riservate alla cavalleria; lo stesso Cesare nei suoi commentari ci riferisce che “verso la mezzanotte salpò […] giunse con le prime navi in Britannia verso le dieci del mattino. Ivi vide schierato su tutti i colli l’esercito nemico in armi”. (IV, 23).
Dopo molte difficoltà, l’esercito romano riuscì a sbarcare in Kent, dove i Britanni tentarono di ostacolare lo sbarco dei romani, che però riuscirono a mettere in fuga i difensori; tuttavia mancò una definitiva vittoria, a causa del mancato arrivo della cavalleria romana. I nemici “mandarono ambasciatori a Cesare per chiedere la pace: promisero che avrebbero dato ostaggi e avrebbero eseguito tutti i suoi ordini. Insieme con questi ambasciatori giunse anche Commio” (IV, 27) che poco dopo essere sbarcato in Britannia era stato fatto prigioniero.
La pace fu però di brevissima durata poiché i capi britannici, accortisi che i romani mancavano di cavalleria (poiché le navi incaricate di trasportarla erano state bloccate e costrette a tornare in Gallia da una tempesta), attaccarono la VII legione, incaricata di provvedere al raccolto di viveri. Cesare, informato dell'accaduto, reagì prontamente e riuscì a salvare la legione. Rientrati all’accampamento, i romani si prepararono a subire un nuovo attacco dai nemici, che nel frattempo avevano radunato un nuovo esercito. Anche questo terzo attacco fu vanificato, grazie ai circa 30 cavalieri portati da Commio, con l’aiuto dei britanni filo-romani.
“Nello stesso giorno vennero a Cesare da parte dei nemici messi di pace. Cesare chiese un numero di ostaggi doppio di quel che aveva ordinato prima e comandò che glieli portassero poi sul continente”. (IV, 36).
Alla fine Cesare, resosi conto che la sua situazione era sempre più difficile da difendere e gestire, si ritirò, avendo ricevuto solo pochi ostaggi da un paio di tribù. Il Senato, nonostante l’esito non brillantissimo della campagna decretò comunque 20 giorni di feste pubbliche, non appena ricevette la missiva di Cesare contenete il resoconto degli avvenimenti.
Anche se la campagna si concluse con un insuccesso, evidenzia comunque le grandi capacità militari di Cesare e la sua volontà di portare le armate romane oltre i confini mediterranei, cosa alquanto rara non solo nella storia romana, ma in generale nella la storia antica, che ha visto questo meraviglioso mare centro della vita politica, economica e culturale di grandissimi popoli, le cui gesta riecheggiano ancora oggi dopo 2000 anni.
(Nell’immagine: Cesare sbarca in Britannia, incisione di Edward Armitage)
(I passi del De Βello Gallico sono tratti da: Opere di Gaio Giulio Cesare, (A cura di R.Ciaffi e L.Griffa), UTET, Torino 1973)
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📜 VOCI DI ROMA
IL TESTAMENTO DI ATTALO III
"Era frattanto morto Attalo Filometore ed Eudemo di Pergamo ne portò a Roma il testamento nel quale era stato indicato come erede del re il popolo romano. Subito Tiberio [Gracco], per favorire il popolo, presentò una proposta di legge in virtù della quale le ricchezze del re, portate a Roma, dovevano essere distribuite ai cittadini cui erano toccate in sorte le terre per le spese d'impianto e di avvio delle attività agricole. Per quel che riguardava invece le città del regno di Attalo, egli affermò che non era di competenza del Senato prendere decisioni, ma che ne avrebbe personalmente riferito al popolo.
Fu soprattutto per questo che il Senato si sentì offeso".
✍️ Plutarco, Vite di Tiberio e Caio Gracco, 14 (a cura di Domenico Magnino), BUR, Milano 1991.
📷 Vista dell'antica Pergamo.
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🗓 ACCADDE OGGI 🗓
Il 16 maggio del 218 d.C. veniva proclamato imperatore Marco Aurelio Antonino Augusto, meglio conosciuto come Elagabalo.
Di origine siriana, era per diritto ereditario l'alto sacerdote del Dio Sole (El-Gabal) di Emesa ed era imparentato con la dinastia dei Severi grazie alla madre Giulia Soemia, figlia di Giulia Mesa (cognata di Settimio Severo), a sua volta sorella di Giulia Domna, moglie di Settimio (Giulia Soemia era quindi cugina di Caracalla).
Elagabalo divenne imperatore grazie soprattutto alla nonna Giulia Mesa, la quale cercò l'appoggio dei legionari grazie alle ingenti ricchezze possedute dalla famiglia esiliata in Siria da Macrino e facendo leva sul malcontento intorno alla figura dell'Imperatore, malvisto dall'esercito a causa della sua partecipazione all'assassinio di Caracalla, inviso a molti romani ma non dalle legioni e a causa della sua fallimentare politica orientale: concessione dell'Armenia a Tiridate II e invasione della Mesopotamia da parte del re dei Parti Artabano V, con una conseguente pace ingloriosa.
All'alba del 16 maggio del 218 d.C. Elagabalo venne proclamato imperatore. Queste le parole di Cassio Dione, sebbene ci siano lacune e non si capisca chi fu il vero promotore della sua acclamazione tra i soldati di rango, oltre alla discussa paternità di Caracalla (secondo Erodiano fu la stessa Giulia Mesa a rivelare ciò, anche per ottenere l'appoggio delle legioni):
"Un certo Eutichiano [forse coincide con Gannide, cresciuto alla corte di Emesa e fautore della rivolta contro Macrino, grazie anche all'appoggio di Comazonte, liberto asceso al comando della II legio Partica] avendo notato
l'odio dei soldati contro Macrino e persuaso anche dal Sole, che chiamano Elagabalo e che venerano sommamente, tentò di rovesciare Macrino e di sostituirgli come imperatore Avito, il nipote di Mesa, benché ancora fanciullo e con pochi sostenitori tra soldati e senatori [...]. Fingendo che egli fosse un figlio illegittimo di Caracalla e facendogli indossare un abito che questi portava quando era un fanciullo [...] di notte lo condusse nell'accampamento e persuase alla ribellione i soldati già bramosi di avere un pretesto per una rivolta".
✍️ I passi sono tratti da: Cassio Dione, LXXXIX, 31, (a cura di Galimberti Alessandro), BUR, Milano 2018.
📸 Busto di Elagabalo conservato ai Musei Capitolini.
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🗓ACCADDE OGGI🗓
Il 12 maggio del 113 d.C. a Roma veniva inagurata la colonna Traiana.
La grandiosa colonna coclide celebrava la conquista della Dacia da parte dell'imperatore Traiano, avvenuta pochi anni prima, nel 106 d.C., dopo due sanguinose guerre. La colonna è del tipo "centenario" ed era alta 88 piedi romani, che corrispondono a 29,78 metri, che diventano 39,86 includendo anche il piedistallo alla base e la statua dell'imperatore posta alla sommità. Era posta alla termine del foro di Traiano, affiancata dalle due biblioteche fatte erigere dallo stesso imperatore.
Lungo la colonna si sviluppano 200 metri di magnifici fregi istoriati, che si arrotolano intorno al fusto per 23 volte e raffigurano 150 scene, animate da circa 2500 figure. L'altezza del fregio cresce con l'altezza, da 0,89 a 1,25 metri, in maniera da correggere la deformazione prospettica verso l'alto e far credere allo spettatore che le figure abbiano la stessa grandezza.
L'imperatore Traiano è rappresentato ben 59 volte nei rilievi della Colonna. La sua rappresentazione è però sempre realistica ed esprime, con gesti misurati, con sguardi fissi e composizioni ben architettate, la sua attitudine al comando, la sua saggezza, la sua abilità militare. Non possiede perciò capacità sovrumane o attributi adulatori, la sua è una rappresentazione dalla quale scaturisce oggettivamente la levatura morale.
Come scrive Cassio Dione, alla sua morte, le ceneri di Traiano furono riposte in un'urna d'oro e tumulate all'interno del basamento della colonna, primo imperatore sepolto all'interno del perimetro cittadino.
(In foto: denario coniato nel 114 d.C. che presenta sul dritto il busto laureato dell'imperatore e sul verso la colonna, da notare in particolare la rappresentazione della statua che in età romana ornava la sommità del monumento).
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🌸🌺🌺 Per la festa dei Saturnali, Romolo decide di invitare a banchetto tutti gli dèi insieme ai Cesari. Nell'Olimpo, sotto la Luna, vengono disposti i troni e i letti. Le divinità decidono di sottoporre gli invitati ad un agone con un unico obiettivo: CHI E' STATO IL MIGLIORE DI TUTTI I TEMPI?
A questa sfida prendono parte anche Giulio Cesare e Alessandro Magno.
Dal libello di Giuliano l'Apostata, "Il Simposio", vedremo gli imperatori sfidarsi, le divinità scegliere, i giudicanti giudicati.
Quale sarà il vincitore ed in base a quali criteri?
Scopriamolo insieme e diteci la vostra!
⚡️⚡️ LA FIERA DEGLI IMMORTALI.
IL SIMPOSIO, OVVERO QUELLA VOLTA CHE GLI IMPERATORI SFIDARONO GLI DEI
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🗓ACCADDE OGGI🗓
Il 10 maggio del 238 d.C. moriva ad Aquileia Gaio Giulio Vero Massimino, meglio noto come Massimino il Trace.
Nel 235 d.C. alla morte di Alessandro Severo, fu proclamato imperatore delle legioni renane di cui era il comandante, primo barbaro a raggiungere la porpora imperiale. Egli ottenne fin da subito grandi consensi presso i soldati, grazie alle sue vittoriose campagne contro gli Alamanni. Ma divenne ben presto inviso al senato, non solo perché non faceva parte dell'ordine senatorio, ma soprattutto a causa della sua decisione di imporre una fortissima pressione fiscale per far fronte alla grave crisi militare in cui versava l'impero. Fu quindi dichiarato nemico pubblico e i senatori nominarono imperatore in sua vece l'anziano Gordiano, che si associò il figlio.
Costoro furono presto eliminati dai soldati fedeli a Massimino e allora il senato proclamò imperatori Balbino e Pupieno e Massimino decise allora di marciare contro Roma. Decise prima di assediare Aquileia, ma le operazioni si rivelarono più lunghe e complesse del previsto. "Allora Massimino, attribuendo l'insuccesso alla ignavia dei suoi, fece uccidere, proprio in un momento così inopportuno, tutti i capi dell'esercito, provocando maggior malcontento" (Historia Augusta, Vita di Massimino, XXIII).
"Mancavano i viveri, perché un ordine del senato pervenuto a tutte le province e i comandi aveva tagliato ogni possibilità di rifornimento. L'assediante si trovava nelle condizioni di un assediato. Frattanto si diffondeva la notizia che tutte le regioni si erano dichiarate ostili a lui. Allora i soldati [...] in un momento di tregua si recarono, verso mezzogiorno, alla tenda in cui i due Massimini riposavano, e li uccisero, mostrando poi le loro teste conficcate su pali agli abitanti di Aquileia". (Historia Augusta, Ivi).
Così morì il primo degli imperatori che regnarono durante la cosiddetta "anarchia militare", che si concluderà solo con l'avvento di Diocleziano.
I passi dell'Historia Augusta sono tratti da: Scrittori dell'Historia Augusta (a cura di Leopoldo Agnes), UTET, Torino 1960.
(In foto: busto di Massimino il Trace, conservato nei Musei Capitolini di Roma)
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🗓 ACCADDE OGGI 🗓
IL CICLO FESTIVO DEI LEMURIA
Si trattava di feste celebrate il 9, 11 e 13 maggio intitolate agli spiriti dei morti, i Lemuri. Non si conoscono cerimonie pubbliche riferite ai Lemuri, ma abbiamo testimonianza del culto domestico grazie ai Fasti di Ovidio, il quale sottolinea che nel mese di maggio erano sconsigliati i matrimoni: "La gente dice che le donne sfortunate si sono sposate nel mese di maggio".
Gli spiriti dei morti venivano calmati con delle offerte, tra cui dei fagioli neri e, sempre secondo Ovidio, questa pratica derivava da Romolo, il quale istituì queste celebrazioni per placare lo spirito di Remo.
L'usanza era allontanare gli spiriti a piedi scalzi, lanciando fagioli neri dietro di sé per tutta la notte. Colui che prendeva parte a tale rito era il pater familias, il quale, senza voltarsi, ripeteva la formula «Manes exite paterni», cioè «uscite o spiriti degli antenati». Inoltre ripeteva per nove volte: «Dono questi, con questi fagioli neri redimo e riscatto me stesso e tutto ciò che è mio».
Successivamente la famiglia intera percuoteva dei vasi di bronzo, ripetendo sempre nove volte: «Spiriti ancestrali, andate!».
I passi sono tratti da: Ovidio, Fasti, V, 436-475 (a cura di Luca Canali), BUR, Milano 1998.
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📜VOCI DI ROMA📜
I BAGAUDI: DISAGIO SOCIALE IN GALLIA (IV E V SEC. D.C.)
"Ed ora dovrei parlare dei Bagaudi, che spogliati, perseguitati, trucidati da giudici malvagi, dopo aver perso la libertà romana persero anche l'onore del nome romano. Si imputa ad essi la propria infelicità e li chiamiamo ribelli, perduti, essi che noi appunto spingemmo ad essere criminali.
Per quali altri motivi infatti diventarono Bagaudi, se non per le nostre ingiustizie, per la disonestà dei giudici, per le prescrizioni e le rapine di coloro che volsero a entrare del proprio guadagno il pretesto della pubblica esazione dei tributi e trasformarono in proprio bottino le intimazioni tributarie? Che a somiglianza di belve inumane non governarono le persone a loro affidate, ma le divorarono e si pascevano non soltanto delle spoglie degli uomini, come sono soliti i più briganti, ma anche dello sbranamento e per così dire del loro sangue stesso?
E così accadde che gli uomini strangolati dai giudici e governanti cominciarono ad essere come barbari, perché non si permetteva loro di essere Romani: si rassegnarono ad essere quel che non erano e furono costretti a difendere almeno la vita, perché vedevano di aver perso del tutto la libertà".
✍️ Salviano di Marsiglia, Sul governo di Dio, V, 6 (a cura di S. Cola), Città Nuova, Roma 1994.
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antiquitatesromanae · 4 years
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📜VOCI DI ROMA📜
PROPAGANDA ANTIROMANA: LA LETTERA DI MITRIDATE AL RE DEI PARTI ARSACE
"Il re Mitridate saluta il re Arsace […]. I Romani hanno un solo e ormai antico motivo di far guerra a tutte le nazioni, a tutti i popoli, a tutti i re: la loro insaziabile cupidigia di dominio e di ricchezze. Per essa dapprima mossero guerra contro Filippo, re dei Macedoni, nonostante gli avessero simulato amicizia mentre si trovavano sotto la minaccia dei Cartaginesi. Quando Antioco accorse in suo aiuto lo distolsero fraudolentemente dall’intervenire promettendogli delle concessioni in Asia, ma non appena Filippo fu sconfitto, Antioco fu spogliato di tutto il territorio al di qua del Tauro e di diecimila talenti. Poi fu la volta di Perseo, figlio di Filippo, del quale questi astuti e abili orditori di perfidi inganni, dopo molti combattimenti di vario esito, avevano accolto la resa a discrezione sotto la protezione degli dèi di Samotracia e che, poiché nei patti gli avevano promesso salva la vita, fecero morire d’insonnia. Eumene poi, della cui amicizia essi ostentatamente si vantavano, prima lo consegnarono ad Antioco come prezzo della pace, poi, trattandolo come custode di un territorio occupato, a forza di esazioni e di oltraggi, da re che era ne fecero il più miserabile degli schiavi: inoltre, dopo aver prodotto un falso e sacrilego testamento, trascinarono nel corteo trionfale alla stregua di un nemico il figlio di lui, Aristonico, solo perché aveva osato reclamare il regno paterno. Così l’Asia fu da loro occupata. Da ultimo, alla morte di Nicomede saccheggiarono la Bitinia, nonostante esistesse sicuramente un figlio suo natogli da Nisa, a cui egli aveva conferito il titolo di regina.
Debbo proprio portare ad esempio me stesso? Io da ogni parte ero separato dal loro impero, essendo frapposti regni e tetrarchie, ma poiché correva fama che io fossi ricco e non disposto a servire, mi provocarono a guerra tramite Nicomede […]. Ora considera, ti prego, se dopo la nostra disfatta tu possa pensare di opporre una resistenza più valida o che ne venga la fine della guerra?
Io so bene che tu hai una gran quantità di uomini, di armi e di oro: per questo io ti cerco come alleato ed essi ti vogliono come preda […]. Ignori forse che i Romani, dopo che l’Oceano ha arrestato la loro marcia verso occidente, hanno rivolto qua le loro armi? E che non vi è cosa loro, patria, mogli, terre, impero, che fin da principio non sia stato frutto di rapina? […] Che nessuna legge né umana né divina può distoglierli dal depredare e dall’annientare alleati ed amici, popoli vicini e lontani, deboli e potenti, e dal considerare nemici tutti quelli che non sono sotto la loro servitù".
✍️Sallustio, Storie, IV, 69, (a cura di R. Ciaffi), Milano, Bompiani, 1983.
In foto: Statua di Mitridate oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi.
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📜ROMA SU PIETRA📜
SINCRETISMO TRA PUNICI E ROMANI
Trattasi di un'iscrizione apposta all'ingresso del teatro di Leptis Magna inaugurato nel giugno del 2 d.C. (la si può trovare anche in altri 2 punti ai lati del teatro).
La particolarità sta nel fatto che prima di tutto è bilingue, infatti il testo in punico segue quello latino e in secondo luogo ci mostra la perfetta idea di sincretismo ideologico e materiale nel processo definito romanizzazione.
Riportiamo il testo latino (AE 1998, 1513 = EDCS-06000319):
Imp(eratore) Caesare Divi f(ilio) Aug(usto), pont(ifice) max(imo), tr(ibunicia) pot(estate) XXIV, co(n)s(ule) XIII, patre patr(iae).
Annobal Rufus ornator patriae, amator concordiae,
flamen sufes, praef(ectus) sacr(orum), Himilchonis Tapapi f(ilius), d(e) s(ua) p(ecunia) fac(iendum) coer(auit)
idemq(ue) dedicauit.
L'autore della dedica e finanziatore del teatro è tal Annobal Rufus, figlio di Himilconis Tapapi, secondo gli studiosi appartenente alla famiglia Tapabius o Tapfabius, di origine libico-fenicia (suffisso tipico del sostrato libico-fenicio). Quindi la famiglia in questione, di origini indigene, si è successivamente punicizzata e poi romanizzata, come attesta molto bene l'iscrizione.
Ci sono molti particolari degni di nota:
- l'autore agisce come magistrato punico definendosi suffeta;
- è un «flamen», quindi preposto al culto imperiale;
- si definisce prima «ornator patriae», termine usato anche da Ottaviano Augusto nelle sue Res Gestae e che rimanda alla riqualificazione urbanistica da lui attuata, e poi «amator concordiae», una delle colonne portanti del pensiero politico augusteo, simboleggiato ancor di più nell'iscrizione con il simbolo delle due mani che si stringono (la concordia tra elemento punico e romano).
Per quanto riguarda la parte scritta in punico, la cosa più importante è che non si tratta di una traduzione letterale, poiché essa doveva rivolgersi a un pubblico diverso e quindi esprimere concetti e idee vicini al pensiero dei locali:
- Non si definisce «ornator patriae», ma «uomo di peso», in quanto suffeta;
- «amator concordiae» in punico è reso come «amante della scienza e della perfezione», mancandoci molte informazioni sull'orizzonte ideologico punico non sappiamo cosa si intenda di preciso con questa locuzione;
- alla fine del testo indica che l'ha costruito «secondo il piano», cioè secondo disposizioni urbanistiche dettate dai magistrati punici della città.
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antiquitatesromanae · 4 years
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🗓ACCADDE OGGI🗓
Il 26 aprile del 121 d.C. nacque a Roma il futuro imperatore Marco Aurelio Antonino Augusto, meglio noto semplicemente come Marco Aurelio.
"Marco Aurelio vide la luce a Roma, nei giardini situati sul Celio di proprietà della madre, Domizia Lucilla Minore, che a sua volta doveva averli ereditati da Domizia Lucilla Maggiore. [...] Questi giardini si estendevano in uno dei più ameni quartieri della città, sulla lunga collina, o meglio sul pianoro del Celio, lontano dalla congestione della Suburra e dalle nebbie che stagnavano frequentemente sui quartieri bassi".
"Nel libro I dei Pensieri, in cui rievoca le persone che ha avuto intorno nell'infanzia e che hanno influito su di lui, Marco Aurelio esprime la riconoscenza al bisnonno per non averlo costretto a frequentare le scuole pubbliche e per avergli procurato invece i migliori maestri. Sappiamo d'altronde che, nella sua fanciullezza, portò il nome del nonno, Catilio Severo. In quel periodo il bambino viveva nel giardini del Celio, che amava molto e che dovette lasciare, quando fu adottato da Antonino Pio, nel 138; lì considerò sempre come la sua piccola patria molto tempo dopo aver superato i vent'anni".
"In apparenza niente designava il giovane Marco a diventare imperatore. Grazie alla sua discendenza dagli Annii della Betica egli apparteneva a quella stessa aristocrazia provinciale spagnola che aveva già dato all'Impero Traiano e Adriano. Ma non risulta che fra i senatori originari della Spagna si sia formato un gruppo politico particolare. Le sue origini provinciali dunque non furono decisive. Contarono di più i legami familiari".
(I passi sono tratti dalla monagrafia di Pierre Grimal: Marco Aurelio, l'imperatore che scoprì la saggezza, Garzanti, Milano, 2013)
(Nell'immagine: statua equestre dell'imperatore inizialmente posta in Piazza del Campidoglio a Roma, oggi conservata nel vicino Palazzo dei Conservatori)
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antiquitatesromanae · 4 years
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📜VOCI DI ROMA📜
AMMISSIONE DEI GALLI IN SENATO
"L’imperatore [Claudio], per nulla turbato da questi e simili argomenti, subito replicò e poi, convocato il senato, parlò così: «I miei progenitori (il più antico tra loro, Clauso, di origine sabina, fu accolto contemporaneamente nella cittadinanza romana e nel patriziato) inducono a seguire nel governo criteri analoghi ai loro, applicando qui ciò che altrove fu efficace. So bene infatti che la famiglia Giulia fu fatta venire da Alba, i Coruncani da Camerio, i Porci da Tuscolo e che, tralasciando esempi remoti, famiglie di senatori furono accolte dall’Etruria, dalla Lucania e da ogni parte d’Italia: più tardi l’Italia stessa fu ampliata fino alle Alpi, sicché non solo gli individui singolarmente, ma le terre e i popoli furono unificati nel nome di Roma. La nostra patria fu in duratura pace, e fummo potenti sui nemici esterni, proprio quando i Transpadani furono accolti nella cittadinanza, e quando con l’invio di legionari in ogni angolo della terra si sostenne un dominio stremato, con il supporto validissimo dei provinciali. Ci rincresce forse la venuta dei Balbi dalla Spagna, e di altri non meno grandi uomini dalla Gallia Narbonense? Restano i loro discendenti e amano questa patria non meno di noi. Quale altra scelta rovinò Sparta e Atene, pur forti nelle armi, se non il fatto di tenere lontani come stranieri i nemici sconfitti? Invece Romolo, il nostro fondatore, fu tanto più saggio, da saper considerare molti popoli, nello stesso giorno, prima nemici, poi concittadini.
Vi furono stranieri tra i nostri re; l’affidamento di cariche pubbliche a figli di liberti non è, come molti erroneamente pensano, recente innovazione, ma frequente pratica dei nostri antenati. Certo i Senoni furono nostri nemici: ma Volsci ed Equi non si schierarono mai contro di noi? Fummo sconfitti dai Galli: ma demmo ostaggi anche agli Etruschi e subimmo il giogo dei Sanniti. Eppure, a riconsiderare tutte le nostre guerre, nessuna fu conclusa così in breve quanto quella contro i Galli, e allora la pace fu duratura e leale. Ormai essi sono uniti a noi grazie ad usi, attività, parentele: contribuiscano anche con l’oro e le risorse, piuttosto che possederli per sé soli. Tutti gli istituti, o senatori, che ora son giudicati di grande antichità, furono innovazioni: le magistrature concesse ai plebei dopo i patrizi, ai Latini dopo i plebei, a tutti i popoli d’Italia dopo i Latini. Anche questo diverrà consuetudine, e ciò che oggi giustifichiamo con l’esempio del passato, sarà a sua volta di esempio».
Al discorso dell’imperatore seguì il decreto del senato: gli Edui ebbero per primi il diritto di essere senatori in Roma".
✍️Tacito, Annali, XI, 24 - 25,1; (a cura di R. Oniga), Einaudi, Torino, 2003.
(Nella fotografia: Tabula Claudiana detta anche Tavola di Lione, in quanto rinvenuta nel 1528 a Lione, nella quale è possibile leggere un ampio stralcio del discorso tenuto dall'imperatore Claudio in Senato, discorso ripreso appunto da Tacito negli Annali)
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antiquitatesromanae · 4 years
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🗓ACCADDE OGGI🗓
Il 22 aprile del 455 d.C. moriva a Roma l’imperatore Petronio Massimo, dopo aver regnato per poco più di un mese, dal 17 marzo del 455 alla sua morte.
Il futuro imperatore nacque nel 396 da una famiglia senatoriale romana, la gens Anicia, una tra le più illustri di Roma. Nel 411 divenne pretore e successivamente comes sacrarum largitionum, una sorta di ministro delle finanze imperiali. Fu Prefetto d’Urbe e Prefetto del pretorio d'Italia, ricoprendo anche il consolato per due mandati. Divenne imperatore dopo la morte di Valentiniano III il 16 marzo del 455 e si assicurò l'appoggio del Senato distribuendo denaro ai funzionari del palazzo imperiale. Durante il suo breve regno fece coniare una quantità elevata di monete d'oro e, secondo la storiografia moderna, cercò di garantirsi il sostegno dei soldati con forti donazioni in denaro.
Licinia Eudossia fu la causa della sua caduta; la donna era infatti stata costretta a sposare Massimo e si appellò ai Vandali che, guidati da Generico, attaccarono l'Italia. Egli non riconobbe l'autorità di Massimo e richiese le isole Baleari, la Sardegna, la Corsica e la Sicilia e, partito dall'Africa settentrionale, raggiunse Roma. Appena la notizia si diffuse, il popolo si ribellò e Petronio Massimo decise di abbandonare la città, ma fu assassinato dagli schiavi imperiali o da un gruppo di soldati ribelli, mentre tentava di fuggire.
Purtroppo è impossibile avere certezze sulla morte dell’imperatore, quel che è certo è che due giorni dopo la morte sua morte, Genserico giunse a Roma conquistandola senza colpo ferire poiché si era precedentemente accordato con papa Leone I, che gli ingiunse di risparmiare gli abitanti.
(In immagine: Solido coniato durante il regno di Petronio Massimo, nel quale l’imperatore è rappresentato sul dritto)
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antiquitatesromanae · 4 years
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21 APRILE - ROMAE DIES NATALIS
In questo giorno meraviglioso nacque Roma. In principio una Città piena di timore. I nemici la circondavano in ogni dove. Nulla assicurava la sua sopravvivenza. Da questa Città, generazione dopo generazione, nacque una Civiltà che oggi vive attraverso noi.
Una tomba modesta di un Africano, ucciso nel 238 d.C., dice di più sul successo di Roma che un lungo discorso. Vi si può leggere difatti: "Morì per amore di Roma".
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