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Helyas Baskerville
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Ad ogni modo, aspiro all'imperfezione.
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ash-t0-ash · 10 months ago
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Anche Helyas non riusciva a smettere di pensare alle parole del veggente… ma non gli riusciva di comprenderne il nesso. Dal proprio canto, Ophelia non assomigliava a nessun altro, eppure alla mente gli si parò l’idea che il paragone che loro avevano in mente, potesse essere negativo. Ophelia trasmutava se stessa in un mostro vero e proprio, una creatura terrificante e forse qualcuno poteva nutrirne timore. Ma non lui, Helyas si fidava ciecamente di lei ed anche della sua doppia natura in perenne contrasto. Per molti versi, Ophelia era un mistero per Helyas, eppure aveva sempre sentito quell'affinità con lei, quella certezza che, insieme, avrebbero sempre vinto e che il marchio che gravava su di lei, non era altro che l'aspetto più oscuro e trattenuto di se stessa e che, di tanto in tanto, si amplificava e si dava libero sfogo. Ma non la temeva, non l'avrebbe mai temuta ed il perché non avrebbe saputo spiegarselo davvero. Era così e basta. La cena riprese con estrema lentezza, il silenzio calò tra i commensali ed Helyas si prese del tempo, in quell’assenza di voci, per pensare e ripensare a quelle ultime parole che ancora echeggiavano nella sua testa, sebbene sempre più velatamente. E non ebbe esitazione, quando Ophelia si sollevò per uscire dalla sala, Helyas la lasciò varcare la soglia e poi, immediatamente, si levò anch’egli, mettendo via posate e antipasto ancora intatto e si volse agli altri.
- Buon proseguimento.
Fu tutto ciò che disse. Lo sguardo arcigno di alcuni marchiati non gli sfuggì ma Helyas l’ignorò totalmente. Non aveva nessuna intenzione di trattenersi oltre e non doveva nemmeno importargli delle conseguenze di quell’atteggiamento disfattista. Fuori, intanto, la pioggia riprese lentamente a sfaldarsi sulla strada grigia, così che quando il figlio della tempesta fu fuori, ne accolse le gocce sul volto e subito sentì di riuscire finalmente a respirare davvero.
"I do believe in fate and destiny, but I also believe we are only fated to do the things that we'd choose anyway. And I'd choose you; in a hundred lifetimes, in a hundred worlds, in any version of reality, I'd find you and I'd choose you."
ophelia&helys
accademia 10 p.m
Ophelia non era mai stata quel genere di persona a cui piaceva essere al centro dell'attenzione. Al contrario, preferiva stare ai margini, tra le pieghe sbiadite delle pagine, tra storie che non si sarebbero mai soffermare a riflettere su di lei.
Era sempre stata così fin da bambina, forse aveva aiutato l'avere un marchio tanto assurdo stampato sull'epidermide dell'avambraccio che, inevitabilmente, attirava il vociare altrui sospeso tra biasimo e repulsione.
Ophelia stessa aveva contribuito alla propria emarginazione chiedendo a sé stessa sempre più rispetto a ciò che era in grado di dare. Aveva poi imparato a convivere con la parte ferale di sé, trovando un certo equilibrio. Ora Ophelia aveva rapporti cordiali con la maggioranza delle persone presenti in accademia ed era ben lontana dallo stigma che aveva sentito gravare su di sé da bambina.
Era così, almeno in apparenza.
Ophelia lottava senza tregua con la parte animale che divorava la sua anima costantemente. Così, alla fine, ella aveva dovuto trovare un modo per mettere a tacere il caos. La musica.
Il violino, Ophelia aveva iniziato a studiarlo dalla tenerissima età, si era smarrita nella complessità dei volteggi, nell'inseguimento infinito della perfezione. Ophelia era brava, impeccabile nelle esecuzioni, ma non aveva mai suonato per puro diletto. Quando l'archetto accarezzava le corde, Ophelia sentiva la quiete sopraggiungere sulla sua anima frammentata.
Ed era meraviglioso, come se le due metà di sé stessa tornassero a respirare, in quel lasso di tempo, all'unisono.
Ophelia era in piedi su un piccolo rialzo nel salone immenso dell'Accademia. Il ricevimento era iniziato da un po' ormai e qualcuno degli organizzatori le aveva domandato la gentilezza di suonare. Inizialmente Ophelia era stata molto restia ad acconsentire, ma poi aveva riflettuto sul fatto che la sua presenza in quell'occasione mondana sarebbe stata strettamente connessa al suo violino e ciò le avrebbe tolto un po' dell'imbarazzo che altrimenti avrebbe dovuto fronteggiare nel vagare tra la gente a disperdere sorrisi di circostanza.
Indossava un abito dalle tinte azzurre pastello. Era un abito semplice di raso che scendeva sulla figura esile di Ophelia, i capelli erano legati in alto così che non le creassero impiccio nell'atto di suonare.
Ophelia aveva adagiato il mento sullo strumento accostato sulla propria spalla, ondeggiava con leggerezza sulle corde con l'archetto stretto tra le dita di una mano.
Le note solinghe di una melodia di Bach echeggiavano tra il tintinnio dei flute di cristallo e nel chiacchiericcio sommesso dei commensali.
Ed Ophelia sentiva di non aver proprio alcun pensiero, solo i ricordi delle prossima nota e poi ancora una ed una di nuovo.
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@ash-t0-ash
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ash-t0-ash · 10 months ago
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Nel momento in cui sentì la mano di lei stringere la propria a pugno chiuso, Helyas rinsavì, fu un po’ come ricevere una carezza all’anima, dopo avervi accolto il caos. Il marchiato della tempesta batté le palpebre, il bruciore al braccio ammansì appena come se quel male fosse direttamente collegato al proprio stato interiore e rimase fermo a guardarla qualche momento, e comprese di averle indirettamente trasmesso tutta la propria agitazione e un po’ se ne sentì amareggiato… specie quando quel riflesso ambrato le attraversò le iridi sempiternamente chiare, come un cielo in primavera.
Nell’istante in cui capì che qualcosa stava scattando dentro di lei e che sarebbe stato meglio trattenerlo lì dov’era, Helyas schiuse le dita torte a pugno e le intrecciò a quelle di lei, si flesse e cercò di incrociare quel suo sguardo compromesso.
- Ophelia, va tutto bene.
Poi lo sguardo si mosse, da lei al volto di Sean. Spesso si erano allenati insieme, Helyas non aveva mai avuto un brutto rapporto col sommo, eppure, negli ultimi tempi, tutto in quell’accademia sembrava cambiato, compreso il rapporto che il marchiato aveva con tutti gli altri: era un po’ come se avessero cominciato ad evitarlo, oltre ad assegnare a lui e ad Ophelia missioni diverse, come per non farli incontrare, c’era quell’alone di mistero e di disagio che doveva essere chiaro a tutti ma di cui, però, nessuno osava parlare mai.
Helyas comprese che nessuno si sarebbe fatto sfuggire nulla, allentò la presa alla mano di Ophelia con tutta l’intenzione di continuare a trattenersi in quella sala fino al dovuto… poi però, uno dei marchiati indicò lei ed i suoi occhi mutati, rinunciando al silenzio.
“ Lei è come loro “
Il suono sordo del palmo di Sean che batté contro il marmo del tavolo, concluse del tutto il delirio dell’accademico col marchio della predizione. Helyas fece sottile i suoi occhi nel desiderio di saperne di più ma la situazione si era fatta troppo tesa per continuare a ribattere. Helyas era più che certo che se avesse continuato quella discussione la tempesta avrebbe travolto la sala ed i suoi commensali ma, soprattutto, Ophelia avrebbe ceduto alla sua bestia.
“ Non è il luogo! Siamo qui per festeggiare i nostri progressi e per rendere onore alla figlia della luna. Ophelia ed Helyas possono raggiungermi domani in mattinata. Ora basta “
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Ophelia non era mai stata quel genere di persona a cui piaceva essere al centro dell'attenzione. Al contrario, preferiva stare ai margini, tra le pieghe sbiadite delle pagine, tra storie che non si sarebbero mai soffermare a riflettere su di lei.
Era sempre stata così fin da bambina, forse aveva aiutato l'avere un marchio tanto assurdo stampato sull'epidermide dell'avambraccio che, inevitabilmente, attirava il vociare altrui sospeso tra biasimo e repulsione.
Ophelia stessa aveva contribuito alla propria emarginazione chiedendo a sé stessa sempre più rispetto a ciò che era in grado di dare. Aveva poi imparato a convivere con la parte ferale di sé, trovando un certo equilibrio. Ora Ophelia aveva rapporti cordiali con la maggioranza delle persone presenti in accademia ed era ben lontana dallo stigma che aveva sentito gravare su di sé da bambina.
Era così, almeno in apparenza.
Ophelia lottava senza tregua con la parte animale che divorava la sua anima costantemente. Così, alla fine, ella aveva dovuto trovare un modo per mettere a tacere il caos. La musica.
Il violino, Ophelia aveva iniziato a studiarlo dalla tenerissima età, si era smarrita nella complessità dei volteggi, nell'inseguimento infinito della perfezione. Ophelia era brava, impeccabile nelle esecuzioni, ma non aveva mai suonato per puro diletto. Quando l'archetto accarezzava le corde, Ophelia sentiva la quiete sopraggiungere sulla sua anima frammentata.
Ed era meraviglioso, come se le due metà di sé stessa tornassero a respirare, in quel lasso di tempo, all'unisono.
Ophelia era in piedi su un piccolo rialzo nel salone immenso dell'Accademia. Il ricevimento era iniziato da un po' ormai e qualcuno degli organizzatori le aveva domandato la gentilezza di suonare. Inizialmente Ophelia era stata molto restia ad acconsentire, ma poi aveva riflettuto sul fatto che la sua presenza in quell'occasione mondana sarebbe stata strettamente connessa al suo violino e ciò le avrebbe tolto un po' dell'imbarazzo che altrimenti avrebbe dovuto fronteggiare nel vagare tra la gente a disperdere sorrisi di circostanza.
Indossava un abito dalle tinte azzurre pastello. Era un abito semplice di raso che scendeva sulla figura esile di Ophelia, i capelli erano legati in alto così che non le creassero impiccio nell'atto di suonare.
Ophelia aveva adagiato il mento sullo strumento accostato sulla propria spalla, ondeggiava con leggerezza sulle corde con l'archetto stretto tra le dita di una mano.
Le note solinghe di una melodia di Bach echeggiavano tra il tintinnio dei flute di cristallo e nel chiacchiericcio sommesso dei commensali.
Ed Ophelia sentiva di non aver proprio alcun pensiero, solo i ricordi delle prossima nota e poi ancora una ed una di nuovo.
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@ash-t0-ash
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ash-t0-ash · 10 months ago
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Lo sguardo scuro di Helyas si spostò sulla ragazzina della luna, una ruga emerse nel confine tra i due occhi nel chiedersi quale minaccia potesse mai rappresentare per lui e per Ophelia… e concluse, immaginando che lei non dovesse centrare poi tanto, ma doveva esserci qualcos’altro sotto. Qualcosa che nessuno si prendeva il disturbo di dirgli.
Con l’aria pensosa ed ancora quella piega alla fronte che gli dava un’aria sempre più irritata, a man mano che passavano i minuti, Helyas accolse una delle posate tra le dita e cominciò a mangiare il suo antipasto. Era chiaro che quella situazione cominciasse a stargli davvero stretta e, probabilmente, stava facendo molta fatica a non esplodere, lasciandosi sfuggire tutto ciò che si stratificava nella sua mente, momento dopo momento.
C’era qualcosa che gli stavano sicuramente nascondendo, improvvisamente non ebbe più alcun dubbio a riguardo e seppe di non avere più nemmeno intenzione di tenerlo per sé. Così pose la forchetta sul bordo della ceramica intarsiata e strinse la mano in un pugno, la fronte più aggrottata di poco prima era diventata, ormai, un cumulo di rughe torte… e batté quel pugno sulla superficie marmorea del tavolo per attirare su di sé le attenzioni ormai rapite dalla cena avviata.
- Perché attendere oltre? Che succede che nessuno vuole dirci? I commensali non mutarono l’espressione apparentemente distesa, simulando probabilmente una non comprensione di quanto appena detto dal marchiato della tempesta. Helyas passò lo sguardo in rassegna dei tanti volti e solo in alcuni riuscì a riscontrare un certo disagio, come se quella domanda – in fondo – se l’aspettassero un po’ tutti. Ed aggiunse, quindi, trovando ancora silenzio nel riscontro altrui…
- Che problema c’è con me e Ophelia?
A quel punto l’irritazione di Helyas divenne vagamente incontenibile e dovette essere palese a tutti che gli sarebbe stato parecchio difficile tornare indietro senza avere una spiegazione a riguardo. Gli occhi scuri si erano fatti lucidi di risentimento, quel silenzio imbarazzante stava finendo per mettergli maggiore tensione e lì fuori, la pioggia prese a tramutarsi in tempesta. Ma non finì lì. Il marchio sul braccio riprese a bruciare, stavolta il male gli divenne quasi insopportabile ed Helyas digrignò i denti, stringendo tra le dita quella porzione dell’arto, proprio mentre uno dei capi dell’Accademia, si rivolgeva a lui, mantenendo quell’anomala calma apparente che il marchiato non aveva mai amato particolarmente. Helyas era puro istinto, proprio come la pioggia che, senza alcun preavviso, diventa tempesta.
“Abbiamo solo dato priorità a marchi più importanti dei vostri, Helyas. Calmati…”
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Ophelia non era mai stata quel genere di persona a cui piaceva essere al centro dell'attenzione. Al contrario, preferiva stare ai margini, tra le pieghe sbiadite delle pagine, tra storie che non si sarebbero mai soffermare a riflettere su di lei.
Era sempre stata così fin da bambina, forse aveva aiutato l'avere un marchio tanto assurdo stampato sull'epidermide dell'avambraccio che, inevitabilmente, attirava il vociare altrui sospeso tra biasimo e repulsione.
Ophelia stessa aveva contribuito alla propria emarginazione chiedendo a sé stessa sempre più rispetto a ciò che era in grado di dare. Aveva poi imparato a convivere con la parte ferale di sé, trovando un certo equilibrio. Ora Ophelia aveva rapporti cordiali con la maggioranza delle persone presenti in accademia ed era ben lontana dallo stigma che aveva sentito gravare su di sé da bambina.
Era così, almeno in apparenza.
Ophelia lottava senza tregua con la parte animale che divorava la sua anima costantemente. Così, alla fine, ella aveva dovuto trovare un modo per mettere a tacere il caos. La musica.
Il violino, Ophelia aveva iniziato a studiarlo dalla tenerissima età, si era smarrita nella complessità dei volteggi, nell'inseguimento infinito della perfezione. Ophelia era brava, impeccabile nelle esecuzioni, ma non aveva mai suonato per puro diletto. Quando l'archetto accarezzava le corde, Ophelia sentiva la quiete sopraggiungere sulla sua anima frammentata.
Ed era meraviglioso, come se le due metà di sé stessa tornassero a respirare, in quel lasso di tempo, all'unisono.
Ophelia era in piedi su un piccolo rialzo nel salone immenso dell'Accademia. Il ricevimento era iniziato da un po' ormai e qualcuno degli organizzatori le aveva domandato la gentilezza di suonare. Inizialmente Ophelia era stata molto restia ad acconsentire, ma poi aveva riflettuto sul fatto che la sua presenza in quell'occasione mondana sarebbe stata strettamente connessa al suo violino e ciò le avrebbe tolto un po' dell'imbarazzo che altrimenti avrebbe dovuto fronteggiare nel vagare tra la gente a disperdere sorrisi di circostanza.
Indossava un abito dalle tinte azzurre pastello. Era un abito semplice di raso che scendeva sulla figura esile di Ophelia, i capelli erano legati in alto così che non le creassero impiccio nell'atto di suonare.
Ophelia aveva adagiato il mento sullo strumento accostato sulla propria spalla, ondeggiava con leggerezza sulle corde con l'archetto stretto tra le dita di una mano.
Le note solinghe di una melodia di Bach echeggiavano tra il tintinnio dei flute di cristallo e nel chiacchiericcio sommesso dei commensali.
Ed Ophelia sentiva di non aver proprio alcun pensiero, solo i ricordi delle prossima nota e poi ancora una ed una di nuovo.
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@ash-t0-ash
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ash-t0-ash · 10 months ago
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Una di quelle serate tutta fronzoli e complimenti, è così che Helyas vedeva i ricevimenti dell’accademia. Ma c’era qualcosa che avrebbe reso quella serata un po’ diversa da ogni altra poiché, come accadeva non di rado in quelle occasioni, quella sera sarebbero state fissate le date dei prossimi matrimoni della “famiglia” e a questo giro toccava proprio a lui. Tuttavia, date le ultime circostanze, nelle quali le occasioni per stare insieme alla sua promessa erano state ridotte drasticamente dai signori dell’accademia, per qualche inspiegato motivo, Helyas nutriva un certo accanimento a scoprire cosa si sarebbe detto di lui e di Ophelia.
Il posto accanto a Helyas era vuoto ormai da un pezzo, lei si era tagliata fuori da quella circostanza un po’ inutile per acconsentire a dispensare la sua musica ed Helyas doveva persino invidiarla.
Gli unici volti che sembravano attirare la propria attenzione, ora che lei si era fatta lontana, erano quelli dell’ultima arrivata, la ragazzina della luna, e quello del ragazzino senza marchio che, quella sera in particolare, sembrava meno disposto del solito, meno disposto persino di lui… per il resto non sembravano esserci note stonanti, i cacciatori sorridevano, si ascoltavano e si veneravano come al solito.
Il rumore di qualche tuono riuscì a sovrastare la musica del violino e quella sì che sembrava essere musica per le orecchie di Helyas.
I camerieri servirono l’antipasto, gli occhi scuri di lui tornarono a cercare la figura affusolata di Ophelia, aspettandosi che di lì a poco terminasse la sua esibizione per tornare a sederglisi di fianco, cosa che probabilmente dovevano aspettarsi anche gli altri poiché, qualche istante dopo, i nomi delle coppie prossime alle nozze cominciarono ad essere pronunciati.
Stranamente, però, tra quei nomi non figuravano il proprio e quello di Ophelia.
Helyas non si era mia mostrato entusiasta di quella prospettiva e sarebbe stato pronto a scommettere che lei non desiderasse altro che liberarsi del peso di quella promessa, eppure una ruga solcò la fronte dell’erede della tempesta e quando Ophelia tornò a prendere posto, lui le si rivolse sottovoce.
- Sai qualcosa che io non so?
- Complimenti per l’esibizione, comunque.
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Ophelia non era mai stata quel genere di persona a cui piaceva essere al centro dell'attenzione. Al contrario, preferiva stare ai margini, tra le pieghe sbiadite delle pagine, tra storie che non si sarebbero mai soffermare a riflettere su di lei.
Era sempre stata così fin da bambina, forse aveva aiutato l'avere un marchio tanto assurdo stampato sull'epidermide dell'avambraccio che, inevitabilmente, attirava il vociare altrui sospeso tra biasimo e repulsione.
Ophelia stessa aveva contribuito alla propria emarginazione chiedendo a sé stessa sempre più rispetto a ciò che era in grado di dare. Aveva poi imparato a convivere con la parte ferale di sé, trovando un certo equilibrio. Ora Ophelia aveva rapporti cordiali con la maggioranza delle persone presenti in accademia ed era ben lontana dallo stigma che aveva sentito gravare su di sé da bambina.
Era così, almeno in apparenza.
Ophelia lottava senza tregua con la parte animale che divorava la sua anima costantemente. Così, alla fine, ella aveva dovuto trovare un modo per mettere a tacere il caos. La musica.
Il violino, Ophelia aveva iniziato a studiarlo dalla tenerissima età, si era smarrita nella complessità dei volteggi, nell'inseguimento infinito della perfezione. Ophelia era brava, impeccabile nelle esecuzioni, ma non aveva mai suonato per puro diletto. Quando l'archetto accarezzava le corde, Ophelia sentiva la quiete sopraggiungere sulla sua anima frammentata.
Ed era meraviglioso, come se le due metà di sé stessa tornassero a respirare, in quel lasso di tempo, all'unisono.
Ophelia era in piedi su un piccolo rialzo nel salone immenso dell'Accademia. Il ricevimento era iniziato da un po' ormai e qualcuno degli organizzatori le aveva domandato la gentilezza di suonare. Inizialmente Ophelia era stata molto restia ad acconsentire, ma poi aveva riflettuto sul fatto che la sua presenza in quell'occasione mondana sarebbe stata strettamente connessa al suo violino e ciò le avrebbe tolto un po' dell'imbarazzo che altrimenti avrebbe dovuto fronteggiare nel vagare tra la gente a disperdere sorrisi di circostanza.
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Le note solinghe di una melodia di Bach echeggiavano tra il tintinnio dei flute di cristallo e nel chiacchiericcio sommesso dei commensali.
Ed Ophelia sentiva di non aver proprio alcun pensiero, solo i ricordi delle prossima nota e poi ancora una ed una di nuovo.
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@ash-t0-ash
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ash-t0-ash · 11 months ago
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/Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle/
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ash-t0-ash · 11 months ago
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Si flesse e si sistemò al bordo del marciapiede, l’odore dell’asfalto umido gli riempì le narici… Helyas le espanse appena di più, convogliando maggiormente il profumo delle piovane e poi, alla fine, chiudendo una delle mani a pugno e levando le iridi al cielo piangente, la pioggia cessò. Fu nell’istante successivo che Ophelia gli si fece vicino, armeggiando con bende e disinfettante e, sebbene riluttante, l’uomo parve farsi più arrendevole e le porse il braccio ferito. Lo sguardo però vagò, dagli squarci sanguinanti sulla propria carne, gli occhi scuri si volsero a lei, sul viso imbrattato di rosso. Probabilmente fu semplicemente l’istinto a suggerirgli di sollevare il braccio sano e passarle due dita umide di pioggia su quelle scie cremisi e già, in parte, sbiadite… tuttavia, nel rendersi lucidamente conto di averle toccato il viso, Helyas trasse via la mano lasciandole ancora qualche traccia di sangue lungo la gota.
Fai presto, ho visto una pattuglia lungo la strada principale.
Il marchiato si lasciò medicare, tamburellando a ritmi alterni uno dei piedi contro il suolo grigio, lo sguardo si posò lungo la carcassa del demone che, gradualmente, si trasmutava in fumo e si dissolveva. Era incredibile il fatto che gli umani ignorassero completamente di essere costantemente in pericolo, si godevano ogni attimo, si divertivano ed avevano una leggerezza ed una spontaneità nel farlo, che Helyas sapeva di invidiare. Lui era nato cacciatore di demoni, il marchio aveva contrassegnato il suo destino fin dal principio e non aveva mai posseduto nemmeno un briciolo di quella spensieratezza, eppure, a volte, gli sarebbe piaciuto essere dall’altra parte, tra coloro che ignorano che l’ombra della morte abbia le fauci già sguainate. Penso che non ci sia più niente da fare qui, non credo ci siano altre creature in giro. Ed improvvisamente, la voglia di rientrare e serrarsi addosso le quattro mura spoglie della sua stanza, divenne più forte di qualsiasi altra cosa.
H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
@ophelia-northwood
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ash-t0-ash · 1 year ago
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Helyas restava sempre un po’ interdetto dalla pudicizia che lei, Ophelia, mostrava ogni volta. Era capace di azioni tanto ferali, trasfigurava se stessa in una bestia famelica e, senza discernimento alcuno, era perfettamente in grado di fendere tendini, carni ed ossa e di farne scempio… eppure, quand’era il momento di abbandonare le spoglie della fiera, Ophelia obbediva ad un impulso sconfinatamente umano, che gli imponeva di provare imbarazzo per la sua nudità. Helyas non aveva mai osato commentare quel suo tipo di atteggiamento, doveva sembrargli già difficile da assimilare poiché Ophelia e la sua bestia compivano sempre una perfetta dissociazione quand’era il momento di tornare alla propria umanità, dissociazione che invece, Helyas, non sarebbe mai stato in grado di operare su di sé. La tempesta lo identificava completamente, Helyas ed il suo marchio sembravano camminare insieme e sarebbe stato persino assurdo immaginarlo spoglio dell’effige che gli aveva dato i natali. Helyas si specchiava perfettamente nella forza del vento impetuoso, nella furia delle onde in tempesta e nella violenza, infine, di quelle gocce-proiettile che, dal cielo, piombavano a fendere la terra come lame. Era diverso per Ophelia che, invece, non conservava nulla della bestia dall’altra parte della sua anima, come due entità contigue, interdette l’una all’altra lungo il loro confine. Ophelia restava un mistero complicato da decifrare e questo, tutto sommato, non gli era mai dispiaciuto. Come capitava di consueto, l’uomo si era già chinato a recuperare una delle cinghie dello zaino che lei aveva abbandonato sul ciglio del marciapiede, e glielo consegnò, badando di non volgere completamente il volto nella direzione di lei, ma soltanto dedicandole uno sguardo velato, un po’ nascosto… perché, alla fin fine, doveva comunque avvertirla quella spinta verso di lei, quel richiamo ineffabile che gli impediva di esserle indifferente. L’avambraccio continua a versare sottili riverberi cremisi, Helyas lo sollevò appena, lasciando che le piovane ne sbiadissero il colore e li lavassero un po’ via. Qual è la missione? Dovevi cacciare il demone che ho trovato io? Helyas era confuso dal cambiamento di rotta dell’accademia che sembrava non dare più nessuna importanza all’unione dei loro marchi, forse a causa dell’arrivo della ragazzina della luna, probabilmente, ormai non era più così importante salvaguardare le nascite. O forse c’era qualche altro motivo che a lui, inesorabilmente, continuava a sfuggire. Forse aveva a che fare con le continue emicranie, con i dolori lancinanti al marchio… con quelle visioni che ultimamente si facevano sempre più nitide, sempre più numerose… forse “Loro” dovevano conoscerne le ragioni. Passami le bende. Lo sguardo scuro di Helyas si volse nuovamente nella direzione di lei, nel momento in cui Ophelia si accingeva a tornare in strada. Ad Helyas non era mai piaciuta l’idea di vedersi costretto a sposarsi per decisione altrui, l’unione in se per se era materia complicata poiché per lui avrebbe significato smetterla di badare esclusivamente a se stesso ed accettare l’idea di crearsi una debolezza… se avesse potuto scegliere, di certo Helyas non avrebbe sposato Ophelia ne nessun’altra, la solitudine sarebbe stata la scelta più saggia e più equa per un cacciatore di mostri. Tuttavia, ormai quell’idea gli era entrata dentro già da un po’ e forse liberarsene, non sarebbe stato così facile come doveva immaginare.
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"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
@ophelia-northwood
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ash-t0-ash · 1 year ago
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Le lingue della bestia si strinsero attorno al braccio con così tanta forza che gli squarci alla pelle si schiusero velocemente, il sangue prese a sgorgarvi e solo in quell’istante, nel calore delle scie cremisi che ne attorniavano la carne, Helyas rinsavì e comprese di essersi smarrito pericolosamente in se stesso.
Nello stesso attimo in cui traeva a sé il braccio per sottrarlo alla presa soffocante della creatura, una bestia che conosceva bene, atterrò il demone e lo dilaniò… e la morsa alle carni del proprio arto ebbe immediatamente fine.
Lo spettacolo macabro della bestia che divorava solertemente la creatura-demone, non causò in Helyas alcuna impressione. Piuttosto, un caotico riversare di voci gli affollò la mente e il marchiato aggrottò ancora la fronte, senza capire. Sussurri ed urla che la sua testa sembrava faticare a contenere, Helyas strinse i denti e solo quando finalmente tutto quel marasma nella sua mente ebbe fine, lo sguardo poté volgersi alla belva che terminava il suo banchetto, grondando sangue e lembi di carne che non gli appartenevano.
Aveva imparato a conoscere quella bestia, sebbene restasse sempre tra loro qualcosa di insondato, di complicato da districare… forse perché non era incline a tessere rapporti sociali o, forse, perché tra loro era un po’ come se tutto fosse già stato scritto e non ci fosse proprio niente da aggiungere.
Helyas e Ophelia si sarebbero uniti in matrimonio, semplicemente perché così era stato detto. Era necessario affinché la lotta contro i demoni potesse continuare, tramandando nuovi marchi a nuovi cacciatori e non c’era null’altro da valutare in proposito.
L’uomo mise via la pistola e attorniò il braccio ferito con l’altro. Non sembrava grave ma gli squarci non avevano smesso di sanguinare. Helyas s’impose di scacciare via dalla testa ogni interrogativo, al momento, del tutto impreparato a darsi qualsivoglia risposta in merito.
Non aveva nessuna idea di che cosa gli stesse accadendo negli ultimi giorni e, in verità, sperava che semplicemente gli passasse.
- Tu che ci facevi in giro?
Sterile d’emozioni, come suo solito. Non si sprecò nemmeno a ringraziarla poiché, dal proprio punto di vista, in un modo o in altro era certo che ce l’avrebbe fatta anche senza il suo aiuto.
Tuttavia, la presenza di Ophelia nei dintorni non doveva essere stata dettata dal caso, lei doveva trovarsi lì in missione ed il fatto che da un po’ i signori dell’accademia avessero smesso di assegnarli assieme, era un’altra circostanza che Helyas non avrebbe saputo bene spiegarsi.
Qualcosa stava accadendo ed il fatto che questo enigma continuasse a sfuggirgli, lo manteneva nervoso.
Ad ogni modo, le voci nella testa sembravano tacere e il marchio sul braccio aveva smesso di pulsare e che un reticolo di sangue continuasse a scivolargli giù dall’avambraccio, non sembrava rappresentare un problema da risolvere nell’immediato.
L’asfalto era pregno di resti non ben definiti e pozze cremisi, prima che qualche umano potesse rendersene conto, le iridi scure di Helyas sbiancarono e dal cielo prese a cadere una pioggia violenta. L’odore di asfalto bagnato si mescolò a quello del sangue e della morte e prese ad essere meno insopportabile.
H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
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ash-t0-ash · 1 year ago
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H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
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ash-t0-ash · 1 year ago
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Rughe espressive gli si disegnarono alla fronte, lo sguardo imperversò dapprima sugli occhi chiari di lei, poi con circospezione, nuovamente, si fissarono intorno: l’uomo che li, nell’angolo buio, baciava con veemenza quella che aveva l’aspetto di una ragazzina; il gruppetto chiassoso che dominava pressoché il centro della sala, intento a giocare d’azzardo. Niente era legale in quel posto e tutti quanti sembravano un po’ demoni.
Helyas schiarì la voce, lui non poteva sentire l’odore del sangue a quella distanza, il suo marchio era ben diverso da quello di Ophelia, lui aveva la tempesta.
Così la seguì, si fidava ciecamente dei suoi sensi. Ophelia aveva il potere di trasmutare se stessa in una bestia ben lontana dalla raffinatezza e dalla grazia con cui mostrava il suo lato umano, e questo era bizzarro… ma, al contempo la rendeva speciale. Persino più unica che rara, ai propri occhi.
Quando svoltarono il corridoio stretto che dava nelle camere, un uomo grosso, dall’aria severa, si pose davanti a loro per bloccargli la strada, Helyas sostenne il suo sguardo e non esitò a provare ad avanzare lo stesso, lasciando Ophelia, poco più dietro di sé.
—Ho portato i dollari.
L’uomo l’osservò, dapprima sembrò voler obiettare… poi, probabilmente influenzato dalla contrazione violenta che aveva assunto il volto di Helyas, alla fine si forzò a fargli spazio e a farli passare.
Nel corridoio nel quale si incamminarono, l’aria era meno respirabile, le luci più fioche e da un paio di porte in fondo provenivano delle voci maschili…
—Dove.
Helyas attenuò l’avanzare per attendere le nuove direttive di Ophelia.
Ophelia&Helyas
chapter i
"il tetto si è bruciato, ora posso vedere la luna"
Era una notte buia quella che investiva Londra. La vita però non si era ancora, completamente, rintanata tra le mura domestiche, qualcuno si ostinava a bighellonare in qualche pub tra le note rimbombanti delle casse stereo ed i boccali di birra che tintinnavano tra loro come avevano già fatto la prima volta.
Ma la vita scorreva in tutta naturalezza, ignorando, forse deliberatamente, il respiro del male che pure strisciava nel medesimo buio.
Era un mondo, quello lì, diviso in maniera netta. Da una parte si ergeva il bene e dall'altra si annidava il male, le uniche zone grigie erano costituite dagli esseri umani che chiudevano gli occhi e si rifiutavano di vedere, intenti nella perenne oscillazione senza giungere ad una tregua.
Ophelia Northwood faceva parte di quella porzione di universo nascosto che combatteva l'oscurità giorno per giorno, scongiurando la morte e le atrocità che i demoni perpetravano sulla Terra.
Attendeva con le mani nelle tasche di un elegante cappotto azzurro pastello, i lunghi capelli biondi scendevano morbidamente sulle spalle in ordine impeccabile. Era lì da appena qualche minuto, le era stato spedito l'ordine per una nuova spedizione sebbene, in un certo senso, non si sentisse così entusiasta di prendervi parte.
La muoveva un motivo del tutto personale che aveva tentato di sopire con una puntualità assoluta. Quella missione avrebbe dovuto svolgerla insieme ad Helyas Baskerville e non ci sarebbe stato proprio nulla di strano, se solo non fosse stato che, quell'uomo sarebbe un giorno diventato il suo sposo.
Helyas e Ophelia si erano scambiati a stento qualche parola, non avevano mai avuto molto da condividere se non lo stupore per la notizia del loro fidanzamento ufficiale saltata fuori senza preavviso. Da lì in poi le occasioni per frequentarsi e scoprire reciprocamente qualcosa dell'altro si erano fatte via via più complesse da gestire ed era regnato sovrano un tacito silenzio come se, evitarsi avrebbe lenito ad Ophelia l'imbarazzo di trovarsi l'uno di fronte all'altro e forse chissà rendere sempre più intangibile quel futuro prossimo di cui né l'uno né l'altra aveva avuto facoltà di esprimere un'opinione.
Funzionava così nella società dei cacciatori, era essenziale proteggere i marchi e preservarli dai mutamenti del tempo affinché quella guerra perenne avesse ancora una chance di essere vinta. Persino uno sospeso nella zona grigia come quello che si portava lei addosso.
Ophelia mosse qualche passo solo quando riconobbe la figura di Helyas poco lontano. Si trovò, solo in quell'istante, a domandarsi se anche lui avesse vissuto con lo stesso disagio scoprire che sarebbe stato costretto in missione proprio con lei o se invece non gli fosse interessato affatto. E tra l'una e l'altra possibilità, Ophelia si scoprì a non saper decidere quale fosse la peggiore.
Ad ogni modo lo raggiunse e con la solita spontaneità, Ophelia si trovò a schiudere un sorriso leggero.
«Buonasera Helyas!»
 «Andiamo?»
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@ash-t0-ash
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ash-t0-ash · 1 year ago
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Sebbene Helyas conoscesse, a sua volta, quella frase in codice, sentirla pronunciare come se fosse la cosa più normale del mondo, lo stranì. La trovava decisamente ridicola… ma lasciò dissipare i pensieri non appena fu varcata la soglia e, a loro cospetto, si delineò un bel po’ di confusione. Quel locale era più grande di quanto ci si aspettasse nel guardarlo dall’esterno, brulicava di gente e trovare i loro demoni, in quella ressa, non sarebbe stato facile… soprattutto, non sarebbe stata una passeggiata nemmeno combatterli, senza rischiare di coinvolgere qualche innocente.
— No.
Fu una risposta secca quella che dedicò alla richiesta di lei sul dividersi. Helyas immaginò che se si fossero divisi avrebbero offerto ai nemici la possibilità di approfittare della confusione per attaccarli singolarmente. Con passo spedito si avvicinò al bancone con l’intenzione di ordinare qualcosa e fare qualche domanda al ragazzo che preparava da bere… e non appena ebbe la possibilità di guardarsi poi accuratamente intorno, comprese che si trattava di un club dove non si faceva niente di legale.
Ordinata una birra chiara, un uomo gli si accostò, formulandogli una richiesta un po’ strana… Helyas aggrottò la fronte e stette in silenzio, per almeno qualche minuto, stentando a credere che quello gli avesse chiesto se facesse a cambio moglie, per una notte.
— Non credo…
Mormorò, senza aggiungere altro, poi si volse cercando Ophelia con lo sguardo, ancora visibilmente provato da quanto aveva sentito.
Ophelia&Helyas
chapter i
"il tetto si è bruciato, ora posso vedere la luna"
Era una notte buia quella che investiva Londra. La vita però non si era ancora, completamente, rintanata tra le mura domestiche, qualcuno si ostinava a bighellonare in qualche pub tra le note rimbombanti delle casse stereo ed i boccali di birra che tintinnavano tra loro come avevano già fatto la prima volta.
Ma la vita scorreva in tutta naturalezza, ignorando, forse deliberatamente, il respiro del male che pure strisciava nel medesimo buio.
Era un mondo, quello lì, diviso in maniera netta. Da una parte si ergeva il bene e dall'altra si annidava il male, le uniche zone grigie erano costituite dagli esseri umani che chiudevano gli occhi e si rifiutavano di vedere, intenti nella perenne oscillazione senza giungere ad una tregua.
Ophelia Northwood faceva parte di quella porzione di universo nascosto che combatteva l'oscurità giorno per giorno, scongiurando la morte e le atrocità che i demoni perpetravano sulla Terra.
Attendeva con le mani nelle tasche di un elegante cappotto azzurro pastello, i lunghi capelli biondi scendevano morbidamente sulle spalle in ordine impeccabile. Era lì da appena qualche minuto, le era stato spedito l'ordine per una nuova spedizione sebbene, in un certo senso, non si sentisse così entusiasta di prendervi parte.
La muoveva un motivo del tutto personale che aveva tentato di sopire con una puntualità assoluta. Quella missione avrebbe dovuto svolgerla insieme ad Helyas Baskerville e non ci sarebbe stato proprio nulla di strano, se solo non fosse stato che, quell'uomo sarebbe un giorno diventato il suo sposo.
Helyas e Ophelia si erano scambiati a stento qualche parola, non avevano mai avuto molto da condividere se non lo stupore per la notizia del loro fidanzamento ufficiale saltata fuori senza preavviso. Da lì in poi le occasioni per frequentarsi e scoprire reciprocamente qualcosa dell'altro si erano fatte via via più complesse da gestire ed era regnato sovrano un tacito silenzio come se, evitarsi avrebbe lenito ad Ophelia l'imbarazzo di trovarsi l'uno di fronte all'altro e forse chissà rendere sempre più intangibile quel futuro prossimo di cui né l'uno né l'altra aveva avuto facoltà di esprimere un'opinione.
Funzionava così nella società dei cacciatori, era essenziale proteggere i marchi e preservarli dai mutamenti del tempo affinché quella guerra perenne avesse ancora una chance di essere vinta. Persino uno sospeso nella zona grigia come quello che si portava lei addosso.
Ophelia mosse qualche passo solo quando riconobbe la figura di Helyas poco lontano. Si trovò, solo in quell'istante, a domandarsi se anche lui avesse vissuto con lo stesso disagio scoprire che sarebbe stato costretto in missione proprio con lei o se invece non gli fosse interessato affatto. E tra l'una e l'altra possibilità, Ophelia si scoprì a non saper decidere quale fosse la peggiore.
Ad ogni modo lo raggiunse e con la solita spontaneità, Ophelia si trovò a schiudere un sorriso leggero.
«Buonasera Helyas!»
 «Andiamo?»
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ash-t0-ash · 1 year ago
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Come accadeva, ormai non di rado, Helyas svolgeva le sue missioni in compagnia di Ophelia ed il motivo, in verità, stentava ad essergli poi così chiaro. Il problema era che Helyas non aveva nessuna intenzione di sposarsi e mettere su famiglia, non si sentiva predisposto e nemmeno ispirato, dalla sua ipotetica moglie, e non perché non fosse bella, tutt’altro.
Al di là dell’aspetto gradevole, Helyas non sapeva assolutamente niente di Ophelia, a parte che fosse parecchio stacanovista, precisa e che avesse una predilezione per le tinte pastello. O, almeno, questa era l’idea, seppur minima, che lui si era fatto di lei. Ma si sentiva a disagio in sua compagnia. Erano diversi.
La notte incombeva sulla città, Helyas attraversava i quartieri di Londra e si confondeva tra le genti, un po’ a stento in verità perché aveva la faccia del ragazzo cattivo e finiva sempre per attirare involontariamente attenzione.
Con addosso una giacca comoda, scura, come scuro era tutto il suo vestiario, Helyas teneva tra le dita una sigaretta e, celato sotto alle falde del soprabito, un kalashnikov da cui si separava molto raramente… e con molta fatica.
— Ciao.
Di poche parole, come suo solito… sebbene, nel contemplare fissamente il vestiario di lei, azzurro chiaro, stesse certamente chiedendosi come le fosse saltato in mente di vestirsi come un confetto per andare a caccia di demoni.
— Fai strada tu?
Ophelia&Helyas
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"il tetto si è bruciato, ora posso vedere la luna"
Era una notte buia quella che investiva Londra. La vita però non si era ancora, completamente, rintanata tra le mura domestiche, qualcuno si ostinava a bighellonare in qualche pub tra le note rimbombanti delle casse stereo ed i boccali di birra che tintinnavano tra loro come avevano già fatto la prima volta.
Ma la vita scorreva in tutta naturalezza, ignorando, forse deliberatamente, il respiro del male che pure strisciava nel medesimo buio.
Era un mondo, quello lì, diviso in maniera netta. Da una parte si ergeva il bene e dall'altra si annidava il male, le uniche zone grigie erano costituite dagli esseri umani che chiudevano gli occhi e si rifiutavano di vedere, intenti nella perenne oscillazione senza giungere ad una tregua.
Ophelia Northwood faceva parte di quella porzione di universo nascosto che combatteva l'oscurità giorno per giorno, scongiurando la morte e le atrocità che i demoni perpetravano sulla Terra.
Attendeva con le mani nelle tasche di un elegante cappotto azzurro pastello, i lunghi capelli biondi scendevano morbidamente sulle spalle in ordine impeccabile. Era lì da appena qualche minuto, le era stato spedito l'ordine per una nuova spedizione sebbene, in un certo senso, non si sentisse così entusiasta di prendervi parte.
La muoveva un motivo del tutto personale che aveva tentato di sopire con una puntualità assoluta. Quella missione avrebbe dovuto svolgerla insieme ad Helyas Baskerville e non ci sarebbe stato proprio nulla di strano, se solo non fosse stato che, quell'uomo sarebbe un giorno diventato il suo sposo.
Helyas e Ophelia si erano scambiati a stento qualche parola, non avevano mai avuto molto da condividere se non lo stupore per la notizia del loro fidanzamento ufficiale saltata fuori senza preavviso. Da lì in poi le occasioni per frequentarsi e scoprire reciprocamente qualcosa dell'altro si erano fatte via via più complesse da gestire ed era regnato sovrano un tacito silenzio come se, evitarsi avrebbe lenito ad Ophelia l'imbarazzo di trovarsi l'uno di fronte all'altro e forse chissà rendere sempre più intangibile quel futuro prossimo di cui né l'uno né l'altra aveva avuto facoltà di esprimere un'opinione.
Funzionava così nella società dei cacciatori, era essenziale proteggere i marchi e preservarli dai mutamenti del tempo affinché quella guerra perenne avesse ancora una chance di essere vinta. Persino uno sospeso nella zona grigia come quello che si portava lei addosso.
Ophelia mosse qualche passo solo quando riconobbe la figura di Helyas poco lontano. Si trovò, solo in quell'istante, a domandarsi se anche lui avesse vissuto con lo stesso disagio scoprire che sarebbe stato costretto in missione proprio con lei o se invece non gli fosse interessato affatto. E tra l'una e l'altra possibilità, Ophelia si scoprì a non saper decidere quale fosse la peggiore.
Ad ogni modo lo raggiunse e con la solita spontaneità, Ophelia si trovò a schiudere un sorriso leggero.
«Buonasera Helyas!»
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