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HOPELESS WANDERER
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what will be the next stop?
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mhlvnt-blog · 9 years ago
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The magic of TFP
Visite: 1 200 000 – U N M I L I O N E D U E C E N T O M I L A. Titolo, corpo e conclusione in un’unica cifra. Stop, articolo finito: il solo dato spiega il successo dell’evento dell’anno.
Christo ha permesso a tutto il mondo ciò che lui solo s’era immaginato di fare finora: muoversi a piedi seguendo il movimento fluttuante dell’acqua. L’artista bulgaro, naturalizzato statunitense, ha regalato al mondo l’ennesimo colpo di scena che ha generato sguardi sbalorditi, volti attoniti, bocche spalancate per lo stupore. Così, grandi e piccini, animali volatili e non, tutti abbiamo potuto vivere The Floating Piers; anzi eravamo noi stessi l’opera, a cavallo tra ingegneria e land-art, che Christo e sua moglie Jeanne Claude – scomparsa sei anni fa – iniziano a concepire nel 1970.
Da diversi anni sulla scena artistica mondiale, la coppia conosciutasi ed unitasi a Parigi, dopo aver impacchettato oggetti, monumenti, interi edifici, si dimostra intenzionata a ricercare con l’acqua un rapporto innovativo, cui nessun tipo di arte aveva mai aspirato prima. Si apre così la sezione degli Water Projects, in cui figurano la Wrapped Coast: one million square feet di Little bay, Sydney, Australia (1968-69), l’Ocean front di Newport, Rhode Island, U.S.A. (1974), la Running Fence nelle Contee Sonoma e Marin, California, U.S.A. (1972-76), il Pont Neuf wrapped di Paris, France (1975-85; fig.), le Surrounded islands di Biscayne Bay, Greater Miami, Florida, U.S.A. (1980-83), Over the River, lungo il fiume Arkansas, Colorado, U.S.A. (1992-in corso) e proprio The Floating Piers sul Lago d’Iseo, Italia (2014-16).
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Dapprima la foce del Rio de la Plata a Buenos Aires, Argentina, successivamente la baia di Tokyo, Giappone, sono stati seri candidati come sede per ospitare progetti i quali si sono dimostrati solamente il preludio alla lingua di fuoco che ha collegato Sulzano - Peschiera Maraglio – Isola di San Paolo, sul Lago d’Iseo, nelle ultime settimane. Infatti, l’idea di camminare sull’acqua, premessa per The Floating Piers, nasce con 2000 Meters Wrapped, Inflated Pier (1970), ma trovandosi ancora in uno stato embrionale non riesce a tramutarsi in realtà: per i due chilometri di passerella galleggiante pensati per il Rio de la Plata la coppia di artisti non otterrà mai le necessarie autorizzazioni e dopo alcune accurate indagini accantona temporaneamente l’idea. Anni più tardi la loro attrazione per l’acqua, spinta dalla sfida di riuscire ad offrire al mondo l’opportunità di godere di una passerella galleggiante, torna a farsi viva: il risultato è The Daiba Project (1996), all’Odaiba Park, Tokyo Bay, che purtroppo subisce la stessa sorte dei 2000 metri di Buenos Aires e non riesce a vedere la luce. Per la seconda volta Chisto e Jeanne Claude si vedono costretti a riporre nel cassetto questo loro sogno, i tempi ancora non sono maturi; entrambi i progetti presentano evidenti limiti: i luoghi che li hanno ispirati, prima di tutto, non risultano adatti per la tipologia di progetto – effettivamente le forti correnti presenti in mare aperto minerebbero la stabilità dell’opera – inoltre, le tecnologie che i due, con il loro gruppo di lavoro, sono soliti utilizzare non parrebbero le più adatte per far resistere l’installazione, in quanto trattasi di materiali di costruzione gonfiabili, simili a quelli adottati per altre opere precedenti.
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Il 2009 è un anno che segna particolarmente la vita dell’artista, ormai diventato pilastro mondiale nel campo dell’arte; il dolore dovuto alla perdita di Jeanne Claude gli conferisce indirettamente più determinazione per portare a termine quel progetto che lei stessa avrebbe voluto vedere realizzato. Un Christo visibilmente commosso nel discorso iniziale agli addetti ai lavori nel cantiere di Pilzone d’Iseo la ricorda come «una donna eccezionale; se fosse qui con noi sarebbe capace di contagiarci tutti per l’energia che era in grado di sprigionare, con quel suo modo di fare determinato, instancabile [...]». Abbandonata quindi l’idea iniziale di collocare l’installazione in acque salate, egli parte alla ricerca di un lago, luogo indubbiamente più consono per il montaggio, la gestione e la fruibilità dell’opera d’arte in questione. Complice l’amore per l’Italia, dove la coppia si è già ritrovata a lavorare – Wrapped Fountain and Wrapped Medieval Tower, Spoleto (1968; fig.), Wrapped Monuments, Milano (1970; fig.) e The Wall - Wrapped Roman Wall, Roma (1973-74; fig.) – e la presenza dell’isola lacustre, abitata, più grande d’Europa, il paesaggio alpino del Lago d’Iseo si è rivelato ottimo scenario e, tra la primavera e l’estate 2014, ha convinto il genio bulgaro e tutta la sua troupe a decretarlo sede definitiva per l’ultimo lavoro (in ordine temporale).
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Il terzo tentativo sembra essere quello vincente fin dall’inizio; l’estate dello stesso anno l’amico Germano Celant – storico dell’arte e curatore italiano, che tra i tanti vanta incarichi per il Guggenheim Museum di New York, il Centre George Pompidou di Parigi, la Biennale di Venezia, e attualmente direttore della Fondazione Prada a Milano – divenuto Direttore del Progetto, inizia a gettare le basi per ottenere tutte le concessioni necessarie, riscontrando totale disponibilità da parte delle istituzioni locali – nelle persone di Paola Pezzotti (sindaco di Sulzano), Fiorello Turla (sindaco di Monte Isola) e Giuseppe Faccanoni (presidente dell’Autorità di bacino del Lago d’Iseo) – e della famiglia Gussalli Beretta – per l’esclusivo permesso di includere l’Isola di San Paolo, di cui la nota famiglia bresciana è proprietaria, nell’opera. Inizia quindi tutta la fase artistica di stesura del progetto: Chisto, coadiuvato dall’amico nonché fotografo ufficiale e Direttore Tecnico Wolfgang Volz, si mette all’opera nel suo studio di New York per schizzi, bozzetti, disegni, rappresentazioni, dalla cui vendita ricava il denaro utile a finanziare la realizzazione, in quanto, come tutti i progetti dell’artista, anche The Floating Piers è interamente finanziato dai proventi delle opere originali – non esistono biglietti d’ingresso per le sue installazioni.
Il risultato del lavoro con matite, carboncini, pastelli a cera, smalti si rivela già qualcosa di sensazionale; il progetto raffigura due settori a terra, per un totale di 1,5 km e rispettivamente nel centro storico di Sulzano e sul lungolago che collega Peschiera Maraglio e Sensole su Monte Isola, e quattro settori in acqua della lunghezza complessiva di 3 km: uno che porta dalla terra ferma all’isola, due che partono da Ere e da Sensole – due zone su Monte Isola – e che si incontrano in mezzo al lago, e l’ultimo che circonda l’isoletta di San Paolo.
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Nel frattempo Vladimir Yavachev, nipote dell’artista e Direttore Operativo, e Wolfgang Volz, si preoccupano di effettuare tutti i test necessari per la selezione dei materiali, in base a parametri non solo estetici ed economici, come sarebbe logico pensare, ma anche fisici: per poter garantire la fruibilità seppur limitata a 16 giorni le passerelle devono vantare determinati requisiti statici, di resistenza, ergonomici, igienici. Anche l’aspetto ecologico assume notevole importanza: come per tutte le installazioni di Christo e Jeanne Claude, i pezzi dell’opera verranno rimossi e riciclati industrialmente.
Dopo varie prove svoltesi nel 2015 tra Bulgaria, Germania e Italia, la scelta finale per la struttura ricade su 220000 cubi di polietilene che assemblati tramite dei pioli dello medesimo materiale vanno a formare i pontili galleggianti larghi 16 metri, tenuti in sicurezza da 190 blocchi di ancoraggio di calcestruzzo. La conformazione dei fondali del Lago d’Iseo non rendono affatto semplice il lavoro: la profondità massima in alcuni punti è addirittura di 250 metri, ma, grazie a minuziosi studi, per le squadre al lavoro è stato possibile posizionare i sistemi di ancoraggio ad una profondità massima di 90 metri. La finitura invece prevede, al fine di ammorbidire la superficie, la stesura di uno strato di feltro bianco, il quale rende decisamente confortevole l’esperienza a piedi nudi; sopra di esse viene fissato un tessuto di nylon poliammidico di colore “giallo dalia”, prodotto in Germania dall’azienda tessile Setex, che rappresenta la parte più riconoscibile dell’opera. Le increspature, formate grazie ad un’eccedenza di tessuto del 20%, creano, con colori, ombre e luci (del giorno e della notte), effetti scenici emozionanti: contrariamente alla tendenza – molte persone infatti si presentano alle prime luci del mattino per ammirare l’alba – il momento della giornata più adatto per venire sorpresi dalla meraviglia che il genio di Christo ci ha donato è il tramonto – i fotografi lo sanno bene.
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Ciò che rende quest’opera unica non risiede nei singoli suoi componenti. Il tessuto in sé e per sé è solamente stoffa di un colore apprezzabile: numerosi sono i casi di furto, per i quali ogni notte le squadre di manutenzione si ritrovano a porre rimedio riparando i diversi squarci; le parti mancanti puntualmente si ritrovano in vendita su eBay (o piattaforme simili) a cifre spropositate – lo squallore e la stupidità della società non ha limiti – ed è proprio per questo motivo che la volontà dell’artista sia di riciclare ogni singolo pezzo. Il sistema dei cubi di polietilene separato dal contesto altro non è che una distesa di taniche di plastica, che possono sì ispirare un riutilizzo o riciclo creativo, ma non corrispondono all’opera d’arte. Alcuni illusi lavoratori, tra cui il sottoscritto, vengono smentiti dallo stesso artista quando all’inizio di Giugno – la struttura è già pronta, mancano le operazioni di finitura – in massa si precipitano a fotografare i dettagli: «quelli sono solo cubi di plastica, non hanno nulla di speciale; la vera opera d’arte sarà tra il 18 Giugno e il 3 Luglio, quindi fate pure tutti i “selfie” che volete, ma non conteranno nulla.»
The Floating Piers comprende tutto ciò che è coperto di giallo. Sulzano e l’Isola di San Paolo, i pontili galleggianti e Monte Isola; il tessuto di nylon e il feltro, i cubi di polietilene, le funi e i blocchi di ancoraggio, l’acqua del lago e quella nei cubi laterali che conferisce ai piers un aspetto digradato ai lati; le assi di legno, le graffette, le viti, i chiodi, la colla. Ma non è solamente l’insieme di questi materiali. È il sole e la luna e i fari che vengono posizionati ogni notte e rimossi ogni mattina; il paesaggio; i divieti, i parcheggi, i bus navetta e il servizio ferroviario; le forze dell’ordine; i servizi di ristorazione e i negozianti; le persone che arrivano a tutte le ore incuranti delle condizioni metereologiche e climatiche, gli addetti ai lavori; gli articoli di giornale, gli scatti e le condivisioni sui social network; le contrastanti emozioni di stupore, gioia, felicità, noia, rabbia, insoddisfazione, stanchezza, tranquillità, agitazione, paura, entusiasmo. Quest’ultimo colpo da maestro di Christo risulta essere tutto il fermento che si genera durante questi 16 giorni, nella cui limitata durata risiede molto probabilmente la formula magica; molti lamentano «dovrebbero tenerlo per tutta l’estate ‘sto ponte!», «se avessi saputo di tutta questa coda, non sarei venuto», «avrebbero dovuto far pagare l’ingresso, così molta gente che è qui per pura curiosità se ne sarebbe rimasta a casa»: ciò dimostra che ha fatto breccia nel cuore di tutti, ancora una volta. Sì, perché dal suo visionario punto di vista è ben consapevole che ci sono disguidi, disagi, che nulla è perfetto – non è un pischello alle prime armi – ma bisogna pur ricordare che si tratta di un’opera d’arte e come tale va vissuta: queste condizioni vanno tenute in conto; e che lo facciamo o meno, il milione e passa di persone dimostra quanto egli abbia una mente brillante, geniale, dimostra che ha fatto centro, ha colpito ancora.
Partecipare ad un progetto simile, va al di là del mero impiego, significa molto di più. La candidatura per molti, come per chi scrive, è frutto più di un interesse, un desiderio di prendere parte a qualcosa di unico, che di un bisogno lavorativo; per carità, non si vuole condannare tutti coloro che partecipano in quanto bisognosi di un’occupazione e di uno stipendio – sì, veniamo tutti retribuiti, forse non in maniera adeguata al tipo di lavoro, ma, come Christo e Jeanne Claude hanno sempre fatto e com’è logico, corretto ed etico che sia, non si lavora gratuitamente – anzi, fortunatamente il gruppo di lavoro è il più eterogeneo possibile in termini sia di competenze sia di provenienze sia di genere, dallo studente fresco di maturità alla giovane neolaureata, dalla trentenne appena sposata all’adulto cui mancano pochi anni alla pensione, dal manovale all’architetto, dal medico all’avvocato, dal tipico bresciano alla pugliese, dall’albanese alla canadese. Molte sono le figure coinvolte e questo non genera altro che ricchezza: la diversità e la pluralità delle menti con le quali si condivide l’esperienza può solo innalzare il livello del progetto e quindi dell’opera, fornendo anche occasioni di crescita personale. «... diversità significa forza, e monocoltura debolezza. [...] Le persone vogliono la diversità perché porta loro più piacere e diletto [...], lo scontro furioso di diversità culturali può ampliare la prospettiva e ispirare un cambiamento creativo.»
Il primo giorno, così come ci si comporta al primo appuntamento, abbandoniamo le cattive abitudini e facciamo le persone serie: sveglia ore 6,30 – posponi per 10 minuti – posponi per altri 10 minuti – partenza ore 7,15 e arrivo al cantiere di Montecolino, a Pilzone d’Iseo ore 7,35. Si inizia alle 8,00 ma molti arrivano qualche minuto prima per l’inserimento: non si tratta del primo giorno per tutti, alcuni lavorano già da settimane, occupandosi in cantiere dell’assemblaggio e messa in acqua dei cubi di polietilene, che poi verranno trasportati in nelle posizioni prestabilite. Già si percepisce una confusione generale e una certa mancanza di organizzazione e di comunicazione – per gli italiani purtroppo è assai faticoso comunicare in lingua inglese. Piano piano veniamo sommersi di gadgets e ci viene consegnata una completa dotazione per svolgere il lavoro, espletiamo le necessarie procedure burocratiche e poi si parte. In anteprima attraversiamo il lago sulla struttura che diventerà nel giro di due settimane The Floating Piers, nessuno riesce a trattenere l’emozione. Il nostro compito comporta la stesura del tessuto, ma ancor prima della struttura, a terra, sulle strade e nelle piazze di Peschiera Maraglio e Sulzano; è ovviamente richiesta una modesta dimestichezza nel lavoro manuale, ma il lavoro non presenta nulla di complicato e proibitivo: per prima cosa vengono stesi rotoli di feltro che vengono poi fissati a terra attraverso un sistema di assi avvitate o inchiodate ai bordi delle vie – il tutto necessita di una discreta cura dei dettagli poiché le pavimentazioni sulle quali viene applicato l’intero sistema sono delicate o pregiate (ad esempio lastre di porfido, pietra arenaria di Sarnico, sampietrini, marmo).
In pochi giorni si crea tra le squadre all’opera un affiatamento tale da non essere paragonabile a quello del mondo del lavoro che siamo soliti frequentare, dove avremmo bisogno di diversi mesi. Questo aspetto conferma ancora di più la magia dell’evento. Tuttavia, alcuni disagi, piccoli o meno piccoli, si notano, come la difficoltà nell’organizzazione dei turni di lavoro e nel comunicarli agli interessati: è la società italiana The Floating Piers srl, fondata appositamente per rendere esecutivo l’evento e sussidiaria della CVJ Corporation (società di Christo), che si trova a gestire i grattacapi più impegnativi, talvolta con esiti negativi, in quanto è assai improbabile se non impossibile esaudire le richieste di più di mille persone che pretendono di non fare turni notturni, ma nemmeno stare sotto il sole per sei ore consecutive, che preferiscono fare i “Boat captain” sui gommoni di servizio per le operazioni di emergenza, senza avere la capacità di condurre barche a motore, che appena ricevono una radio ricetrasmittente si sentono subito investiti di un potere immenso, senza capire che un leader svolge un ruolo di responsabilità – non comanda, dà l’esempio. Ecco diciamo pure che per lavorare in un contesto del genere c’è bisogno di un grande spirito di adattamento, che a molti manca; ne conseguono tutte le difficoltà che l’Area Risorse Umane e Project Managing, con Izabelle, Ada, Sana, Clementine, Mery si ritrova a fronteggiare, addossandosi spesso ingiustamente le colpe.
Menzione particolare per due persone che realmente si preoccupano di far funzionare tutta la macchina, di mantenere un buon clima, di portare a compimento l’ennesimo progetto: Vince e Jonita Davenport. La straordinaria coppia collabora con Christo da una trent’anni circa, e si nota quanto tra loro e l’artista (senza dubbio anche con Jeanne Claude in passato) si sia creato un legame solido e un’empatia altrettanto forte: si fidano ciecamente gli uni degli gli altri. L’ingegnere è presente ovunque, quando un dubbio ci attanaglia egli arriva per chiarirlo ed immediatamente si trova già dall’altra parte per risolverne un altro: deve avere il dono dell’ubiquità; è instancabile, non riposa mai, i ricercatori dovranno spiegarci come alla sua età, non più giovanissima, sia ancora così arzillo e “sul pezzo”. Colpisce la sua umanità e la continua ricerca della soluzione adatta: non siamo di fronte a un guru che conosce tutte le risposte, ma a un “hard-worker” che non si dà pace finché non è soddisfatto del lavoro. Jonita invece è adorabile, la mamma di tutti, sempre sorridente e pronta a dare un conforto a chi ne abbia bisogno; al primo incontro si percepisce indistintamente la sua maestria nel gestire gruppi di persone, tra le più disparate. Credo fermamente che The Floating Piers non sarebbe lo stesso senza la coppia di New York.
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Sul finire di questa esperienza tanti sono i piacevoli incontri vissuti, altrettanti quelli che purtroppo non si sono verificati, troppi i ringraziamenti da fare: a chi mi ha spinto a inoltrare la candidatura, a chi mi ha supportato e sopportato nell’ultimo mese, ai colleghi matti (molto più di me) che aiutano a sdrammatizzare ogni situazione critica, agli amici ritrovati, alle persone che regalano sorrisi, a tanti altri ancora. Esperienze come questa vanno vissute tutte d’un fiato, intensamente, senza risparmiare nemmeno un briciolo di se stessi, per essere in grado, poi, di affermare orgogliosamente «è stata una gran ficata!», forse senza nemmeno dirlo perché ce lo si legge in viso anche solo quando sentiamo pronunciare la sigla TFP. Sì, questi pontili fluttuanti ci hanno cambiato la vita, eccome, ci hanno aperto gli occhi verso nuove mete, ci hanno insegnato che i sogni possono diventare realtà. Basta crederci. «Non pianifichiamo mai l’impossibile. Può sembrare irrealizzabile ad alcuni, ma noi siamo molto realisti.» (cit. Jeanne-Claude).
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mhlvnt-blog · 11 years ago
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Leaving.
All that we deserve is love, but we cannot only pretend to receive it. Everyone of us deserves it, no matter who we are or where we were born; no matter if we love cats rather than dogs or prefer a vegetarian diet instead of a meat one. No matter of the color of our skin or the width of our mind. No matter what language we speak or which person we love. Everyone of us, citizens of the world, needs to be loved, but the only way to make it happen is donating love first. How? Just being ourselves.
I’ve lived in a magic city, with fabulous environment and amazing people, who have demonstrated love to me since the beginning. Nobody knew me at all: I decided to be completely naked to them, so they could have known the real me. They’ve immediately loved me and at the same time I’ve felt them as a family. I didn’t instantly realize it, but this feeling started because both sides were donating love. And when we feel loved, everything makes us happy and joyful and we feel at home. This mood fits for every human being, animal or vegetal on earth. I strongly believe that love is the answer and the solution to all world’s questions and problems.
That’s what they taught me, that’s what I’ve learned. Thanks Arconauts.
Forever yours,
M
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è amore, ma non possiamo solamente pretendere di riceverlo. Ognuno di noi se lo merita, indipendentemente da chi siamo o dove siamo nati; indipendentemente dal fatto che siamo più tipi da gatto o da cane, o vegetariani, carnivori o vegani. A prescindere dal colore della nostra pelle o dalla vastità della nostra mente, da che lingua parliamo o di quale persona siamo innamorati. Ognuno di noi, cittadini del mondo, ha bisogno di sentirsi amato, ma l’unico modo per far sì che accada è prima di tutto donare amore. Come? Semplicemente comportandoci da noi stessi.
Ho vissuto in una città magica, con un ambiente splendido e persone straordinarie, che hanno dimostrato amore nei miei confronti fin dal principio. Nessuno mi conosceva: ho deciso di mettermi a nudo, in modo che loro potessero conoscermi per come ero veramente. Tutti quanti mi hanno immediatamente voluto bene e allo stesso tempo ho cominciato a considerarli una famiglia. Non l’ho subito realizzato, ma questo sentimento è sbocciato dal momento in cui c’era un donarsi amore a vicenda e quando ci sentiamo amati, ogni cosa ci rende felici e gioiosi, sentendoci parte di qualcosa. Questa sensazione funziona per ogni essere umano. Sono fermamente convinto che l’amore sia la risposta e la soluzione a tutte le domande e i problemi del mondo.
Questo è ciò che mi hanno insegnato, questo è ciò che ho imparato. Grazie Arconauts.
Per sempre vostro,
M
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mhlvnt-blog · 11 years ago
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Voices from the desert.
It’s been a while since I started thinking this post, partly because of the lack of time to write - work hard, play hard is the philosophy here - partly because I wanted to have a richer picture of this reality.
Thus, three weeks after my departure - time goes by so damn fast - I report my personal feelings about this charming spot.
I arrived here almost persuaded to be in a sort of hippie community, a self-sustainable city, completely surrounded by a desert landscape, where cars wouldn’t exist, where power supply came exclusively from renewables, where you could live with local food or zero mile food…fortunately my thoughts weren’t wholly correct: thinking about it, actually if it would have been just like that, Arcosanti wouldn’t have had such a long life.
Where to start?
The project has taken shape in the 70s, however its story has started long before.
È un po' di tempo che sto "covando" questo testo, un po' per mancanza di tempo materiale per scrivere - perché qui, anche se non sembrerebbe, oltre a divertirci, si lavora - un po' per riuscire ad avere un quadro più ricco possibile da descrivervi.
Così dopo tre settimane dalla mia partenza - il tempo passa inesorabilmente veloce - riporto le mie personali sensazioni su questo posto magico.
Ero arrivato convinto, o quasi, di essere in una sorta di comunità hippie, una città auto-sostenibile, completamente immersa in un paesaggio deserto, dove non esistevano automobili, dove l'energia elettrica proveniva esclusivamente da fonti rinnovabili, dove le relazioni con l'esterno erano minime, dove si campava con prodotti prodotti in loco o a chilometro zero…fortunatamente i miei pensieri non erano del tutto corretti: a pensarci bene, fosse stata veramente così, Arcosanti non avrebbe avuto una vita così lunga.
Da dove cominciare?
Il progetto ha preso forma negli anni '70, ma la sua storia è nata molto prima.
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It’s the distant 1946 when the Italian young Paolo Soleri, after the Master Degree in Architecture achieved at Politecnico di Torino, travel to the US - precisely to Scottsdale, AZ - aiming to participate in the construction of Taliesin West, with lots of other young students, under the supervision of the eccentric architect Frank Lloyd Wright.
Soleri spent eighteen months mostly cooking and washing dishes, snatching everything possible from the maestro of the organic architecture. During this time he had the opportunity to bring forward his own ideas too, just to mention one the diversity of outlook about urban issues which differentiated his vision from Lloyd Wright. Arcosanti and Linear City are in fact in sharp contrast with Wright Brodoacre City.
After a year and a half Soleri finally leaves Taliesin West and starts working on his own projects and vision.
Soleri’s portfolio isn’t rich in terms of commissioned projects, although a couple are worth mentioning, the Dome House, built in 1949 at Cave Creek, AZ for his mother in law and the Ceramica Artistica Solimene, ceramic factory, in Vietri sul Mare (Italy) in 1953 - thus he was able to concentrate on the study and the research of a new concept of city and lifestyle.
È il lontano 1946 quando il torinese Paolo Soleri, fresco di Laurea in Architettura al Politecnico di Torino, arriva negli States - più precisamente a Scottsdale, AZ - per poter lavorare a fianco di numerosi giovani alla costruzione di Taliesin West, sotto la supervisione dell'eccentrica figura di Frank Lloyd Wright.
Dopo diciotto mesi passati in cucina (grande considerazione che avevano di lui), riuscendo ad apprendere tutto il possibile dall'architettura organica del maestro americano, ma anche facendo valere le sue idee - importante la diversità di vedute circa le questioni urbane: Arcosanti e la Linear City sono in netto contrasto con la Broadacre City wrightiana - lascia Taliesin West e inizia a lavorare per conto suo.
Durante la sua vita non ha avuto molti incarichi (forse un bene?) - meritano menzione la Dome House, costruita nel 1949 a Cave Creek, AZ per la suocera e la fabbrica Ceramica Artistica Solimene di Vietri sul Mare (SA) nel 1953 - riuscendo così a dedicarsi completamente allo studio e alla ricerca di una nuova concezione di città, di vita.
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A few years later he went back to the Arizona desert and settled here with his family in Scottsdale and started working on his researches. In 1956 Cosanti is born. The name is the result of the fusion of two Italian words: cosa + anti = before/anti things.
Cosanti is a live laboratory, conceived under the “learning by doing” principle, where all the structures seem hand molded. In this place, where he will live the rest of his life, he experienced the silt-cast, i.e. a technique which allows to model at will buildings, facades, roofs, apses, domes with silt. With the help of students, young people and volunteers (through workshops, like the FLW ones) within ten/fifteen years all the buildings which it’s still possible to admire nowadays at Cosanti, were built. The funding for the construction was raised from sale of the famous (at least in US) bronze or ceramic wind bells.
Dopo la parentesi italiana fa ritorno nel deserto americano, si stabilisce con la moglie a Scottsdale e inizia a dare vita ai suoi studi. È così che nel 1956 nasce Cosanti - fusione di due parole italiane: cosa + anti = prima/contro le cose - un vero e proprio laboratorio, costruito secondo il principio "imparare facendo", dove tutte le strutture sembrano modellate a mano. In questo luogo, dove ha vissuto fino alla fine della sua vita, ha sperimentato la tecnica del silt-cast, ossia una tecnica che consente di modellare a piacimento le strutture, facciate, coperture, absidi, cupole con il limo. Grazie anche all'aiuto di studenti, giovani e volontari (attraverso workshop, come quelli proposti da FLW) nel giro di dieci/quindici anni sviluppa tutte le costruzioni che ancora oggi vengono utilizzate a Cosanti. Il finanziamento per tutto questo lavoro? Proveniva dai ricavi delle vendite delle sue famosissime (almeno in America) campane a vento in bronzo o in ceramica, che vengono prodotte ancora oggi sia a Cosanti sia ad Arcosanti.
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In 1970, in order to prove his theories on arcology (architecture + ecology) weren’t utopias, he decided to develop a city which responds to the “more with less” philosophy. The concept focus was on frugality, quality of life and preserving resources, materials, spaces in order to respect the environment and existing landscape. Soleri knew that Cosanti couldn’t host and evolve in this project due to the increasing urban sprawl of Phoenix metropolitan area and the resulting sudden rise of land costs, so he decided to move a hundred kilometers north. He found the prefect location in the mountains (1000 m a.s.l.), and he bought, with what has now become Cosanti Foundation (no-profit), a piece of land in the middle of nowhere where we can now find Arcosanti. The only artificial sign on the land he chose is the current Interstate 17 which links Arizona and Utah.
Soleri, who was assisted in the construction by young volunteers who has arrived every month for the 5-weeks workshops (more than 7000 people in 44 years!), saw his dream grow: the project portrays a city for 5000 inhabitants. The concept is clear, developing a human centered, car free town where everyone can admire the amazing landscape while working and where relationships grow communally.
While I’m writing the built percentage is lower than expected and the city hosts a hundred of residents, more or less, but what is most interesting for the Cosanti Foundation is that over the years Arcosanti has become an “urban laboratory”. Here 50000 tourists and workshoppers per year can experience an alternative to the no longer sustainable urban sprawl, a new model of city, community and life.
This is the purpose and the main message of Arcosanti: living a peaceful stress-free existence, surrounded by the environment.
This is much more newsworthy if we consider that in 2010 approx 50% of the world population (3,5 billions) live in urban areas and the forecast rises to 6,3 billions in 2050.
Nel 1970, per dimostrare che le sue teorie sull'arcologia (architettura + ecologia) non sono utopie, è deciso a sviluppare una città in linea con la filosofia more with less, in cui si punta alla frugalità, alla qualità della vita cercando di sprecare meno risorse, meno materiali, meno spazio, il tutto a stretto contatto con la natura. Accortosi che Cosanti non poteva essere sede di questo progetto - in seguito al crescente sviluppo urbano dell'area metropolitana di Phoenix e alla conseguente impennata dei costi per i terreni - si sposta un centinaio di chilometri a nord, nella zona montuosa dell'Arizona (1000 m s.l.m.), e acquista, con quella che è diventata ormai la Cosanti Foundation (no-profit), un pezzo di terra in mezzo al nulla - unico segno artificiale sul territorio, l'attuale Interstate 17 che collega l'Arizona con lo Utah - sulla quale nasce Arcosanti (arcologia + costanti).
Sempre coadiuvato da giovani volontari che ogni mese arrivano per gli workshop (5 settimane) - più di 7000 persone nel corso dei 44 anni della sua esistenza - vede crescere il suo sogno: il progetto prevede lo sviluppo di una città per 5000 abitanti, a misura d'uomo, dove non circolano automobili, dove si può ammirare lo splendido paesaggio mentre si lavora - anche la fonderia dove si producono le campane è ospitata da un'abside aperto - dove le relazioni si sviluppano in maniera comunitaria.
Attualmente la percentuale costruita rispetto a quanto previsto è bassa e la città ospita un centinaio di residenti, ma quello che più interessa alla Cosanti Foundation è che negli anni Arcosanti è diventata un "laboratorio urbano", un'alternativa alla città diffusa oggigiorno non più sostenibile, un esempio in cui più di 50000 turisti ogni anno, ma ancora meglio i workshoppers, vivono sulla propria pelle l'esperienza di un modello diverso di città, di comunità, di vita. Questo è l'obiettivo e il messaggio principale di Arcosanti: vivere in serenità, senza stress, immersi nella natura - nel 2010 circa il 50% della popolazione mondiale (3,5 miliardi) viveva in aree urbane, per il 2050 la previsione è di 6,3 miliardi.
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Apparently my original idea wasn’t totally correct. The energetic sources are only partially renewable, cars are indeed useful - just to go and get a beer pack at the service station on the I-17, two miles from here - relationships with the outside community are vital, because without tourists, workshoppers or wind bells buyers Arcosanti’s development (which is managed by a non profit foundation) would not be possible.
Just to give an idea some bells are worth up to one hundred thousand dollars. Besides, of course, some things work better than other ones, but improvement is part of the project and always possible as it is a fundamental milestone of the “learning by doing” philosophy.
My marginal considerations see in this idea, this project, this reality a gorgeous revolution. During these few weeks I’ve truly experienced a sense of peace and serenity: although the working days are hard, a deep breath and the beautiful landscape make me feel better at a glance.
I truly believe this is an awesome experience, which not only architecture students should be aware of. The main problem is that in Italy - despite the critical job issue, our skills are appreciated abroad - we don’t know much about this reality. As far as I remember, at university very few professors told me something about it even if some members of the Cosanti Foundation told me they had connections with some of our schools. This is a pity because this little-great reality could help every individual to open his eyes towards a better future.
I apologize if I was winded, but it was really difficult for me not to fall in love with such a little paradise.
M
Ovviamente su alcune cose mi sbagliavo. Le fonti di energia sono in parte rinnovabile, le auto servono eccome - anche solo per andare a prendere una cassa di birra alla stazione di servizio sulla I-17 a due miglia da qua - le relazioni con l'esterno sono importantissime, perché senza turisti, worshoppers o gli acquirenti delle campane (i "magna-schei" pagano cifre oltre i centomila dollari pur di possedere queste opere d'arte) Arcosanti, gestito da una fondazione no-profit, non potrebbe esistere. Poi chiaro che alcune cose funzionano meglio di altre, ma si può migliorare: è proprio questo il significato del motto "learning by doing".
Le mie marginali considerazioni riconoscono in questa idea, questo progetto, questa realtà una vera e propria rivoluzione, una magnifica rivoluzione. In queste poche settimane ho provato veramente il senso di pace e serenità: anche se la giornata di lavoro sembra faticosa, basta alzare lo sguardo e prendere un bel respiro per sentirsi subito meglio.
È un'esperienza fantastica, che secondo me ogni studente di architettura, ma non solo, dovrebbe provare. Il problema è che purtroppo noi italiani - che in ogni caso, anche se ormai la situazione è assai critica, siamo molto apprezzati all'estero - ne sappiamo ben poco di questa realtà. Che io ricordi, pochissimi in università me ne hanno parlato, eppure qua i membri della Cosanti Foundation mi hanno detto che sono stati per diversi anni in contatto con alcuni atenei nostrani. Un vero peccato perché questa piccola-grande realtà può aiutare ogni persona ad aprire gli occhi verso un futuro migliore.
Scusate se sono stato prolisso ma mi è risultato veramente difficile non innamorarmi di questo piccolo paradiso.
M
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