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Venerdì 30 ottobre presso La Conigliera di Resana, teatro sperimentale gestito da Anagoor, si è tenuto il quattordicesimo evento ASA, il primo presso il nuovo spazio de La Conigliera. ASA è un collettivo di giovani appassionati, amanti dell'arte e del fare arte, ogni membro di Asa è di per se l'amante, nonché l'esponente all'interno del gruppo di un preciso ambito artistico e riveste un suo nitido ruolo. Ciò che lega il gruppo è l'assidua ricerca sperimentale che di petto affronta macrotemi immensi, spaventosi e, all'apparenza, irrapresentabili. Asa, non si sa definire, non va definito. Quando ci è stata offerta l'opportunità di conoscere il lavoro di Asa subito ci è parso chiaro, nitido, facile da definire con i consumati ed abusati termini “Arte di concetto” o “performance”, ma più si entra nel meccanismo interno di questo gruppo, più si capisce come le regole radicate e quelle dettate al loro pubblico sono ragionate sin dal principio, sono dei dogmi chiave che permettono al gruppo di scavare nel concetto, di smembrare le idee con altre idee che divengono azione. Asa è un gruppo in costante crescita sotto ogni singolo punto di vista. Asa sta crescendo in particolare nella capacità di arrivare al pubblico trasmettendo ad esso in toto ciò che hanno per mesi studiato, approfondito e provato sulla propria pelle con ricerche mirate, profonde e dal raro eclettismo. L'ultima serata Asa, la quattordicesima, ha superato ogni altro evento precedente nella storia del gruppo, merito delle menti del gruppo sempre più affinate e predisposte alla creazione di eventi performativi e merito inoltre degli spazi de La Conigliera che hanno permesso la realizzazione di un apparato scenico estremamente funzionale e necessario alla performance e di grande impatto visivo nonché sensoriale. L'ultima performance Asa, vista con occhio esterno, sia da quelli che sono i suoi artefici che da coloro che hanno potuto viverla, ha assunto quasi l'aspetto di un esperimento sociale, un test psicologico che andava ad indagare le azioni dell'individuo costretto a vivere un'ora di totale libertà all'interno di un contesto obbligato. Dodici persone, costrette in una cella completamente buia stimolata da impulsi luminosi gestiti da all'esterno, quindi inaspettati. Luce rara, inaspettata, rumorosa ed aspra quella emessa da una vecchia tv a tubo catodico, mentre calda e rassicurante era quella donata da una lampadina. Ogni cella predisponeva di ciò: una lampadina, un vecchio televisore a tubo catodico, una striscia di carta, sulla quale gocciolavano gocce generate da dei cubetti di ghiaccio messo sotto vuoto, un recipiente con dell'acqua, un paio di forbici ed un punteruolo. Ad ogni cella una persona, costretta ad affrontare un'ora intera con se stesso, con il suo Sè e il suo Io. Ognuno fa parte di un tutto, ogni individuo di un collettivo, ogni 'uno' di una moltitudine e così anche lì, in quel teatro il 30 ottobre. È stato ricreato un contesto cosmico all'interno di una stanza, dove ogni persona è singola nota di un armonia, dove ogni persona è parte di una traccia più ampia, dove un'ora diventa una storia, con un inizio, uno svolgimento ed una fine, ma è anche sola ed ha il diritto di essere sola, di essere nella cella, la sua cella e gestire il suo tempo, la sua ora, con i suoi oggetti, la sua voce e compiendo soprattutto le sue scelte. Tutto era avvolto e accompagnato da una traccia dalla durata complessiva di un'ora, un tempo totale del quale a ogni singolo è stata donata una frazione, un dodicesimo del tutto. Ognuno poteva ascoltare la sua porzione di tutto e poi riconoscerla nel tutto stesso, il suo tempo all'interno dell'ora totale. Ognuno possedeva un frammento singolare, unico, cinque minuti che lo rendevano isolato dal contesto ma allo stesso tempo lo comprendevano serialmente nel tutto, in una sola ora di tempo. Il singolo frammento diveniva materiale per l'auto-riconoscimento all'interno di una globalità a cui ogni frazione rientrava. L'intera traccia è stata creata appositamente per l'evento ed è stata composta sulla base del concetto di atonalità. Si intende atonalità quando le dodici note della scala musicale (sette diatoniche e cinque cromatiche) assumono un’importanza paritaria fra loro, annullando il senso di un centro tonale attorno al quale ruota tutto il discorso melodico e armonico. In sostanza tutto si annulla, si parla quindi di atonalità quando l’espressione musicale si libera dall’obbligo di sottostare a un sistema di regole, in questo caso dettate dell’armonia tonale.
In quell'ora lo spazio individuale, prossemico è spazio sociale appropriato che diviene spazio libero, neutro ma connotato. In quella cella ogni individualità non ha avuto la libertà di scelta ma l'opportunità di essere libero per un'ora, una sua ora. Un'ora nella quale con la presenza di luce, di stimolo luminoso c'è Ratio, mentre all'assenza di luce corrisponde assenza di Ratio. L'ora inizialmente comporta uno stato di disorientamento, di vergogna, di dubbio ed insicurezza che poi, una volta acquisita la conoscenza della propria dimensione, muta in una sorta di ritorno allo stato primitivo dell'essere umano, alle prime consapevolezze delle capacità del proprio corpo, prima ancora che della propria mente: urla, fischiettii di canzoni infantili, battiti ritmati. Nasce probabilmente la necessità di coprire l'assordante silenzio con del rumore, con del suono che caratterizzi lo spazio vuoto, singolare e plurimo allo stesso tempo. Si nota in quest'ora l'opportunità che è data e colta dalla singola coscienza individuale: quella di poter esprimere ciò che nella totalità dei fatti quotidiani questa non può esprimere a causa di sguardi obliqui, costumi e norme sociali. La cella funge da maschera, da filtro anche all'occhio della ragione. Nonostante la libertà di scelta donata per un'ora vige ancora la legge di approvazione sociale: inizia un fischiettio, che, se viene colto, approvato e perpetuato da una seconda voce può continuare, se al contrario non viene colto, si lascia finire nel silenzio, vano, privo di approvazione ed identità. Terminata quell'ora, quei sessanta minuti, tutto è tornato alla normalità, ma i resti delle scelte individuali di ognuno sono rimaste, visibili e tangibili nelle singole celle.
TWENTY CENT
Octavio Paz “I LABIRINTO DELLA SOLITUDINE”
“La mia maturità non è una tappa di solitudine. L'uomo, nella sua lotta con gli uomini o le cose, si dimentica di sé nel lavoro, nella creazione o nella costruzione di oggetti, idee e istituzioni. La sua coscienza individuale si unisce alle altre: il tempo acquista senso e fine, è storia, relazione vivente e significativa con un passato e un futuro. A dire il vero la nostra singolarità- che scaturisce dalla nostra temporalità, dal nostro fatale inserimento in un tempo che è noi stessi e che alimentandoci ci divora- non risulta abolita, bensì attenuata e, in un certo senso, «redenta».”
ASA ringrazia
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30_10 La Conigliera Teatro #14 sancisce un nuovo inizio, l'occasione di poter guardare al passato, tradurlo, e consumarlo. Intendiamo prenderci cura di noi e voi, in quanto non vi è attenzione senza intenzione. Bisogna tenere il presente per comprenderne la potenzialità, sospendersi e tendersi. Non c'è via d'uscita: siamo obbligati a scegliere. La libertà è condizionata dalla capacità di scelta, che ne rappresenta la possibilità.
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Viaggi che cominciano così, tra i bianchi della #Conigliera e i neri di #Asa.
Conigliera Teatro 19-09-2015
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Terzo paradosso di Zenone: Una freccia scoccata con l’arco appare in movimento ma in realtà immobile in quanto essa, in ciascun istante, occupa soltanto uno spazio determinato che è pari alla sua lunghezza. Inoltre, poiché il tempo in cui essa compie la sua traiettoria è fatto di infiniti istanti e quindi per ognuno di questi istanti, e per tutti insieme, la freccia è di fatto immobile. Quindi il moto risulta impossibile, in quanto da una somma di immobilità e di istanti fermi in se stessi non può risultare qualcosa di diverso.
04-07-2015 ASA #13
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[...] in principio fu il ritmo, diceva von Bülow. Un altro modo per rimarcare che non c’è inizio semplice: niente ritmo senza ripetizione, spaziatura, cesura: “differenza-da-sé ripetuta del Medesimo”, dice Lacoue-Labarthe, e quindi ripercussione [répercussion], risonanza, eco, riverberazione [retentissement]. Noi siamo costituiti da questo ritmo, detto altrimenti (de)-costituiti dalle marche di questa battuta [frappe] “cesurata”, da questa ritmotipia che non è altro che l’idioma in noi diviso della désistance. Un ritmo ci raccoglie e ci s-partisce nella prescrizione di un carattere. Niente soggetto senza la firma di questo ritmo, in noi prima di noi, prima di ogni immagine, di ogni discorso, prima della musica stessa. “...il ritmo sarebbe la condizione di possibilità del soggetto”. J. Derrida, Psyché. Invenzioni dell’altro.
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Una distanza che si interpone, un tempo che accade.
22-05-2015
ASA #12
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ASA #11
Uno spazio è anche un processo, nel tempo e dal tempo scandito, nella scelta consapevole di transitarlo e abitarlo.
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ASA #10
Una presenza che lentamente si fa fisica e perde i suoi riferimenti oltre il proprio corpo.
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ASA #9
C’è sempre un vetro di fronte a noi.
Vediamo attraverso una superficie, sempre.
Questa superficie marca una spazio che sì è la visione, ma pone un confine, tra il mio guardare e il guardato, l’oggetto dello sguardo.
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Guardare oltre ciò che riusciamo a vedere. Diventare occhi.
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-C'è sempre un vetro di fronte a noi. Vediamo attraverso una superficie, sempre. Questa superficie marca uno spazio, che si è la visione, ma pone un confine, tra il mio guardare e il guardato, l' oggetto dello sguardo. Eppure vedendolo, percependolo nella visione, lo conosco, ne ho esperienza. Vi è una distanza, posta in essere proprio da questa superficie di mediazione, dove si incontrano la mia capacità di visione e quella dell' oggetto di essere guardato. Oltrepassando questo limite, questo confine, rendo noto, trasparente, non solo il processo attraverso il quale guardo, ma ho esperienza concreta di questo, sono occhio, e forse qualcosa in più, sono presenza.
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What is called “freedom of the will” is essentially the affect of superiority with respect to something that must obey: “I am free, ‘it’ must obey” – this consciousness lies in every will, along with a certain straining of attention, a straight look that fixes on one thing and one thing only, an unconditional evaluation “now this is necessary and nothing else,” an inner certainty that it will be obeyed, and whatever else comes with the position of the commander. A person who wills –, commands something inside himself that obeys, or that he believes to obey. But now we notice the strangest thing about the will – about this multifarious thing that people have only one word for. On the one hand, we are, under the circumstances, both the one who commands and the one who obeys, and as the obedient one we are familiar with the feelings of compulsion, force, pressure, resistance, and motion that generally start right after the act of willing. On the other hand, however, we are in the habit of ignoring and deceiving ourselves about this duality by means of the synthetic concept of the “I.”
Beyond Good and Evil
Friedrich Nietzsche
(via aplaceofaction)
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26_12 ASA #8
Tutto in noi è immagine e ogni forma trova in noi uno specchio.
Nel momento in cui ci proiettiamo fuori, nel momento in cui siamo la nostra presenza, ci percepiamo come soggetti dichiarandoci nel corpo e col corpo, siamo occhio, siamo il dialogo della nostra coscienza.
Guardare è un atto di coraggio.
L' immagine con la quale competere diviene compresenza di un noi con l' altro, e di un noi che chiamiamo a noi, un riflesso.
La visione è così partecipazione attiva, e di conseguenza tutte le immagini.
Ogni forma trova in noi uno specchio.
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