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Nuvolette
Sono dispettose e insolenti questa notte le nuvolette. Si ostinano a far giocare a nascondino una luna sottile che di giocare non ha proprio voglia.
Non è certo la più sottile, la luna dico, piuttosto è bella cazzuta con le sue spalle larghe, un po' più solida e meno fragile.
La guardo e mi guarda questa luna che sembra sgomitare contro quelle nuvolette dispettose ché un minuto prima la vedo mentre fumo una sigaretta, un momento dopo non c'è più quando vado a cercarla perché mi sa che non l'ho capita tanto bene.
C'è un compleanno nell'aria 'stasera, di quelli che meritano un brulicare di persone e nuvolette e lune che si incasinano per capire quando è il momento giusto per gridare "SORPRESAAAAA" ché tanti auguri a te.
In compleanni così in genere si fanno i bilanci, ma vattelappesca se è il caso o se è perfino necessario.
Ho scoperto il significato di un numero poco tempo fa, il numero 40 che - mica no - mi è venuto sotto i baffi così, per caso. Pare simboleggi il tempo utile a maturare una trasformazione necessaria, ecco perché dicono che la vita cominci a quarant'anni. La mia, se ci penso, un po' è ricominciata proprio lì.
C'è il tuo compleanno nell'aria 'stasera e mancano poco più di dieci minuti e sono qui a cercare le parole più belle per augurarti le cose più straordinarie... però non sono bravo coi luoghi comuni e con le piaggerie.
Vorrei solo vederti fiorire, anche nell'incertezza, come un nontiscordardime che sfida la brina alle quattro del mattino ché tra un pugno di ore il sole sorge e ti riscalda. Con quella caparbietà che è lì perché sei tu e quella tu è quella che agisce e non si arrende alla brina delle quattro del mattino.
Domani sarà intensa, con un sacco di gente che ti farà gli auguri belli e io che starò un po' distante a chiedermi chissà ché penserà tutto il tempo quel tuo cervellino ipercinetico.
Ma tra cinque minuti inizia il tempo nuovo.
Che sia il tempo della tua rinascita, della consapevolezza della meraviglia che sei, della tua vita nelle tue mani, delle paure che se ne vanno, della traballante incertezza davanti a una mano tesa che però dietro di sé ha la solidità delle pietre e dei silenzi più antichi.
Sia la volta buona ché tutto cambia e tu colga la certezza, nella tua grazia, nel tuo essere te stessa.
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Custode
Lo so. Immaginavi già che avrei scritto.
Sai, su quella madìa campeggiava un pupazzo. Era uno di quei cani che ciondolavano la testa e che qualche tamarro a fine anni '70 metteva sul pannello del bagagliaio. Bastava un lieve scossone e quello ciondolava la testa, ma su quella madìa non succedeva mai...anche perché mia nonna, nonostante fosse un donnone grande, coi suoi gesti lenti era capace di muoversi come un ninja: lenta e senza provocare la minima scossa.
Sopra quella credenza c'era il vocabolario di mio nonno, con il dorso delle pagine rosse, stampato due anni prima che lui nascesse e che lui aveva l'abitudine di leggere la sera come fosse un romanzo.
Su quello stesso mobile c'era una TV della REX che quella sera trasmetteva la puntata di "Niente Paura c'è Alfred!", quella dove il papero aiutava il suo antagonista aquilotto che per una volta non era poi così stronzo. Quella sera che nonna ebbe l'ictus e non volle andare all'ospedale e il me bambino stava in terrazzo alla luce delle stelle a girare intorno con la bici pregando Dio che non morisse. Aveva sei anni quel me bambino e affrontava per la prima volta la morte.
Quella cucina mi ha visto nascere. Ha visto mia madre durante tutta la settimana sola ché mio padre lavorava a Platamona ed erano appena sposati, ma già distanti perché il pane andava portato a casa. Ha imparato a cucinare su quei fornelli mia madre, perché a casa sua cucinava solo nonna e lei ci si allenava tutta la settimana e tutto l'anno a far da mangiare perché mica poteva far brutta figura quando l'amore suo (l'unico, disse) sarebbe tornato a casa. Mi ha visto nel box quella cucina, con i miei giocattoli inconsueti tipo quel trapano arancione che non funzionava più, della black-and-decker che Zio Cesarino aveva regalato a babbo quando aveva compiuto 18 anni e che al posto della punta aveva un chiodo d'acciaio con la testa fuori perché non mi facessi male ché avevo solo poco più di un anno.
Quella cucina ha visto il momento in cui è stata scattata la mia foto preferita con mio padre, con me che imitavo lui nella posizione delle mani con le dita incrociate, me che guardavo su verso di lui e che oggi devo guardare ancora più su per vedere il suo sguardo amorevole rivolto verso di me.
Quelle sedie sono testimoni delle volte che nonna mi passava sottobanco un cucchiaino di caffè e mi dava cinquanta lire per comprare le caramelle all'asilo. Le mattine d'estate con Corrado che conduceva "Il pranzo è servito" e le puntate di "Febbre d'amore" e de "I Jefferson".
Sono pieno di ricordi, ne parlo e ne scrivo spesso e questo è noioso forse.
Ne parlo perché mi riportano alla mia felicità. Quando sei felice sei pure capace di essere ottimista e fare progetti per il futuro. I miei si sono fermati quel primo di aprile ché credevo che Francesca scherzasse dicendomi che non voleva stare con me dopo che eravamo stati così bene insieme. Scelse in luogo del sottoscritto uno scemotto protocolto. Fu la svolta.
Mi accorgo solo adesso che ti ho fatto custode del mio passato e che ora un piccolo frammento materiale del mio passato è diventato il tuo presente.
Penso a come saresti piaciuta a Nonna, che ti avrebbe insegnato tipo come si dispone il ripieno di un raviolo con due cucchiaini, come si fa a chiuderlo con l'indice e il medio...e come avrebbe avuto tutto l'amore del mondo a spezzare in due un cocò sopra le nostre teste.
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Quando ti sento ridere
Sorrido.
Come quando il disco gira sul piatto e vanno i Led Zeppelin.
Come quando sento il maestoso di Ross Roy, quello dal minuto 8:00 alla fine.
Come da bambino la sigla dei DuckTales la domenica mattina ché il catechismo è finito e non ti devi rompere i coglioni per andare a messa.
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4:30
Mi piacciono gli oggetti un po' retrò. Sul mio comodino (che ha 85 anni ed è più scomodo di una visita alla prostata) campeggia una radiosveglia. Ha i numeri rossi e ci si può pure regolare la luminosità del display su due posizioni: anabbaglianti e abbaglianti.
La uso insieme al telefono per svegliarmi tutti i giorni. Da bambino quando mi trasferirono a dormire in mansarda la usavo per addormentarmi, facevo andare la musica che si spegneva automaticamente dopo 59 minuti per distrarre la mia mente dal fabbricare mostri o ladri che tentassero di introdursi dal terrazzo...i miei vicini erano due fratelli tutt'altro che raccomandabili, due nipoti di puttana. Letteralmente.
C'era un programma su Radio2 all'epoca, si chiamava "suoni e ultrasuoni" ed era perfetto sia per addormentarsi che per farsi una cultura della musica underground semi elettronica; capitava non di rado di sentire i primi vagiti dei Subsonica o dei Blu Vertigo. La mattina invece c'era un divertentissimo programma di quelli che non se ne fanno più:"Fabio e Fiamma e la trave nell'occhio". Il titolo era già un programma di per sé. Puntuale, alle 6:30.
Questi giorni, mi sveglia un' altra cosa. C'è una mezza luna che però ha una luce fortissima e ogni giorno fa capolino dalla finestra sul soffitto alle 4:30 in punto e sembra dire: "BUON - FUCKING -GIORNO, figlio di puttana! alzati e indossa la tua maschera da guerra!"...ci manca solo un sottofondo di "Back in Black" degli AC/DC.
Secondo come mi alzo subito, altre volte mi rigiro nel letto ché per fortuna è singolo, diversamente la prima cosa che mi verrebbe da fare sarebbe allungare il braccio sotto le coperte per cercare te.
Fa capolino dalla finestra, la stronza, con quella luce gialla che sembra il faro di una Fiat RITMO del 1984. Alle 4:30, puntuale. Mi infastidisco e penso che adesso mi alzo e, vaffanculo, scrivo un post su di lei direttamente dal telefono. Mi rigiro sotto le coperte, afferrando e abbracciando il cuscino; un po' per concentrarmi e pensare a cosa scrivere, un po' immaginandoti al suo posto.
Ci rifletto un po'.
Si fanno le 5:00, si accende la radiosveglia, parte una canzone dall'inizio.
È Bertoli che mi dice: "Getta le tue reti, buona pesca ci sarà...".
Mi alzo, và...
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Le cose in Comune
Le cose, in Comune vanno tutto sommato bene, mica no.
C'è un sacco di gente nuova e nuovi assetti, nuove cose, nuove sfide.
Mi affascina la storia.
Mi viene da scoprire cosa è successo prima, mettere in fila fatti, magagne, monellerie, congetture e atrocità.
Ci sono nuove facce qui, vengono da posti ed esperienze aliene e distanti.
C'è pure il proprietario di un locale che frequentavo all'università e che era uno dei pochi che faceva l'Hold Fashion'd come Dio comanda. Ci ha una fede tatuata nell'anulare sinistro, ha sofferto per amore, è chiaro come una goccia di rugiada su una foglia di menta in una mattina di marzo...alle sei meno venti del mattino.
C'è fermento in queste nuove cose in Comune che vanno bene, mica no.
Scopro che Chiara controlla l'orario quando arriva allo svincolo della statale, per capire se arriverà puntuale. Conosce pure tutte le macchine che incrocia lungo il tragitto. Le usa come metro per capire quanto, eventualmente, è in ritardo. Chiama la panetteria dieci minuti esatti prima di trovarcisi di fronte, per prenotare il panino all'olio da acchiappare al volo il giovedì. Ma Michela già lo sa e glielo prepara con un buon anticipo. Scontrino compreso. Mica scema.
Poi ci sei tu. Ché le cose in comune da quando ho dimostrato a me stesso e a mio padre che sono bravino in fondo in fondo,vanno un po' così...sarà che sei un po' distante e sfuggente.
Sembri quasi Gino Bartali ché Paolo Conte ci scriverebbe sopra una canzone.
Però io sono un po' Fausto Coppi e quindi ti concedo questo "spettacolo d'arte varia" - come direbbe il buon Conte, appunto - qui, nel terzo spazio ché prima o poi ti ripiglio.
Ti lascio la piccola sorpresa di trovare due post in un colpo solo, sarà che mi viene da scrivere, sarà che le idee si ordinano tutte insieme, sarà che mi manchi un po'.
Mi viene in mente una canzone.
Quando lasci che una canzone parli per te devi raggiungere un compromesso. Nessuna canzone è perfetta perfetta ed è per questo che tanto tempo fa ho iniziato a scrivermele io. Ho smesso vent'anni fa, ma ultimamente mi viene quasi voglia di ricominciare perché, come ho detto, nessuna canzone è perfetta.
Infatti "quattromilaottocentocinquanta", a ben vedere, sono un po' pochine.
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Pazienza
C'è una pazienza antica nelle mani di Signor Giovanni.
Raggiunge l'interruttore a un metro e mezzo da terra chiudendo tutte le dita e lasciando svettare solo l'indice.
C'è una pazienza antica nelle sue rughe, nei suoi passi un gradino dopo l'altro, nell'afferrare il corrimano con la lentezza di un bambino che impara i movimenti utili a gestire la vita, quella più semplice e immediata.
Mi ricorda le mani di mio nonno.
Profumavano di candeggina, che usava pur di levare le macchie della terra, la contropartita a quell'odore pungente di cloro appena attenuato dal profumo di sapone di Marsiglia.
Potevi contare le vene sul dorso delle mani di nonno. Affaticate, ma dignitose.
Puoi quasi contare le vene sul dorso delle mie mani mentre accarezzano una tavola appena levigata. Quanto pensiero c'è nell'accarezzare un pezzo di legno, quanta perfezione ricerco. Mi pare che quanto più lenti sono i miei gesti tanto più amore ci sia dentro.
E le tue mani?
Dove stanno le tue mani?
Afferrano un' agenda, scorrono scartoffie, tengono al caldo un caffè dentro a un bicchiere di carta, sgranano tappi di penne colorate disposte in sezione aurea magari.
Starebbero bene sul mio viso le tue mani, anche solo una.
Magari sul mento, come quella volta di sfuggita.
Già...di sfuggita. Come ti vedo spesso da un po' di tempo a questa parte. Sempre un po' di fretta, sempre di corsa.
Come per scappare.
Come per scampare.
Scorrono sul legno le mie mani. Per verificare che tutto sia abbastanza liscio, tanto quanto basta, tanto quanto merita.
Ci starebbe bene la tua mano sopra, ci starebbe bene uno sguardo, un sorriso e un bacio.
Ci starebbe bene un pugno di istanti strappati alla frenesia dei giorni d'oggi, rivendicati al non pensare, buoni per indugiare sui tuoi capelli biondi molto ché "chissà perché", buoni per gustare il loro profumo.
Per vedere se sa di casa, se sa di donna, di amore, di mare e di posto sicuro.
Scorrono sui tasti le mie mani, su quelli bianchi e su quelli "cariati" mentre ti penso in barba a tutto, a ciò che sarebbe giusto. In barba a quel coglione del mio strizzacervelli, ai soldi che gli do' per dirmi che devo scoparmene ancora una...così...giusto per anestetizzare.
Io lo so dove scorreranno le mie mani e le mie dita, ma mica te lo posso dire ora...posso solo intrecciarle con i riccioli di fumo della mia sigaretta in questo tempo lento ora che è buio e tutti dormono.
Magari pure tu.
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Miriam
Mica la conosco bene, dopotutto.
Si è sposata un mio collega. Lui bravo ragazzo, in gamba, preciso, diritto , composto.
Ci hanno pure un labrador e un figlio.
Sorrido sornione se penso che un figlio, un labrador e una moglie erano il mio sogno di bambino. In pratica il futuro che immaginavo guardando scorrere i campi fuori dal finestrino del Toyota quando d'inverno rientravamo dal mare e nell'abitacolo risuonava la solita cassetta dei successi italiani fra i quali un bellissimo pezzo di Umberto Tozzi che si chiamava "Donna Amante Mia".
Certe canzoni sono fatte a posta per farti desiderare l'amore, mannaggia a loro e agli autori.
Dice che le ragazze non scelgono mai i bravi ragazzi, in gamba, precisi, dritti e composti, invece stavolta no. Eppure...E' anche molto bella Miriam, ha un sorriso bellissimo e due occhi cicciotti che quando sorride gli zigomi non riescono mica a contenerli. Ed è intelligente, quando stava in una squadra della caccia al tesoro era una di quelle che capiva per prima la logica della prova.
Il mio strizzacervelli però non la definirebbe intelligente perché sapeva risolvere brillantemente le prove, ma perché ha scelto uno come il mio collega. Che è molto più bravo, in gamba, preciso, diritto e composto di me.
Fa una distinzione fra l'essere colta e l'essere intelligente il mio strizzacervelli. Secondo la sua teoria una ragazza può essere colta, ma stupida. A seconda delle scelte che fa. Perché a suo dire l'intelligenza sta nelle scelte e non nella cultura o nell'abilità mnemonica o logica.
Non so se è vero, ma la parte di me che grida vendetta all'universo un po' gli da' ragione e sorride bastarda come il Grinch ché gli è appena venuta un'idea geniale per rovinare il Natale.
Ci ho pure una collega che ogni tanto si lancia in elogi alle tante cose che so fare, pare che vada in sollucchero per la questione del pianoforte. Mi sono promesso che la prossima volta che lo fa le farò presente che nonostante tutto uno come me, lei, non lo sceglierebbe comunque, pertanto è inutile prodursi in panegirici del genere, però devo trovare il modo di essere carino e coccoloso nel dirglielo.
Claudia si chiama, ma si sa: Claudia deriva da "claudicante" e chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Claudia sarebbe una di quelle che il mio strizzacervelli definirebbe non intelligente.
Ci penso su e cerco il mio posto. Troppo poco bravo, in gamba, preciso, diritto e composto. Troppo poco ribelle, trasgressivo, strong e inusuale. Troppo poco banale, scontato, inetto, stupido.
Mi chiedo dove devo stare, ma mi rendo conto che per fortuna non posso stare dentro al paradigma di una definizione. Non io.
Accartoccio il foglio sul quale ho scritto la bozza di questo post, come faccio sempre. E' una specie di rito, sarà che mi piace consumare inchiostro, sarà che è strano.
Sarà che mi piace l'idea della mia calligrafia antica...
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Cielo Azzurro d'Inverno
Trovo ci sia una certa malinconia nel cielo azzurro d'inverno, soprattutto la domenica.
La domenica per me ha sempre una luce diversa rispetto agli altri giorni...come nei film americani che vedi quella luce strana perché il sole dall'altra parte del mondo illumina in modo diverso. C'è una luce diversa anche rispetto al sabato...che lui pure ci ha un'atmosfera tutta sua nei giorni di sole. Sono pure piuttosto d'accordo con Leopardi per quella storia che il sabato è molto "yeeeee" e la domenica invece è molto "buuuuuhhhh" (la mia prof. di Italiano mi perdonerà per la sinossi).
L'aria è fredda oggi e contrasta con il cielo azzurro del pomeriggio.
Domani è ancora vacanza, cerco di riordinare un po' il casino in laboratorio e mi accorgo di tutti gli scampoli di legno che mi sono serviti per il mio ennesimo esperimento...perché ho quel simpatico vizietto di essere attratto dalle cose complesse, sarà che mi danno più soddisfazione.
Mi guardo le mani e penso che mi salvano spesso. Sono una specie di rifugio, danno senso e forma a ciò che penso. Le guardo da fuori a volte e mi fanno compagnia. Non le avevo mai guardate con distanza finché non mi hanno detto che ci racconto storie. Mi ricorda quando da bambino osservavo le mani di mio nonno che cuciva i canestri di giunco con la rafia.
Mi salvano, dicevo, perché quando sono in imbarazzo inizio a fare qualcosa con le mani. In quel qualcosa mi rifugio e va subito meglio o quasi, come quella volta che ho iniziato a stappare bottiglie una dietro l'altra, manco stessi servendo al campionato mondiale degli AANP (alcolisti anonimi non pentiti).
Guardo il cielo poi, c'è la scia di un aereo che sembra dividerlo in due di netto. Ne ho vista una pure stamattina. Mi viene da pensare che ci sono degli imbecilli trinariciuti che credono che siano scie chimiche capaci di influenzare il clima che non cielodicono la terra e piatta e tutta un'altra serie di cosettine buone per condirci insalate di ignoranza.
Poi penso a quanto sono imbecille io che quando le guardo sorrido perché credo a quell'altra storia che se vedi la scia di un aereo in cielo vuol dire che qualcuno ti ama e ti pensa.
Guardo di nuovo le mie mani, mi viene da scrivere.
Dice che ci si dorme bene con le mie parole.
Sapessi come si dorme bene con me.
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GUAZZABUGLIO
Mago Merlino definiva il ventesimo secolo come un "guazzabuglio moderno"...la differenza tra me e lui però è che lui - nel dare quella definizione - era di ritorno dalle vacanze a Honolulu, mentre io sono di ritorno da un anno che tutto si può definire fuorché una vacanza, però è stato molto divertente lo stesso.
La mia mente è come lo spettatore del traffico di una gara di formula 1 mentre vede passare e ripassare in pista i ricordi di quest'anno, ogni volta con una sfumatura diversa, ogni volta con una posizione differente nella carreggiata.
Mi piace guardare indietro dopo tanto tempo e osservare quanto ho costruito, disfatto, revisionato, modificato. Quante volte mi sono lasciato stupire dalla vita, quante volte ho agito e quante volte sono rimasto incantato davanti a qualcosa, come quegli occhi grandi ché dentro c'è scritto tutto e quasi quasi vuoi farti firmare la copertina dall'autore e perderti tra le pagine.
Alla fine di questo guazzabuglio la mia vita professionale cambierà, c'è il mio zampino, mica no. Ho dovuto adattarla a nuove cose che ho da curare, alla mia terra, alle mie viti, ai miei ulivi e a tutto quello che mio padre ha lasciato così - come lui soleva dire - "provvisoriamente"... salvo poi lasciarmi qui da solo in un mondo che va "a pile", come diceva quella canzone.
Ho dovuto fare i conti con tutto quello che non so fare e con tutto quello che so fare, per accorgermi che anche se a volte mi sembra che non basti, per altri è tantissimo, anche se per me sono solo cianfrusaglie per altri è un tesoro. Quello che non capiscono però, gli altri dico, è che non è uno di quei tesori da tenere sotto vetro e contemplare, ma ha senso solo se indossato, lucidato, vissuto...altrimenti non ha valore. Un tesoro che tutti si limitano ad ammirare non vale nulla. Vale molto di più un tesoro nascosto al resto del mondo, al quale solo pochi possono accedere, curandosene, accarezzandolo, proteggendolo.
Ho imparato a essere grato, riscoperto il profumo del ginepro appena lavorato, lo stupore negli occhi di qualcuno per qualcosa di davvero semplice, il valore dell'ombra di una carezza sul mento, Franco Arminio, un paio di scarpe taglia 42 che mi starebbero giuste giuste, la fiducia in me stesso, un monaco che amava i gatti (il regalo più bello) e l'amore per me stesso. Ho scoperto che mai farsi regalare un accendino Bic giallo. Porta sfiga.
Ho avuto la mia sorpresa del 2024, oggi l'ho pure abbracciata un po' e le ho dato un bacio sgangherato fra imbarazzo e cose non dette ché è meglio, almeno per oggi.
Ho avuto tanto in questo guazzabuglio. Manca solo una cosa, ma la lascio al guazzabuglio dell'anno che verrà, al nuovo me stesso e al giorno in cui, anche se non sarò lì in quel preciso istante, vedrò finalmente la nuova versione di te.
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Piringongo
Definizione
Il Piringongo (nome scientifico Aforensis Capus Sine Crinibus) è un mammifero dell'ordine dei Cicarnahereehbi, originario della Mesopotamia Sud Occidentale.
Descrizione e Indole
Di forma longilinea e slanciata, dimensioni medie, una lunghezza intorno ai 175 cm e arti anteriori piuttosto sviluppati, il Piringongo si colloca in cima alla catena alimentari e supermercati MD.
Gli esemplari più piccoli portano sulla testa una folta peluria che, con l'andare dell'età, migra dalla testa alla zona mascellare e mandibolare.
Di indole mite ed empatica cambia radicalmente approccio se infastidito, impaurito, schernito o ingannato, occasioni queste in cui sfoggia la sua arma segreta: il colpo segreto del drago nascente.
Durante la stagione degli amori il Piringongo diventa particolarmente romantico, sceglie con molta cura la sua potenziale compagna ed è noto per la sua propensione a non accontentarsi di un esemplare qualunque nel momento in cui ricerca una relazione duratura. Gli entomologi hanno tuttavia osservato che, sporadicamente, tende ad accompagnarsi ad esemplari diversi, talvolta entrando in una fase che in latino è stata definita "tempus futuit porcos".
Alimentazione
Di norma si nutre di funghi, muschi e licheni, ma non disdegna la carne e soprattutto - durante la stagione delle piogge - l'erba cipollina che trova gratuitamente presso le sponde dei canali.
Distribuzione e Habitat
Nonostante si possa trovare potenzialmente un po' in tutto il globo, il Piringongo è una specie in via di estinzione e, chi è fortunato, può dire di averne incontrato solo un esemplare in tutta la sua vita. E' stato infatti classificato dalla Lista rossa IUCN come "vulnerabile".
Storia e Leggende
Il più antico resto di Piringongo, risalente a 6000 anni fa, si trova nelle Akab Island.
L'analisi dell'animale ha rilevato che esso è pressoché in continua evoluzione.
Nella mitologia Greca era spesso accostato a Ulisse per la sua proverbiale capacità di infilarsi in avventurose odissee.
Quando, nel 1903, Howard Carter scoprì la tomba di Tutankhamon, trovò affianco alla tomba del Faraone un sarcofago con un esemplare di Piringongo mummificato. Sul coperchio lapideo del sarcofago campeggiava una scritta in geroglifici che è stata recentemente decifrata.
La scritta diceva: "Veniamo cresciuti con le idee di giusto o sbagliato inventate da altri e poi succede che alla fine non siamo felici. Siamo ubbidienti, facciamo tutto giusto, ma questo non ci fa stare bene, non ci fa essere felici."
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Serendipità
Serendipità è un fenomeno bislacco almeno quanto il nome che porta.
Capita raramente, quando ritrovi qualcosa che hai cercato da tempo senza successo, proprio mentre stai cercando tutt'altro. Tipo mentre rovisti nel cassetto dei calzini e trovi quel paio di mutande verdi con i gli elefantini rosa e le giraffe blu che hai cercato per mesi invano.
Tempo fa cercavo un libro, avevo bisogno di rileggere alcuni passaggi per schiarirmi le idee, per rispolverare la strada che faticavo a vedere. Più la strada si riempiva di polvere, più avevo bisogno di ritrovare quel libro e di rileggere quelle pagine. Niente. Impossibile da trovare.
Ho rovistato dappertutto...sì, persino nel cassetto delle mutande vicino al letto che a volte uso per poggiarci i libri che leggo prima di dormire, perché il comodino è dall'altra parte. Troppa strada. Saranno passati quasi due mesi e più andavo avanti, più ne avevo bisogno, più collezionavo fallimenti nella ricerca.
Due domeniche fa - di quelle domeniche che ti svegli alle quattro e dopo mezz'ora sei in studio a lavorare - cercavo un documento di una cliente, credevo di averlo in digitale e invece mi viene in mente di averlo ritirato personalmente in formato cartaceo.
Apro il cassetto giallo per recuperare la cartella di quel lavoro. Eccolo lì, il bastardo, in bella vista sopra tutte le cartelle.
Lo estraggo dal cassetto velocemente come se un secondo in più lì dentro potesse costarmi la vita. Lo stringo a me. Un coglione.
Un coglione che alle cinque e un quarto di una domenica mattina stringe a sé un libro come se fosse la persona che glielo ha regalato.
Prima di cercare ciò che mi interessa apro a caso, d'istinto. Capito sulla prima pagina di un capitolo. Il titolo mi fa sorridere e, allo stesso tempo, quasi bestemmiare, ma decido di rileggerlo tutto, prima di dedicarmi a ciò che cercavo.
Esco dallo studio, il sole è ancora di là da sorgere e l'aria è frizzante. I gatti mi guardano stranamente zitti.
Penso alla fretta di trovare le cose e che le cose alla fine saltano fuori quando è veramente il momento, anche se le hai cercate inutilmente per tanto tempo.
Magari è lo stesso per le persone, chissà.
Mi concedo un momento per sorridere, mentre accarezzo un grappolo di parole scritte su un cartoncino verde.
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day off
Sono giorni che mi alzo alle quattro. L'irrequietezza pesta un po' ai fianchi...sarà novembre.
Ho un raffreddore insolente che mi rovina le restanti ore di sonno. Sapessi tenere a bada tutto come so tenere a bada un raffreddore...con lui basta un Actigrip per trasformare un colpo di tosse che spacca il petto in un dolce colpetto che libera i bronchi.
Il fisico mi costringe a un pomeriggio di sonno, di quelli belli lunghi. Mi trascino in cucina che sono le sei e un quarto. Bevo un caffé e lascio la tazzina orfana del cucchiaino a completare il quadretto con le cianfrusaglie della cena di ieri che non ho avuto voglia di ritirare. Mi abbandono sulla poltrona a prendere tempo, poggio un piede su una sedia e fisso lo sguardo nel vuoto, come fosse un post-it da fissare a una bacheca con una puntina. La mia attenzione viene catturata da una mosca che fa più volte la spola tra il bordo della tazzina e una lattina di Simmenthal vuota. Beata decadenza.
La sera arriva presto e con lei la Luna. Sembra bella prepotente 'stasera: illumina il balcone talmente bene che mi viene il dubbio di aver lasciato la luce accesa. La guardo e mi incanta, come sempre. Vorrei stare sempre col gli occhi verso il monte a guardarla e lasciarmi inebriare dalla sua luce, ma se faccio così è facile che camminando finisco per andare a sbattere da qualche parte e farmi molto molto male. Vorrei raggiungerla, ma è troppo lontana. Potrebbe raggiungermi lei, ma è difficile. Sarebbe bello se fosse davanti a me, così potrei guardarla senza farmi male, senza mettere limiti.
Torno dentro, sbarazzo il tavolo, lavo i piatti. Aspetto che l'olio sia caldo, metto su un po' di musica per distrarmi e faccio il bravo casalingo indossando il mio grembiule con le Vespette disegnate.
Io mi sento sgangherato e stupido.
Lei è ancora là fuori a illuminare tutto. Con grazia e potenza.
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d'altri tempi
Il medico arriva sulla sua utilitaria che non lo diresti mai che dentro c'è un dottore. Parcheggia. Con una manovra da 41-bis schiva un Suv e una Mercedes e la scena mi ricorda i cartoni dove Lupin, Jigen e Goemon parcheggiano la Fiat 500 gialla che ballonzola nel traffico come una pallina.
Ho capito subito che era lui perché me lo avevano descritto un po' fuori dalle righe. Fumacchio camminando avanti e indietro sul marciapiede, scostato dal suo studio di qualche metro.
Mi vede, mi sorride, senza che ci scambiamo una parola capisce che ero io quello dell'appuntamento.
Mentre cammina chino cercando le chiavi nella giacca mi chiede un minuto per aprire l'ambulatorio: «Fumi tranquillo, non si senta in colpa».
E' una visita medica, ma vuole sapere di me. Sa come mettere a proprio agio un paziente.
E' sornione il ragazzo e si porta bene tutti i suoi 78 anni, ha ancora qualche traccia di biondo sui capelli e un ciuffo che - a seconda dei movimenti - spazzola sbarazzino la fronte.
Procede con documenti cartacei, mi rassicura che gli stessi saranno custoditi sotto chiave, che nulla sarà registrato nel computer e apprezza la mia firma "da architetto".
Supporta tutto ciò che mi spiega con l'ausilio di opuscoli, niente slides, niente tablet. Carta.
«Ecco, leggiamolo insieme...» dice mentre si adagia col gomito quasi sdraiandosi sulla scrivania e porgendomi il depliant in modo che anche io possa seguirlo nella lettura: «Questo però non è quello che ci interessa, vediamo cosa ci dice più avanti». E' quasi avido nella ricerca del trafiletto col quale vuole rassicurarmi, sfoglia le pagine inumidendosi le dita con la lingua e leggendo freneticamente, quasi volesse nutrirsi di quelle pagine.
Mentre sono steso sul lettino, durante la visita, mi parla appoggiandosi al mio ginocchio come fosse al bancone del bar, come se tutto fosse la cosa più normale del mondo.
Mi da due dritte e un numero di telefono per l'intervento. Mette timbri dappertutto, ne ha pure uno per la ricetta: "RICETTA RIPETIBILE".
Sentire il rumore dei timbri mentre rovista cercando quello giusto mi da' gusto, fa riaffiorare un sacco di ricordi della mia infanzia, riaffiorano come i SUPER TELE dal pelo dell'acqua quando al mare cercavo di tenerli sott'acqua e li lasciavo andare d'improvviso.
Temo di dimenticarmi i nomi dei farmaci e li appunto velocemente sullo smartphone perché, come tutti i medici, ha frequentato l'esame di disgrafia e lui in particolare sembra essersi beccato una bella lode. Sì lo so che i farmacisti hanno frequentato l'esame di interpretazione dei geroglifici, però non si sa mai.
Guido verso casa che la luna è alta, ripenso alle parole del mio psicologo: «tutto ciò che hai raggiunto e tutto quello che sei contento di aver risolto è dovuto a te, al fatto che ci hai lavorato ed è merito tuo. Tutti i progressi che hai visto in quest'anno, in queste settimane sono merito del tuo lavoro!». Rifletto su quanto è cambiato di me e quanto cambierà dopo l'intervento, che è una stronzata anche evitabile ma psicologicamente è quasi fondamentale. Mina riempie l'abitacolo con la sua voce, io tamburello sul volante e guardo la strada come se guardassi il vuoto. Mi fa impressione tutto l'impegno che sto investendo su di me, quasi questa volta volessi salvare la mia di vita, dopo aver sempre aiutato gli altri. "Kafkian", direbbe Aldo, sarebbe orgoglioso di me anche se la mia metamorfosi è al contrario.
La luna è alta, la strada scorre e mi viene da sorridere al pensiero di quell'uomo d'altri tempi che manco lo sa quanto è stato importante, coi suoi fogli di carta e i suoi timbri.
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16 pagine
Probabilmente sei seduta sotto al tuo pino maestoso, sopra un telo mare o una seggiola di quelle basse che non si usano più o ancora direttamente sopra un tappeto di aghi. Magari, con la schiena appoggiata al fusto, leggi queste righe e accanto a te hai la tua agendina azzurra...sembra quasi una ricetta: aggiungere una o due gatte e mescolare.
Scrivo dal mio studio, tra un delirio di lavoro e l'altro ché oggi e sabato e dovrei essere in campagna, ho un gatto addormentato dietro al mio sedere e l'altro che impasta un cuscino manco fosse Iginio Massari con la frolla.
Mancano 16 pagine a finire il grosso del tuo lavoro, se penso a quando hai iniziato a lavorarci mi sembra passato un secolo. Ricordo quanto eri spaventata, disillusa e arresa. Però vedi?! Lo vedi quanto ci hai lavorato? Lo vedi come lo hai affrontato quel demone? Ti sei messa l'armatura di Xena, hai preso le armi e lo hai affrontato. Hai avuto paura, ma il coraggio - diceva quello che hanno fatto saltare in aria a Capaci - è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa, altrimenti è incoscienza. Non so se tu riesci a vedere quello che sei riuscita a fare e quanto sei stata brava, quanto valore hai acquisito per te stessa con questo lavoro...che è ancora da finire, verificare, forse limare ecc...ma sei oltre il guado.
Quindi niente...amati per questo.
Amati perché sei brava, perché sai fare, perché puoi riuscire, lo hai visto, non era poi tanto difficile.
Amati perché non puoi fare altrimenti, se non ti ami tu chi dovrebbe e chi potrebbe?!
Alzati da lì e vai allo specchio a dirti "ti amo", perché te lo meriti.
Sono proprio stupido a scrivere queste cose qui quando potrei mandarti un messaggio, ma mi piace l'idea di farti trovare una piccola sorpresa nel terzo spazio, solo per te. Mi piace l'idea di fissare queste 16 pagine che mancano qui...che magari ci hai lavorato ancora e adesso sono meno di 16, ma...sai com'è...16 è multiplo di 8.
Amati e sorgi.
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Liso
Mi avevano mandato da lui a ripetizioni di geometria analitica perché di matematica, nonostante due anni e mezzo di scientifico, non ci avevo capito poi granché.
Ci fece luce, molta.
Facevamo lezione nel vecchio ambulatorio pediatrico del fratello, nella stanza prima dello studio c'era ancora il lettino. Il primo giorno la prima cosa che fece fu porgermi un pacchetto di MS gialle e chiedermi: « Fumi? ». Mi venne da rispondergli come i gangster nei film americani: « Ora hai la mia attenzione ». Siccome nello studio non c'era il posacenere, perché era comunque il vecchio studio del fratello e doveva rimanere ordinato, accroccava un cono con un foglio di carta da stampante A4 e per spegnere le sigarette le buttavamo in fondo al cono e schiacciavamo la cicca arrotolando la punta molto in fretta, per non bruciarci le dita.
Mi aveva aperto gli occhi su una cosa che allora pensavo valesse solo per la matematica, poi ho capito che vale anche per la vita: ci sono almeno tre modi per venire fuori da un problema.
Aveva un modo pragmatico e simpatico di insegnare, era serio, scherzava, ma si faceva seguire. Da lui avevo imparato come organizzare su un foglio i dati in modo che tutto mi fosse chiaro, è stato lui che mi ha insegnato come schematizzare financo un discorso.
L'ho perso per un po': il resto del liceo, l'università, la vita...eppure ha sempre abitato dritto dritto sotto casa mia, a trenta metri o poco più. L'ho incrociato spesso questi ultimi anni dal verduraio o seduto al bar, invecchiato, sempre barba incolta, occhialini piccoli e ovali, vestito "giusto per", un po' trasandato, ma sempre con la battuta pronta, un po' incurvato, liso. Come quelle tendine sotto il lavello delle case al mare di una volta, che non scorrono mai.
Stasera - mentre non so perché io e il barista abbiamo iniziato a fare l'elenco dei sindaci del nostro paese - siamo arrivati al nome di suo padre, ma non ricordavamo esattamente la sequenza.
«Stiamo parlando di sindaci?» ha detto col braccio sinistro alzato. E così abbiamo preso a chiacchierare.
In tutti questi anni che ci siamo incrociati dal verduraio o al bar sotto casa non mi aveva mai riconosciuto. Quando ha capito chi ero il viso gli si è illuminato, quegli occhi piccoli e distratti verso il mondo si sono aperti dietro quegli occhialetti ovali sporchi e la prima cosa che mi ha chiesto è stata :« Beh, ma alla fine ti hanno promosso?! ». Gli ho spiegato che era stato talmente bravo che finivo i compiti in classe di matematica e li rifacevo con le soluzioni alternative come mi aveva insegnato lui. Quando ho spiegato questa cosa delle soluzioni alternative al barista e al resto della fauna presente ho fatto l'esempio del fascio di rette: « ci si può arrivare o con l'equazione del fascio proprio impostando l'incognita oppure mettendo a sistema l'equazione di due rette del fascio e trovando le coordinate del punto!» (non fare gli occhi bianchi tu, è solo per dovere di narrazione! nda) .
A quelle parole il suo stupore ha raggiunto proporzioni bibliche e mi ha ricordato un casino di episodi che io avevo completamente rimosso, compresa quella volta che alla festa del liceo ci eravamo incrociati e io avevo in mano un vassoio di pasticcini che stavo offrendo agli astanti, preside compreso, con fare spavaldo.
Lui è così, spostato dal mondo di oggi, con un acume fuori dal comune e fuori dal tempo. Ha ancora la caratteristica di tenere chiusi contro i palmi il mignolo e l'anulare della mano sinistra e il mignolo della mano destra. Tra l'indice e il medio della mano sinistra la sua pelle è marroncina, le sigarette. Per lui infatti credo che una casa sia quella cosa completamente inutile che sta tutto intorno al portacenere...alla bottiglia e al bicchiere. Dicono si sia rovinato con l'alcool, più che con l'alcool secondo me col contesto di una società che non è più fatta per uomini con menti così interessanti...o forse è sempre stato troppo particolare lui, socievole come un eremita incastonato in una famiglia famosa, borghese, altolocata. Il padre credo sia stato l'unico sindaco ben voluto del mio paese...non che sia un obiettivo così difficile da raggiungere di questi tempi.
Sorrido mentre penso che da ora in poi, adesso che mi ha riconosciuto, quando ci incontreremo dal verduraio scambieremo due chiacchiere e due battute. Taglienti come le sue, sciocche come le mie.
Intanto la luna è più bella ora.
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piccoli morsi
Come perle d'acqua sulle labbra la notte, quando la sete fa sognare grandi brocche. Come il primo respiro dopo un'apnea, prima di reimmergersi. Come la torcia finalmente accesa nel buio che hai cercato dentro le tasche e non trovavi. Come un singolo palpito improvviso di un cuore impolverato, dimenticato su un tavolino da the, dentro un soggiorno vuoto con le lenzuola sui mobili, appena trafitto da un po' di luce che filtra dalle persiane. Come la fronte che si apre e gli occhi che si allungano, come succede ai gatti. Come i "bravo" di mio padre. Come due mani strette a trasmettersi energia e fra loro una scrivania carica di pile di assurdità e ingiustizia. Come brani di cielo limpido che, tenaci, si fanno spazio tra nuvole minacciose. A piccoli morsi, come i merli con le briciole di pane che cadono dalle tavole imbandite nei pranzi luculliani: di nascosto, in fretta e poi dileguarsi prima che qualcuno si accorga.
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MINA!
Non c'è parola migliore per definire quella voce, quel temperamento, quella potenza squassante.
Mina. "Con il punto e tutto quanto", direbbe Ermes. Mina una canzone la registra da sempre due o tre volte, massimo. Tutta d'un fiato, dall'inizio alla fine. Si siede in studio vicino al mixer, tiene il testo stampato in un foglio e canta. Con gli occhiali scuri e la coda e quel modo diretto, genuino ché sembra semplicissimo, non c'è una smorfia fuori posto. Registra due, massimo tre takes Mina, poi ne sceglie una...quasi sempre la prima. Niente autotune, niente taglia e cuci, niente di niente. Così, come al Karaoke. La base perfetta con tutte le cose al loro posto e lei seduta lì che canta come se fosse la cosa più naturale del mondo. Siccome Zia Mina è una che ha personalità si è scelta pure un microfono, tantissimi anni fa, un microfono a transistor di quelli da studio che si appendono sull'asta. Il suono della sua voce che restituisce quel microfono le piace talmente tanto che usa solo lui e lo ha pure marcato con un baffetto di smalto rosso. Smalto rosso. Poteva metterci un'etichetta, un pezzo di nastro adesivo colorato, farci incidere sopra il suo nome. No. Un baffetto di smalto rosso, così nessuno lo scambia per un altro microfono. Un baffetto di smalto rosso...se non è stile questo... Lo stesso stile la Zia ce l'ha quando canta. Il timbro della sua voce è qualcosa di inconfondibile, la chiamo "Zia" per questo, perché quel timbro è qualcosa di certo dentro il quale mi rifugio in mezzo al rumore, come vedere nonna sul cancello dell'asilo che aspetta che le maestre mi lascino libero. E' accogliente, confortante, liberatorio. Quando canta la disperazione la voce le sgorga dritta dritta dal profondo e mi fa venire voglia di urlare perché quella voce potente ti viene a prendere l'anima e te la strappa facendola uscire dalla gola. Le canzoni che sceglie sono perfette e a volte è provvidenziale nel tirare fuori una perla quando ci ho qualcosa dentro che gira e gira e gira. Sembra quasi che mi abbia invitato una sera a cena, nella sua casa in Svizzera, come se dopo cena ci fossimo seduti a chiacchierare su due poltrone davanti al fuoco acceso e le avessi raccontato tutto, facendo roteare il brandy nell'Old Fashioned, ogni tanto appoggiando i gomiti alle ginocchia con lo sguardo in terra e il bicchiere sospeso, tenuto solo con due dita. Sembra quasi che mi abbia detto :«Ce l'ho io il pezzo giusto, se aspetti qualche settimana lo senti. Poi mi telefoni però, perché voglio sapere cosa ne pensi!». Beh l'ho ascoltato il pezzo, in veranda, con la brezza che spettinava i fiorellini viola un po' più là e il sole alto, alto come quella voce che arriva lontano e ti viene a cercare l'anima per strappartela via, che te la restituisce pulita, come se prendesse un pennello morbido morbido e levasse tutta la polvere. Sono andato a leggermi il significato perché non ero sicuro di aver capito bene, non ci volevo credere insomma. E invece sì, avevo capito bene eccome, manco ci fossi andato per davvero a cena da lei a scroccare una canzone fatta apposta per te.
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