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Paradisi per illusi
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Bloghino sui giochini elettronici che se ne va per i fattacci suoi...
Don't wanna be here? Send us removal request.
itresistance · 12 years ago
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I Videogiochi di Settima Generazione sono Giochi Belli! (by croix89)
Oltre che divertentissimo... verissimo.
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itresistance · 12 years ago
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Times Like These (acoustic) - Foo Fighters (with lyrics) (by jennys YT)
Pensando a Kentucky Route Zero...
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itresistance · 12 years ago
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Incredibile pezzo scoperto grazie alla selezione estiva di Radiogame! Che spettacolo!
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itresistance · 12 years ago
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Radiogame is an italian podcast about video game history and its music. This dance mix includes many tracks already played in its episodes. 1. ...
Appena finito d'ascoltare! Che dire: Mario Morandi at its best!
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itresistance · 12 years ago
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Nei post sul retrogaming c'è sempre un po' di quella fisiologica nostalgia, ma la carica ce la dà un vecchio pezzo per Commodore 64, per il suo SID, riarrangiato in chiave metal non c'è male!
Last Ninja 2: Central park (metal version) (by metalstud666)
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itresistance · 12 years ago
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La rivista di videogames
Quello che segue è un "chiamatelo come vi pare" dedicato a Zzap, rivista o inserto che fosse. Potete trovare le scansioni delle pagine (http://www.zzap.it/); leggerle fa sorridere, in fondo, direste: sono giochini di merda. Però quelli erano gli anni '80 di un'Italia ancora arretrata, per la prima volta affaciatasi sul mondo dell'informatica di massa. Zzap parlava del Commodore 64, il primo computer ad entrare nelle nostre case, senza il quale, probabilmente, non stareste qui o su FB. Ma bando alle ciance: nostalgia time.
COPERTINA ULTIMO NUMERO
Oggi mi è arrivato un pacco molto voluminoso e che aspettavo da tempo. La lettera che lo accompagnava è stata scritta a mano da mio zio: "Cose di casa della nonna che ti piacerebbe avere". Mia nonna è morta neanche un anno fa, lasciandomi un enorme vuoto dentro, come forse solo la morte di una mamma potrebbe. La cosa più terribile è che tutto quello che ha caratterizzato il mio passato sembra essere morto con lei, come se si fosse portata via lì, dove si trova adesso, anche la mia adolescenza.
Ed ogni volta che ritorno nella mia città natale mi capita spesso, camminando, che i miei passi mi riportino lì dove un tempo abitava, il centro del mio piccolo mondo di bambino-ragazzo. La sua casa era un luogo di scoperte, di avventure, di giochi... si respirava (e si respira ancora a dirla tutta) un'aria completamente diversa rispetto a qualunque altro luogo, anche la luce era diversa (un po' più anni '60 con il suo chiarore arancione che riflette sui rivestimenti in legno di certe stanze). Una casa ormai vuota, riunioni di famiglia sotto Natale o durante le maggiori feste che ormai non ci sono più perchè era lei il nostro collante, le radici insomma.
In quella casa restavo da solo durante buona parte delle vacanze estive, durante i pomeriggi.. ed ingannavo il mio tempo di bimbo pieno di fantasia giocando con i videogiochi. A casa mia possedevo un gameboy, dei GigTiger, un MegaDrive, uno Snes... ma non li portavo con me quando ero lì da lei. Nella cameretta dei miei giovani zii, ormai a Milano per lavoro (ed era una gran festa quando tornavano), c'era ancora una tastiera attaccata al televisore. C'era un Commodore 64, su uno scaffale: una miriade di cassette con giochi.
Una sera di chissà quanto tempo fa, mio zio mi vide giocare sul divano con Super Mario Land. "Non capisci un cazzo di videogiochi, vieni qua" mi disse. E mi spiegò i rudimenti di quella tastiera che non avevo mai toccato prima. Durante la sua assenza, quella cameretta diventò la mia. Passavo giornate intere attaccato al Commodore, aspettando che i giochi si caricassero. C'erano giochi di tutti i tipi. La famiglia di mia nonna non era molto ricca ma di condizione modesta, tuttavia, oltre alle economiche cassette pirata in vendita nelle edicole, c'erano anche giochi originali nella scatola. "Per passione" mi rispondeva mio zio quando gli chiedevo perchè non avesse piratati anche i "Last Ninja", "Turrican", "Alter Ego", "Turbo Charge", "Out Run", "Dragon's Lair"... "Certi giochi bisogna averli originali, bisogna fare sacrifici per averli!". Ogni volta che tornava da Milano parlavamo di videogame, mi spiegava per esempio di come Jordan Mechner avesse creato Prince of Persia tutto da solo, osservando solo il fratello (mascherato da principe) intento a saltare e correre per ricrearne i movimenti nel personaggio principale del gioco. Ogni volta che tornava mi trovava sempre più preparato su quel mondo che lui stesso chiamava "cultura del videogioco".
La mia preparazione era dovuta al fatto che, durante le mie esplorazioni della cameretta, avevo trovato, su uno scaffale troppo in alto per la mia statura, delle riviste di videogiochi. Le riviste erano gli "Zzap!", una delle prime vere riviste videoludiche italiane. Era unica, forse persino le riviste di oggi, troppo fredde ed impersonali, avrebbero di che imparare da lei. Utilizzava un linguaggio unico, come quello di due amici che parlano tra loro. "Che palle sto gioco, fa palesemente schifo" etc... e riusciva a rendere tutti i lettori come una grande famiglia: gli Zzappiani!!! Oggi con tutti i forum e le email, lontani anni luce dalle buste con i francobolli, non si riesce comunque a creare nulla di neanche lontanamente vicino a quel senso di appartenenza.
Ma il Commodore che tanto amavo era già trapassato remoto, quando io ci giocavo lui era già stato dai più abbandonato da tempo. La prova concreta l'avevo a casa mia, nella mia vera cameretta: MegaDrive e soci. Anche quella rivista non c'era più ai tempi in cui io la scoprivo, era ormai fuori produzione. Proprio come un Commodoro non abbandona la nave che sta per affondare, Zzap è affondato assieme al Commodore, surclassato dai nuovi pc ed Amiga. Non ha deciso di trattare di altro, trattare della nuova Amiga o nuove console, ha deciso di chiudere i battenti.
Ricordo che, nonostante avessi tutti i numeri della rivista a disposizione, non li lessi tutti d'un fiato. Centellinai le mie letture, ne leggevo uno al mese, proprio come se dovessi aspettare la loro uscita nelle edicole. Nonostante fossi molto piccolo, mi sorprendo ora che ci ripenso,già mi rendevo conto dell'importanza di quel susseguirsi di giornali: scandivano il tempo della storia della mia passione (attraverso un evoluzione di linguaggio che si constatava col susseguirsi delle uscite).
Proprio per questo mio comportamento, nel modo in cui leggevo serialmente quelle riviste, mi sento di dire che io il Commodore 64 l'ho vissuto proprio come se fossi stato un ragazzo all'epoca della sua uscita e non un bambino che ne ha avuto una esperienza di seconda mano, giocando ad un computer ormai commercialmente morto.
Ricordo il momento in cui arrivai all'ultimo numero. C'era scritto "Game Over" in copertina, era un saluto a tutti i lettori. Mi fece tenerezza quel numero: anche io mi stavo progressivamente allontanando dall'amato Commodore. La Psx cominciava a prendere tutta la mia passione per i videogame. Ricordo che mi dissi: "Che importa? Ben venga.. abbiamo avuto Doom, Mortal Kombat, Tekken... la storia continua..".
L'editoriale scritto in quell'ultimo numero è toccante, non solo per tutti gli amanti di videogames, ma anche per tutti gli appassionati di informatica e di home computer. Ecco di seguito la scansione della pagina, vi invito a leggerla. Questo editoriale, lui e solo lui, può descrivere perfettamente cosa è stato e cosa rappresenta il Commodore.
http://www.zzap.it/explorer.php?album=84&immagine=2
... Oggi mi è arrivato un pacco voluminoso che aspettavo da tempo. Mi sono ritrovato seduto sulla tromba delle scale ad aprirlo impaziente di arrivare dentro casa. Al suo interno vi erano 84 riviste ordinatamente poste dalla prima all'ultima. La vista della copertina nera con la scritta "Game Over" spicca in primo piano... forse stavolta l'ho associata alla morte della mia cara nonna, forse "Game Over" è rivolto alla mia adolescenza che se ne andata con lei, a quel periodo che non c'è più... fatto è che mi sono ritrovato in lacrime a salire le scale per portarmi dentro casa un pezzetto enorme di vita passata.
Ora che mi sono sfogato, mi viene però in mente una cosa. La scritta "Game Over" in un gioco non vuol dire solamente che si ha perso. Non vuol dire che ci si è giocati l'ultima speranza/l'ultima vita per terminarlo. Può anche significare che il gioco è finito, che lo si è completato e che quindi bisogna passare ad un gioco nuovo. Quindi, come feci la prima volta che guardai la copertina ora mi dico: "Ben vengano la ps3, Halo etc..." Perchè in fondo, lo dice l'editoriale stesso: The Show Must Go On!!!!
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itresistance · 12 years ago
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Retroeading lo chiamano, ma Zzap! è un qualcosa a cui sono profondamente legato. In fondo: avere una passione è proprio questo, la simbiosi di essa con la nostra vita, o almeno: alcuni frammenti sparsi. 
Nel sito consigliato: le scansioni di TUTTI gli Zzap! usciti in Italia. Tutti, dal primo al numero 83. Un lavoro titanico e... ancora tanto, tanto bello da leggere.
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itresistance · 12 years ago
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Shadow of the Colossus Soundtrack: In The Land of Happiness (by LeoVanCleef)
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itresistance · 12 years ago
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La narrazione di Ico
E questa volta, tastiera, fammi da piano forte, perchè vorrei dire delle cose e vorrei venissero capite, capite bene. Oggi ritorno e rieccomi qui: nel modo forse più scontato di tutti, quello che vede sfruttare l’effetto, quello nostalgia. Tipico della retrologia del videogioco, spesso abusato, perchè fa male dirselo, ma a volte ci rendiamo conto che i titoli che amavamo non sono così belli come nel ricordo. Si ama solo nel ricordo, diceva un bel romanzo della mia infanzia e non a torto. E questo ci sta, ci sta tutto e fa parte di molte cose, così come dei videogames. Ci sta che la fantasia faccia il suo corso, unisca i pixel e viaggi più in là della trama, del gameplay… di tutto il resto. Poi la perdi, carichi quel titolo nell’emulatore, oppure lo riacquisti grazie al digital delivery: ma manca qualcosa. Difetti sempre nel dar la colpa al titolo -lo avevi sopravvalutato per tutto questo tempo, ti dici- ma la colpa è tua, tua che non sei più come dovresti, troppa vita squallidamente reale, nella tua testa. Ed i puntini, ed i pixel e tutto quanto: quelli, non si congiungeranno da soli, che vuoi farci. Ma se penso alla narrativa videoludica ed ai passi che ha fatto -avanti o indietro certe volte- mi rendo conto che c’è una nicchia piccina piccina che con la fantasia ci ha sempre giocato. Oggi parliamo di unire i puntini, di quelle storie che sembrano messaggi in bottiglia, sbiaditi dal lento dondolare della salsedine, come dall’incedere del sole. Tu hai il pad e tu hai la penna: non si giocheranno da sole nè, però, si lasceranno subire senza che tu faccia uno sforzo, per dar loro un senso. Come le poesie, quelle vere.
C'era una volta un pittore di nome Fumito Ueda. Laureatosi in dipinto ad olio, presso l'Università di Tokyo, lui non era certo un programmatore. Eppure, forse con la voglia di seguire le orme di muse ispiratrici quali Yoshitaka Amano, calmo calmo si inserì nel contesto di Sony Entertainment Japan.
Amano, character design responsabile della ormai defunta (e rinata in Last Story) serie di Final Fantasy.
Il tempo scorre, finchè con lui il destino fa la sua mossa e gli viene chiesto se avesse la voglia di creare un suo gioco. Ueda ci pensa, mette sù un team e la prima cosa che gli viene in mente ha più a che fare con l'arte che con il gameplay, pur modificando quest'ultimo aspetto in un modo mai prima esplorato. Desideroso di instillare la stessa sensibilità della tela nelle schermate in movimento di un videogame, Ueda, che a quanto pare ha sempre considerato il videogioco come arte, si è da subito preoccupato di come potessero sembrare gli screenshots del suo gioco, ripresi e riportati sulle pagine della critica. Non voleva le barre della vita, non voleva le minimappe, aberrava i menu contestuali o a schermate: la cosmesi del gameplay doveva sparire per sempre, lasciando spazio all'arte statica o in movimento. Quello fu il primo passo verso la rivoluzione e così Ico, il piccolo giovane con le corna, fu imprigionato nel castello fatato. Tutto ciò che circondava l'inerme protagonista doveva essere elevato allo stato dell'arte, ma bisognava instillare in quei quadri in movimento anche un certo carattere, un certo spessore.
Gli spazi illimiti di Ico
Le atmosfere di Ico sono solo suggerite al giocatore, con tocco carezzevole, piuttosto che da un dito che punta. Il segreto è il tempo che scorre: il palazzo fatato non è più magico come un tempo. Ce lo suggerisce la natura che si riprende i suoi spazi, l'edera che si arrampica sull'incuria delle pareti ed i macchinari abbandontai a se stessi. Niente disturba questo quieto sentire nè tanto meno la colonna sonora, persa per sempre tra il gioco del vento tra le fessure, il suo fischio tra gli spazi illimiti di certe guglie e gli uccelli di tanto in tanto canterini. Qui non c'è più niente: solo il costante perseverare di un bizzarro quanto misterioso ed inspiegato culto che prevede il sacrificio di bambini accidentalmente nati con le corna.
La natura che sopraffà gli artefatti dell'uomo, il bisogno del giocatore di farli rifunzionare. E' un espediente ripreso nell'opera citazionista Majin and the forsaken kingdom.
Mentre un evento fortuito libera il piccolo Ico dalla sua prigione, c'è bisogno di qualcosa che accompagni il suo peregrinare attraverso le pagane architetture del castello. Qualche puzzle ambientale, qualche apparecchio da far di nuovo funzionare prendendo la sua rivincita sulla clessidra di pietra di quei luoghi... bè, semplicemente non basta. E così, consapevolmente o meno, Ueda decide di reinterpretare un vecchio espediente di gameplay. Ricordate la Delphine, ricordate lo splendido Another World?
Another World è il primo titolo a sfruttare un partner comandato dall'IA con cui interagire per andare avanti.
Nel castello appare dunque Yorda, eterea fanciulla avvolta in candore. Come Aerith prima di lei, come River di To the Moon poi, Yorda racchiude dentro di sè il suo mistero, quello che di tutte le donne noi non conosceremo mai. Non sappiamo perchè è lì imprigionata nè tanto meno il suo legame con la presenza oscura che di tanto in tanto infesta quei luoghi. Ci parla Yorda, ma è una lingua arcana e non la capiamo: solo, ogni parola sembra dire amore, protezione, cura. E' guardandola che l'avventura comincia, nel chiederci chi sia veramente, ma il bello è non capirlo mai del tutto, semplicemente pensarci. Come chiedersi chi fosse la compagna di banco che amavamo tanto: sono quelle rappresentazioni che non combaciano con una definizione, ma che terminano sempre con tre puntini di sospensione, celebre omaggio della grammatica a ciò che altrimenti chiameremmo "sospiro".
Il grilleto del pad era usato per stringerle la mano...
Recentemente si è (mal)parlato del rapporto uomo-donna nei videogames, mi riferisco all'ormai celebre video "Damsel in distress". Probabilmente l'autrice vi parlerebbe male di Ico, l'ennesimo esempio di maschilismo videoludico con una povera principessa inerme da salvare. E sarebbe lontano lontano dal vero, sarebbe malvagio, perchè sporcherebbe qualcosa di veramente bello. Yorda, sì, è inerme: ci sono delle creature d'ombra che non ci mettono niente a caricarsela in spalla e farla sprofondare con loro in un baratro oscuro. E' anche vero che la sua gentilezza si esprime con una lentezza nei movimenti che la espone al pericolo, nonchè la riluttanza nel saltare certi baratri. Spesso Ico dovrà aiutarla dopo un inciampo, tenderle la mano al di là di un salto per tirarla sù, ma cosa possiamo dire del nostro "eroe"? Ico è più piccolo di Yorda, Ico è poco più che un ragazzino: scordinato nel correre, caracolla piuttosto, bonariamente impetuoso ed impulsivo, com'è giusto che sia per la sua età. C'è qualcosa di estremamente infantile nel suo mugolare di tanto in tano, durante un salto o nell'atto di chiamare a sè Yorda: anche Ico è inerme. Non conosce quei luoghi e, sopratutto, senza Yorda non potrebbe neanche attraversarli, aprirne le porte. I due, letteralmente collaborano, negoziano pregi e difetti pur di chiamarsi fuori da quel castello. Ico non è forte, scaccia a bastonate le ombre che attanagliano Yorda, ma osservate bene: riesce a stento a sollevare il bastono oltre le sue spalle, lo tiene basso. C'è qualcosa di estremamente naive nel suo combattere, nei versi che fa, con il bastone che il più delle volte schiaffeggia l'aria, manca il bersaglio: il gioco di un bambino che vuol diventare cavaliere. Eppure, quando le situazioni si fanno più intense e le ombre circondano Ico e Yorda, minacciandola di sprofondare, c'è qualcosa di estremamente gentile nel modo goffo di Ico di agitare la sua improbabile arma, Yorda impaurita alle sue spalle, nel tentativo disperato di scacciare gli incubi. Qualcosa di inerme, gentile, ma che forse ha molto più a che fare con l'eroismo di quanto non possa mai capire un cavaliere dall'armatura lucente. Poi, inevitabilmente, il gioco finisce e non ci sono molti nodi a venire al pettine: non le origini del piccolo Ico, non la vera natura di Yorda nè tanto meno le ragioni del loro comune trovarsi in un castello.
Sarà la fantasia del giocatore ad evadere certi interrogativi, solo: la canzone finale suggerisce l'ampio spettro di possibilità dell'immaginazione. Deve prendere il volo degli uccelli, come certe immaginifiche inquadrature. Quale che sia la vostra conclusione, infatti, l'essenziale invisibile agli occhi che il testo canoro conforta nel dare è che: "Tu eri lì, con me". E non si riferisce certo ad Ico, ma unisce i due protagonisti come il grilletto del pad ha fatto per l'intera esperienza: l'uno per l'altro. Mano, nella mano.
Ueda, in un intervista rilasciata a Chris Kohler per la stesura del suo "Power Up", ha confessato che l'idea di un protagonista più giovane rispetto a Yorda gli è venuta in mente pensando a classici del manga-anime come Galaxy Express 999. Pensava, infatti, che in questa disparità fosse contenuta una leggera, leggerissima carica erotica.
Il nostro viaggio verso lo story telling videoludico di nicchia, quella di Ueda, quella che mette in moto la fantasia, è inevitabilmente quasi giunto al termine. Certo, direte, c'è sempre Shadow of the Colossus. Vero: il canto del cigno della PS2 non poteva essere più melodioso. Tuttavia ritengo questo ennesimo capolavoro molto più incentrato sul gameplay splendido di lotta ai giganti, piuttosto che sulla trama. Anche questa è metaforizzabile da un acquerello, con le sue appannate sfocature da immaginare, ciascuno per proprio conto. Rappresenta la forma d'amore più grande: quella del sacrificio; quella dell'amore che, piuttosto, abbatte i giganti. Gli stessi che, pare, il nostro protagonista dovrà fronteggiare per riportare in vita la sua amata. Ed il sacrificio, in fine, diventa l'estrema sintesi del darsi, completamente, come riassunto nella mimesi finale assunta dal protagonista: infante portato in braccio da una rediviva e splendida fanciulla. Al di là di questa, coerente credo, interpretazione, perso nel finale di Shadow of the Colossus, mi sono ritrovato qui, ad immaginare questo articolo, cullato dalla melodia finale: anche io perso per sempre in quell'atto di tornare bambino di cui, sinceramente, non sono più capace, comunque non del tutto. E penso, misteriosamente penso, al castello di Ico, abbandonato pian piano all'incuria dei giorni che passano.
L'orologio batte le ore. E noi, i videogiochi, non possiamo amarli per sempre...
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itresistance · 12 years ago
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Tony Servillo recita Brecht- monologo (by eremita73)
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