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Bozze di appunti concettuali
Sottosuolo, 23 nasce per delle urgenze.
Qua ci sono alcuni appunti che vorrò approfondire in futuro o in forma testuale o video.
Provare a capire il mondo e noi stessi richiede un approccio controintuitivo, faticoso e l'accettazione del concetto di caso. Lottiamo contro la nostra natura evolutiva
Siamo ignoranti verso il 99,9% delle cose del mondo, e forse anche di più
Presupponi la buona fede negli altri, finché non conviene non farlo
Non fare lo stronzo e fatti i fatti tuoi
Molte delle credenze che abbiamo non le scegliamo
Le religioni sono l'oppio dei popoli e il cancro dell'umanità finché non lo sono più
L’uomo è inconsapevolmente stupido; le masse lo sono molto di più
Relativizzare è utile finché non serve assolutizzare
La maggior parte delle informazioni che mettiamo e riceviamo sono inutili, solo rumore di fondo
Le leve che muovono il mondo a partire dalla singola azione, dall'essere umano, e dalle masse semplici o complesse sono: potere( compresi i soldi ) , fama (compresa riconoscibilità , compagnia, riprova sociale ), riproduzione ( compreso rifuggire la morte).
Chi non sottostà a queste leve e incentivi è chiamato eretico, e lo è, e viene allontanato dalla società, ed è giusto così perché poi la società stessa non funzionerebbe più.
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Road map Sottosuolo,23
Al momento sottosuolo23 è un blog e un canale yt. Appena ne parliamo diventerà un luogo mentale, virtuale al quale associarsi e come filo d’arianna per i nostri intenti. Poi diventerà un luogo fisico.
2025
Sostituire i miei profili social e canale YT con s23, io sparirò Trovare spazi fisici dove organizzare sessioni Sedute autogestite intorno ai corsi di teatro a cui partecipiamo (prove) Sedute autogestite ispirate agli esercizi imparati Sedute creative di ricerca. Attorno a un tema, si crea. Testo, corpo, voce, immagini, suggestioni. Workshop/laboratori con insegnanti veri. Contact, ad esempio, o verticali su temi intorno ai teatri. Aggregare persone Creare manuale esercizi teatro, teatro danza, contact (a partire dagli appunti di berry per simon e mio per la tommasoni) Sistemare parte online (sito, blog e yt)
2026
Individuazione di uno spazio fisico Imparare le meccaniche intorno a una produzione teatrale vera e propria
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Sottosuolo, 23 - Manifesto
L’essere umano appartiene al sottosuolo, quel mondo fatto di istinti animaleschi che guida quasi tutte le nostre scelte individuali e collettive e che porta alla violenza, alla prevaricazione, alla competizione; chi è in sottosuolo23 sa tutto ciò, non lo nega né rifiuta perché sarebbe come rifiutare di credere che l’acqua è bagnata; chi è in sottosuolo23 comprende, accetta e usa questa parte di sé come arma per scapparne. Siamo esseri irrequieti e incompleti, acquisiamo senso con la ricerca artistica in sé.
Chi Esseri umani irrequieti e in evoluzione. Essere in ricerca per la ricerca in sé. Ci saranno due cerchi concentrici di persone Uno largo, può entrare in sottosuolo23 chiunque sia generalmente interessato alle nostre pratiche: teatro, contact, teatro danza, yoga, scrittura collettiva. Non è un vero ingresso, non ci sono tessere associative o regole, solo la condivisione degli intenti. Uno stretto, coloro i quali sono anche dedicati. Loro saranno parte del “collettivo” vero e proprio.
Cosa Un’unione di persone che condividono i presupposti. Un luogo astratto di appartenenza, un legame invisibile.
Come Sottosuolo23 nasce come modalità di ricerca artistica. La ricerca si può effettuare in ogni modo possibile: tramite laboratori e workshop, esperienza o ricerca pura. La ricerca si posa sul principio di rifiuto di logiche di profitto, di riconoscimento sociale e di competizione. Rifiutiamo l’uso dei social per trovare riscontro (servono solo per informare), non cerchiamo adepti ma sarà un’attrazione naturale, non facciamo proselitismo.
Dove Due luoghi, uno online e uno offline. Online, tramite blog e canale youtube; questo è il luogo in cui esprimiamo opinioni, idee, critiche intorno a cultura e arte; immagino anche recensioni di musica, cinema, teatro, libri e discussioni tematiche. Possiamo anche condividere creazioni come testi, poesie, piece, cortometraggi ecc. Offline, tramite le pratiche nel mondo reali, soprattutto attorno al teatro. In un primo tempo in spazi gratuiti o economici (parco, sale di oratori, le case dei partecipanti), poi in uno spazio dedicato, che diventerà la nostra seconda casa.
Quando Non importa quando, ma il “come” dentro il quando. Dovremo essere lenti, asincroni al mondo frenetico e brulicante.
Perché È un'urgenza quindi non riesco a spiegarlo a parole.
Pilastri No scopo di lucro No proselitismo
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L'adolescente (bozza)

L’adolescente È il penultimo romanzo di Dostoevskij prima de I fratelli Karamazov. Dopo poco scrive La mite ma è un racconto.
Spunti
Il suicidio è stato un tema che ossessionava D. In ognuno dei romanzi maggiori di D. c’è un suicidio. C’è il tema politico nell’Adolescente e nei Demoni, c’è il tema filosofico con Ippolit ne L’idiota, c’è il suicidio per disperazione sia ne L’adolescente che nei Demoni. C’è anche il suicidio di Svidrigajlov in Delitto e castigo. Trovo sempre affascinante come D. tratti questo tema così triggerante.
L’adolescente e la giovinezza. Il protagonista è trattato da adolescente dagli altri; è ingenuo, istintivo, cambia idea e pensieri spesso, spesso dice la cosa sbagliata al momento sbagliato, non sapendo quando tenere la bocca chiusa. E’ una rappresentazione precisa e non macchiettistica di un certo tipo di giovani che, per forza di cose, hanno passioni e istinti più acerbi degli adulti e dei vecchi. Questo è reso molto bene dalle azioni e dalle decisioni di Arkadij.
Prime 100 pagine faticose, poi si delinea il carattere del protagonista e si dispiegano i personaggi di contorno. Proprio come per I demoni, l’inizio è difficile. Se ne I demoni l’inizio era difficile perché la storia non partiva (i protagonisti non erano i veri protagonisti del romanzo), ne L’adolescente la storia non parte nonostante i protagonisti siano chiari fin dal principio, semplicemente è una lunga e lenta digressione. Di per sé è anche interessante, però si percepisce che il romanzo non è partito e questo alla lunga stanca.
Traduzione antiquata. “Lagrime” e altre parole o frasi che fanno trasparire un linguaggio non più in uso. Questa traduzione ha reso il romanzo un po’ polveroso e lento. La differenza con la nuova traduzione dell’Idiota è enorme.
Continui riferimenti al disastro che succederà, al comportamento ingenuo del personaggio (tipo “se avessi saputo allora”). Tutto il romanzo è cosparso continuamente di riferimenti al dramma devastante che chiuderà il romanzo. Se all’inizio era anche divertente provare a carpire indizi ed elementi, alla 200esima volta che si fa riferimento a un disastro futuro senza che esserci ancora arrivati, inizia un po’ a stancare.
C’è il gioco; il personaggio gioca d’azzardo. La piaga devastante della dipendenza da gioco d’azzardo che ha colpito D. e che viene raccontata magistralmente ne Il giocatore, torna quasi 10 anni dopo anche qui. E anche ne L’adolescente ci sono descrizioni semplicemente perfette di come (non) funziona la mente umana alle prese con una dipendenza. L’introspezione e soprattutto la sincerità di D. in questo tipo di lavoro è commovente.
Per la prima volta ho fatto fatica a stare dietro ai personaggi: è effettivamente un po’ confuso. Per tutte le 550 pagine ho fatto fatica a capire i personaggi. Non mi era mai successo in modo così debilitante. A un certo punto mi sono arreso e sono stato dietro solo a quelli che mi ricordavo senza provare a risalire alle parentele e al passato. La scrittura è pulita e divertente con momenti di pura follia Dostoevskiana. Non è un romanzo che consiglierei a chi vuole conoscere D. perché è abbastanza complicato.
Fantastico. Ho notato per la prima volta in modo netto l’assurdità di alcune situazioni rappresentate da D., proprio come dice Bachtin nel suo saggio. Mi riferisco soprattutto a coincidenze ridicole (incontri casuali che cascano a fagiolo, ad esempio) e a giornate lunghissime e dense di avvenimenti. Questo tratto un po’ poco realistico c’è sempre stato nei romanzi di D., ma per la prima volta l’ho notato e me lo sono goduto. E’ proprio il D. che piace a me.
Finale deludente per la scelta di D. di chiudere con le parole di un altro.
C’è il tema del doppio (da Il sosia e Delitto e castigo), Versilov è doppio. Come ne Il sosia, ne I demoni e in Delitto e castigo (dove Raskolnikov vuol dire proprio diviso) c’è il tema del doppio, cioè una personalità che si divide controvoglia tra due tendenze e istinti. Versilov è buono, caritatevole e amoroso e allo stesso tempo folle, violento e cattivo. Credo sia uno dei modi che ha D. per caratterizzare la vastità (cit) e la complessità dell’animo umano.
Rivalità amorosa tra padre e figlio (fratelli Karamazov). Credo sia la prima volta che D. introduce il tema di una donna amata sia dal padre che dal figlio. Poi, forse, capita la potenza del tema, la usa di nuovo ne I fratelli Karamazov in modo magistrale.
Il protagonista ha molto in conto l’opinione altrui, tanto da forzare le proprie azioni con lo scopo di ottenere un (presupposto) giusto di sorta da chicchessia.
Il protagonista mi ricorda l’uomo del sottosuolo. È schifato dalla società, disgustato dai comportamenti umani. Si vuole “rifugiare nel suo cantuccio”.
Il protagonista è corresponsabile del suicidio di Olya? Tema molto presente in Dostoevskij, con l’esempio plastico dell’azione di Smerdjakov istigato da Ivan Karamazov. Ovvero: dove inizia la responsabilità personale e cosciente di un’azione riprovevole e dove inizia invece l’influenza dell’ambiente? Il protagonista è effettivamente responsabile del suicidio di Olya perché questa non l’avrebbe fatto se non fosse stato per l’incontro fortuito col protagonista? Era fuori dalla sua mente? Oppure c’era già? E a quel punto, se viene commesso un crimine, il “suggestionatore” è corresponsabile?
“Capii che ero contento”. Il protagonista spesso si ferma ad annotare il suo stato d’animo nelle situazioni.
Suicidio di Olya devastante.
Riferimenti a Delitto e castigo. Primo. P 380 “Un soldato, un contadino, era tornato a casa dal servizio militare; ma non gli piaceva piú vivere coi contadini i contadini non lo potevano soffrire. S'allontanò dalla retta via, cominciò a bere, a rubacchiare qua e là; non c'erano vere prove contro di lui, tuttavia l'arrestarono e gli fecero il processo. Al tribunale un avvocato già l'aveva scolpato, non essendovi prove certe, quando egli, dopo aver ascoltato a lungo, a un tratto si alzò interrompendo l'avvocato: «No, smetti tu di parlare »; e raccontò senz'altro tutto, fino all'ultima virgola; confessò tutto piangendo, pieno di pentimento. I giurati uscirono, si rinchiusero per giudicare, poi uscirono dichiarandolo ‘non colpevole’. Tutti gridavano di contentezza, ma il soldato non si mosse dal suo posto, come se si fosse cambiato in una colonna, e non capiva nulla; non capì nulla di quel che il presidente gli disse come ammonimento, rimettendolo in libertà. Liberato, non credeva a se stesso. Divenne sempre piú triste e preoccupato, non mangiò, né bevve, non volle parlar con nessuno e il quinto giorno s'impiccò. « Ecco che cosa vuol dire vivere con un peccato sulla coscienza! » concluse Makar Ivanovič.”
Secondo. “Non esistono degli ‘Schiller’ nello stato puro, li hanno inventati. Che importa un po’ di sozzura se la meta da raggiungere è splendida? Poi sarà tutto lavato, tutto si spianerà.”
Pezzi
P 6 “Come può essere che quanto viene espresso da un uomo intelligente sia assai più stupido di ciò che in lui rimane inespresso?”
P 17 “… Immediatamente rompo con loro, pianto tutto e me ne torno nel mio gusto. Proprio nel guscio!”
P 50 “Io ero alquanto preoccupato, poiché non ero per nulla abituato alla società, di qualsiasi genere fosse.”
P 57 “E perché mai dovrei amare il mio prossimo e la vostra umanità futura, che non vedrò mai, che non saprà nulla di me, e che a sua volta si muterà in cenere senza lasciar traccia o ricordo di sé, se la terra si cambierà in un sasso ghiacciato e girerà nello spazio senz’aria con una quantità infinita di simili sassi ghiacciati; non si può immaginare nulla di più sciocco.”
P 86 “L’essenziale è non rischiare, e questo è possibile soltanto quando si sia dotati di un carattere fermo. Poco tempo fa, a Pietroburgo, avevo con me un foglio di sottoscrizioni per azioni ferroviarie: i primi sottoscrittori guadagnarono molto. Per qualche tempo le azioni crebbero di valore. Supponiamo che a questo punto una persona, che non avesse avuto modo di sottoscrivere o fosse molto avida, vedendo nelle mie mani quella lista, m'avesse proposto di vendergliela per una determinata somma. Ebbene, io gliela avrei venduta immediatamente. Certo vi burlerete di me. «E non aspettare? - direte, - avreste ottenuto dieci volte di piú». E vero; ma il mio guadagno era sicuro, perché si trovava già nelle mie tasche, mentre il vostro era ancor di là da venire. Mi si obbietterà che cosí facendo non si potrà guadagnare molto; scusate, ma proprio in ciò sta il vostro errore, l'errore di tutti i nostri Kokorev, Poljakov, Gubonin. Volete sapere la verità? la continuità e la tenacia nell'accumulare portano a maggiori risultati che non i profitti momentanei, anche se diano un guadagno del cento per cento. Poco prima della rivoluzione francese apparve a Parigi un certo Law, il quale inventò un progetto, in teoria veramente geniale (messo in pratica poi fu un fiasco terribile). Tutta Parigi fu presa dall'agitazione; le azioni di Law andavano a ruba. Nella casa dov'era stata aperta la sottoscrizione, i denari arrivarono a palate da tutta Parigi, tanto che infine la casa non bastò piú; il pubblico si pigiava sulla strada; gente di tutte le professioni, di tutte le classi, di tutte le età; borghesi, nobili, i loro figli, contesse, marchesi, donne pubbliche; tutta questa folla sembrava una massa di pazzoidi, morsi da un cane rabbioso; titoli, pregiudizi di stirpe, orgoglio, per fino onore e buon nome - tutto era calpestato nello stesso fango; tutto veniva sacrificato (anche le donne) pur di ottenere alcune azioni. Si passò a fare la sottoscrizione anche sulla strada, ma non vi era dove scrivere, e si pregò allora un gobbo di prestare per qualche tempo la sua gobba a guisa di tavolo per sottoscrivervi le azioni. Il gobbo acconsentì, potete immaginarvi per quale prezzo! Dopo pochissimo tempo tutti fecero bancarotta, l'impresa fallì, l'idea geniale andò al diavolo e le azioni perdettero ogni valore. Chi fu dunque il solo che guadagnò qualcosa? Soltanto il gobbo, che non aveva comprato le azioni, ma s'era contentato di alcune monete d'oro, a pronta cassa.”
P 88 “Dal dodicesimo anno in poi, credo, cioè da quando incominciai ad aver chiara coscienza di me stesso, cominciai a non amare gli uomini.”
P 100 “È straordinario, in simili occasioni, la rapidità con la quale può mutare il mio stato d’animo: basta un granello di sabbia o un capello per scacciare il buon umore e sostituirlo con quello cattivo.”
P 196 “… C’è qualcosa per cui, quando mi si tocca in un punto sensibile, non amo lasciare trapelare all’esterno certi sentimenti, perché tutti li ammirino.
P 215 “Amico mio, amare gli uomini così come sono, è impossibile!”
“Chiunque non sia del tutto stupido, non può vivere senza disprezzarsi, sia egli onesto o disonesto, è la stessa cosa. Secondo me, l’uomo è stato creato con l’impossibilità fisica di amare il prossimo”.
P 245 “Vedi, ho fatto dei debiti come un imbecille e debbo aver la rivincinta per poter restituire; e vincerò; finora giuocavo senza far calcoli, così a casaccio, come uno stupido, ora invece tremerò per ogni rublo… Non posso non vincere! Non ho la passione per il giuoco; è soltanto una cosa passeggera, te lo giuro! Sono troppo forte, per non poter smettere quando voglio.”
P 261 “Noto una volta per sempre che la disinvoltura non mi giovò mai nella vita, mal adattandosi alla mia persona; e finì sempre col farmi cadere nella vergogna.”
P 263 “-Appunto per questo l’amore dei genitori è immorale, mamma, perché non è meritato. L’amore bisogna meritarselo. -Te lo meriterai un giorno; per ora qui ti si ama gratis.”
P 282 “… io non sia nato per frequentare la società. Entrando in un luogo pieno di gente, ho sempre la sensazione che tutti gli sguardi siano rivolti verso di me. Provo addirittura malessere fisico, persino in luoghi come il teatro, per non parlare delle case private.”
P 352 “Per me, quando un uomo ride, il più delle volte mi riesce ripugnante a guardarlo. Quasi sempre nel riso degli esseri umani si manifesta qualche cosa di volgare e degradante, di cui chi ride non si rende affatto conto dell’impressione che produce”.
P 380 “Un soldato, un contadino, era tornato a casa dal servizio militare; ma non gli piaceva piú vivere coi contadini i contadini non lo potevano soffrire. S'allontanò dalla retta via, cominciò a bere, a rubacchiare qua e là; non c'erano vere prove contro di lui, tuttavia l'arrestarono e gli fecero il processo. Al tribunale un avvocato già l'aveva scolpato, non essendovi prove certe, quando egli, dopo aver ascoltato a lungo, a un tratto si alzò interrompendo l'avvocato: «No, smetti tu di parlare »; e raccontò senz'altro tutto, fino all'ultima virgola; confessò tutto piangendo, pieno di pentimento. I giurati uscirono, si rinchiusero per giudicare, poi uscirono dichiarandolo ‘non colpevole’. Tutti gridavano di contentezza, ma il soldato non si mosse dal suo posto, come se si fosse cambiato in una colonna, e non capiva nulla; non capì nulla di quel che il presidente gli disse come ammonimento, rimettendolo in libertà. Liberato, non credeva a se stesso. Divenne sempre piú triste e preoccupato, non mangiò, né bevve, non volle parlar con nessuno e il quinto giorno s'impiccò. « Ecco che cosa vuol dire vivere con un peccato sulla coscienza! » concluse Makar Ivanovič.”
“Il suicidio è il peggiore dei peccati” P 381 “Io lo confutavo calorosamente, facendo risaltare l’egoismo di quanti abbandonano il mondo e rinunziano a dare aiuto all'umanità, con l’unico scopo egoistico di salvarsi l’anima.”
P 420 “Decisamente tutti, fino all’ultimo, mi credono un ragazzino senza volontà e carattere, di cui si può fare quel che di vuole, pensai con indignazione”.
P 445 “Non esistono degli ‘Schiller’ nello stato puro, li hanno inventati. Che importa un po’ di sozzura se la meta da raggiungere è splendida? Poi sarà tutto lavato, tutto si spianerà.”
P 471 “Ma perché questi uomini cerebrali e libreschi (se davvero esistono) si crucciano e si disperano effettivamente, giungendo alla tragedia?”
P 499 “Sapere, ho l’impressione di essermi sdoppiato. […] E’ come se accanto a voi ci fosse il vostro doppio: voi stesso siete intelligente e ragionevole e questo invece che vi sta accanto vuol commettere qualche sciocchezza o qualche scherzetto; e d’improvviso v’accorgete che siete voi stesso a volerlo fare.”
P 529 “Dunque sei venuto qui per conquistare i cuori, per dominare l’alta società. Hai voluto vendicarti sul signor Diavolo, perché sei un figlio illegittimo?”
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Moby Dick (bozza)

Appunti
Non ha trama, è un insieme di episodi e/o descrizioni. Ciò che succederà lo si sa fin dal principio: Moby Dick uccide tutti. È l’esempio plastico che la trama è solo un elemento di un romanzo e può, se serve, anche essere semplice allo stremo.
Ha pezzi di saggio e teatrali, esperimento interessante. Con sorpresa ho scoperto che vari capitoli sono in forma di pièce teatrale e altri in forma di saggio divulgativo. Esperimento interessante. Probabilmente ci sono ragioni filosofiche e letterarie specifiche per questa scelta, o comunque ci sono messaggi specifici che Melville voleva passare, ma io non ne so nulla. Mi è piaciuta la varietà dei capitoli, tutto qua.
Stile di scrittura. Una particolarità che ho notato è l’impatto visivo che Melville vuole dare. Interi capitoli sono pieni di coinvolgimento del lettore: “Rovesciamo ora” “Ma adesso venite fuori”. Guida il lettore alla scoperta della barca e della balena. Rende molto bene.
Improvvisazione? Un altro aspetto che mi ha stupito è che Melville ha scritto interi capitoli come se li avesse pensati sul posto. Non li aveva previsti ma, scrivendo, gli sono venuti in mente, e voilà, ecco un altro capitolo. È una scelta molto curiosa che rende la lettura stranamente leggera.
Lento. Rispetto alla scrittura, prendo nota che la parte centrale l’ho sentita pesante. Un po’ per l’assenza di trama, un po’ per le digressioni meno interessanti, un po’ per la claustrofobia della scenografia.
600 pagine su una barca. È la prima volta che leggo un libro lungo con una scenografia così limitata. Dopo pagina 50, all’incirca, non c’è altro luogo che non sia la barca, il Pequod. Da un lato è interessante come la barca cambi col lettore e col protagonista, come la si scopra nel tempo, pian pianino fino agli spazi più remoti e mai frequentati dai marinai; dall’altro lato, mi ha dato, in diverse occasioni, un forte senso di claustrofobia, come se mancasse l’aria. Ecco che le digressioni sui tipi di balene o sulla nave o sulla caccia alle balene, hanno saputo staccare lo sguardo e farmi tornare un po’ il respiro.
Scene d'azione confuse. Rispetto alla scrittura, noto che le scene d’azione mi sono risultate tutte abbastanza confuse, come se lo sguardo fosse appannato, impreciso. Non so se è solo un’impressione mia o se fosse una scelta intenzionale di Melville.
Giochi di parole. All’inizio del libro ho apprezzato i continui giochi di parole di Melville. Divertenti, inaspettati. Poi dopo il millesimo gioco di parole, dopo pagina 100.000, mi sono sembrati sempre di più giochi di parole un po’ ridicoli.
Leviatan Noto, in ultimo, l’uso spasmodico di “Leviatan” o simili. C’è praticamente in ogni capitolo, anche più volte, con un’ossessione simile a quella di Achab.
La voce dell’autore è sempre presente. È chiara, limpida, giocosa, sarcastica, molto visuale. In definitiva ho trovato Moby Dick un libro scritto molto bene.
Achab. Ho due cose da dire su Achab. Innanzitutto non avevo capito che fin dal principio fosse chiara la sua mitomania. Sapevo che era pazzo ma pensavo lo sarebbe diventato lungo il libro; invece è pazzo dal principio in modo molto chiaro, tanto che tutti lo sanno. La seconda cosa è che, talvolta, Achab non l’ho capito. Col suo linguaggio aulico e onirico mi è risultato davvero ostico.
C’è tensione erotica omosessuale. Lo noto con sorpresa perché avevo il pregiudizio che non avrei mai potuto trovare cose simili in un libro simile di quell’epoca, e invece mi sono dovuto ricredere.
Bestemmie. Noto divertito la presenza di vere e proprie bestemmie. Interessante la scelta di pavese.
Il famoso capitolo sulle balene. Ci sono innumerevoli digressioni ma, forse, una delle più famose sta nel famoso capitolo dedicato alla spiegazione di tutti i tipi di balene. L’ho trovato interessante e per nulla pesante.
Pezzi
P 37 “Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto.”
P 41 “E dunque, per quanto il vecchio capitano mi dia ordini su ordini, per quanto io riceva pugni e spunzonate, io ho la soddisfazione di sapere che tutto va bene, che ogni uomo è, in un modo o nell’altro, servito esattamente alla stessa maniera, voglio dire, da un punto di vista fisico o da uno metafisico, e così l’universale spunzonatura va attorno e tutti dovrebbero fregare la schiena uno all’altro e restare soddisfatti.”
P 71 “Perché tutti i viventi si sforzano tanto di far tacere i morti, onde il semplice rumore di una bussata in una tomba atterrisce un’intera città? Tutte queste cose non sono senza significato.”
P 85 “Non più il mio cuore infranto e la mia mano esasperata stavano in guardia contro un mondo di lupi. Questo conciliante selvaggio me l’aveva redento”.
P 88 “Poiché nessuno può sentire in modo soddisfacente la propria identità se non ha gli occhi chiusi: come se l’oscurità fosse davvero l’elemento proprio delle nostre essenze, sebbene la luce sia più congeniale al fango che è in noi.”
P 93 “Finito un viaggio lunghissimo e pericolosissimo, ne comincia soltanto un secondo e, finito il secondo, ne comincia un terzo, e così via, sempre e sempre. Tale è l’interminabilità e, sì, l’intollerabilità di ogni sforzo terrestre.”
P 108 “Poiché tutti gli uomini tragicamente grandi sono tali attraverso qualcosa di morboso.”
P 114 Achab
P 138 “Osservai, con cordiale reverenza e timore, quell’uomo che, nel cuore dell’inverno, sceso allora da un viaggio di quattro anni pieno di pericoli, poteva con tanta irrequietezza di nuovo cacciarsi in rotta per un altro periodo di tempeste. La terra pareva scottargli sotto i piedi. Le cose più meravigliose sono sempre quelle inesprimibili, le memorie profonde non concedono epitaffi.”
P 148 “La cosa che forse tra l’altro faceva di Stubb un uomo così facile e senza paure, che così allegramente se ne faticava sotto il peso dell’esistenza in un mondo pieno di merciaiuoli cupi, tutti curvati a terra dai fardelli, la cosa che lo aiutava a portare in giro quel suo buon umore quasi empio, doveva essere la sua pipa.”
P 175 “Poiché sono le costruzioni piccole che possono venir terminate dai loro primi architetti; le grandiose, le vere lasciano sempre il soffitto all’avvenire. Che Dio mi guardi dal completare qualcosa; tutto questo libro è soltanto l’abbozzo di un abbozzo.”
P 186 “Per la massima parte di questa vita baleniera tropicale, vi circonda una sublime assenza di fatti: non udite notizie, non leggete giornali, nessun’edizione straordinaria con sorprendenti resoconti di banalità vi illude mai in agitazioni non necessarie; non sentite di dispiaceri domestici, di cauzioni fallimentari, di cadute di borsa, non vi preoccupate mai al pensiero di che cosa mangerete a pranzo, dato che per tre anni e più tutti i vostri pasti sono bellamente stivati in barili e la vostra lista immutabile.”
P 191 “Ed era così pieno del suo pensiero Achab che, a ogni voltafaccia uguale che faceva, ora all’albero di maestro ora alla chiesuola, si poteva quasi vedere quel pensiero voltarsi e camminare con lui; tanto completamente lo possedeva da non parer altro che la forma interiore di ogni suo movimento esterno.”
P 194 “Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono soltanto maschere di cartone, ma in ogni evento, nell’atto vivo, nell’azione indubitata, qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole, sporge le sue fattezze sotto la maschera bruta. E se l’uomo vuol colpire, colpisca sulla maschera! Come può il prigioniero arrivar fuori se non si caccia attraverso il muro? Per me la Balena Bianca è questo muro, che mi è stato spinto accanto. Talvolta penso che di là non ci sia nulla. Ma mi basta. Essa mi occupa, mi sovraccarica: io vedo in lei una forza atroce innerbata da una malizia imperscrutabile.”
198 “Questa bella luce non mi rischiara più: ogni bellezza mi è d’angoscia, dacché non posso più goderla. Dotato della percezione superiore, mi manca la bassa potenza di godere: sono dannato così nel modo più sottile e più perverso; sono dannato in mezzo al paradiso!”
P 214 “Achab […] era giunto infine a identificare con Moby Dick non solo tutti i suoi mali fisici, ma ogni sua esasperazione intellettuale e spirituale. La Balena Bianca gli nuotava davanti con monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e con mezzo polmone”.
P 235 “I più tra la gente di terra sono così ignoranti di certe delle più semplici e palpabili meraviglie del mondo, che senza un qualche cenno intorno ai semplici fatti storici e non storici della baleniera, magari disdegnerebbero Moby Dick come una favola mostruosa o, peggio e più detestabile, come una ributtante e insopportabile allegoria.”
P 257 “Ci sono certe bizzarre circostanze e occasioni in questa strana e caotica faccenda che chiamiamo la vita, che un uomo prende l’intero universo per un’enorme burla in atto, sebbene non riesca a vederne troppo chiaramente l’arguzia, e sospetti anzichenò che la burla non sia alle spalle di altri che le sue.”
P 329 “… e tutti sanno come certi campioni di epicurei, a forza di mangiar sempre cervelli di vitello finiscano per avere anch’essi un po’ di cervello, in modo da saper distinguere tra una testa di vitello e la propria: il che, sul serio, richiede un discernimento non comune.”
P 340 “Oh Natura, e tu, anima umana! Come le vostre analogie si distendono oltre quanto è dicibile! Non il più piccolo atomo si muove o vive nella materia, che non abbia il suo sottile riscontro nello spirito.”
P 349 “-Zenzero? È zenzero, che sento? - domandò Stubb sospettosamente, avvicinandosi. -Sì, dev’essere zenzero - sbirciando nella tazza tuttora intatta. Poi, fermandosi un istante come incredulo, camminò tutto calmo alla volta del dispensiere stupefatto, dicendogli adagio: -Zenzero? zenzero? e volete avere la bontà di dirmi, signor Panada, dov’è la virtù dello zenzero? zenzero! è lo zenzero il combustibile che usate, Panada, per fare un po’ di fuoco in questo cannibale gelato? Zenzero! Cosa diavolo è lo zenzero? carbone di mare? legna? fiammiferi? esca? polvere da cannone? Che cosa volo è lo zenzero, vi dico, da offrirne una tazza al nostro povero Quiqueg?
P 369 “Guardando fuoribanda si vedeva la testa prima inanimata palpitare e sussultare proprio sotto il pelo dell’acqua come se l’avesse presa in quel momento un’idea di somma importanza, mentre era soltanto il disgraziato indiano che inconsciamente rivelava con quei guizzi la pericolosa profondità cui era disceso”.
P 373 “Ma come? Genio in un capodoglio? Ha mai il capodoglio scritto un libro o pronunziato un discorso? No, il suo genio immenso si rivela in questo, ch’egli non fa nulla di speciale per mostrarlo”.
P 439 “Il mare aveva beffardamente sostenuto il suo corpo finito, ma annegato l’infinito del suo spirito.”
P 441 “Ch’io potessi continuare a spremere quello spermaceti per sempre! Poiché, ora per molte lunghe e ripetute esperienze mi sono accorto che, in ogni caso, l’uomo deve ultimamente abbassare o almeno mutare la sua idea di felicità raggiungibile, non collocandola in qualche regione dell’intelletto e della fantasia ma nella moglie, nel cuore, nel letto, nella tavola, nella sella, nel focolare e nella patria, ora che mi sono accorto di tutto ciò, io sono pronto a spremere la tinozza in eterno.”
P 447 “Gli aspetti abbronzati, ora tutti sufici di fumo e di sudore, le barbe ingarbugliate e il contrasto del barbarico splendore dei denti, tutto si rivelava stranamente nella decorazione capricciosa delle fiamme. Mentre costoro si narravano a vicenda le proprie non sante avventure, i loro racconti di terrore espressi in parole di allegrezza; mentre le loro poco civili risate forcheggiavano in alto, come le fiamme del forno; mentre, sotto i loro occhi, innanzi e indietro, i ramponieri gesticolavano selvaggiamente con le enormi forche puntute e i ramaioli; mentre il vento ululava e il mare balzava e la nave gemeva e tuffava la propria, trascinando fermamente il suo inferno rosso sempre innanzi nel buoi del mare e della notte, stritolando sdegnosa gli ossi bianchi tra i denti e sputacchiando malvagiamente intorno a sé; allora il Pequod scagliato, carico di selvaggi e pieno di fuoco, bruciante un cadavere e tuffatesi in quella nerezza tenebrosa, pareva il riscontro materiale dell’anima del suo monomaniaco comandante.”
P 478 “Si sente sovente di scrittori che s’innalzano e crescono con l’argomento, anche se questo può sembrare soltanto ordinario. Che cosa accadrà di me allora, scrivendo di questo Leviatan? Inconsciamente la mia calligrafia si espande in maiuscole cubitali. Datemi una penna di condor! Datemi il cratere del Vesuvio come calamaio! Tenetemi, amici! Poiché nel semplice atto di vergare i miei pensieri intorno a questo Leviatan, i pensieri mi stancano, mi spossano con la loro immensa comprensività, come per includere tutto il giro delle scienze e tutte le generazioni presenti, passate e di là da venire, di balene, di uomini, di mastodonti, con tutti i mutevoli panorami di potenza sulla terra e nell’intero universo, non esclusi i sobborghi. […] Nessun’opera grande e duratura potrà mai venire scritta sulla pulce, benché molti abbiano tentato.”
P 489 “Era un punto manipolatore: il cervello, se mai ne aveva avuto uno, doveva essergli colato nei primi tempi giù per i muscoli delle dita.”
P 511 “Nella vita non c’è un fermo progresso continuo, noi non avanziamo per gradi fissi verso la pausa finale: attraverso l’inconsapevole incanto dell’infanzia, la fede spensierata dell’adolescenza, il dubbio della giovinezza (il destino comune), e poi lo scetticismo, poi l’incredulità, noi ci fermiamo infine nel riposo meditabondo della virilità, del Se. Ma una volta finito, ripercorriamo la strada, e siamo bambini, ragazzi e uomini e Se, in eterno. Dov’è quest’ultimo porto, donde non salperemo mai più? In quale etere estatico naviga il mondo, di cui i più stanchi non si stancano mai? Dov’è nascosto il padre del trovatello? Le nostre anime sono come quegli orfani, le cui ragazze-madri muoiono dandoli alla luce, il segreto della nostra genitura giace in quella tomba e là dobbiamo conoscerlo”.
P 547 “Ma dalla sua marcia intermittente e dalla triste rotta serpeggiante si vedeva chiaro che questa nave piangendo di spuma restava tuttavia senza conforto. Era Rachele che piangeva i suoi figli perché non c’erano più.”
P 555 “Di sotto al cappello calcato, una lacrima cadde nel mare dall’occhio di Achab; tutto il Pacifico non conteneva tante ricchezze che valessero quella misera goccia.”
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Manifesto del lettore felice
Trovo che libri e letteratura siano un mondo strano a cui relazionarsi. Entrano in gioco invidie, fomo, senso di inadeguatezza, ego. Tutto sommato è normale, siamo esseri umani. Però mi spiace molto perché l’arte in generale, i libri e la letteratura in particolare (ma solo perché li bazzico di più) dovrebbero essere portatori di emozioni positive, generatori di ricordi indimenticabili. Ho ritenuto, quindi, indispensabile fare un manifesto del lettore felice in cui elenco alcuni concetti e alcune pratiche per godersi al meglio la lettura. Probabilmente nel tempo evolverà, come tutti noi, ma al momento si presenta così.
Devo fare una premessa fastidiosa che assumerà significato solo alla fine del manifesto ma ritengo necessario dire questa cosa ora: il libro è dell’autore finché lo scrive, una volta pubblicato il libro è del lettore. Non “dei lettori”, non della categoria, no. Del singolo lettore. È tuo. Esclusivamente, singolarmente tuo.
Leggere non è un obbligo. Capisco bene di andare contro chiunque pensi che la letteratura sia un pilastro cruciale dell’umanità, che leggere rende intelligenti, colti e interessanti, che la lettura sia indispensabile come tutta l’arte. Però ritengo sia importante chiarire che la letteratura è solo un modo di esprimere l’arte e non per forza dev’essere vissuto. Si possono vedere film e serie tv, andare alle mostre o a teatro o ai concerti, tanto per fare degli esempi. Iniziamo a scrollarci di dosso questa cappa di inevitabilità della lettura, cappa che si porta dietro concetti che allontanano invece di avvicinare. Se non leggi, ti assicuro che potrai vivere tranquillamente esattamente come tutti gli altri: potrai respirare, mangiare, dormire, persino divertirti e goderti la vita.
Leggi la quantità di libri che vuoi e puoi. Quanti libri leggi all’anno? Non rispondere a questa domanda. Non devi avere la risposta a questa domanda, non ci pensare neanche. Leggi quanti libri vuoi nei tempi che vuoi. Un anno leggerai due libri, un anno ne leggerai 50. Va bene lo stesso. Con chi stai facendo a gara? Queste persone non c’entrano niente con te e con il tuo rapporto coi libri.
Se non hai letto un classico, un libro famoso o un libro di cui parlano i tuoi amici va bene lo stesso. Quante volte mi sono sentito inadeguato per non aver letto la Divina commedia, Orgoglio e pregiudizio, Don Chisciotte, Madame Bovary, L'amore ai tempi del colera, Furore e potrei andare avanti una vita. Ma che importa? Considera che la produzione artistica dell’essere umano è sconfinata: nessuno potrà mai viverla più dell’1-2%. Nessuno. Non avrai letteralmente tempo per leggere tutti i classici o tutti i libri di una categoria o tutti i libri “assolutamente da leggere nella vita”. È cruciale non pensare ai libri in questo modo, ma chiediti: che libro mi va di leggere?
I libri da leggere assolutamente nella vita. Vedi sopra. Le liste del genere sono inutili, elitarie, fastidiose. Dividono e allontanano invece di incuriosire gentilmente. Non c’è alcun obbligo di alcun tipo di leggere alcunché: anche qua, garantisco che se non leggerai la Divina commedia potrai vivere tranquillamente come tutti gli altri esseri umani.
Non riuscirai mai a leggerteli tutti. Rilassati Questo articolo riassume bene quantitativamente l’insensatezza di voler o dover leggere abbastanza libri. https://giovannizagni.substack.com/p/quanti-libri-si-possono-leggere-in La realtà è che il punto di vista quantitativo non ha senso. Conta leggere bene, leggere i libri che vuoi leggere e farli tuoi. Anche due all’anno.
Se un libro ti stupisce, godine. Mi è capitato di sentirmi sciocco e infantile quando mi sono sorpreso e appassionato a concetti o libri che, “nel mondo”, sono dati per scontati. Se ti appassioni a un personaggio, a una relazione, a un’ambientazione, a una storia, a un concetto, a un pensiero, godine! È questo il bello della cultura, vivere appieno questa straordinaria sensazione di pienezza. Non importa se per altri, anche se fossero illustri professori, che ce frega, è tutto vecchio, trito, stantio. Non sei gli altri, ciò che conta è cosa provi tu. A questo punto mi tocca fare un mea culpa, perché sono stato dalla parte sbagliata soprattutto nei confronti di un libro, Il piccolo principe. Libro che ho trovato, che trovo tutt’ora!, banale. Se Il piccolo principe è il tuo libro preferito o ti è piaciuto leggerlo, scusami le esagerate ripetizioni, goditelo.
Da un libro capisci e prendi robe tue, altri prendono altre cose, è giusto così. Esempio personale. Ho letto I fratelli Karamazov pieno di ansia perché pensavo fosse un libro multistrato zeppo di filosofia e concetti complicati; pensavo che avrei dovuto capire e imparare concetti altissimi. Dopo averlo finito ho avuto un’impressione che, all’inizio, pensavo fosse sbagliata: mi aveva commosso, divertito (ho letteralmente riso a voce alta), inquietato. Mi sono legato ai personaggi, ho assistito a scene quasi teatrali folli e pazzissime. Ma dov’era tutta questa filosofia multistrato complicatissima? Forse c’è, ma non per me. E va bene così. Ricorda: il libro è uno specchio ed è tuo, unicamente tuo. Vivilo al meglio, ne godrai di più, ma non ci devi per forza vedere le stesse cose che ci vede il tuo amico, il tuo professore, il critico tal dei tali o il tuo booktuber preferito. È questo il bello, in realtà: il libro è personale, intimo, un riflesso di te.
Leggere non rende più intelligenti. Potrei citare quel mio amico o conoscente che legge tantissimo ma che poi è stupido come un sasso. Potrei citare quel principio per cui dipende da cosa leggi: un conto è leggere Anna Karenina, un conto è leggere Federico Moccia. Potrei dire che non conta leggere tanto ma leggere bene: basta un buon libro per aprirti nuove prospettive. Ma è un approccio che non approvo. Essere intelligenti è una commistione di condizioni pre esistenti, di pratiche, di approcci, di stimoli, di rielaborazioni, per cui la lettura può essere un supporto ulteriore. Come guardare un film o andare a teatro o ascoltare una canzone. La tua intelligenza non dipende dalla letteratura ma dal tuo approccio alle cose del mondo e alle cose che riguardano te stesso. Puoi aprirti al mondo e sentirti migliorare con la letteratura, certo; ti consiglio, però, di non leggere alcunché se il tuo unico scopo è “sentirti” intelligente, farti considerare intelligente da chi ti sta attorno, perché è inutile e sciocco.
Un libro è un libro. Secondo me fare un’orecchia o sottolineare non è un reato punibile con pena capitale; mi piace viverli, i libri. Consiglio di vivertela così anche a te, serenamente. Se invece non vuoi rovinare in alcun modo i libri, va benissimo così, ma non rompere l’anima a chi fa diversamente.
Assumiti la responsabilità. Se un libro non ti piace, non comprarlo e non leggerlo. Se un libro ti offende, non comprarlo e non leggerlo. Se ritieni che un libro sia oscenamente stupido, non comprarlo e non leggerlo. Assumiti la responsabilità di fare una scelta: leggere o non leggere. Non hai alcun diritto di imporre una qualsiasi sorta di censura solo perché TU sei contrariato.
Leggere è una gioia, se non ti provoca goduria e ti devi sforzare, non leggere.
Unico requisito: sii presente. Leggere è un’attività che richiede attenzione e intenzione.
Per me la letteratura è una gioia calda e gentile che deve e può unire invece di dividere, creare invece di distruggere.
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Qual è lo scopo della letteratura?
Commento all'articolo apparso su Il post dal titolo: "Storia tossica della letteratura italiana".

Una critica puntuale ed estesa all’articolo in oggetto non è alla mia portata perché non ho letto il 99% dei libri citati e per incapacità argomentativa: non sono un critico, non ho studiato in quella direzione, non ho probabilmente abbastanza strumenti culturali.
Voglio prendere spunto dall’articolo per raccontare due cose, secondo me, urgenti.
Lo scopo, uno scopo della letteratura e dell’arte. Qual è lo scopo della letteratura? Può essere quello di insegnare dei valori?
A prima vista viene da rispondere di sì, è proprio quello lo scopo della letteratura. D’altronde sentiamo dire spesso che leggere rende intelligenti, amplia gli orizzonti, che leggere è necessario e che chi non legge è limitato.
Se seguiamo questo principio allora è corretto dire che alcuni libri sarebbero da non leggere perché insegnano le cose sbagliate. Non continuo lungo questa pericolosa china, suggerisco solo, in primo luogo, che le “cose sbagliate” non vuol dire nulla: secondo chi? Quando? Rispetto a cosa? E in secondo luogo, viene da censurare i libri pericolosi. È la diretta conseguenza. Non può, in alcun modo, esserci alcun tipo di censura, nell’arte.
Un’altra sfumatura di questo principio è, invece, più specifica: cosa ne sa Dante, cosa ne sa Omero o cosa ne sa Dostoevskij di cosa sia giusto? Sembra una domanda oziosa, me ne rendo conto, ma invece è una domanda cruciale. Prima di tutto va capito e fatto proprio il concetto che gli autori sono persone, non sono ideali né persone straordinarie o particolarmente virtuose. Scrivere bene non significa essere migliori, buoni, eticamente inattaccabili, qualsiasi cosa vogliano dire queste parole. Quindi va scardinato completamente il principio per cui un libro bello sia stato per forza scritto da una persona eccezionale.
E poi, cosa diavolo gliene frega a Dante, a Omero, a Dostoevskij di te? Di noi? Indipendententemente dall’universalità del messaggio che può o no passare da un’opera, uno scrittore scrive soprattutto per sé (se non esclusivamente per sé). I problemi personali più urgenti di un uomo di 3000, 2000, 1000 o anche solo 100 anni fa sono tutti suoi; non dico neanche “diversi”. Non c’entra granché la quantità di tempo passato. Dante non aveva il problema del traffico o internet ma la cosa più rilevante, qui, non è che sono passati 7 secoli ma il semplice e fondamentale punto che Dante è Dante. È una persona, singola, specifica. Punto. Come può una persona, di qualsiasi portata sia il suo intelletto, poter parlare a tutti? Rendiamoci conto della sciocchezza di una tale pretesa.
Lo scopo della letteratura è darci strumenti interpretativi. È prendere in mano un libro e usarlo come specchio per ricavarci tutto o niente, ma il risultato sarà sempre e solo una cosa personale e intima.
E qui arriviamo al secondo argomento urgente di cui vorrei parlare. La responsabilità, sia di chi è dalla parte di chi fa la cultura e da parte di chi usufruisce della cultura. Chi fa cultura ha una specifica, enorme responsabilità, secondo me: essere onesto. Onesto con sé stesso per quanto riguarda la produzione, cioè niente libri raffazzonati creati scopiazzando concetti terzi, niente libri furbi, fatti solo per la vendita o per solleticare la pancia di un pubblico vasto e passivo, niente artifici; se non hai nulla da scrivere in modo onesto non scrivere. Onesto, inoltre, nella promozione vasta, larga, aperta della cultura. Senza censure etiche, senza filtri classisti con la puzza sotto il naso, senza quei circoli chiusi e autoriferiti che non fanno altro che allontanare dalla cultura invece di stuzzicare quante più persone possibili.
E poi, porca miseria, smettetela di credere che i lettori sia un branco di pecoroni da dover guidare e istruire!
Infine la dannatissima responsabilità personale. Ti aspetti che un libro ti insegni come vivere? Ti aspetti che un libro non ti disturbi mai, non ti offenda mai, non ti provochi mai? Ti aspetti che un libro ti suggerisca i principi e le opinioni secondo cui vivere? Non meriti di leggerne neanche uno, di libro. Assumiti la tua responsabilità. Quali libri leggi, come li leggi, che impatto hanno su di te, cosa combini nel mondo dopo aver letto quei libri. Non esistono libri offensivi, problematici, sbagliati, stupidi, inutili. Esistono i libri che prendi in mano e che decidi di leggere, esiste solo il tuo modo di approcciarti ai libri.
Ok, esempio idiota: pubblicano le memorie di un pazzo omicida razzista folle e violento. Quell’assassino ti offende, ti disturba, ti angoscia. Puoi decidere di comprare quel libro. Puoi decidere di non comprarlo. Puoi decidere di non parlarne. Puoi decidere di farlo uscire dalla tua vita. Puoi decidere qualsiasi cosa, ma è responsabilità tua, di nessun’altro.
Demandare questa responsabilità è la vera morte della cultura.
Ecco perché l’articolo è problematico.
Dice, sul finale: “le figure esemplari della letteratura italiana, proprio per la loro potenza, non offrano solo un riflesso dei tempi in cui sono state scritte, ma abbiano via via modellato l’immaginario collettivo continuando a perpetuare cliché, tossicità, giustificazioni alla violenza di genere.”
Ma noi abbiamo visto che non funziona così. “Le figure esemplari della letteratura italia […] abbiano modellato l’immaginario collettivo” è una frase senza senso.
Prendiamo Delitto e castigo. So che non è un classico italiano ma il problema è più generale. Il problema non sta nella tossicità della cultura italiana. Sta nella concezione della cultura stessa.
Raskolnikov uccide una vecchia usuraia facendo un favore a molte persone. La sorella si concede in sposa a un nobile orribile per ottenere soldi da dare al fratello. Lo stesso Raskolnikov si pente e si consegna alla polizia. Svidrigajlov molesta ragazzine, uccide la moglie e si uccide.
Che fare? Possiamo leggere Delitto e castigo o è problematico per gli esempi proposti?
Concludo con un commento particolarmente azzeccato.
“Certo, ma la verità qual è? Che i femminicidi dell'anno scorso erano assidui lettori di Boccaccio o che la quasi totalità degli uomini non trucida le donne nonostante Boccaccio?”
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I miserabili
Contesto
Il romanzo viene pubblicato per la prima volta in Belgio, dove Hugo si trova in esilio.
Il libro ha luogo nell’arco dei 17 anni tra il 1815 e il 1832. Giugno del 1815 vede sconfitto Napoleone nella battaglia di Waterloo,
Nel giugno del 1815 era anche appena concluso il Congresso di Vienna, iniziato nell’autunno precedente. La conferenza, a cui parteciparono le principali potenze europee, aveva come obiettivo quello di ripristinare in Europa il governo dei sovrani assoluti dopo gli eventi della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche.
Nel giugno del 1832 ci fu la fallita rivolta anti-monarchica per rovesciare il governo di Luigi Filippo di Orléans. Il suo regno viene chiamato Monarchia di Luglio in quanto lui era salito al trono dopo la Rivoluzione di Luglio, soprannominata anche “Seconda Rivoluzione Francese”, avvenuta tra il 27 e il 29 luglio e che aveva rovesciato il regno dell’ultimo sovrano Borbone di Francia, Carlo X. Il 1832 è anche l’anno in cui, finalmente, la pandemia di colera che era scoppiata in India nel 1815 raggiunse Parigi e tra i mesi di marzo e settembre uccise 18.000 persone.
Il romanticismo nella letteratura
Movimento letterario, artistico, culturale nato in Germania alla fine del 1700 che ha dominato l’Europa fino alla prima metà dell’Ottocento. Alcuni dei suoi temi sono eredità del movimento preromantico dello Sturm und Drang. Il termine “romantico” proviene dall’inglese “romantic” ovvero non reale, fittizio, immaginario. Questa parola nella metà del XVIII secolo indicava quei generi letterari, come i romanzi cavallereschi, che rappresentavano vicende fantastiche all'interno di un'ambientazione storica più o meno accurata. Questo movimento di contrappone all’Illuminismo del secolo precedente, alle sue idee di intelletto, di relazione con il mondo, e di concezione della natura. Rispetto ai philosophes illuministi, che ammettevano e accettavano l’impossibilità di raggiungere l’infinito e Dio a causa dei limiti della Ragione, e si interrogavano invece sul fine della natura, il Romanticismo rinnega una visuale teleologica del mondo. Per gli Illuministi la natura era osservata e catalogata, per i Romantici la natura è profonda e segreta. La ragione per i romantici è guidata dal sentimento. Senza il sentimento la ragione non potrebbe superare i limiti umani. Nel Romanticismo un elemento essenziale è l’INFINITO e l’anelito verso l’ASSOLUTO, la costante ricerca. Questa ricerca si traduce sia in termini spaziali che temporali. Spazialmente, i luoghi esotici e lontani offrono una fuga dalla realtà e temporalmente lo sguardo si rivolge verso epoche diverse passate, come il Medioevo e l’epoca classica antica. In questo sguardo verso il passato la STORIA non è mai intesa come storia del singolo individuo e nemmeno come della singola civiltà ma 1) come sguardo verso il passato e ricerca di un’ARMONIA perduta in tempi antichi e tutti quei valori che ora sono importanti come la fedeltà, la lealtà, il coraggio e 2) come storia universale, storia come manifestazione del progetto/disegno di una Provvidenza. La storia secondo i Romantici non è un susseguirsi di eventi concatenati e di cause e effetti, ma è una "macro manifestazione universale e sovraindividuale di una soggettività astratta”. Importante è anche l’AMORE, in quanto slancio verso l’assoluto che porta alla globalità. Dal punto di vista politico il Romanticismo è duale. Al contempo esistono i Romantici che esaltano la patria e la amano, che sono legati al concetto di popolo e di giustizia e libertà, e sognano un’autonomia nazionale mentre prendono parte ai vari moti rivoluzionari del diciannovesimo secolo e quei Romantici che, invece, vogliono conservare i legami storici con la patria del passato e la tradizione. Il Romanticismo politico stimola una coscienza nazionale che si incastona perfettamente tra le idee di Restaurazione e di Risorgimento.
Personaggi
Jean Valjean protagonista del romanzo, tanto che all’inizio il libro si sarebbe dovuto chiamare “Il miserabile”. In giovane età viene arrestato e incarcerato perché ha rubato del pane da dare alla famiglia di sua sorella. Tenta qualche evasione, la pena arriva a 19 anni. Esce ma è marchiato a vita; torna a delinquere. Conosce Monsieur Bienvenu che gli cambia la vita e si redime. E’ dotato di forza fisica quasi sovrumana, come Quasimodo de Notre Dame de Paris. E’ il centro del romanzo, sicuramente il personaggio più importante attorno a cui gira l’intero libro. Vive più vite lungo tutto il romanzo in modo da riflettere i cambiamenti dell’animo umano tormentato da ciò che gli accade, da ciò che sente di essere, dalle cose che scopre vivendo.
Fantine La incontriamo abbastanza presto nel libro. Si innamora di un ragazzo di un altro ceto sociale, rimane incinta e da lì iniziano i suoi problemi. La sua parabola dura poco ma rimane sempre impressa nel lettore anche perché sua figlia è Euphrasie “Cosette”, altra protagonista del romanzo. È bellissima, ingenua. La sua storia è una delle più struggenti. Perde la sua purezza e la sua morte riflette la sua “discesa” morale (titolo del quinto libro della prima parte).
Cosette Figlia di Fantine. La vediamo letteralmente nascere, crescere, maturare e diventare adulta. Anche lei vive sostanzialmente tre vite: dai Thénardier, con Jean e con Marius. Non ha un carattere definito e per tutto il libro Hugo la descrive invece di farla “vivere”, se non alla fine, dove prende vita davvero. È un personaggio “ideale” e angelicato.
Marius Giovanotto cresciuto dal nonno monarchico. Si ribella, conosce gli amici dell’ABC e vive per conto suo. Diventato “rivoluzionario”, conosce Cosette e se ne innamora. Anche lui è un personaggio abbastanza strano; sembra che Hugo non ce l’abbia bene in mente. Lo descrive molto ed è evidente che ci tiene a farne un personaggio di peso, eppure non gli riesce del tutto. Anche lui prende vita, peso e spessore soprattutto alla fine.
Javert Figlio di delinquenti, è un ispettore della polizia incredibilmente fedele all’idea di giustizia intesa in senso legislativo. È retto, probo, severo. È un personaggio “cinematografico”, di grande spessore e con un filo narrativo interessantissimo. Uno dei personaggi meglio scritti. La sua intera filosofia ed esistenza giusta vengono messe alla prova da Jean Valjean (il culmine di uno scontro lungo praticamente l’intero libro) e questo non lo porta ad una “conversione” ma alla sua fine.
Thénardier padre Ex locandiere caduto in miseria a causa dei debiti. Prima cresce Cosette mandando in rovina Fantine, poi si barcamena sfruttando i figli per le truffe. È un uomo scaltro ma infido, pronto a fregare il prossimo per sopravvivere. È in effetti “il cattivo” del romanzo. Personaggio molto riuscito.
Éponine Primogenita dei Thénardier, uno dei migliori personaggi del libro. È una ragazza vispa, estroversa, carismatica, intraprendente. Hugo la fa parlare e agire moltissimo, è da subito un personaggio molto vivo, credibile, che fa appassionare e empatizzare. Condannata a non poter scappare dalla sua situazione, muore per amore. Ha una gran storia e i pezzi dove c’è lei sono sempre appassionanti.
Gavroche Terzogenito e primo maschio dei Thénardier, è un “monello” che vive per strada. Anche lui è un personaggio vivissimo, sagace, ironico, intraprendente, anche coraggioso e buono (salva due bambini di strada condividendo il suo riparo e del cibo). Parla moltissimo, ha una voce chiara e precisa. Personaggio estremamente intrigante. Anche lui è un personaggio giusto, segue i rivoluzionari perché è la cosa da fare.
Gli amici dell’ABC 8-9 ragazzi che incontriamo a metà libro e che parteciperanno ai moti di Parigi del 1832. I più significativi, secondo me, sono: Enjolras, leader del gruppo e della barricata; è un simbolo dei moti della rivoluzione, è anche lui “angelicato”, ideale, perfetto esemplare di uomo di principio. Courfeyrac, amico di Marius sagace e con la battuta pronta, fin da subito ha un’ottima caratterizzazione. Grantaire, ubriacone senza particolari ambizioni, credenze o ideali, che idolatra Enjolras, ha un buon arco narrativo.
Monsieur Bienvenu Il primo personaggio in assoluto che incontriamo. Scompare presto dalla trama ma rimane fino all’ultima pagina come simbolo portatore di ideali cristiani e guida morale di Jean Valjean.
Spunti
Personaggi-simbolo e personaggi veri Simboli: Fantine, Cosette, Marius, Enjolras Veri: Jean Valjean, Eponine, Javert, Gavroche, Thénardier Hugo ritrae i personaggi in due modi distinti: i personaggi veri e i personaggi simbolo. I personaggi simbolo sono utilizzati da Hugo per rappresentare un ideale.L’esempio più immediato è Enjolras che incarna la giustizia e la rivoluzione: il suo personaggio non fa né è nient’altro che ciò che rappresenta. Un altro esempio riguarda Cosette che per tutto il libro non ha una sua propria voce, non viene mostrata fare qualcosa di specifico, non prende decisioni, insomma non è davvero nel mondo; Cosette rappresenta la donna vergine e angelicata. Altri due personaggi che, secondo me, sono più ideali che personaggi vivi, sono Fantine e Marius. Riguardo Marius addirittura Hugo si dilunga in almeno 3 parti diverse del libro nel descriverlo astrattamente, da fuori, con un diluvio di aggettivi. Ecco un esempio:” Del resto, era un ragazzo ardente e freddo, nobile, generoso, fiero, religioso, esaltato; dignitoso fino alla durezza, puro fino alla selvatichezza”. Una sfilza di aggettivi che dicono e non mostrano. Questi personaggi sono meno veri e umani, ci si può rispecchiare molto poco, anzi non hanno vere caratteristiche umane, proprio perché, essendo “ideali”, sono un connubio precisissimo e irrealistico di caratteristiche generali: “la rivoluzione, “la verginità angelicata”, i due esempi migliori sono proprio questi. Gli altri personaggi, quelli veri, hanno una loro voce, fanno cose, Hugo li mostra; al contrario degli altri, loro sono vividi, possiamo capirli molto di più. Alcuni di questi personaggi veri e vivi sono: Jean Valjean, Eponine, Javert, Gavroche, Thénardier. Spiccano in particolare Eponine e Gavroche che non vengono praticamente mai presentati né descritti, eppure sono vividi, personaggi tridimensionali e realistici. Un esempio riguardo Gavroche. La prima cosa in assoluto che dice è: p 763 “Toh, è la vecchia, -disse il bambino.- Salve, Sguscialumache. Sono venuto a trovare i miei antenati”
Religione classica Idea del raggiungimento del Paradiso solo dopo grandi sofferenze e dopo una vita intera di moralità I miserabili non hanno un biglietto gratis per il paradiso solo perché soffrono.
Tipo di scrittura di Hugo - Fluviale Hugo è stato uno scrittore molto prolisso, fluviale, esagerato: ha portato all’estremo una tendenza del romanticismo dell’800. Ne I miserabili c’è tutto l’Hugo ossessionato dall’esprimersi, anche ripetendosi più volte. Un esempio chiarissimo lo si ha nel primo libro della parte quinta, l’ultima. E’ il famoso pezzo in cui sono le barricate. Queste barricate vengono descritte più volte di fila in una pagina e mezza densa di ripetizioni. Un altro esempio di “fluvialità” sta nelle digressioni: le digressioni in quanto tali sono parte dei grandi romanzi classici, non sono un difetto. Hugo porta all’estremo il concetto della digressione con interi capitoli laterali: uno sulla battaglia di Waterloo, uno sul sistema dei conventi, uno sulle fogne, ad esempio. Sono concettualmente “giusti”, secondo me; però sono molto lunghi, prolissi, ripetitivi. Si perde in moltissimi minuscoli dettagli. Hugo aveva la chiara scelta di dire le stesse cose in metà delle pagine o dire tutto ciò che voleva senza contenersi né rinunciare a qualcosa, ha scelto la seconda. Questo stile è anche, in parte, una non-scelta di Hugo perché lui di suo è uno scrittore portato all’esagerazione, alla prolissità.
Tipo di scrittura di Hugo - Ha dei pattern (il “doppio”, il “si chiama”). Ho notato un modo molto peculiare di articolare alcune frasi, soprattutto quando Hugo non sta raccontando un’azione ma sta riflettendo oppure sta presentando delle situazioni o dei personaggi. Non so come definirlo quindi lo chiamo “il doppio”. Non so bene neanche come descriverlo: è un modo per associare le cose sempre a coppie, presentarne una vuol dire portarne sempre una d’accompagnamento. Alcuni esempi: “Aveva un pungolo? sì, certo, la sua miseria; aveva le ali sì, certo, la sua gioia.” “La cucina degenerò e diventò pessima, il vino, che era sempre stato cattivo, diventò orribile” “la guerra contro la frazione è insurrezione, l’attacco della frazione contro la totalità è sommossa” “c’è una sete sola, la pace, un’ambizione sola, essere piccoli” “Wellington era il Barème della guerra, Napoleone ne era il Michelangelo” “Esiste uno spettacolo più grande del mare, è il cielo; esiste uno spettacolo più grande del cielo, è l’interno dell’anima” “Il progresso è lo scopo; l’ideale è il tipo.”
Tipo di scrittura di Hugo - Si chiama. Hugo pur di usare qualche parola in più ha il vizio, l’ossessione, di usare il “si chiama” invece di dire quel che deve dire. Esempi: “il bambino che si chiamava Marius, sapeva di avere un padre, ma nulla di più” “Abbiamo domato l’idea, e si chiama steamer; abbiamo domato il drago, e si chiama locomotiva; stiamo per domare il grifone, già lo teniamo, e si chiama pallone” “Questa sovranità dell’io sull’io si chiama libertà” “Questa identità di concessione fatta da ciascuno a tutti si chiama Uguaglianza” “Questa protezione di tutti su ciascuno si chiama Fratellanza” “Nell'uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera…” Fa parte dello stile di Hugo, non credo si possa definire errore vero e proprio, è solo un modo banale e impreciso per allungare il brodo. Se nei primi capitoli non si notava neanche, alla lunga mi ha stancato.
Tipo di scrittura di Hugo - Hugo ha uno stile di scrittura che riflette, in parte, il suo tempo e il suo carattere. In alcune parti di romanzo, la sua scrittura diventa molto paternalista e forse anche didascalica e retorica. L’esempio perfetto è la domanda retorica, vuota per definizione, eppure usatissima da Hugo. “Ma di che parlavano allora, quegli amanti?” “Dove siamo in questo momento? Nel gergo. Che cos’è il gergo?” “Che cosa accadeva in quella mente tanto giovane e già tanto impenetrabile? Che cosa vi stava compiendo? Che cosa succedeva all’anima di Cosette?” “Il monello è una grazia per la nazione, e nello stesso tempo è una malattia; malattia che deve guarire; come? con la luce.” “Il progresso è lo scopo; l’ideale è il tipo. Che cos’è l’ideale? è dio.” “Che era mai? Era un luogo abitato dove non c’era nessuno.” “Era possibile che Napoleone vincesse quella battaglia? Rispondiamo di no. Perché? […] A causa di Dio.” ““Che cos’è questa storia di Fantine? È la società che compra una schiava.” E’ uno stile che ho trovato, con l’andare della lettura, sempre più pesante e posticcio. Rallenta la lettura, la rende arzigogolata e inutilmente autoriferita.
Tipo di scrittura di Hugo - Cambia stile e portata a seconda dei momenti fino a diventare frenetica e potentissima. Come i grandi autori, Hugo ha un’ottima padronanza del ritmo. Ci sono alcuni momenti in cui questa gestione è magistrale. Ad esempio, nella prima parte, c’è una scena di profonda introspezione da parte di Valjean che deve decidersi a consegnarsi alle autorità; la scrittura è lenta, filosofica, psicologica, immaginifica. Poco dopo parte l’azione, la corsa disperata di Valjean e il suo ritorno e il devastante momento di Fantine; la scrittura si fa più secca, precisa, legata agli eventi, frenetica.
Tipo di scrittura di Hugo - Cinematografica. Hugo ha uno stile tale per cui alcune scene sembrano perfette per il cinema, per un adrenalinico film d’azione tipo 007. Javert è, in questo senso, il personaggio più cinematrografico. Ha battute ed entrate in scena ad effetto. “Volete il mio cappello? - gridò una voce dalla soglia della porta. Si voltarono tutti. Era Javert. Teneva il cappello in mano e lo porgeva sorridendo”
Tipo di scrittura di Hugo - Digressioni Niente di nuovo: Hugo fa tante digressioni lungo tutto il libro. Alcune digressioni sono utili per presentare nuovi personaggi, come quella adatta a farci conoscere Fantine. Altre sono storiche, come quella che racconta la battaglia di Waterloo. Altre specifiche per il tempo e il luogo in cui è stato scritto il libro, come una piccola digressione sui “personaggi famosi” della Parigi dell’800. Poi ci sono digressioni più estreme, come quella in cui spiega nel dettaglio il sistema fognario di Parigi.
Finale Come per Notre Dame de Paris, il finale è costruito fin dai capitoli precedenti con molta cura. Hugo si prende oltre 100 pagine e moltissimi capitoli per costruire un finale emozionante in cui riesce a fare il punto e a concludere le storie dei personaggi principali alla perfezione.
Voce di Hugo Ci sono libri in cui l’autore è onnisciente ma invisibile, non lo si percepisce mai, né platealmente (non si tira mai in causa direttamente) né implicitamente. Invece ne I miserabili la voce dell’autore è molto forte, soprattutto quando Hugo si prende del tempo per analizzare dei concetti - ad esempio nelle digressioni. A un certo punto Hugo addirittura sente l’esigenza di spiegare cos’è I miserabili e cosa il lettore dovrebbe vederci dentro: “Il libro che il lettore ha sotto gli occhi in questo momento è, da un capo all’altro, nell’insieme e nei particolari, quali che siano le intermittenze, le eccezioni e le mancanze, il cammino dal male al bene, dall’ingiusto al giusto, dal falso al vero, dal buio alla luce, dall’appetito alla coscienza, dalla putredine alla vita, dalla bestialità al dovere, dall’inferno al cielo, dal nulla a Dio. Punto di partenza: la materia, punto d’arrivo: l’anima. Idra da principio, angelo della fine”. E’ una posizione molto forte e discutibile: d’altronde si potrebbe dire che l’autore non è responsabile di ciò che il lettore ne fa del romanzo. Eppure Hugo, esagerato com’è, vuol mettere mano anche su questo. Parte della voce di Hugo è anche sgradevole e maschilista, in parte perché Hugo è “figlio del suo tempo”, in parte, probabilmente, per la sua persona. Un esempio che mi ha lasciato interdetto: “Abbiamo accennato una volta per tutte al balbettio della Toussaint. Ci si consenta di non accentuarlo più. La notazione musicale di un’infermità ci ripugna”
Amici dell’ABC All’inizio presentati con mere descrizioni che rimangono sospese e poco chiare. Prendono vita nella barricata. Avrebbe potuto usarli molto di più, comunque ottimo impatto di Enjolras, Courfeyrac e Grantaire. Gli amici dell’ABC sono 8-9 ragazzi che parteciperanno alle barricate. Li conosciamo di sfuggita contemporaneamente alla storia di Marius. Hugo fa una scelta precisa che io reputo discutibile: li descrive. Tutti. Di fila. Circa 5-6 pagine di mere descrizioni. Se per un Enjolras potrebbe bastare, dato che è un personaggio simbolo (vedasi sopra), per tutti gli altri è semplicemente un muro di testo che non lascia nulla. Non li conosciamo davvero. Iniziamo a conoscerli quando prendono parola. Courtfeyrac è amico di Marius e ha qualche battuta: poche frasi bastano per caratterizzarlo molto di più di mezza pagina di descrizione. Prendono tutti vita parecchie pagine dopo con l’evento della barricata. E’ un’occasione sprecata, secondo me, perché sarebbero stati interessantissimi.
Lunghezza libro Sarebbe potuto durare 1000 pagine in più, c’era ancora sugo, potenzialmente. Non è un peso, anzi, ci permette letteralmente di accompagnare alcuni personaggi dalla nascita. Credo sia tipica dei romanzi d’appendice: hanno tanta trama, tanti personaggi, tanti ambienti. Potenzialmente non hanno una fine specifica. La storia sarebbe potuta continuare con Marius e Cosette che diventano adulti, magari fanno un figlio. Thénardier fa cose. Azelma, la figlia di Thénardier e sorella di Eponine, ha tutto lo spazio del mondo.
Questione carceraria "Scarcerazione non è liberazione. (Si esce dalla galera, ma non dalla condanna)." “la galera è “la più schifosa delle vergogne” “Jean Valjean era entrato in galera singhiozzante e fremente; ne uscì impassibile. Vi era entrato disperato, ne uscì cupo. Che era accaduto in quell'anima?” “Nell'uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera, il vescovo gli aveva fatto male all'anima come una luce troppo viva gli avrebbe fatto male agli occhi nell'uscire dalle tenebre.” “La galera fa il galeotto” Il tema della giustizia delle carceri, delle pena e della riabilitazione è molto cara a Hugo scrittore e poi a Hugo politico. Dentro i Miserabili c’è la storia di Jean Valjean, IL miserabile, che dopo 19 anni di galera esce trasfigurato, corrotto e deviato dalla pena. Poi poi c’è anche una scena a cui assistono Valjean e Cosette adolesce del trasporto dei carcerati: sono animali senza dignità.
Cosette Personaggio con potenzialità enormi “grazie” all’infanzia difficile, alla rinascita con Jean Valjean e al possibile triangolo (che non si realizza) con Marius ed Eponine. Eppure rimane sempre senza voce, impalpabile. Prende voce, ed è una piacevolissima sorpresa, solo alla fine, con un carattere spontaneo, fresco.
Marius Hugo lo descrive con enorme sforzo molte volte, come se temesse non sia chiaro. Infatti rimane non chiaro fino alla fine. E’ interessante il cambiamento adolescenziale da monarchico a napoleonico fino a diluirsi con la maggiore età, ma il resto del carattere è più descritto che mostrato e infatti rimane fosco. Si riprende grazie allo splendido finale. “Era realista, fanatico e austero” “Non era più Marius il sognatore entusiasta, l’uomo deciso, ardente e risoluto, l’audace provocatore del destino, il cervello che costruiva avvenire su avvenire, la giovane mente…” A pagina 654 ho fatto questa nota: Quante descrizioni di Marius! Sono capitoli che ci torna su. Ha paura di non ritrarlo bene?
Javert Uno dei personaggi migliori. Cinematografico (ha tante frasi ad effetto), devoto alla giustizia legislativa, carismatico, alla caccia di Jean Valjean per tutto il romanzo. Sembra monodimensionale e invece non lo diventa mai, tanto da mostrarsi in tutta la sua complessità nella parte finale.
Note su Hugo dal saggio Hugo era un borghese conservatore non particolarmente originale, cosa sorprendente se si pensa all’enorme impegno nel raccontare “I miserabili”; questa nota non pregiudica nulla della lettura o del romanzo in sé, ovviamente. La vita degli autori di per sé non dice nulla sulle opere (inteso come causa effetto oppure come “grande uomo-grande opera”), né c’è bisogno di vicinanza col soggetto: Tolkien non era un elfo e Capote non un assassino.
Ananke e il buio che lo accompagnerà per tutta la vita (e che gli dà tridimensionalità); come ci si aspetta, i grandi autori sono persone “rotte”. Hugo aveva una parte di sé oscura, tenebrosa che è ritornata lungo tutto la vita e ha sempre fatto da contrappeso ai suoi ideali.
Hugo era ossessivo, esuberante, strabordante. L’uso esagerato delle parole è servito anche per supporto emotivo contro l’ignoto: finché scrivo posso non ascoltare l’ignoto.
Aveva un’immaginazione visiva, vedeva i sentimenti, le emozioni, i dettagli, tutto è visivo. L’ho notato soprattutto nella difficile riflessione di Jean Valjean riguardo il consegnarsi alle autorità. In realtà tutto il libro ha bellissimi riferimenti visivi, immagini, appunto quasi cinematografiche, potenti, vaste.
Era una persona estremamente contraddittoria e ipocrita, come ci si aspetta giustamente da qualcuno di largo e grande (tutti siamo contraddittori ma i grandi artisti di più).
Un esempio della non originalità o profondità di pensiero di Hugo: p 487 “Sappiamo che esistono atei illustri e possenti. In fondo costoro, ricondotti al vero della loro stessa potenza, non sono tanto certi d’essere atei, con loro in fondo è soltanto questione di definizione e comunque, se non credono in Dio, essendo grandi spiriti dimostrano Dio”
Sono cambiato nella lettura 1300 e rotte pagine sono tante da cambiare addirittura il mio stesso approccio al romanzo. Alcune cose del romanzo, dei personaggi, della scrittura e della trama, sono passate sotto traccia per le prime centinaia di pagine. Dalle 8-900esima pagina, invece, ho iniziato a non sopportarle più. Un po’ ne ho già parlato, riassumo brevemente. La scrittura ripetitiva di Hugo; l’uso del “doppio”; le domande retoriche; le digressioni fluviali; la caratterizzazione vaga di alcuni personaggi; la voce troppo presente. Sono tutti aspetti che hanno reso la lettura, nella seconda parte, pesante. È palese che sia la descrizione plastica del rapporto libro-lettore, del fatto che un libro non è un oggetto inanimato ma vive del nostro riflesso.
E noi cambiamo con lui.
Pezzi
“Non è forse tutto? e che si può desiderare di più? Un giardinetto per passeggiare e l’immensità per fantasticare. Ai piedi quello che si può coltivare e cogliere; sulla testa quello che si può studiare e meditare; alcuni fiori sulla terra e tutte le stelle nel cielo” P.57
“Nel mondo morale non c’è più grande spettacolo di questo: una coscienza torbida e inquieta, giunta sul limitare d’una cattiva azione, che contempla il sonno di un giusto.” p. 100
p 129. “Dahlia, vedi, sono triste. E’ tutta l’estate che piove. Il vento mi fa venire il nervoso, il vento non si calma, Blachevelle è un gran tirchio, è grazia se riesci a trovare i pisellini al mercato, non si sa che cosa mangiare, ho lo spleen, come dicono gli inglese, il burro è tanto caro! e poi, vedi, è un vero orrore, stiamo mangiando in una stanza dove c’è un letto, e questo mi fa venire il disgusto della vita”.
p 145 “Una persona seduta invece di essere in piedi: i destini dipendono da questo”.
p 148 “Esistono anime gamberi che indietreggiano continuamente verso le tenebre, che retrocedono nella vita, invece di avanzare, usando l’esperienza per aumentare la loro deformità, peggiorando di continuo e impregnandosi sempre più d’una crescente nefandezza.”
p 151 “L’ingiustizia l’aveva fatta astiosa e la miseria l’aveva resa brutta. Le restavano soltanto i suoi begli occhi che facevano pena perché, grandi com’erano, sembrava di vederci una maggiore quantità di tristezza”.
p 179. “Un’anima per un tozzo di pane. La miseria offre, la società accetta”.
“Che cosa oscura l’infinito che ogni uomo porta dentro di sé e col quale misura disperatamente le volontà del suo cervello e le azioni della sua vita!”
p 235 “Tutte le cose della vita sono continuamente in fuga davanti a noi. Gli ottenebramenti e le luci ci frammischiano; dopo un abbagliamento, un’eclisse; si guarda, ci si affretta, si tendono le mani per afferrare ciò che passa; ogni evento è una svolta della strada; e d’un tratto si è vecchi.”
P 283 circa “Il parroco credette di far bene, e forse fece bene, riservando ai poveri più denaro che fosse possibile, di quanto aveva lasciato Jean Valjean. In fondo di chi si trattava? di un galeotto e una prostituta. Per questo egli semplificò la sepoltura di Fantine, e la ridusse a quello stretto necessario chiamato fossa comune. Fantine fu quindi sepolta in quella parte gratuita del cimitero che appartiene a tutti e a nessuno, e dove di sperdono i poveri. Per fortuna Dio sa dove ritrovare l’anima. Fantine fu stesa nelle tenebre, fra ossa sconosciute; ella subì la promiscuità delle ceneri. Fu gettata nella foss
pag 378 “la paura […] le faceva occupare meno posto che fosse possibile, lasciandole appena il respiro necessario”
p 449 “I grossi spropositi sono fatti spesso, come le corde grosse, di una moltitudine di fili. Prendete il cavo, filo per filo, prendete separatamente tutti i piccoli motivi determinanti, rompeteli uno dopo l’altro e dire: è tutto qui? Intrecciateli e torceteli insieme ed è un’enormità”
pag 577 “non potendo avere suo figlio, si era messo ad amare i fiori”
p 612 “Errare è umano, andare a spasso è parigino”
p 646 “ da quella specie di concentrazione risulta una passività che, se fosse ragionata, somiglierebbe alla filosofia. Si declina, si scende, si defluisce, si crolla perfino, senza quasi accorgersene. Tutto questo finisce sempre, è vero, in un risveglio tardivo. Nel frattempo pare di essere neutrali nella partita in gioco tra la nostra felicità e la nostra sventura. Noi siamo la posta, e assistiamo alla partita con indifferenza.”
p 881 “-questa poi,- esclamò Gavroche,- che roba è questa? Ripiove! Santo Iddio, se va avanti così, disdico l’abbonamento!”
p 918 “Siete voi uno di quelli che son detti felici? Ebbene, ogni giorno siete triste. Ogni giorno ha il suo gran dolore o il suo piccolo affanno. Ieri, tremavate per una salute che vi è cara, oggi temete per la vostra; domani sarà una preoccupazione di denaro, dopodomani la diatriba di un calunniatore, dopodomani ancora la disgrazia di un amico; poi che tempo fa, poi qualcosa di rotto o perduto, poi un piacere per la coscienza e la spina dorsale vi rimproverano; un’altra volta, l’andamento degli affari pubblici. Senza contare le pene d’amore. E così di seguito”
p 941 “Ma di che parlavano allora, quegli amanti? L’abbiamo visto, dei fiori, delle rondini, del tramonto, dello spuntar della luna, di tutte le cose importanti.”
p 1015 Grantaire “”Puah! ho mandato giù un’ostrica cattiva. Ecco che mi torna l’ipocondria. Le ostriche sono guaste, le serve brutte. Odio la specie umana” “c’è una sola realtà: bere” “Questa povertà di mezzi mi stupisce da parte del buon DIo. Ogni momento si deve rimettere a ingrassare la scanalatura degli avvenimenti. Si incaglia, non va. Presto, una rivoluzione” “tra gli uomini ci vogliono i geni, e tra gli eventi le rivoluzioni” “Sì, è tutto mal combinato, nulla si adatta a nulla, questo vecchio mondo è tutto sbilenco, io mi metto all’opposizione. Va tutto di traverso; l’universo da stizzire. è come coi figlioli, quelli che li vogliono non li hanno, quelli che non li vogliono li hanno. Conclusione: mi indispettisco.”
p 1133 “I bimbi poveri non entrano nei giardini pubblici; eppure bisognerebbe pensare che, come bambini, hanno diritto ai fiori.”
p 1222 “Sono troppo vecchio, ho cent’anni, ho centomila anni, da tanto tempo ho il diritto di essere morto. […] Su, è morto, proprio morto. Io me ne intendo, che sono morto anch’io”
p 1229 “Ma come fare per dare le dimissioni a Dio?”
p 1293 “Non sono di nessuna famiglia, io. Non sono della vostra. Non sono di quella degli uomini. […] Io sono il disgraziato; io sono fuori.”
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L'idiota

La stesura fu contemporanea all'esilio dello scrittore, dovuto ai debiti: ebbe inizio a Ginevra nel settembre del 1867, proseguì a Vevey (sul lago di Ginevra), a Milano, e terminò nel gennaio del 1869 a Firenze. Una targa al numero 22 di Piazza de' Pitti ricorda la permanenza dell'autore nel palazzo per quasi un anno. L'opera nel frattempo uscì a puntate a partire dal 1868 sulla rivista Russkij vestnik (il Messaggero russo), mentre in forma unica fu presentata l'anno successivo.
Personaggi
Myshkin. Il principe Myskin è il protagonista del romanzo. Dostoevskij lo ritrae come un uomo assolutamente buono, compito che pensava incredibilmente difficile. In realtà la parola sarebbe prekrasnyj che significa più che “buono” “splendido” o incredibilmente splendido. Intraducibile. È un ragazzo di 18 anni che ha passato la giovinezza in Svizzera per curare il mal caduco, l’epilessia, e l’idiozia. Torna in Russia per incontrare l’unica parente che ha, Lizaveta Prokofyevna, anche lei dei “Myskin”.
Rogózhin. È un ragazzo che Myskin incontra fin dalle prime pagine quando entrambi sono sul treno per Pietroburgo. È follemente innamorato di Nastas’ia Filippovna; sta andando a Pietroburgo per ricevere la sua eredità. È il secondo protagonista del romanzo, anche se avrà molta meno voce di altri personaggi.
Nastasya Filippovna. Terzo protagonista del romanzo. È una ragazza rimasta orfana che viene cresciuta da Totsky che vede in lei non solo una bellezza straordinaria ma anche una grande intelligenza. Si fa intendere che Totsky fu decisamente inappropriato con Nastas’ja fin dalla prima adolescenza: questo segnerà la salute mentale della ragazza. È di carattere instabile, nevrotico ma è intelligente e incredibilmente attraente.
Aglaja. Figlia di Lizaveta Prokòf'evna e del generale Epancin, è bellissima e intelligente (anche lei) ma indisponente, antipatica, viziata e autoritaria. Creerà un legame col Principe, che è molto attratto da lei.
Ippolit. È un ragazzo tisico (ha la tubercolosi) a cui rimangono poche settimane di vita. Sarà fondamentale nella parte centrale del romanzo perché esprimerà la volontà di esercitare il suo libero arbitrio invece di aspettare passivamente la morte. È nichilista, scontroso, egocentrico.
Altri personaggi molto presenti nel libro ma indiscutibilmente minori.
Gánya. Maggiordomo in casa Epancin, promesso in matrimonio a Filippovna, ama segretamente Aglaja. Viene umiliato. È un personaggio infido, calcolatore ma molto umano.
Lébedyev. Da Wikipedia: “un ubriacone dispettoso la cui irrequieta curiosità e meschina ambizione lo hanno trasformato in una sorta di deposito di informazioni sociali. Lo usa per ingraziarsi i superiori e per perseguire vari schemi e intrighi.” Calza alla perfezione.
Lizavéta Prokófyevna. Madre di Aglaja e lontanissima parente del Principe Myskin, ha un carattere impulsivo, forte e prorompente.
General Iván Fyódorovich Epanchín. Marito di Lizaveta e padre di Aglaja, è un imprenditore ricco e rispettato in città, eppure è infido e viscido.
Tótsky. Ricco nobile che ha cresciuto Filippovna. Disgustoso.
Ce ne sono molti altri ma sono di contorno.
Spunti
Il libro di Dostoevskij che mi ispirava meno. Ho sempre considerato L’idiota il libro meno interessante di Dostoevskij, soprattutto perché temevo fosse una storia del genere “troppo buono per questo modo” e cioè che il messaggio fosse: meglio stupidi e felici che intelligenti e tristi. Assioma fastidioso e terribilmente pigro che non condivido affatto. Il libro ovviamente non c’entra granché con questo mio pregiudizio.
Facilità di lettura e digressioni. Ho trovato questo libro incredibilmente facile da leggere, le pagine scorrevano fluide a una velocità sorprendente. Non ho riscontrato digressioni rilevanti né pesanti. Non ho mai trovato delle parti pesanti o lente. Questa sensazione mi sorprende perché tutti i libri grossi di D. hanno degli sbalzi di ritmo, basti pensare alla digressione lentissima dello Staretz ne I fratelli Karamazov o le prime 100 pagine de I demoni.
Tantissimi personaggi, pochi rilevanti. È un libro zeppo di personaggi e non è sempre facilissimo stare dietro ai nomi, eppure i personaggi veramente rilevanti sono pochissimi. Anzi capita spesso che personaggi poco rilevanti abbiano molti più momenti e dialoghi di, ad esempio, Rogozin, il secondo personaggio più importante del romanzo. Credo sia un effetto voluto per dare idea del ronzare incessante delle persone infide e insignificanti attorno al Principe.
Libri lunghi. Finire questo libro mi ha lasciato confuso e interdetto. Ero incapace di riprendere contatto col mondo. I libri lunghi si portano dietro un peso specifico diverso dai libri brevi - e grazie tante - che sento impatta molto di più sulla mia vita. È un gusto tutto particolare che ormai ricerco con avidità.
Per Ilenia Zodiaco è difficile e prolisso. Io credo sia l’esatto opposto: è uno dei libri più facili che abbia mai letto (anche se è vero che è un po’ prolisso). È sorprendente come cambiano le cose per ognuno di noi, anche a partire dallo stesso libro.
La bellezza salverà il mondo? L’idiota viene spesso citato per questa frase e lo trovo incompensibile. È una frase che non viene mai detta da Myskin ma solo da Ippolit e un altro (non ricordo chi) in riferimento al Principe stesso. Non ha senso identificare il libro con questa frase per diversi motivi. Il primo è che il Principe non filosofeggia; anche quando nella prima parte racconta della pena di morte, lo fa in modo ingenuo, naturale, come se parlasse con degli amici circa le sue impressioni; non fa “politica” nè “filosofia”. In secondo luogo, questo libro ha temi molto più rilevanti: la pena di morte, il libero arbitrio, l’incomprensione, l’ipocrisia della società, la malattia (fisica e mentale). Infine “la bellezza salverà il mondo” è una frase molto più adeguata a Stepan Trofimovic ne I demoni: e infatti la dice lui questa frase! Al gran ricevimento dei Von Lembke fa una tirata romantica proprio sulla bellezza della natura. Stepan Trofimovic in quel romanzo è proprio la rappresentazione di un vecchio ideale di intellettuale: romantico, aristocratico, ormai sorpassato dai tempi.
No trama. Succedono tante piccole cose ma non c’è una vera macro trama rilevante, o almeno sento che è così. Per questo motivo L’idiota è un libro strano, che sarebbe potuto andare avanti ancora per 1000 pagine. Non voglio dire che non succedano cose rilevanti, anzi: ci sono 2-3 cambi di ritmo folli alla D. (teatrali, pazzi, quasi inverosimili). Però non ha i 3 atti veri e propri di una storia fatta e finita, come ne I demoni. Azzardo a ipotizzare che una ragione viene dal fatto che D. non aveva affatto le idee chiare sullo sviluppo degli eventi (fonte: Tolstoj o Dostoevskij, G. Steiner).
La pena di morte e la scena raccontata da Miskyn. C’è una famosa scena in cui il Principe Myskin racconta di quando ha assistito a una pena di morte. Questa scena è autobiografica. D. venne condannato alla pena di morte per aver letto una lettera (o un libro) di Belinsky (a quel tempo censurato) in un circolo di socialisti; sul patibolo, a 5 minuti dalla morte, venne graziato dallo Zar e mandato ai lavori forzati in Siberia. La scena è notevole per diversi motivi. Personalmente sono molto interessato al discorso pena di morte, garantismo, evoluzione della giustizia nei secoli. Secondo motivo: D. è un maestro a raccontare di sé perché trasuda una totale sincerità; lo si vede anche ne Il giocatore, romanzo scritto quando era sommerso dai debiti a causa del gioco. Il punto di vista di Myskin, come ho scritto sopra, non mi sembra politico; commenta il fatto con genuinità da osservatore e questo lo caratterizza ancora meglio come buono, genuino, “in pace col mondo”, in qualche modo.
L'epilessia. Altro aspetto autobiografico: D. era malato di epilessia. Fa impressione il racconto delle sensazioni che anticipano un attacco epilettico. Dev’essere stato un duro lavoro di introspezione per D. L’epilessia nella Russia ortodossa si porta dietro anche un significato spirituale: la malattia veniva vista come un modo per avvicinarsi a Cristo/Dio. Sono famosi i “folli in Cristo” (jurodivyj), simil monaci che “hanno adottato una forma ascetica di pietà cristiana che si chiama " follia " per amore di Cristo. Essi rinunciavano volontariamente non soltanto alle comodità e ai beni familiari, ma accettavano di essere considerati pazzi, gente che non ammette le leggi della convivenza e del pudore e si permette azioni scandalose.” https://www.scrutatio.it/DizionarioTeologico/articolo/2373/folli-in-cristo
Riflessione sul suicidio di Ippolit. Il suicidio è un tema ricorrente di D. che ha trattato soprattutto ne I demoni e ne L’idiota, secondo me in modi molto differenti. Ippolit è malato terminale, gli aspettano poche settimane di vita. Dopo un lungo rimuginio decide che gli conviene uccidersi. Una suggestione: non esistono (più?) buone idee. C’è una riflessione straordinaria sui tipi di uomini e io ci sono dentro in pieno.
Non riuscire a condividere un’idea. “Tuttavia, voglio aggiungere che in ogni idea umana geniale e nuova o, più semplicemente, in ogni idea umana seria, che nasce nella mente di chicchessia, rimane sempre qualche cosa che non è assolutamente possibile trasmettere agli altri"
Miskyn vs Rogozin. Il tema del doppio è tanto caro a D. che ne ha iniziato a parlare nel suo secondo libro, Il sosia. Lo si ritrova anche in Raskolnikov, che significa “scisso, diviso”, in Delitto e castigo ma anche in Stavrogin, con le sue visioni. Ne L’idiota il doppio è rappresentato da Myskin e Rogozin, che sono speculari. Uno è buono, ingenuo, pacato; l’altro è folle d’amore, astioso, esagerato. Rogozin è il cattivo del romanzo ma D. ha fatto un lavoro magistrale, secondo me, perché - almeno io - ho percepito Rogozin come l’altro lato della medaglia della trama, non come cattivo vero e proprio.
Tutti i personaggi fanno abbastanza schifo. Chi è il cattivo in questo romanzo? Nel diario di lettura è una domanda che mi sono posto. Non è immediato capirlo perché Rogozin di sicuro non lo è. Il cattivo in questo libro sono tutti. Tutti i personaggi che circondano il Principe rappresentano una sfumatura di “cattiveria” e corruzione, chi più, chi meno. Sono tutti vittime, o comunque in balìa, di forze superiori: la violenza, la morte, le passioni sfrenate. Un tocco davvero geniale di Dostoevskij.
Tutta la filosofia di D. sta nel “se potessi non morire! Trasformerei ogni minuto in un intero secolo” “Oh poter non morire! Poter far tornare indietro la vita: che eternità! E tutto questo sarebbe mio! Allora trasformerei ogni minuto in un intero secolo, non ne perderei niente, terrei in conto ogni minuto, per non sprecare invano nemmeno più di un istante!” Sappiamo bene che per D. non è così. L’uomo è irrazionalità, istinti, bisogni primari, pulsioni.
Non viene capito dagli altri, gli altri non si spiegano il suo comportamento. Questo è il punto centrale del romanzo. Myskin non è “idiota” inteso come stupido oppure come stupido ma felice, è solo incompreso. Sempre e da tutti. Non viene compreso quanto compatisce Nastas’ja o Ippolit. Non viene capito quando continua a parlare e interagire con Ganja (invece di chiudere i rapporti). Non viene capito da Lizavéta Prokófyevna che ha continui sentimenti contrastanti con lui e passa dal volergli bene e farlo sentire accettato in famiglia a bandirlo da casa propria. Non viene capito da Rogozin, che non capisce la qualità dell’amore del Principe per Filippovna. Non viene capito da Aglaja per lo stesso motivo. Non viene capito, ovviamente, dalla nobiltà. È un estraneo a tutti gli effetti al mondo russo, ma in generale all’umanità. È troppo diverso, vive su binari tutti suoi, ha emozioni, pensieri, punti di vista sempre diversi e laterali da tutti. E ovviamente ne fa le spese lui in prima persona cambiando e rabbuiandosi durante la storia, ma anche, ad esempio, Nastas’ja che muore. L’unica persona che lo capisce, credo, è Nastas’ja Filippovna.
Il cambiamento di Myskin. Ho notato che il Principe Myskin a inizio libro è ancora intatto; è gentile verso gli altri, compassionevole, ma soprattutto felice. A fine libro rimane il suo aspetto da straniero, cioè il suo modo di approcciarsi agli altri, però è cambiato perché non è più felice. Ha fallito in tutto, è andato tutto storto. Il mondo è riuscito a corromperlo non capendolo mai.
Due tipi di persone. Gli ordinari ordinari e gli ordinari “intelligenti” P 667 “Infatti l’essenza stessa di alcune persone ordinarie consiste nel loro essere sempre e immutabilmente ordinarie, oppure - ancora meglio - nonostante tutti gli enormi sforzi che esse fanno per uscire a qualunque costo dalla normalità e dalla monotonia quotidiana, nel rimanere tali e quali in eterna compagnia del solito tran tra, acquisendo persino proprietà specifiche, come per l’appunto quella propria dell’uomo ordinario che per niente al mondo accetta di rimanere ciò che è, e vuole diventare originale e indipendente a tutti i costi pur senza avere la minima possibilità di guadagnarsi questo nuovo stato. […] Questa gente è la stragrande maggioranza nel mondo e ce n’è persino più di quanto non sembri; la suddetta schiera si divide, come d’altronde tutto il genere umano, in due categorie primarie: della prima fanno parte gli uomini limitati; della seconda quelli “troppo intelligenti”. I primi sono i più felici; per un uomo “ordinario”, per esempio, non c’è niente di più facile che credersi un uomo fuori dal comune e originale e deliziarsi di ciò senza esitazione alcuna. Questo vale per alcune nostre signorine che, tagliati i capelli corti, indossati occhiali azzurri, definitesi nichiliste, si sono subito persuase di aver cominciato ad acquisire all’istante “convinzioni” proprie e personali. Il discorso vale anche per qualche persona che, avendo riscontrato nel proprio cuore l’esistenza di una semplice briciola di sentimento universale (come peraltro a tutti gli uomini) e buono, si è immediatamente persuasa di provare particolari sentimenti come nessun altro al mondo, nonché di essere all’avanguardia nel progresso generale. Lo stesso esempio è calzante per qualcun altro che, presa alla lettera un’idea qualunque oppure letta una paginetta qualsiasi dall’inizio alla fine, si convince all’istante che si tratti di “pensieri propri e personali”, nati autonomamente nel suo cervello. […] Questi non dubita nemmeno per un attimo di essere un genio, non si pone minimamente il problema; per lui non esiste altro. […] Uno dei personaggi del nostro racconto, Gavrila Ardalionovic Ivolgin, fa parte invece della seconda categoria, quella degli uomini “ordinari”, “troppo intelligenti”, che desiderano essere originali dalla testa ai piedi a tutti i costi. Gli appartenenti a questa categoria, come abbiamo notato poco fa, sono molto più infelici della prima. Infatti l’uomo “ordinario” intelligente, anche se si è immaginato di sfuggita (o forse anche per tutta la sua vita) di essere geniale e originale, ciò nonostante conserva,nel suo cuore, il tarlo del dubbio che lo porta alla disperazione più profonda; egli si rassegna soltanto quando è ormai avvelenato dalla vanità che gli si è insinuata nel profondo. Tuttavia noi abbiamo preso ad esempio un caso limite: per la stragrande maggioranza di persone che fanno parte di questa categoria intelligente, le cose non si svolgono poi in maniera così tragica; il fegato si guasta solo verso gli ultimi anni di vita, ed è tutto. […] Per lui il pensiero di aver adempiuto ai propri doveri umani non è né tranquillizzante, né confortante; anzi, lo irrita, e così dice: “ecco per cosa ho speso tutta la mia vita, ecco cosa mi ha legato mani e piedi, ecco cosa mi ha impedito di scoprire la polvere da sparo! Se non ci fossero stati quei impedimenti, forse avrei scoperto o la polvere da sparo o l’America, certo, non so ancora che cosa, ma avrei scoperto una delle due senz’altro!”.
Stralci e pezzi
Pena di morte P 31 Myskin “Il criminale era un uomo intelligente, coraggioso, forte, in gamba, si chiama Legros. Bè, vi dico, ci crediate o no, che mentre saliva sul patibolo piangeva, pallido come uno straccio. È forse ammissibile questo? Non è un’atrocità? E chi mai sta piangendo per il terrore? Io non pensavo che per il terrore potesse piangere non un bambino, ma un uomo che ha mai pianto, un uomo di quarantacinque anni. Che cosa accade in quell’istante nell’anima, quali spasimi la attanagliano? È una beffarda ingiuria per l’anima, nient’altro! È stato detto: non uccidere, e allora perché, siccome lui ha ucciso, viene ucciso anche lui? No, non si deve.Ecco, ho visto quella scena ormai da un mese, e da allora ce l’ho sempre davanti agli occhi”
P 32 “Vi sembrerà ridicolo, assurdo, ma a chi ha una certa immaginazione può saltare in mente un’idea simile. Pensate: quando per esempio c’è la tortura, ci sono sofferenze e ferite, dolore fisico, e perciò questo allevia le sofferenze dello spirito, così che soffri soltante per le ferite, finché non muori. Eppure il dolore maggiore, il più acuto, forse non sta nelle ferite, ma nel fatto che hai la certezza che ecco, tra un’ora, e poi tra dieci minuti, e poi tra mezzo minuto, e poi adesso, ecco, subito, l’anima volerà via dal corpo, e tu non sarai più un uomo, e questo è ormai certezza: la cosa fondamentale è che sia una certezza. Appena appoggi la testa proprio sotto la lama e te la senti scivolare addosso, ecco, quel quarto di secondo è il più terribile di tutti.”
“Prendete un soldato e mettetelo proprio davanti a un cannone, nel mezzo di un combattimento, sparategli addosso, e lui continuerà ancora a sperare, ma leggete a quello stesso soldato la sentenza certa, e lui perderà la ragione o si metterà a piangere. Chi mai ha detto che la natura umana è in grado di sopportare questo senza impazzire?”
P 86 Myskin “Lui diceva che quei cinque minuto gli erano sembrati un tempo infinito, un’immensa ricchezza; gli pareva di poter vivere tante vite in quei cinque minuti, che per il momento non doveva ancora pensare all’ultimo istante—”
“Oh poter non morire! Poter far tornare indietro la vita: che eternità! E tutto questo sarebbe mio! Allora trasformerei ogni minuto in un intero secolo, non ne perderei niente, terrei in conto ogni minuto, per non sprecare invano nemmeno più di un istante!” […] Oh, no, me l’ha detto lui stesso, rispondendo alle mie domande, che non aveva poi affatto vissuto così, e aveva perduto moltissimi attimi”
P 105 Myskin “Schneider mi confidò una sua idea molto strana, mi disse di essersi ormai convinto che anch'io ero un vero bambino, […]anche se fossi vissuto fino a sessant’anni”. È 107 Myskin “In primo luogo ho deciso di essere sempre gentile e sincero con tutti: nessuno potrà pretendere altro da me” “So molto bene che è imbarazzante parlare dei propri sentimenti in pubblico, ma con voi ne parlo senza alcun imbarazzo”
P 312-313 Myskin “A proposito di fede […] Una mattina ero in viaggio su una nuova linea ferroviaria e nello scompartimento ho conosciuto un certo S., con il quale ho parlato per quattro ore. Avevo già sentito parlare di lui, anche riguardo al suo ateismo. […] Mi ha colpito però una sola cosa: che per tutto il tempo era come se lui non parlasse affatto di questo, e ciò mi ha colpito proprio perché anche in passato tutti gli atei che ho incontrato e i libri sull’ateismo che ho letto mi sono sempre sembrati riferirsi a tutt’altro, sebbene all’apparenza fossero attinenti all’argomento”.
P 313 “Uno in Dio non crede affatto, e un altro invece ci crede tanto da accoltellare la gente invocandolo…”
P 315 “L’essenza del sentimento religioso sfugge a ogni ragionamento, a ogni reato o delitto, a ogni tipo di ateismo; c’è in essa, e ci sarà in eterno, qualcosa di ineffabile che gli atei non potranno mai afferrare in tutti i loro discorsi”.
P 567 “Tuttavia, voglio aggiungere che in ogni idea umana geniale e nuova o, più semplicemente, in ogni idea umana seria, che nasce nella mente di chicchessia, rimane sempre qualche cosa che non è assolutamente possibile trasmettere agli altri"
P 594 Ippolit “Se a bruciapelo mi venisse in mente di uccidere qualcuno a caso, oppure dieci persone in una volta sola, oppure di commettere qualche altra azione fra le più terribili, quella che viene considerata in assoluto la più terribile al mondo, in quale imbarazzo si verrebbe a trovare la corte del tribunale, viste le due o tre settimane di vita che mi restano e l’abolizione della tortura?”
Ippolit P 595 “Che cosa m’importa di tutta questa bellezza, quando ogni istante, ogni secondo sono costretto a ricordarmi che persino questo moschino minuscolo, che adesso mi ronza vicino, in un raggio di sole, prende parte a questo banchetto e al suo coro, sa qual è il suo posto e lo ama ed è felice, mentre io sono solo un aborto della natura, e non ho voluto capirlo fino a ora unicamente per viltà!”
P 667 “Infatti l’essenza stessa di alcune persone ordinarie consiste nel loro essere sempre e immutabilmente ordinarie, oppure - ancora meglio - nonostante tutti gli enormi sforzi che esse fanno per uscire a qualunque costo dalla normalità e dalla monotonia quotidiana, nel rimanere tali e quali in eterna compagnia del solito tran tra, acquisendo persino proprietà specifiche, come per l’appunto quella propria dell’uomo ordinario che per niente al mondo accetta di rimanere ciò che è, e vuole diventare originale e indipendente a tutti i costi pur senza avere la minima possibilità di guadagnarsi questo nuovo stato. […] Questa gente è la stragrande maggioranza nel mondo e ce n’è persino più di quanto non sembri; la suddetta schiera si divide, come d’altronde tutto il genere umano, in due categorie primarie: della prima fanno parte gli uomini limitati; della seconda quelli “troppo intelligenti”. I primi sono i più felici; per un uomo “ordinario”, per esempio, non c’è niente di più facile che credersi un uomo fuori dal comune e originale e deliziarsi di ciò senza esitazione alcuna. Questo vale per alcune nostre signorine che, tagliati i capelli corti, indossati occhiali azzurri, definitesi nichiliste, si sono subito persuase di aver cominciato ad acquisire all’istante “convinzioni” proprie e personali. Il discorso vale anche per qualche persona che, avendo riscontrato nel proprio cuore l’esistenza di una semplice briciola di sentimento universale (come peraltro a tutti gli uomini) e buono, si è immediatamente persuasa di provare particolari sentimenti come nessun altro al mondo, nonché di essere all’avanguardia nel progresso generale. Lo stesso esempio è calzante per qualcun altro che, presa alla lettera un’idea qualunque oppure letta una paginetta qualsiasi dall’inizio alla fine, si convince all’istante che si tratti di “pensieri propri e personali”, nati autonomamente nel suo cervello. […] Questi non dubita nemmeno per un attimo di essere un genio, non si pone minimamente il problema; per lui non esiste altro. […] Uno dei personaggi del nostro racconto, Gavrila Ardalionovic Ivolgin, fa parte invece della seconda categoria, quella degli uomini “ordinari”, “troppo intelligenti”, che desiderano essere originali dalla testa ai piedi a tutti i costi. Gli appartenenti a questa categoria, come abbiamo notato poco fa, sono molto più infelici della prima. Infatti l’uomo “ordinario” intelligente, anche se si è immaginato di sfuggita (o forse anche per tutta la sua vita) di essere geniale e originale, ciò nonostante conserva,nel suo cuore, il tarlo del dubbio che lo porta alla disperazione più profonda; egli si rassegna soltanto quando è ormai avvelenato dalla vanità che gli si è insinuata nel profondo. Tuttavia noi abbiamo preso ad esempio un caso limite: per la stragrande maggioranza di persone che fanno parte di questa categoria intelligente, le cose non si svolgono poi in maniera così tragica; il fegato si guasta solo verso gli ultimi anni di vita, ed è tutto. […] Per lui il pensiero di aver adempiuto ai propri doveri umani non è né tranquillizzante, né confortante; anzi, lo irrita, e così dice: “ecco per cosa ho speso tutta la mia vita, ecco cosa mi ha legato mani e piedi, ecco cosa mi ha impedito di scoprire la polvere da sparo! Se non ci fossero stati quei impedimenti, forse avrei scoperto o la polvere da sparo o l’America, certo, non so ancora che cosa, ma avrei scoperto una delle due senz’altro!”.
P 849 Myskin “Oh, se Aglaja sapesse, se sapesse tutto… ma proprio tutto. Per prima cosa bisognerebbe sapere. Per quale motivo non è mai possibile sapere tutto dell’altro, quando è necessario, quando quest’altro è colpevole?”
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Il sosia
Il sosia è il secondo romanzo di Dostoevskij, pubblicato nel 1846, quando aveva 25 anni. È lungo circa 230 pagine e presenta il topos narrativo del doppio. Ovviamente.
È stato pubblicato subito dopo il primo romanzo, Povera gente, anche sull’onda del grande successo di questo, grazie soprattutto alla recensione positiva del grande critico Belinskij. Per D. fu un grande colpo, era entusiasta e non vedeva l’ora di diventare grande e di essere riconosciuto come tale. Lettera al fratello: “Goljadkin è dieci volte superiore a Povera gente. Con quante speranze mi guardano tutti! Effettivamente Goljadkin mi è riuscito come meglio non si povera TI piacerà come non so cosa. Ti piacerà persino più di Anime morte, lo so”.
Il sosia fu un fallimento clamoroso. D. ci restò malissimo tanto che lo riprese in mano diverse volte, anche dopo la condanna, per un riscrittura parziale o completa, cosa che non terminò mai.
Tema del doppio sempre presente. Il tema del Sosia, per D., era un tema serissimo, il più serio di tutti. Raskolnikov vuol dire diviso. D. indica Goljadkin come primo uomo del sottosuolo.
Non gli era riuscita la forma, secondo D.
Majkov, nel 1846 parlò del Sosia così:”Nel sosia la maniera di D: e il suo amore per l’analisi psicologica si sono espresse in tutta la loro pienezza e originalità. In quest’opera egli è penetrato così a fondo nell’anima umana, con tanta impavida e appassionata attenzione ha osservato il moderno meccanismo dei sentimenti, dei pensieri e degli atti umani che l’impressione prodotta dalla lettura del sosia può essere paragonata soltanto l'impressione di una persona curiosa che sia penetrata nella struttura chimica della materia. […] Nei suoi studi psicologici c’è quel riflesso mistico che, in generale, è proprio delle raffigurazioni di una realtà analizzata profondamente”. Majkov ha colto che la “pazzia” non era un tema fantastico o realistico legato a Gogol o Hoffman ma a un’aspetto dell’analisi del tipo umano di D.
È un romanzo quasi in prima persona. È questo quasi che permette di fondere satira e tragedia, condanna e pietà, realismo e misticismo, lucidità e delirio. Goljadkin ha le movenze brusche e meccaniche di un burattino, che si muove a scatti e agisce in modo repentino,e la sua umanità sta nella patologia della sua coscienza verbale, nel suo ininterrotto parlare con se stesso e con le proprie proiezioni, nel continuo sforzo di giustificare se stesso ai proprio occhi e quelli degli altri.
“Il doppio […] è un tratto che è proprio della natura umana in generale, ma che è ben lungi dall’esser reperibile in ogni natura umana con l'intensità che si trova in Lei. Per questo Lei mi è affine, perché questo sdoppiamento in lei è esattamente lo stesso che io ho e che sempre ho avuto. È un grande tormento, ma allo stesso tempo anche un grande piacere. SI tratta di una intensa coscienza, di un’esigenza di autorendiconto e di presenza nella sua natura dell’esigenza di un dovere morale verso se stessi e verso l’umanità.
Goljadkin è la patologia dell’uomo qualunque, il primo gradino di quello “sdoppiamento” che costituisce la malattia dell’uomo moderno, malattia sublimabile soltanto nel privilegio dell’attività spirituale.
Goljadkin è un impiegato di medio livello, ha un servo, Petruska, non ha apertura sociale, non conosce donne né ha amici, nonostante il dottore gli consigli continuamente di fare una vita con più “allegre compagnie”. G. non lo fa mai, ha paura del mondo, del giudizio degli altri e quindi preferisce evitare. È imbranato nelle occasioni sociali, non riesce in nulla e, in primo luogo si chiude in se stesso, in secondo luogo critica fortemente “la società” e chi “ce la fa”.
Usa spesso frasi fatte e usa poche, singole formule continuamente. Si sente vittima delle società, che gli vuole male, che trama contro di lui.
Goldjiakin suona “mentalmente sprovveduto, povero di spirito”.
È un personaggio D. nel senso che è molto vero, sfaccettato. D. non lo descrive, gli fa fare cose, lo fa parlare e interagire con le persone, così capiamo chi è.
G. è a tratti un po’ tutti noi. Io mi ci sono rivisto in alcuni tratti; mi succede spesso con i personaggi di D.
La storia è banale, scontata, molto lineare e pulita. Non so se sono io, se è colpa mia questo effetto. Però questa banalità pregiudica moltissimo la lettura che non si fa mai davvero intrigante, “pericolosa”. Nonostante sia un romanzo grezzo e giovanile, si sente D., lo si percepisce proprio nel personaggio di G.
Ma per far riuscire questo libro sarebbe servito anche altro.
NON è un libro utile per conoscere D., è un libro di D. che può interessare a chi interessa D., tutto qua.
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I demoni
Scritto da Dostoevskij tra il 1871 e 1872, pubblicato l’anno successivo.
È uscito a puntate sul “Messaggero Russo”.
Contesto storico.
C’era un crescendo di atti terroristici, di idee rivoluzionarie e di generale insoddisfazione della popolazione. Credo sia conseguenza di ciò che successe in Europa dal 1789 al 1848-1849.
Il 21 novembre 1869, infatti, lo studente universitario Ivan Ivanovič Ivanov viene ucciso da una cellula rivoluzionaria capeggiata da Sergej Gennadjevič Nečaev (autore insieme a Bakunin dell'opera Catechismo del rivoluzionario). Il processo di Nečaev provoca scalpore in tutta la Russia e si conclude con la condanna del colpevole a 20 anni di carcere.
Struttura
Parte prima, 5 capitoli
Parte seconda, 10 capitoli
Parte terza, 8 capitoli
Circa 750 pagine
Edizione Oscar Classici 2021
Personaggi
Stepan Trofimovič Verchovenskij. Precettore di Liza lavora alle dipendenze di Varvara Petrovna, di cui è grande amico di lunga data. È simbolo della vecchia generazione di intellettuali, poeta fallito, esteta. Protagonista delle prime 100 pagine, poi sparisce un po’, torna alla grande per la parte finale. Padre di Petr Stepanovič.
Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin. Il vero protagonista del romanzo. D. lo annuncia dalle prime pagine ma lo fa entrare in scena solo dopo pagina 130-140. È malvagio, carismatico, solitario, tormentato, con un passato oscuro.
Pëtr Stepanovič Verchovenskij. Il secondo protagonista del romanzo. Figlio di Stepan Trofimovic è infido, manipolatore, incoerente, “entusiasta”. Forma una cellula terroristica di nichilisti. Idolatra Stavrogin, odia il padre (e un po’ tutti). Ambisce al potere.
Ivan Pavlovič Šatov (Šatuška). Studente ex nichilista che vuole uscire dall’organizzazione di Petr Stepanovic proprio per aver cambiato idea. È stato in america con Kirillov, con il quale non parla più.
Aleksej Nilič Kirillov. Nichilista estremo; intellettuale, lucidissimo. D. lo ritrae come il “nichilista perfetto” che, in quanto tale, ambisce al suicidio. Personaggio più complesso e sfaccettato di quanto non sembri.
Varvara Petrovna Stavrogina. Madre illusa e ignara di Stavrogin, amica e padrona di Stepan Trofimovic. Ha preso in casa Liza, figlia di una sua grandissima amica. È famosa in città, ricca, aristocratica.
Anton Lavrentievič G… v. Il narratore in prima persona.
Lizaveta (Liza) Nikolaevna Tušina. Ragazza innocente, fresca, bellissima. Vive in casa di Varvara Petrovna. Il suo arco narrativo è scostante ma impreziosisce tantissimo il romanzo.
Julia Michajlovna von Lembke Andrej Antonovič von Lembke Coniugi a capo del governo provinciale (si può dire così?). Entrambi diventano protagonisti nella parte del gran ballo. Prima e dopo, spariscono. Sono utili per lo scopo, diciamo.
Semën Jakovlevič Tichon Sacerdote ortodosso. Viene introdotto solo in un capitolo utile per un'importante confessione di Stavrogin. È un personaggio che D. tratteggia in poco spazio alla perfezione. È umano: difettoso come tutti.
Fëdor Fëdorovič (Fëd'ka). Assassino evaso dalla Siberia.
Virginskij; Šigalëv; Sergej Vassil'evič Liputin; Ljamšin; Tolkačenko. Fanno parte del quintetto, la cellula terroristica nichilista messa in piedi da Petr Stepanovic. All’inizio non sono personaggi chiari e ben definiti. Con somma maestria D. tratteggia i loro caratteri facendo parlare le vicende del romanzo. “Vogliono creare il paradiso in terra in cambio della rinuncia alla libertà; la loro idea è quella di produrre una società di schiavi dominati dalla paura nei confronti di un piccolo gruppo di governanti, che debbon controllar l'intero sistema ed utilizzarlo ai propri fini.”
Prima parte
Fino a pagina 140 Ho iniziato questo romanzo qualche mese fa, desideroso dell’effetto “Karamazov”; poi l’ho abbandonato. L’ho ripreso in mano ieri, 1 dicembre 2023, intorno a pagina 110.
Le prime 100 pagine sono di larghissimissima introduzione a Stavrogin, passando soprattutto dalle vicende di Stepan Trofimovič Verchovenskij.
Lento, lentissimo. Si capisce chiaramente che è una lunga introduzione, ma un po’ i nomi, un po’ il fatto che l’ho iniziato nel momento sbagliato, non sono riuscito a proseguire per arrivare al punto.
Un po’ di confusione sui personaggi, davvero troppi e “sparsi” (senza legami familiari particolari).
Il libro, al momento, mi sembra slegato. Tante faccende relazionali, crisi nervose, impacci. Poi un capitolo filosofico messo lì a caso in mezzo al nulla. Ho l’impressione sia sfilacciato.
Frasi
P 122 “Ma quelli che si uccidono per raziocinio, quelli ci pensano molto” “Ci sono anche quelli che lo fanno per raziocinio?” “Moltissimi. Se non ci fossero pregiudizi, sarebbero di più. Moltissimi. Tutti”
P 123 “La completa libertà ci sarà solo quando sarà lo stesso vivere o non vivere. Ecco il fine di tutto.”
P 124 “Chiunque vuole la libertà fondamentale deve avere il coraggio di uccidersi. Chi ha il coraggio di uccidersi ha svelato il segreto dell’inganno. Non c’è altra libertà. È tutto qui, non c’è altro. Chi ha il coraggio di uccidersi è DIO. Ora ognuno può far sì che Dio non esista e non esista niente. Finora non l’ha mai fatto nessuno.” “Ci sono stati milioni di suicidi.” “Ma mai per fare questo, sempre con la paura e non per questo. Non per uccidere la paura. Chi si ucciderà soltanto per uccidere la paura diventerà subito Dio”.
Da Capitolo quarto parte 3 fino a alla fine della prima parte
P 193 “… oppure perché una nuova idea spendeva ora nel suo sguardo?”
P 198 “Nikolaj Vsevolodovic a Pietroburgo conducive una vita, come dire… sarcastica”
P 199 Però N.V., come a farlo apposta, ha incominciato a eccitare ancora di più quel sogno”
P 200 “Insomma, poniamo che da parte di N.V. tutto questo non sia stato che il capriccio, la fantasia di un uomo precocemente stanco… e infine ammettiamo pure che, come diceva Kirillov, questo sia stato un nuovo esperimento compiuto da un uomo ormai sazio con lo scopo di sapere fino a che punto si possa portare una donna storpia e pazza”
202 Varvara che non capisce la malignità del figlio; come molte madri farebbero
P 214 Petr Stepanovic recita una parte, dice l’autore; ancora non sa quale, ma recita una parte.
P 218 Di rabbia in N.V. ce n’era forse più che in tutti e due messi insieme, ma era una rabbia fredda, calma e, per così dire, razionale, cioè il genere di rabbia più ripugnante e terribile che esista”.
Considerazioni
Il narratore in prima persona è davvero poco sostenibile. È una scelta irrazionale che pesa nella lettura, anche perché D. si trova a dover giustificare parecchie volte perché il narratore sappia alcune cose o stia assistendo ad alcuni eventi.
Questa parte si è fatta più serrata e intensa, soprattutto grazie alla presenza di Stavrogin e di Petr Stepanovic. Si può dire che il romanzo, in realtà, parta adesso. 220 pagine sono state d’introduzione dei personaggi.
Si nota chiaramente la personalità disturbata di N.V. Stavrogin anche se D. non la dichiara a gran voce, esprime solo i fatti, ma i fatti per ora non sono meravigliosi. Ad esempio si prende gioco della pazza.
Ora non vedo l’ora che la scena sia più centrata sul gruppetto di Stavrogin.
Finalmente, sulla fine del capitolo, c’è azione e i personaggi si muovono prendendo vita.
Seconda parte
Primo Capitolo
Finora il capitolo migliore.
Il protagonista è Stavrogin, il narratore si allontana. Prima S. interagisce con Petr Stepanovic; si percepisce che entrambi sono inquietanti, stravaganti, con passati oscuri; si percepisce altrettanto bene che Stavrogin è “il capo”, non so bene di cosa. Ha un’autorità prestabilita e intoccabile.
Poi S. esce e va da Kirillov e poi da Satov.
Con Kirillov, come in precedenza, si torna sul concetto di suicidio e sulla filosofia. Spunti molto interessanti.
Poi c’è un lungo confronto tra S. e Satov; il secondo è febbricitante, nervoso, mezzo impazzito; al contempo ha un rispetto e una dedizione totale verso S. eppure è dilaniato dai dubbi sul passato di S.
Capitolo scorrevolissimo, una cinquantina di pagine con ottimi dialoghi, l’introduzione di temi filosofici centrali e l’introduzione a un grande piano nichilista, che non vedo l’ora di approfondire.
S. abusa i bambini?
P 230 “Qui si tratta semplicemente della pigrizia russa, della nostra umiliante incapacità di produrre un’idea, del nostro ripugnante parassitismo rispetto agli altri popoli. […] Oh, i russi dovrebbero essere sterminati per il bene dell’umanità, come parassiti nocivi!”
P 235 “Non c’è nulla di più astuto che essere se stessi, perché tanto nessuno ci crede”.
P 252 “Ci sono molte idee che esistono da sempre e all’improvviso diventano nuove. È vero. Io adesso vedo molte cose come se fosse la prima volta.”
P 254 “Quando avevo dieci anni, d’inverno chiudevo apposta gli occhi e immaginavo una foglia… verde, trasparente, con le venature, e il sole che splendeva. Riaprivo gli occhi e non ci credevo, perché era troppo bello, e di nuovo li chiudevo. […] La foglia è bella. Tutto è bello. […] Tutto appare bello a chi sa che tutto è bello. Se sapessero che per loro è bene così, allora per loro sarebbe un bene, ma finché non sapranno che per loro è bene così, per loro rimarrà un male. Ecco tutta l’idea, tutta, non c’è altro” “Quando avete saputo di essere così felice?” “Martedì della scorsa settimana, anzi, mercoledì, perché era già mercoledì, di notte.” “E in che maniera?” “Non ricordo, così… camminavo per la stanza… non importa. Poi ho fermato l’orologio, erano le due e trentasette minuti”.
P 266 “L’ateo non può essere russo, l’ateo cessa immediatamente di essere russo”.
266 “Ma non siete stato voi a dirmi che, se vi avessero dimostrato matematicamente che la verità non è in Cristo, avreste preferito rimanere con Cristo piuttosto che con la verità?”
P 268 “La forza del desiderio insaziabile di raggiungere una fine, e al tempo stesso, negante la fine”.
“Un popolo è tanto più forte quanto più è esclusivo il suo Dio. Non c’è mai stato un popolo senza religione, cioè senza il concetto del bene e del male”
P 270 “Per fare il sugo di lepre, serve la lepre, per credere in Dio, serve Dio”.
P 272 “… mai i bambini non li ho mai oltraggiati” disse Stavrogin, ma solo dopo un lungo, troppo lungo silenzio.” “È vero che avete affermato di non saper distinguere se è più bella una qualsiasi schifezza lasciva e bestiale rispetto a un atto eroico, qualunque atto eroico, anche se si tratta del sacrificio della propria vita per l’umanità? È vero che avete trovato che ai due estremi la bellezza è identica e il piacere lo stesso?”
Secondo capitolo
P 278 “Oppure ha detto “è uno scemo”, per lui quella persona non va chiamata in altro modo che “scemo”. Invece io magari soltanto il martedì e il mercoledì sono uno scemo, mentre il giovedì sono anche più intelligente di lui”
P 289 “Chiudete alla svelta le chiese, liquidate Dio, rompete i voti matrimoniali, abolite il diritto di successione, impugnate i coltelli”
P 293 “Forse questo sguardo era troppo severo, forse rivelava il disgusto, addirittura il piacere maligno di spaventarla, o magari era soltanto un’impressione…”
P 295 “Stanno insieme e non sanno ridere di cuore. Tanta ricchezza e così poca allegria, tutto questo mi dà la nausea. Del resto, ora non mi fa pena nessuno, nessuno tranne me stessa”.
P 302 “Il vagabondo rimase là a strisciare nel fango, in ginocchio, cercando i soldi trasportati dal vento, che affondavano nelle pozzanghere, e ancora per un’intera ora si poterono sentire nell’oscurità le sue rotte esclamazioni: “Eh, eh!”.”
Sesto Capitolo P 414 “Persuadete quattro membri del gruppo a fare la pelle al quinto, con la scusa che sta per denunciare tutti, e subito grazie a quel sangue versato li avrete legati tutto come un solo nodo. Diventeranno i vostri schiavi, non avranno il coraggio di ribellarsi e di chiedervi conto di nulla”
Settimo capitolo
P 420 “Questi cinque agitatori avevano formato il loro primo gruppo con l’ardente fede di essere solo un’unità tra le centinaia e le migliaia di quintetti simili tra loro sparsi per la Russia”
P 432 “Mi sono perso nei miei stessi dati e la mia conclusione è in aperta contraddizione con la mia idea di partenza. Partendo dalla libertà illimitata, la mia conclusione è il dispotismo illimitato.”
Capitolo ottavo
P446 “Ma io? Che vi servo io? […] Lo so, voi pensate che io abbia voglia di far ammazzare anche mia moglie. Legandomi a un delitto pensate certo di acquistare un potere su di me, non è così? A che vi serve questo potere? A che diavolo vi servo io?”
P 448 “Per lui ogni membro della società controlla l’altro ed è obbligato a fare la spia. Ognuno appartiene a tutti e tutti a ognuno. Sono tutti schiavi e uguali nella schiavitù. […] Per prima cosa bisogna abbassare il livello culturale, scientifico e delle qualità personali”
P449 “Sentite Stavrogin: livellare le montagne è una buona idea, non è ridicola. […] La cultura non serve, basta con la scienza! Anche senza la scienza c’è materiale per mille anni, ma prima bisogna costruire l’ubbidienza. Al mondo manca solo una cosa: l'ubbidienza. La brama di sapere è già una brama aristocratica. [….] E’ necessario solo il necessario, ecco d’ora in avanti lo slogan per il mondo intero. Ma servono anche le convulsioni… di questo ci occuperemo noi, i capi. Gli schiavi devono avere dei capi. Una totale ubbidienza, una totale spersonalizzazione, ma una volta ogni trent’anni Sigalev scatena anche una convulsione e di colpo tutti iniziano a divorarsi a vicenda, fino a un certo limite, unicamente per non farli annoiare. La noia è un sentimento aristocratico. Nello Sigalevismo non ci saranno desideri. Il desiderio e la sofferenza sono per noi, per gli schiavi c’è lo sigalevismo.”
P 452 “Ma una o due generazioni di depravazioni adesso sono necessarie. Una depravazione mai vista, ignobile, che trasformi l’essere umano in una porcheria schifo da, vile, brutale ed egoista… ecco cosa ci vuole!”
P 453 Parlando di Ivan, il principe ereditario, cioè Stavrogin secondo Petr Trofimovic “Lui c’è, ma nessuno l’ha mai visto, lui si nasconde. E, sapete?, magari possiamo anche mostrarvi a uno su centomila, per esempio. E poi si sentirà per tutta la terra: “L’abbiamo visto, l’abbiamo visto”.
Nono capitolo
P 462 “Ed è possibile credere nel demonio senza credere affatto in Dio?” disse Stavrogin si mise a ridere. “Oh, è possibilissimo, capita molto spesso.” Tichon sollevò gli occhi e sorrise […] “Al contrario, un ateismo assoluto è più rispettabile dell’indifferenza mondana”
P 467 “Ogni situazione infame, oltremodo umiliante, abietta e, soprattutto, ridicola in cui mi è capitato di trovarmi in vita mia ha sempre risvegliato in me, insieme a una collera illimitata, un piacere immenso”
P 471 “La ragione principale del mio odio era il ricordo di quel suo sorriso. Aveva concepito dentro di me un disprezzo e una ripugnanza illimitata, perché lei alla fine era corsa nell’angolo e si era coperta il volto. Fui preso da un’inspiegabile furia, poi sentii dei brividi.”
P 474 “Matresa si era impiccata”
P 483 Riguardo la pubblicazione della lettera di Stavrogin “Il raccapriccio sarà unanime e, certo, più falso che sincero. Gli uomini hanno paura solo di ciò che minaccia direttamente i loro interessi personali. Non mi riferisco alle anime pure: loro inorridiranno e accuseranno se stesse, ma passeranno inosservate. Invece il riso sarà generale.” “E aggiungete l’osservazione del pensatore: che nelle disgrazie degli altri c’è sempre un che di piacevole per noi”.
Decimo capitolo
P 510 “Non so perché, avevo la sensazione che anche la sua slitta stesse precipitando giù dallo scivolo”
P 517 “Tra di loro quella sregolatezza veniva fatta passare per allegria e quel cinismo da quattro soldi per intelligenza”
Terza parte
Primo capitolo p527 “…Una specie di rancore insaziabile. Pareva che tutti fossero terribilmente seccati di tutto. Regnava una specie di diffuso e confuso cinismo, un cinismo a oltranza, come forzato”.
P 545 Critica agli intellettuali “Ed ecco, là intorno doveva per forza crescere il citiso (il citiso o un’altra erba con un nome che bisogna cercare su un libro di botanica). Ecc”
P 547 Critica che continua “Lodatemi, lo sapete, mi piace da matti essere lodato.”
P 554 “.. l’umanità continuerebbe a vivere senza gli inglesi, anche senza la Germania… […] ma senza la bellezza no, non può. […] La scienza non durerebbe un minuto senza la bellezza.
P 555 Rimando al suggerimento di Ivan a Smerdjiakov “Vive di rapine e ultimamente ha compiuto un altro omicidio. Io vi voglio chiedere: se voi quindici anni fa non l’aveste mandato sotto le armi per pagare un debito di gioco o, più semplicemente, non l’aveste perso a carte, ditemi, lui ci sarebbe finito ai lavori forzati? Si sarebbe messo ad ammazzare la gente, come fa ora, nella sua lotta per l’esistenza?”
Secondo capitolo P 588 Il capitano Lebjadkin e la sorella Mar’ja Timofeevna assassinati (durante l’incendio).
Terzo capitolo P 612 “È l’amica di Stavrogin!” urlò qualcuno a questo punto. E da un’altra parte: “Non gli basta ammazzare la gente, vengono pure a guardare”: E a un tratto alle spalle di Liza vidi un pugno alzarsi sopra la sua testa e poi abbassarsi. Lei cadde. […] A quanto pare Liza si era rialzata, ma un altro colpo l’aveva fatta cadere di nuovo. All’improvviso la folla si allargò e si formò un piccolo cerchio intorno a Liza, stesa in terra. […] Ricordo soltanto che a un tratto lei venne portata via.
Quarto capitolo
P 621 “Non è il vostro programma questo? Di che potete accusarci?” “Di arbitrio!” Gridò furioso Petr Stepanovic
P 627 Parla Liputin “Anzi, credo che in Russia di queste centinaia di quintetti ci sia solo il nostro e non ci sia proprio nessuna rete”
P 633 Fed’ka svela Petr Stepanovic
Quinto capitolo P 652 “Perché leggere un libro e rilegarlo sono due distinte fasi del progresso, ognuna di enorme portata. […] La rilegatura invece significa già avere rispetto per il libro, significa che non si ama soltanto leggerlo, ma che si riconosce anche la sua importanza.”
P 664 “Ci sono dei secondi, non più di cinque o sei per volta, in cui si sente all'improvviso la presenza dell’armonia eterna, la si raggiunge appieno. […] Come se all’improvviso si sentisse tutta la natura e all'improvviso si dicesse: “sì, è vero”. […] Io questi cinque secondi io vivo una vita e per essi darei tutta la mia vita, perché ne vale la pena.”
Sesto capitolo P 681 “Resteremo solo noi che ci siamo predestinati in anticipo a prendere il potere: assoceremo gli intelligenti a noi, cavalcheremo gli imbecilli. […] Bisogna rieducare gli uomini per renderli degni della libertà”
P 683 Liputin scopre che sono l’unico quintetto
P 690 Parla Kirillov “Dio è necessario, perciò deve esistere” […] “Ma io so che Egli non esiste e non può esistere” […] “Davvero non capisci che è impossibile per un uomo con questi due pensieri restare in vita?”
P 692 “L’uomo non ha fatto altro che inventarsi Dio per vivere senza ucciderli. Tutta la storia universale finora si è ridotta a questo.”
P 698 Scena horror di Kirillov e Petr Stepanovic.
Settimo capitolo P 729 I demòni “E lì sul monte pascolava una grossa mandria di porci, e Gli chiesero di lasciarli entrare in quelle bestie. Egli glielo concesse. I demòni, usciti dall’uomo, entrarono nei porci, e la mandria si scaraventò giù dal precipizio nel lago e affogò. Visto ciò che era accaduto, i procari fuggirono e andarono a raccontarlo in città e per le campagne. E gli abitanti uscirono a vedere quel che era stato; e giunti da Gesù, trovarono l’uomo da cui erano usciti i demòni seduto ai Suoi piedi, vestito e di nuovo in sé, ed essi inorridirono. Ma chi aveva visto raccontò loro come era stato guarito l’indemoniato.”
Ottavo capitolo P 742 anche la moglie di satov e la figlioletta muoiono
P 750 “Tutto, sempre debole e fiacco”
P 752 Stavrogin si uccide “Aveva agito con premeditazione e che fino all’ultimo era stato cosciente. Dopo l’autopsia, i nostri medici hanno escluso del tutto e in modo reciso la pazzia”
Giudizio
Libro difficile per l’inizio lentissimo e la moltitudine dei personaggi. Diventa scorrevole da pagina 130-140, da lì il ritmo si mantiene abbastanza serrato. Il primo terzo ha un tono leggero, frivolo, morbido (nonostante la suggestione inquietante dell’ombra di Stavrogin), dal secondo terzo invece si fa duro, violento, cruento.
È un romanzo fortemente politico, di dura satira al nichilismo rivoluzionario. Ha un impianto, come sempre, filosofico interessante e sviluppato molto bene in diversi punti del romanzo; non credo che D. debba essere letto per il pensiero filosofico.
È pazzissimo, teatrale, carnevalesco, farsesco. Ci sono pianti, urla, strilli, nevrosi, febbri, malori, risate improvvise, fughe. La magia di D., cioè quella di creare personaggi veri, tridimensionali, reali, si riconferma anche in questo romanzo. Stavrogin, Petr Stepanovic, Kirillov, Satov e altri, sono tutti personaggi Dostoevskiani, o meglio Karamazoviani. “Proprio perché la nostra è una natura vasta, karamazoviana (a questo voglio arrivare), e può contenere ogni sorta di opposti e può contemplare in un sol colpo i due abissi, l’abisso che è sopra di noi, l’abisso degli ideali supremi, e l’abisso che è sotto di noi, l’abisso del peggiore e del più fetido degrado”
Temi
Quasi 150 pagine introduttive. Le prime 130/140 pagine sono introduttive. C’è soprattutto Stepan Trofimovic (padre di Petr Stepanovic), Varvara Petrovna (madre di Stavrogin) e un po’ di Liza. Ci sono molti riferimenti e allusioni al misterioso Stavrogin, su questo D. è bravissimo; non vediamo l’ora che appaia. Ma non succede niente. Le cose iniziano a muoversi a circa pagina 140. È un ritmo che ricorda I fratelli Karamazov (con la presentazione del padre, dei tre fratelli e l’incontro dallo Staretz) e che è veramente difficile da sostenere. Poi il libro parte e non ci si può staccare.
Stavrogin è male assoluto? Non ne sono sicuro. Di sicuro è un rappresentante del male disinteressato. S. ha fatto a Pietroburgo “una vita sarcastica” e si è sposato con la poveretta mezza matta, come dice Kirillov: “questo sia stato un nuovo esperimento compiuto da un uomo ormai sazio con lo scopo di sapere fino a che punto si possa portare una donna storpia e pazza”; inoltre a Pietroburgo ha compiuto il male peggiore, per D., cioè la violenza sui bambini. Ma c’è un ma. In primo luogo D. è bravissimo a spiegare questi crimini non in modo netto ma sempre a tinte un pochino fosche, imprecise. Un esempio: durante il racconto del peggiore crimine di S., D. ci butta dentro un enorme fatto laterale, cioè che la ragazzina si suicida. In secondo luogo, appunto, non sono sicuro che per D. esista un male assoluto. Nei demòni abbiamo diverse configurazioni di male tra S., Petr Stepanovic e Fed’ka (oltre al gruppetto dei cinque, ovviamente). Tanti approcci diversi al male proprio perché l’uomo è ampio e sfaccettato. Il “problema” di S. è che per lui non cambia nulla tra il bene e il male.; inoltre è tormentato da delle visioni, è tormentato dalla sua razionalità, dal fatto che riesce a “sentire” poco (“Tutto, sempre debole e fiacco”). Non è apatico: ha attacchi d’ira; semplicemente non ha discernimento, ma questo non lo porta a diventare un serial killer, è una faccenda più sottile. “Di rabbia in N.V. ce n’era forse più che in tutti e due messi insieme, ma era una rabbia fredda, calma e, per così dire, razionale, cioè il genere di rabbia più ripugnante e terribile che esista”
Nichilisti dell’800, i futuri dittatori comunisti. Una mia teoria. Nelle spiegazioni di come i nichilisti si immaginano la rivoluzione e il futuro della società, ritroviamo le deviazioni dittatoriali dei regimi comunisti. ““Mi sono perso nei miei stessi dati e la mia conclusione è in aperta contraddizione con la mia idea di partenza. Partendo dalla libertà illimitata, la mia conclusione è il dispotismo illimitato.” “Per lui ogni membro della società controlla l’altro ed è obbligato a fare la spia. Ognuno appartiene a tutti e tutti a ognuno. Sono tutti schiavi e uguali nella schiavitù. […] Per prima cosa bisogna abbassare il livello culturale, scientifico e delle qualità personali” “Sentite Stavrogin: livellare le montagne è una buona idea, non è ridicola. […] La cultura non serve, basta con la scienza! Anche senza la scienza c’è materiale per mille anni, ma prima bisogna costruire l’ubbidienza. Al mondo manca solo una cosa: l'ubbidienza. La brama di sapere è già una brama aristocratica. [….] E’ necessario solo il necessario, ecco d’ora in avanti lo slogan per il mondo intero. Ma servono anche le convulsioni… di questo ci occuperemo noi, i capi. Gli schiavi devono avere dei capi. Una totale ubbidienza, una totale spersonalizzazione, ma una volta ogni trent’anni Sigalev scatena anche una convulsione e di colpo tutti iniziano a divorarsi a vicenda, fino a un certo limite, unicamente per non farli annoiare. La noia è un sentimento aristocratico. Nello Sigalevismo non ci saranno desideri. Il desiderio e la sofferenza sono per noi, per gli schiavi c’è lo sigalevismo.”
Saremo tutti uguali ma io sarò un po’ più uguale degli altri “Gli schiavi devono avere dei capi.” “Resteremo solo noi che ci siamo predestinati in anticipo a prendere il potere: assoceremo gli intelligenti a noi, cavalcheremo gli imbecilli. […] Bisogna rieducare gli uomini per renderli degni della libertà” L’obiettivo dell’infido e manipolatore Petr Stepanovic è semplicemente il potere.
Punto di vista problematico, finché non diventa meno rilevante D. ha deciso di usare una prima persona. Chi racconta è Anton Lavrentievič G… v, amico di Stepan Trofimovic. Fin dall’inizio ogni spiegazione e ogni fatto è tirato per i capelli “per coincidenza c’ero” o cose simili. Per fortuna dalla seconda parte diventa più un narratore onnisciente e in effetti è il punto in cui il romanzo parte davvero.
Stepan Trofimovic, personaggio che non ho compreso Stepan è il padre di Petr Stepanovic e ha come personaggio due ruoli: il padre che fallisce e l’intellettuale sorpassato dai tempi. E ci sta. Però è spesso dentro alla scena senza reale motivo; fino all’ultimo D. dedica decine di pagine per la sua storia. Ma la sua è una storia molto meno significativa di quella degli altri; è un personaggio lagnoso, lamentoso, fastidioso, che riempie i periodi di intere frasi in francese.
Tichon è l’unica figura religiosa ma è resa come difettosa, imperfetta, non è un santone. Anche ne I fratelli Karamazov c’è una figura religiosa con una forte influenza sul protagonista (uno dei protagonisti, Alekseij), cioè lo Starezs Zosima. Ne I demòni c’è Tichon; D. lo “usa” per far confessare S. La cosa bella, al solito, è che Tichon è pieno di difetti, umano.
Continui riferimenti a D. a gente che parla male o scrive male (come le lettere di Stavrogin o i discorsi in pubblico). In ogni romanzo di D. noto che giudica male chi parla impappinandosi o confondendosi e chi scrive male, chi in generale si esprime male. È una turba di D., però mi fa effetto e mi fa capire ancora di più come mai D. scriva così bene.
La morte di Liza P 612 “È l’amica di Stavrogin!” urlò qualcuno a questo punto. E da un’altra parte: “Non gli basta ammazzare la gente, vengono pure a guardare”: E a un tratto alle spalle di Liza vidi un pugno alzarsi sopra la sua testa e poi abbassarsi. Lei cadde. […] A quanto pare Liza si era rialzata, ma un altro colpo l’aveva fatta cadere di nuovo. All’improvviso la folla si allargò e si formò un piccolo cerchio intorno a Liza, stesa in terra. […] Ricordo soltanto che a un tratto lei venne portata via.” Questa parte mi ha francamente sconvolto: Liza fino allora era stata innocente, pulita, fresca, un personaggio a cui non poteva andare nulla di particolarmente storto. E invece.
Ci sono solo due veri demoni, gli altri si sono aggregati senza neanche sapere bene perché. I due veri demòni sono Stavrogin e Stepanovic. La banda di accoliti nichilisti è composta da gente infervorata, sicura, decisa, che però si scioglie al sole alla prima vera azione prorompente, cioè l’uccisione di Satov. Diventano pieni di dubbi e insicuri. Perfino Fed’ka, assassino, ha una sorta di giustificazione. “Vive di rapine e ultimamente ha compiuto un altro omicidio. Io vi voglio chiedere: se voi quindici anni fa non l’aveste mandato sotto le armi per pagare un debito di gioco o, più semplicemente, non l’aveste perso a carte, ditemi, lui ci sarebbe finito ai lavori forzati? Si sarebbe messo ad ammazzare la gente, come fa ora, nella sua lotta per l’esistenza?” Forse solo Kirillov ci ha ragionato bene, e infatti è forse l’emblema del nichilismo più puro.
Petr Stepanovic doveva essere protagonista ma poi è spuntato Stavrogin. Lo dice D. stesso, e questo mi affascina perché immagino che il romanzo, a un certo punto, prenda vita ed esiga cose diverse da quelle preventivate.
D. è contro le ideologie. Le ideologie sono idiozie per D. perché appiattiscono l’animo umano dietro il velo del gruppo. Per D. perfino la fede nasce dal dubbio, quindi ognuno è un’isola che deve combattere coi propri demòni e decidere la propria strada (o ancora meglio subire la vita a modo suo).
D è teatrale come scenografie, dialoghi, comportamenti. Prima di tutto le scenografie sono spesso quelle: interni di case in legno un po’ malandate, scale; l’inquadratura è spesso stretta e al chiuso. Si sta poco in viaggio, ad esempio. Secondo: i dialoghi. Sono coloriti, esagerati, marcati, appunto teatrali. E poi i singoli comportamenti delle persone, le reazioni sono pazze, furiosi, carnevalesche, esagerate. Pianti, urla, strilli, nevrosi, febbri, malori, risate improvvise, fughe.
La motivazioni che spinge i personaggi sono estremamente comprensibili e umane. D. è uno scrittore eccellente perché crea personaggi (e storie) che parlano a noi, a me. I personaggi sono reali, tridimensionali. Le motivazioni che li muovono sono comprensibilissime, le reazioni pure. Ognuno ha un’infinità di pregi e un’infinità di difetti. Le idee sono sfaccettate, complesse, argomentate.
Per Stavrogin Dio non esiste quindi bene o male si confondono? Non sono d’accordo. Non è guidato dall'idea quanto dall'istinto. Lui sente di godere nel fare del male tanto quanto gode nel fare del bene. Ha spiegato il suo sentire con un ragionamento filosofico, non il contrario. “Ogni situazione infame, oltremodo umiliante, abietta e, soprattutto, ridicola in cui mi è capitato di trovarmi in vita mia ha sempre risvegliato in me, insieme a una collera illimitata, un piacere immenso”
Se pensi che basti la ragione per capire il mondo pagherai care conseguenze; e se non le pensi, le pagherai lo stesso.
Frase di Rick DuFer perfetta per descrivere le opere di Dostoevskij.
Trama tratta da fatti reali D. prende spunto da un fatto veramente accaduto: nel 1869 Sergej Gennadievič Nečaev uccise Ivan Ivanov perché voleva uscire dalla loro setta nichilista. Nel romanzo il primo è Petr Stepanovic, il secondo Satov. D. fa spesso così; anche per Delitto e castigo prese spunto dai giornali perché effettivamente era un grande lettore di giornali.
Visioni. È un altro sé stesso S. ha le visioni, lo confessa a Tichon. Ciò che vede è un altro sé, un sé cattivo. Tema del sosia. Mi azzardo a dire che per D. dentro ognuno c’è più di una persona, proprio perché siamo complessissimi e sfaccettati.
Come giudicare le conseguenze di un suggerimento? È colpa del suggeritore o di chi agisce? Tema de I fratelli Karamazov. Rimando al suggerimento di Ivan a Smerdjiakov “Vive di rapine e ultimamente ha compiuto un altro omicidio. Io vi voglio chiedere: se voi quindici anni fa non l’aveste mandato sotto le armi per pagare un debito di gioco o, più semplicemente, non l’aveste perso a carte, ditemi, lui ci sarebbe finito ai lavori forzati? Si sarebbe messo ad ammazzare la gente, come fa ora, nella sua lotta per l’esistenza?” Un tema etico molto spinoso perché riguarda la responsabilità e il libero arbitrio. Dato che sono qua per ciarlare, dico la mia: tra Fed’ka e Smerdjakov c’è una differenza enorme. Il secondo, lucidamente e con tutte le possibilità davanti a sé, ha scelto coscientemente di uccidere Fedor Karamazov. Sul primo ci sono delle attenuanti date dall’ambiente di vita, dal contesto sociale; questo non lo rende meno colpevole ma, in un processo ideale, andrebbero considerate.
È un romanzo filosofico? Sì ma non serve. D. ha un complesso impianto filosofico (che tradotto vor dì che ficca nei libri tante belle idee) e anche nei Demòni ha tanto da dire. Non “serve” leggere i Demòni per questo. Non serve saperne di filosofia. Non serve leggerlo per approfondire i temi filosofici tipici di D.
E soprattutto non serve averne paura per questo. In primo luogo è un bellissimo romanzo e va preso, secondo me, per questo. Tutti i livelli che non siano “romanzo” rischiano solo di frenare e scoraggiare una bellissima lettura e francamente mi sono rotto di tutti questi paletti.
Poi, a parte, sussurrando per non farmi sentire, dico che D. non credo vada letto per l’impianto filosofico in sé ma per lo scrittore che è, per come riesce a leggerci dentro e a tratteggiare meravigliosamente l’assurdo animo umano.
È un romanzo politico? Sì ma non serve. Uguale come sopra: leggetevi sto maledettissimo romanzo, se vi va, perché è bello, secondo me, e vi fa passare qualche giorno immersi in una bella storia, scritta meravigliosamente e che vi trascinerà lontano. Punto. Ci volete vedere altro? Perfetto! Ma che non sia una scusa idiota per non leggerlo.
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Pastorale americana

Pastorale americana è un romanzo di Philip Roth scritto nel 1997 e che gli fece vincere il Pulitzer nell’anno successivo.
E’ il primo della trilogia di Zuckerman, protagonista dei romanzi e alter ego di Roth; poi arriveranno “Ho sposato un comunista” e “La macchia umana”.
Struttura del romanzo
E’ strutturato in 3 parti, ogni parte ha 3 capitoli. Le tre parti sono: “paradiso ricordato”, “la caduta”, “paradiso perduto”. Ha circa 450 pagine. Le tre parti evidenziano i tre atti del romanzo.
Personaggi
Nathan Zuckerman. Voce narrante, è l’alter ego di Roth. E’ un uomo in là con gli anni, scrittore, si è appena operato alla prostata e ha ricordi brillanti dello svedese alla high school.
Seymour Levov “lo svedese”. Protagonista del romanzo. Fin da ragazzo è stato “perfetto”; fisicamente era alto, biondo, robusto, bellissimo; riusciva in tutti gli sport senza particolare fatica; era gentile, educato, in gamba, altruista, era ammirato da tutta la scuola; poi diventa un imprenditore di successo, sposato con la Miss New Jersey.
Dawn Levov. Miss New Jersey (aspetto cruciale) e moglie dello svedese.
Meredith “Merry” Levov. Figlia dello svedese. Intelligente, vispa, molto testarda. Ha un unico difetto: la balbuzie.
Jerry Levov. Fratello dello svedese. Sempre in secondo piano rispetto al fratello maggiore. Sviluppa un carattere completamente diverso, molto tagliente e diretto. Diventerà il miglior cardiochirurgo della Florida. Divorziato 4 volte.
Lou Levov. Padre dello svedese, guantaio e ossessionato dai guanti e dall’industria dei guanti. Personalità ingombrante e netta. Conservatore nei modi, ebreo fino al midollo.
Rita Cohen. Ragazza misteriosa, amica di Merry, stessa età. Aiuterà lo svedese a ritrovare Merry.
Sheila Salzaman. Logopedista di Merry. Diventerà importante.
Contesto
Il romanzo è ambientato nel New Jersey, soprattutto a Newark e nei paesini attorno, tra gli anni quaranta e gli anni settanta.
L’ambiente culturale è quello bianco ebreo della classa medio alta. Come sempre, per Roth.
Si sente fortissimo il contesto culturale di due specifici periodi: intorno agli anni della guerra, quando Zuckerman e lo svedese erano all’high school e la fine degli anni ‘60 e inizio anni ‘70, quando oltre alle rivolte culturali e sociali, ci fu la guerra del Vietnam (che scatenò proteste violentissime), la crisi del Watertgate e i disordini a Newark, città dove i Levov hanno la fabbrica.
Intanto i tempi stanno cambiando, la società statunitense sta cambiando. Sono questi sconvolgimenti, questa confusione, questa ricerca di risposte che fa crollare tutto.
Trama
Prima parte.
Zuckerman ricorda la vita perfetta e il grande successo avuto da giovane dallo svedese. Incontra il fratello dello svedese, Jerry, e altri compagni al raduno del quarantacinquesimo anno della high school.
Nel frattempo lo svedese lo contatta, che emozione!, per fargli scrivere la storia di successo di suo padre; si incontrano, quella è una scusa, ma lo svedese non si sbottona e non fa altro che raccontare la sua vita perfetta.
Poi Zuckerman scopre che lo svedese è morto ma che, soprattutto, sua figlia è responsabile di un attentato terroristico in cui è morta una persona.
Seconda parte.
La voce in terza persona non si occupa più di Zuckerman. Ripercorriamo il dramma dello svedese. Una vita perfetta da ogni punto di vista che si interrompe con la tragedia della figlia. Merry una volta compiuto l’attentato si dà alla macchia e non viene più ritrovata. I Levov vivono con questo enorme e insondabile peso. Soprattutto lo svedese si chiede come sia potuto succedere.
Incontra per la prima volta Rita Cohen, ragazza misteriosa, che gli chiede oggetti di Merry da portarle in clandestinità e soldi.
Terza parte.
Continua il racconto dello svedese negli anni di scomparsa di Merry. Ogni cosa, pagina dopo pagina, crolla.
Alcuni temi
Zuckerman o lo svedese Il protagonista è Zuckerman, tecnicamente. Il libro lo apre lui raccontando dello svedese. Ma poi, con l’andare delle pagine, scompare sullo sfondo, non si rifarà mai più vivo. L’unico e solo protagonista è lo svedese. Roth avrebbe potuto impostare il romanzo in modo completamente diverso.
I colpi di scena So che un romanzo può non vivere di trama e che la trama non sempre è rilevante; conta spesso di più lo stile. Quando ho approcciato Roth mi aspettavo un maestro di stile senza trama, alla “Stoner” o alla “Rumore bianco”. Invece la trama c’è. O meglio, non è solo questione di trama: ci sono i colpi di scena e i capovolgimenti. Roth si dimostra maestro nel prendere il lettore alla sprovvista per sorprenderlo e colpirlo inaspettatamente. Sa che il suo potere è immenso ma è bravissimo a dosarne la forza: sa che potrebbe esagerare e destare ancora più stupore ma a discapito della coerenza e della credibilità, quindi si tiene al margine perfetto.
Ritmo Ha un ritmo stranissimo, esattamente come l’unico altro romanzo (grosso) che io abbia letto di Roth, La macchia umana. Il lamento di Portnoy è simile ma di un’altra categoria, è più fresco e leggero. Una dimensione quotidiana e reale. In questa dimensione ci sono fatti come il ritrovo degli ex alunni o il racconto della giovinezza dello svedese, o ancora il loro incontro. Non ci sono riflessioni particolari ma è un racconto descrittivo, puntuale, lineare. Una seconda dimensione introspettiva. Pagine e pagine di introspezione dello svedese che si dilania di dubbi e angosce. Sono pagine più lente, viscose, che vanno avanti anche parecchio e sembrano davvero non portare a nulla. Sono pagine necessarie perché Roth rende perfettamente i moti dell’animo umani. Una terza dimensione teatrale. Teatrale nel senso che in questa dimensione ci sono i racconti dei drammi: Merry che fa esplodere il negozio, lo svedese che incontra Rita Cohen, lo svedese che ritrova Merry, o anche la cena finale. Sono sprazzi di azione e dialoghi tragici, assurdi. Il ritmo cambia ancora e si fa più serrato, pur rimanendo dentro la testa dello svedese, con tutti i suoi dubbi e angosce.
Rita Cohen Il personaggio di Rita Cohen mi ha disturbato. Mi ha ricordato i personaggi disturbati di Dostoevskji in quanto ricercatori del male e manipolatori. La sua presenza esaspera lo svedese. Ma non ho capito se è reale o no, e anche questo è un tocco di genio di Roth.
È un bel romanzo? È bellissimo. Non riesco a capire se sia meglio della macchia umana o no però io cedo completamente davanti a libri simili di Roth. Densi di introspezione, di fatti umani, di colpi di scena.
È scritto bene? Ritengo Roth il miglior scrittore che abbia mai letto insieme a Dostoevskij. Sto elaborando cosa vuol dire "bella scrittura", al momento dico solo che Roth è precisissimo, puntuale, tagliente, gestisce benissimo il ritmo e usa le parole in modo magistrale.
Frasi/Stralci P 41 “Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e,dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di avere ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite…Beh, siete fortunati.”
P 69 “”Comunque, era tutto quello che avevo per non farmi sommergere dalla merda. -Merda? Che vuoi dire? -L’immagine che abbiamo l’uno dell'altro. Strati e strati d’incomprensione. L’immagine che abbiamo di noi stessi. Vana. Presuntuosa. Completamente distorta. Ma noi tiriamo diritto e viviamo di queste immagini.””
P 88 “Aveva imparato la lezione peggiore che la vita possa insegnare: che non c’è un senso.”
P 141 “Questa si chiama lustrina e quello si chiama palizzone e tu ti chiami dolcezza e io mi chiamo papino e questo si chiama vivere e l’altro si chiama morire e questa si chiama follia e questo si chiama piangere qualcuno che è morto e questo si chiama infermo, inferno pur ee semplice, e devi essergli molto legato per resistere, e questo si chiama sforzarsi-di-tirare-avanti-come-se-niente-fosse e questo si chiama pagare-il-prezzo-intero-ma-perché-in-nome-di-Dio?, questo si chiama vorrei-essere-morto-e-vorrei-trovarla-e-ucciderla-e-salvarla-da-tutto-quello-che-starà-passando-ovunque-sia-in-questo-momento, questo sfogo incontrollabile si chiama cancellare-tutto, e non funziona, sto perdendo la testa, troppo grande è la forza devastante di quella bomba…”
P 188 “E, nella vita di tutti i giorni, nient’altro da fare che continuare rispettabilmente ad avere l’enorme pretesa di essere se stesso, con tutta l0inta di essere, invece, solo la maschera di uomo ideale”
P 245 “Sì, siamo soli, profondamente soli, e in serbo per noi, sempre, c’è uno strato di solitudine ancora più profondo. […] Puoi cercare di tirar fuori tutto quello che hai dentro, ma allora non sarai altro che questo: vuoto e solo anziché pieno e solo.”
P 257 “Come potevano, i loro innocui difetti, aver contribuito a produrre questo essere umano?”
P 300 “La vita è solo un breve periodo di tempo nel quale siamo vivi. Meredith Levov, 1964”
P 304 “Nulla di tutto questo è vero. Cause, risposte chiare, a chi dare la colpa. Ragioni. Ma non ci sono ragioni. Merry è costretta a essere ciò che è. Come tutti noi. Le ragioni si trovano nei libri. […] Nessuno ne sa niente. Non è razionale. È il caos. È il caos, dall’inizio alla fine”
P 385 “Il cervello di tutti era dunque infido come il suo? E era lui l’unica incapace di vedere cosa stava macchinando la gente? Sgattaiolavano tutti qua e là come faceva lui, dentro e fuori, dentro e fuori, cambiando cento volte al giorno, ora intelligente, ora abbastanza intelligente, ora stupido come tutti gli altri, ora il più stupido bastardo che fosse mai vissuto?”
P397 “Sua figlia era una folle assassina che si nascondeva sul pavimento di una stanza di Newark, sua moglie aveva un amante che fingeva di scoparla sopra il lavandino della cucina, la sua ex amante aveva portato coscientemente la sua famiglia al disastro e lui stava cercando d’ingraziarsi suo padre spaccando il capello di quattro.”
P 410 “L’unica cosa a cui poteva aggrapparsi mentre la sua grande impresa che era stata la sua vita continuava a sfrecciare verso la distruzione: una cena. E alla terrazza illuminata dalle candele fece doverosamente ritorno, sempre portando con sé tutto ciò che non riusciva a capire”:
P 443 “Era una dote o una capacità che non possedeva. Non aveva, semplicemente, la combinazione di quella serratura. Prendeva per buono chi lanciava i segnali della bontà. Prendeva per leale chi lanciava i segnali della lealtà. Prendeva per intelligente chi lanciava i segnali dell’intelligenza. E fino a quel momento non era riuscito a vedere dentro sua figlia, non era riuscito a vedere dentro sua moglie, non era riuscito a vedere dentro la sua unica amante: forse non aveva neppure cominciato a vedere dentro di sé. Cos’era, lui, spogliato di tutti i segnali che lanciava? La gente, dappertutto, si alzava in piedi urlando: -Questa persona sono io! QUesta persona sono io! - Ogni volta che li guardavi si alzavano e ti dicevano chi erano, e la verità era che non avevano, non più di quanto l’avesse lui, la minima idea di chi o che cosa fossero. Credevano anche loro ai segnali che lanciavano. Avrebbero dovuto alzarsi e gridare: -Questa persona non sono io! Questa persona non sono io! - L’avrebbero fatto, se avessero avuto un minimo di pure. -Questa persona non sono io! - Allora forse avresti saputo come procedere tra quei segnali, tra le innumerevoli stronzate di questo mondo.
#philip roth#roth#american pastoral#pastorale americana#libro#letteratura#la macchia umana#recensione#libri
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Povera gente, considerazioni generali

Direttamente da Wikipedia:
Povera gente è il primo romanzo di Fëdor Dostoevskij, che riuscì a scrivere in nove mesi. Fu pubblicato per la prima volta nel 1846, e fu subito acclamato dal critico letterario Vissarion Grigor'evič Belinskij, che definì l'autore come il nuovo Gogol'. Infatti questo romanzo è in parte ispirato al racconto di Gogol' Il cappotto, di cui il protagonista maschile è un copista.
Proprio come il racconto di Gogol', Povera gente dà un resoconto delle vite dei russi di umili condizioni nella metà del XIX secolo. Dostoevskij, dopo aver ascoltato i critici della prima edizione, modificò tre volte l'opera per finalizzarla: nel 1847, nel 1860 e nel 1865.
Attenzione quindi a tre aspetti:
1) è il primo romanzo mai scritto da Dostoevskij; fino allora aveva solo tradotto testi dal francese.
2) lo modifica più volte; dopo questo primo successo, infatti, anche a causa delle altissime aspettative che si erano create, è andato incontro a tantissime delusioni. I romanzi subito successivi, almeno fino al 1849, anno della condanna, non furono ben accolti dalla critica e Dostoevskij fu considerato un sopravvalutato.
3) è, appunto, l’unico romanzo pre condanna davvero significativo. Neanche Le notti bianche, a mio parere (e secondo anche molti critici letterari), è a livello del Dostoevskij post condanna.
È un romanzetto lungo circa 100 pagine molto godibile e leggibile, consigliatissimo per chiunque voglia approcciare Dostoevskij. Non ha la profondità dei romanzoni post condanna, né dal punto di vista filosofico nè di quello strutturale, però c’è Dostoevskij e si sente.
Ispirato al cappotto. Il protagonista ha similitudini per minutezza, carattere mite e timido e chiuso, limitato.
Povertà totale ed estrema, che Dostoevskij racconta bene. Le scene sono spettacolari: si parla di corridoi, scale, stambugi. Sofferenza, limitatezza, disperazione di mezzi.
Il giudizio altrui, l’essere accettato dalla società: makav non è preoccupato di non poter bere neanche il tè da quanto è povero, è preoccupato dalle chiacchiere della gente.
Makav è un personaggio di Dostoevskij: enorme, vastissimo. È un trascrittore, piccolo funzionario senza responsabilità né ambizioni. Non ha studiato, legge pochissimo, non ha relazioni sociali se non con Varen’ka.
In ufficio si fa piccolissimo, invisibile. Viene preso in giro sia in ufficio sia nel condominio e non capisce mai davvero quanto venga preso in giro. È succube, sciocco. Lo scrittore che a un certo punto lo schernisce , prima lo fa stare male; poi le cose cambiano e lo scrittore, da classica persona normale ipocrita, dice che non lo prendeva in giro veramente e che pensa bene di lui, e lui ci crede.
Un’altro fatto che lo rende normale: cambia idea più volte su Fedora, l’amica e padrona di casa di Varenk’ka; è una banderuola.
Varen’ka è un’altra disperata. Orfana, limitata nel fisico soprattutto, non sa fare altro che cucire, è sempre malata. Non sa cosa fare, come vivere. Si fa dare, inconsapevolmente, soldi dal poverissimo Makav, poi quando scopre i sacrifici di lui si strugge. Alla fine, come unica soluzione c’è sposarsi con un uomo ricco che non conosce, lei non conosce altri modi.
Romanzo brevissimo, scorrevolissimo che racconta la disperazione e i rapporti strazianti tra esseri umani vastissimi. Un piccolo concentrato del Dostoevskij che arriverà 10-15 anni buoni più tardi.
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Recensioni pazzerelle
Delitto e castigo
Writing this was a crime and reading it was a punishment.
Instead of reading this book, drink vodka in a dark room and think depressing thoughts. That will give you about the same experience and you'll have a better time.
I read the first 100 pages and found myself thinking at several rambling points, "my god I don't give a fuck."
I felt like I should have liked it, but just couldn't.
Life is short, don’t read this lol
Initially I gave this book two stars, but on reflection, I'm deducting one.
Oblomov
Incredibly boring. >100 pages about a man who can't get up >100 pages about his boring dream of happiness where nothing happens >100 pages about him being shaken a little bit by a woman >100 pages about him being afraid of what ppl would say > 100 pages about him falling in love with a nice and considerate housewife who moves her elbows all the time >100 pages about his friend and "ex-gf" being in love and wondering how that old damn Oblomov can be saved
I had to read this in my 19th Century Russian lit course in college. This is another "shoot me now, PLEASE" books.
Very slow and depressing, a good reminder of a lifestyle one should Not lead.
Il Maestro e Margherita
The Chicago Tribune wrote: “The book is by turns hilarious, mysterious, contemplative and poignant, and everywhere full of rich descriptive passages.” Hilarious and contemplative my ass, CT. This book is an interminable slog.
I understand this book is a classic. I guess any leaden, murky, plotless book can be a classic, and this is a great example of that.
I started reading this book when I was in a very bad place. Finishing this made me realise if I can survive this painfully long and tortuous piece of literature, I can do anything.
I would gladly sell my soul to Woland if he promised to erase this book from my memory!
I never review anything. Why should you care about my opinion? However, what was most disappointing to me was that this book kept appearing on multiple lists of things I might enjoy based on things I've enjoyed in the past. I expected the internet to be right, and I'm angry that it failed me.
Whoever told me The Master and Margarita is Russia's greatest literary work should be sent to Siberia.
The author died before he could finish it. I’m sure that’s why it was so…incomprehensible …
Notre Dame de Paris
i would rather have had someone shoot me in the head with a nail gun, repeatedly, than have to read this again
I was not expecting this... I am almost lost for words - unlike HUGO of course who seemed to have words coming out of his ears..boy did this guy ramble on.
What a horror of a novel! A plot that a gargoyle would have trouble swallowing, a lecherous priest, an abysmally stupid young woman, and the hunchback who loves her but but whose misunderstandings lead indirectly to her death, and all written in the sort of dreadful Gothic style I have trouble tolerating for one chapter, much less 560 pages.
Il Signore degli Anelli
Save time... watch the movies.
can be summarised as: walking, walking, walking, bit of fighting with orcs, walking, walking, walking, anguish, walking, walking, walking, bit more fighting with orcs, walking, walking, walking.
i am tempted to go out and buy a wobbly table just so I can put this book to good use.
Based on the hit movies of the same name! The author of these novelizations took way too many liberties with the story line.
The lord of the rings wasn't even really IN this book, it was about short people who could barely manage rings at all. One star.
This book is boring, insufferable from the very first page. Those hobbits took like 100 or 120 pages to go out of their homes, cross the garden and go inside the forest. Leaving a village of 30 people took them like seven human years. Close the book to never open it again. And don't watch the movie either, it's even worst.
Se questo è un uomo
ok mi dispiace della tragedia che c’è dietro a questo libro ma è leggermente ripetitivo
noia
I fratelli Karamazov
Let me save you 900 pages and untold man hours: rich Russian asshole family members drink, yell, whore, steal one another's mates, murder, more screaming, philosophizing, more screaming, no subtlety to anything, all conversation between characters so over-the-top and full of passion as to be unrelatable. This was probably one of the biggest, most drawn-out yawns I have ever committed my time to.
Shame on you Mr Dostoyevsky.
This book was torture from start to finish. I forced myself to finish it only because I very quickly decided I would not be beaten by this pile of crap.
So that was 34 hours of my life that I can’t get back.
literally traumatizing. not a slay. nobody told dostoevsky to shut the fuck up and it shows
Memorie dal sottosuolo
They should’ve left it in Russian only
“So it is hardly literature so much as a corrective punishment” A punishment for us both Dostoyevsky.
An angry book about an angry man written for angry men. Whatever this genre of book is, I hope I never read anything like it again.
If you are suffering from a toothache or just got your wisdom teeth out, read chapter 4 of notes from underground. Or maybe don’t, it will only make you feel worse.
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I fratelli Karamazov - Analisi e considerazioni

I fratelli Karamazov è l’ultimo romanzo dell’autore russo Fëdor Dostoevskij, è stato pubblicato a puntate su Il messaggero russo dal gennaio 1879 al novembre 1880, lo scrittore morì meno di quattro mesi dopo la sua pubblicazione.
Trama
Il fulcro della trama è il parricidio del capofamiglia Karamazov. Nella prima parte del romanzo Dostoevskij descrive e racconta i personaggi principali. Ci sono vicende romantiche, litigi e questioni di soldi.
Poi arriva l’omicidio. In seguito ci saranno interrogatori, dubbi e un grande e approfondito processo.
Personaggi
Fedor Pavlovic Karamazov. Capofamiglia, sposato due volte, benestante proprietario terriero e usuraio, ha tre servitori. Ha una personalità brutale, violenta, cattiva. Gli piacciono i piaceri della carne, ignora i figli e pensa solo a sé stesso. Ubriacone, tirchio, probabilmente stupratore.
Dimitrij o Mitjia. Primogenito, figlio della prima moglie di Fedor Pavlovic, poi cresciuto dal suo servo, Grigorij. Ex comandante dell’esercito, alto, robusto e forte. È buono e generoso ma anche impulsivo e manesco. “Cede alla vita”, non sa gestire i soldi o le relazioni e vive a 3000 all’ora. È il personaggio a cui succedono più cose e attorno a cui si svolge la trama.
Ivan. Secondogenito, primo figlio della seconda moglie di Fedor Pavlovic. Introverso, chiuso, intelligentissimo e non credente. Ha anche tratti asociali e cinici. Nella prima parte del romanzo filosofeggia sull’ateismo e dio, nella seconda parte entra in crisi.
Aleksej o Alesa. Terzogenito e, per Dostoevskij, protagonista del romanzo. È il puro, il buono, l’anima bella. È estremamente credente, casto, sincero e onesto.
Katerina Ivanovna. Nobile che, in guai finanziari, chiede un prestito a Dimitrji per poi diventare sua promessa sposa. Poi viene tradita dallo stesso e gli presta 3000 rubli, che non rivedrà mai più. Si innamora di Ivan ma vive con profondo struggimento il rapporto con Dimitrji.
Agrafena Aleksandrovna Svetlova o Grušenka. Giovane ragazza che a 17 anni è stata abbandonata da un ufficiale polacco e successivamente passò sotto la protezione di un avaro tiranno. È ammaliante, provocante e con una personalità disturbata. Irretisce sia Dimitrij che Fedor Pavlovic.
Smerdjiakov. Figlio illegittimo di Fedor Pavlovic che viene cresciuto dal servo Grigorij. Asociale, chiuso, strano, intelligentissimo. Manipolatore, viscido, infido, personalità disturbata. Soffre di epilessia.
Koljia. Ragazzo che conosciamo nella seconda parte del libro. Sveglio, attento e intelligente, farà conoscenza e amicizia con Aleksej.
Iljusa. Bambino prima solo, poi malato. Ha un carattere orgogliosissimo e sarà una figura importante nel romanzo. Conosce Aleksej, che gli dà una mano più volte. Finisce il romanzo.
Spunti e riflessioni
Alcuni spunti e riflessioni in rigoroso disordine.
Approfondimento sul funzionamento della giustizia imponente e prezioso. La parte dell’indagine prima e del processo poi, tratta con grande attenzione la questione Giustizia. Si parla di diritti degli indagati, di condanne oltre ogni ragionevole dubbio, di giustizialismo, di fallacia della memoria, della necessità di una dimostrazione. “Meglio rilasciare 10 colpevoli che condannare un solo innocente!”. È una questione che mi ha affascinato in quanto il tema delle prigioni, del giustizialismo e della pena giusta lo sento molto vicino.
Presenza di personaggi femminili complessi, sfaccettati e fondamentali: Katerina Ivanovna e Grusen’ka. Ho letto in alcune recensioni che in questo libro, “come in tutti i romanzi dell’800”, non ci sono figure femminili di spicco. Sono fortemente contrario a questa opinione. I protagonisti sono i fratelli Karamazov, che sono maschi, ma l’intera storia si regge su due grandi protagoniste, Katja e Grusen’ka. Sono personaggi niente affatto monodimensionali o trattati con superficialità. Soprattutto Grusen’ka, direi, è un personaggio sfaccettato, sofisticato, complesso, straziato da ipocrisie e moti dell’animo umano.
Non c’è un cattivo assoluto. Ogni cattivo, da Fedor Pavlovic a Smerdjiakov a Liza a Rakitin non è un cattivo totale. Ha debolezze, istinti, lati positivi. È un tema che tratterò anche più avanti perché gira attorno al filo conduttore della realisticità dei personaggi. I “cattivi” in questo libro, come in altri di Dostoevskij, non sono macchiette, non sono cattivi senza motivi, giusto per fare da controparte. Sono esseri umani e sono anche loro sofisticati. In questo modo noi li percepiamo in modo molto più realistico: sono cattivi veri.
Troppi rubli, ma è un problema mio. Noto con dispiacere che non c’è povertà totale tipo come quella di Delitto e castigo. Ci sono i soldi di mezzo ma si parla di rubli, anzi migliaia di rubli, e non di copeche. Secondo me Dostoevskij dà il meglio quando racconta anche il disagio totale economico.
I tre fratelli sono tipi di personalità? All’inizio del libro Dostoevskij descrive i tre fratelli in modo preciso, frontale. Sembra voler dire: ogni fratello ha una personalità precisa, “macchiettistica”, e li uso per dimostrare qualcosa di preciso con ognuno di loro. Ho anche letto recensioni di questo parere. Secondo me non è così. O meglio, Dostoevskij all’inizio li vende così, In realtà sono sofisticati e sfaccettati, e più va avanti il romanzo e più capiamo la loro complessità. Anzi, come dice Dostoevskij, sono “vasti”.
Aleksej, protagonista banale. Aleksej è il personaggio più piatto. Non ha praticamente mai cedimenti sulla fede e sulle sue convinzioni. Non ha sostanziali punti deboli. Le parti che lo rendono più vivo, infatti, sono quei pochi dialoghi in cui è in difficoltà e balbetta o arrosisce o si arrabbia.
Ivan non è affatto il cattivo, secondo me. Si dice che Ivan sia il cattivo per aver suggerito il delitto; secondo me è un modo di Dostoevskij per smuovere un ragionamento astratto, filosofico, non lo vuole davvero dipingere come il vero mandante del delitto, anzi. I cattivi principali sono il padre e Smerdjiakov, punto. Ivan è un tipo, una persona normale con idee precise e forti ma è sbagliato definirlo un cattivo. E non è neanche il protagonista, che è Dmitrij. Lui viene preso dentro in quanto portatore dell’idea che se dio non esiste allora tutto è lecito e per aver “suggerito” il delitto.
Dmitrij è un personaggio splendido. Uno dei migliori mai letti. Vastissimo, contraddittorio, complesso. È buono, generoso, passionale ma anche istintivo, violento, geloso, sempliciotto. Ogni tanto fa cose senza neanche sapere bene perché, ha dei principi tutti suoi e un po’ irrazionali se visti da fuori, è continuamente nel dubbio e avvinto dalla contraddizione dei suoi desideri e pulsioni.
L’unica parte del libro difficile e lenta. Una nota dolente in termini di scorrevolezza della trama è la seconda digressione, quella riguardo la biografia dello Starets Zosima. Mi riferisco al libro sesto intitolato “Il monaco russo” in cui per circa 50 pagine ci viene raccontata la vita dello staretz, che però è veramente poco interessante. Si salva solo un capitolo perché Dostoevskij inserisce improvvisamente uno sconosciuto che ha avuto a che fare con lo staretz: ecco, questo singolo capitolo è ottimo. Il resto è davvero lento e noioso.
La trama è una soap opera. Gli intrecci d’amore sono veramente marcati, esagerati e un po’ macchiettistici. Mi sembra di capire, però, che i “mattoni russi” spesso sono così. E sono belli per questo. È tutto molto marcato, carnevalesco, teatrale, esagerato. C’è gente che si strugge, grida, piange a dirotto, si butta ai piedi di altri, ha crisi e febbri nervose.
Romanzo o trattato filosofico? Parere mio: non c’è così tanta filosofia seria, qua dentro. O meglio, Dostoevskij ci ficca dentro alcune questioni che gli stanno a cuore e, per carità, vengono fuori con chiarezza. Ma l’impianto filosofico non è né preponderante né particolarmente originale. Un altro modo per dirlo: ci sono libri di filosofia molto più adeguati per approfondire alcuni temi. Ci sono pochissimi romanzi che, invece, sono così belli, profondi e trascinanti.
Alcuni temi filosofici trattati. Dio esiste o no? (Mi vorreste venire a dire che questo è un tema particolarmente profondo o originale o inaspettato o pazzeschissimo?) Se dio non esiste allora tutto è permesso. Dio è necessario per mettere limiti alla disgustosa natura umana. Come fa a esistere dio quando i bambini soffrono?
Responsabilità dell’inconscio. Il singolo ha responsabilità rispetto a idee teoriche espresse e poi eseguite da altri? Il singolo che, volontariamente o involontariamente, “ispira” crimini, va punito?
Conservatorismo versus il nuovo socialismo.
Non sto dicendo che non ci sia sostanza filosofica, per carità. Sto dicendo che in primo luogo è un romanzo piacevole da leggere, e va tenuto in considerazione, sennò si allontanano i potenziali lettori.
I personaggi. L’aspetto che mi è piaciuto di questo romanzo è la caratterizzazione dei personaggi. Sono tutti personaggi vivi, li puoi vedere e riconoscere, sono credibili. Due note che ho preso durante la lettura. La descrizione della natura umana come “vasta”, Karamazoviana nel senso di sfaccettata, una scala di grigi immensa. “Proprio perché la nostra è una natura vasta, karamazoviana (a questo voglio arrivare), e può contenere ogni sorta di opposti e può contemplare in un sol colpo i due abissi, l’abisso che è sopra di noi, l’abisso degli ideali supremi, e l’abisso che è sotto di noi, l’abisso del peggiore e del più fetido degrado”. Ci sono dialoghi pazzeschi e sembra di essere a teatro, talmente i personaggi sono vivi. Li vedi proprio vivere davanti a te. Sono insicuri, sfaccettati, contraddittori. Non c’è niente di bianco/nero, com’è, in effetti, la vita.
È un libro difficile? È un libro serio? È un libro “per pensare”? Senso di timore e reverenza per sto libro? No, grazie, non ha davvero senso. Partire dal presupposto che leggere I fratelli Karamazov sia (o debba essere) un’esperienza super seriosa che ci porterà a un nuovo livello di consapevolezza sul mondo e sui fatti umani con potenti dosi intravenose di filosofia, semplicemente non ha senso. Bisogna partire dal fatto che è un romanzo, punto. È lungo, sicuro; ci sono molti personaggi, sicuro; ci sono alcune divagazioni, sicuro. Ma è un romanzo. Anzi! Ciò che tutti si dimenticano di dire è che è un romanzo veramente buffo. È carnevalesco, esagerato, teatrale. Ogni due per tre c’è qualcuno che piange, si dispera, ha febbre nervosa, si butta a terra; c’è gente che si sbaciucchia, che bacia i “piedini”, che strilla, che si commuove. È tutto “tanto”, esagerato. Quello che voglio dire è che si può vivere questo libro anche con meno peso e angoscia, si può viverlo con serenità e con l’obiettivo di goderselo. Sennò non è un piacere ma un peso, un dovere, e non ha senso.
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Diario di lettura - I fratelli Karamazov

Premesse
Inizio questo libro intimorito dalla mole e dai pareri letti online: difficile, arzigogolato, lunghissimo.
Ho finito da poco Delitto e castigo e ne sono rimasto folgorato. In particolare, mi sono stupido della qualità della scrittura e della facilità di lettura; mi aspettavo di annoiarmi, di leggere capitoli non avvincenti o lunghissime descrizioni, invece è tutto l’opposto.
Poi ho affrontato Oblomov con le stesse preoccupazioni. Mattone russo: tantissimi nomi, trama complicata, lunghissime descrizioni: chissà se ce la farò, se ne varrà la pena. Ancora una volta ho trovato esattamente l’opposto: Oblomov è un romanzo frizzante, denso, godibilissimo.
Poi sono entrato nel “rabbithole” Dostoevskij. Mi affascina l’autore, i romanzi e i temi trattati. Voglio esplorare di più l’800 russo, la cultura russa, gli autori russi. Leggo “Sanguina ancora” di Paolo Nori, libro su Dostoevskij che mi dà anche tantissimi spunti letterari (ho comprato Puskin, Gogol, Turgenev, Tolstoj, molto altro Dostoevskij).
Così ho deciso di provare coi fratelli Karamazov. Il secondo libro più lungo che potrei leggere (Il signore degli anelli, 1150 pagine, è in prima posizione). Il libro più ampio e complesso di Dostoevskij, così pensavo.
Diario di lettura
Libro primo - Storia di una certa famigliola
Inizio fresco e tranquillo. Dostoevskij presenta i protagonisti. Prima il padre e poi, a turno, i figli: Dimitrij, Ivan e Alekseij. Ho trovato questa parte inusuale. Dostoevskij preferisce prima descrivere il carattere dei figli che “mostrare” il loro carattere con gli avvenimenti (lo farà, ma dopo). Strano. Eppure funziona; inizio a inquadrare i protagonisti per “categorie”. Il padre, Fedor Pavlovic, è un uomo benestante ma infido, avido, egoista e prono ai tradimenti, ai vizi, agli inganni. Dimitrij, Mitjia, è il primogenito. Ingenuo, buono ma anche estremamente cedevole alla bella vita, a sperperare denaro, ad andare a letto con più donne possibili, alle risse. Cede ai piaceri della vita. È sempre a corto di soldi. Ivan è “l’intelligente”, il cupo, il pensieroso, il razionale. Ha anche dei tratti un filo sadici o comunque cinici quando prende in giro, ad esempio, i credenti. Aleksej, Alesia, è il credente. Crede ciecamente in dio, si è fatto monaco, è buono, casto, un filo ingenuo, puro.
La struttura famigliare è semplice ma è scritto talmente bene che trovo questa parte comunque avvincente. Questa prima parte vola.
Secondo libro - Un’accolta inopportuna
Vanno tutti al monastero dallo Starets, il “monaco principale”, una specie di santo, perché possa aiutarli a dirimere lo scontro tra Dimitrij e suo padre. Mitjia vuole soldi, il padre non vuole darglieli. Il capitolo si svolge nel monastero ed è abbastanza veloce. C’è un capitolo in cui l’osservatore si sposta nelle fedeli che sono accorse per chiedere miracoli allo Starets; sembra un po’ campato in aria ma qui facciamo conoscenza di due importanti donne, la Chochlakova e la figlia disabile, che reincontreremo più avanti. È un capitolo in cui i caratteri dei personaggi iniziano a prendere forma. Ivan, acuto ma strafottente, Fedor Pavlovic, infido ed egomaniaco, Aleksej, timido e timorato di dio e dello Starets. Dialoghi interessantissimi proprio perché Dostoevskij è bravissimo a descrivere i personaggi che sono proprio vivi, sfaccettati, fatti carne e sangue. Non ci sono macchiette o personaggi stereotipati. La lettura è facile. Non ci sono digressioni o descrizioni, punto (stavo per aggiungere “noiose”, ma non c’è proprio nulla del genere).
Scopro in seguito una cosa che avevo preso con superficialità. Tra le donne che vanno a sentire lo Starets ce n’è una che ha perso 4 figli e l’ultimo la sta ammazzando di dolore. È distrutta. Il racconto dello straziamento è devastante. Scopro che il figlio si chiamava Aleksej, come il protagonista del romanzo e come il figlio morto di Dostoevskij stesso.
Libro terzo - Lussuriosi
Parte molto importante. Appaiono Katerina Ivanovna, Grusen’ka e Smerdjiakov, tre personaggi importantissimi. La prima è promessa a Dimitrj ed è amata da Ivan. La seconda ha fatto innamorare sia Dimitrj che il padre, Fedor Pavlovic. Il terzo è un servo di casa Karamazov con una storia molto avvincente. È appena introdotto, però si capisce che è un altro personaggio estremamente affascinante. Asociale, intelligente, autoriferito. Si capisce anche che Dimitrj è nei guai perché ha buttato all’aria 3000 rubli che gli aveva dato la Ivanovna affinché li inviasse alla sorella, per festeggiare e bagordare con la sua amante, Grusen’ka. Quindi Dimitrj ha un debito vergognoso con la sua fidanzata e un’amante che però è interessata anche a suo padre. In questo capitolo si capisce anche meglio Grusen’ka che è manipolatrice e infida. Inoltre c’è il primo scontro tra Dimitrj e il padre, che rimane contuso. Appunto, Dimitrj è di animo buono ma focoso e gli ci vuole poco a essere violento; inoltre col padre non solo ha in ballo la questione dei soldi ma anche un’amante. C’è anche un bellissimo dialogo tra il padre, Fedor, Aleksej, Ivan e Smerdjakov su dio e i credenti. Insomma, tanti avvenimenti che mi hanno coinvolto tantissimo perché i personaggi sono spremuti per bene e si vede ogni singola “tara” di ognuno.
Parte seconda
Libro quarto Straziamenti
Introduzione su padre Ferapont, monaco pazzo del monastero. Poi c’è una scena dalla Chochlakova e dalla Ivanovna dove c’è anche Ivan. Discutono. Dialoghi frizzantissimi. Parte molto scorrevole. Interessantissima la figlia disabile, con un animo irrequieto e nervoso. Aleksej incontra per caso un ragazzino scapestrato che viene picchiato da altri ragazzini, Iljusa. Ivan ha intenzione di partire e di andarsene per sempre a Mosca. Poi Aleksej va da un signore che era stato picchiato da Dimitrji per chiedergli perdono a suo nome, anche perché questo ex capitano era caduto in disgrazia (di cui Iljusa è figlio). Scena meravigliosa. C’è struggimento, emozione ma anche la rigidità morale di alcuni che fa sì che loro prendano la strada più impervia pur di non cedere, appunto, ai loro principi. Molto russa come cosa. Questa parte è relativamente breve, molto scorrevole e molto interessante.
Libro quinto Pro e contra
Avvenimento inaspettato per Aleksej, molto tenero e molto in linea con il suo carattere. Breve parentesi su Smerdjakov che serve a descrivere ancora meglio il suo carattere chiuso, scontroso, asociale, anche un po’ manipolatore. È anche affetto da epilessia. Poi arriva, finalmente, il momento topico del libro quinto: il grande inquisitore. Aleksej va alla ricerca di Dimitrji ma trova Ivan in una taverna, si fermano a parlare e discutono “di filosofia”. Ivan racconta a Alekseji questo suo racconto. Gesù torna nel 16esimo secolo e compie miracoli. Viene catturato e interrogato dal grande inquisitore che dice: sei venuto per ribadire la libertà totale per gli uomini ma gli uomini non se la meritano, hanno bisogno di regole, di una guida dura e ferma. Non sono in grado di sopportare il peso della verità. È la prima grande digressione. Il libro quinto dura 80 pagine, il grande inquisitore 27. Nonostante sia una digressione vera e propria, ficcata da Dostoevskij per “filosofeggiare”, è di facile lettura e molto interessante.
Libro sesto Il monaco russo
Il libro sesto dura circa 50 pagine ed è un’altra digressione. Si racconta la vita dello Starets, che nel frattempo muore. È una digressione bella e buona. È la parte più lenta e meno interessante che finora ho incontrato. C’è molta “religiosità” e cose religiose, pochi avvenimenti interessanti e molta “fede” nuda e cruda, quindi noiosa. Ci tengo a specificare: non è una parte difficile da leggere, è “solo” lenta e non in particolare sintonia con il resto del libro. Si riprende quando c’è il racconto dell’incontro tra lo Starets e un misterioso sconosciuto; capitolo avvincente e struggente, vero Dostoevskij. Però il libro sesto è il più lento e noioso proprio per il tema trattato.
Parte terza
Libro settimo Alesa
Parte stupenda. Il protagonista del libro è Alekseij, Alesa, come dice il narratore più volte, ma in questa parte prevale. Prima lo Staretz che muore crea scandalo e turba Alekseij. Poi Alekseij va a trovare la Grusen’ka e ci sono dialoghi meravigliosi. Alla fine Grusen’ka si rivela cattiva, sì, ma in modo sfaccettato e sofisticato, come ci si aspetta da un personaggio di Dostoevskij. Ha sofferto per amore; è combattuta e triste. Inoltre anche il monaco che l’ha accompagnato, che è una figura secondaria, è descritto benissimo: è un impiccione approfittatore e pettegolo e viene descritto in modo perfetto, tanto che, secondo me, può richiamare qualcuno in ognuno di noi. C’è un racconto struggente sulla cattiveria. Anche la donna più cattiva può redimersi, basta un cipollotto. Questa storia del cipollotto mi è molto rimasta. Capitolo freschissimo che vola, molto avvincente.
Libro ottavo Mitja
Qua il protagonista è Dimitrij. Noto solo ora quanto la scrittura di Dostoevskij si adatti ai personaggi. Questo capitolo è frenetico, confuso, carnevalesco, teatrale: è Dimitrij. Si raccontano le vicende di Dimitrij che deve tenere sotto controllo la Grusen’ka (ha paura vada dal padre) ma che allo stesso tempo deve trovare i 3000 rubli e inizia a subire lo stress devastante. Mena le mani, fa festa, sperpera denaro, ama follemente e in modo idiota, litiga, minaccia. Il libro ottavo è una gioia da leggere: scorre velocissimo e frenetico. Trasmette l’ansia e la confusione di Mitjia in modo magistrale. E finalmente si arriva al fattaccio.
Nota alla fine dell’ottavo libro. Sono estasiato dalla scrittura di Dostoevskij. Il libro, finora, è facilissimo da leggere, scorrevolissimo, avvincente, freschissimo. Una sola digressione stona per lucidità, secondo me, quella del monaco; davvero non necessaria, anche perché spezza tantissimo il ritmo. Per il resto sono completamente innamorato dei personaggi, sia quelli primari che i secondari, sono vivi e tangibili ed è facile amare, soffrire, gioire e temere insieme a loro. Altra nota. Da vera soap opera le storie d’amore. Questa cosa mi fa impazzire: il grande, serissimo, cupo Dostoevskij, il filosofo(!) che intreccia storie d’amore assurde, folli, sanguigne e senza senso.
Libro nono - L’indagine preliminare
Mitjia è accusato di aver ucciso il padre. In queste circa 80 pagine c’è l’interrogatorio a Dimitrji.
Noto con curiosità l’enorme rispetto del diritto della seconda metà dell’800 in russia. Testimoni, diritti, doveri, trascrizione di ogni parola. Non me l’aspettavo. La gestione della Giustizia è segno di enorme civiltà. Chiaramente non c’è un avvocato o altro ma questa prima parte di interrogatorio è inaspettatamente evoluta (per me, per le mie competenze). Il protagonista è Mitjia (Dmitrij), che però già conosciamo. Verso la fine si scopre quanto sia irrazionale e sconclusionato l’animo umano quando Mitjia non vuole ammettere una sua enorme inconfessabile vergogna, tanto che “i detective” quasi lo prendono in giro perché è tutto nella sua testa. Ripeto, Dostoevskij è magistrale nel dare vera sostanza ai personaggi. Si cita Smerdjiakov e si fa cenno che in effetti è anche lui figlio di Fedor Pavlovic; all’inizio ci sono dubbi che però vengono subito risolti. Credo di aver capito, tramite spoiler, che sia stato lui ad uccidere Fedor Pavlovic. Il libro nono si legge d’un fiato, è un vero e proprio thriller con un po’ di soap opera, un po’ di teatralità e pathos in più.
Libro decimo - Ragazzi
Una delle parti che mi sono piaciute di più. Si introduce Koljia, ragazzino sveglio, intelligente e di buon successo sociale ma che è clamorosamente influenzato dal giudizio di Aleksej. Un altro personaggio sfaccettato e pieno di contraddizioni: meraviglioso. Pensavo fosse una digressione e invece non lo è; non è legata alla trama principale, al delitto, ma non è una digressione vera e propria. Questa parte è dolce e commovente. Si riprende la storia di Iljusa e del capitano. Ci sono dialoghi pazzeschi e sembra di essere a teatro, talmente i personaggi sono vivi. Li vedi proprio vivere davanti a te. Sono insicuri, sfaccettati, contraddittori. Non c’è niente di bianco/nero, com’è, in effetti, la vita. Dura una cinquantina di pagina e vola che è un piacere. È fresco, scorrevole e, appunto, dolce e commovente.
Nota dopo il libro decimo Impressione a caldo dopo la lettura degli ultimi 2 libri di seguito: sono sopraffatto dalla realtà di questo romanzo, dalla moltitudine di cose che contiene. È tutto vivo, è tutto reale, è tutto vero.
Mancano solo 2 libri per circa 220 pagine. Il prossimo è su Ivan (l’ultimo fratello rimasto). E poi c’è il processo.
Libro undicesimo Il fratello Ivan Fedorovic
Libro lungo una novantina di pagine. È una parte molto importante per la storia. Alekseij incontra prima Grusen’ka poi la Chochlakova; Grusen’ka continua il suo rapporto teso e folle con Mitjia, ormai in carcere. La conosciamo: è manipolatoria e infida. La Chochlakova è logorroica e Dostoevskij rende molto realistico questo tratto. Poi nel capitolo “il demonietto” Alekseij incontra Liza, personaggio malato e sgradevole. Ha rinunciato a sposarsi con Alesia, lo tratta male e dimostra chiaramente di essere pazza. Inizia la parte con Ivan come protagonista. Mi aspettavo molto più Ivan ma invece la parte dedicata a lui è molto breve. Prima Ivan incontra Alesia che gli fa una sorta di “profezia”, gli dice che non è stato lui, Ivan, a uccidere il padre. Ivan lo prende per scemo. Poi Ivan inizia a rimuginare e a insospettirsi su Smerdjiakov; ci viene raccontato il loro rapporto in 3 capitoli e in 3 “interrogatori” che Ivan gli fa. Smerdjiakov è un personaggio meraviglioso. È manipolatorio, infido, viscido, egomaniaco. Sostanzialmente pazzo ma sempre sotto controllo. È descritto, tramite dialoghi, in modo perfetto. Ivan perde parecchie volte le staffe, si agita, si innervosisce. È un altro elemento da non sottovalutare: Ivan ci viene presentato, all’inizio, come personaggio sotto controllo, razionale, sarcastico. E invece, anche lui, è più complesso di così. È senza dubbio il personaggio negativo migliore e mi ricorda molto Svidrigajlov, di Delitto e castigo. La malvagità in Dostoevskij mi sembra non sia mai manifesta e violenta, è sottile, infida, manipolatrice. Si arriva al famoso principio di Ivan del “se dio non esiste allora tutto è lecito”, che dà il via a tutti gli avvenimenti. Poi si scopre il segreto di Ivan. A me ha ricordato molto Woland, ammetto, anche se immagino non c’entri niente. Capitolo meraviglioso che si legge tutto d’un fiato.
Libro dodicesimo Un errore giudiziario
Ultimo capitolone del romanzo. 110 pagine tutte dedicate al giorno del processo. Un ennesimo riferimento ai personaggi: anche qui, ovviamente, sono meravigliosi. Tutti sfaccettati, tutti complessi. Non c’è niente di banale, anche in quelli secondari. La prima parte del processo, in cui vengono ascoltati i testimoni ecc, dura una cinquantina di pagine. È densa ma veramente interessante. Ci sono dialoghi frizzantissimi e scene da commedia teatrale con gente che si dispera, crisi di pianto, strilli e urla pazze. Poi iniziano le 70 pagine di arringhe. Prima da parte dell’accusa poi della difesa. L’arringa dell’accusa si legge con facilità ma non dà spunti particolari, ovviamente, visto che sappiamo già tutto. Unica parte che mi ha colpito è la descrizione della natura umana come “vasta”, Karamazoviana nel senso di sfaccettata, una scala di grigi immensa. “Proprio perché la nostra è una natura vasta, karamazoviana (a questo voglio arrivare), e può contenere ogni sorta di opposti e può contemplare in un sol colpo i due abissi, l’abisso che è sopra di noi, l’abisso degli ideali supremi, e l’abisso che è sotto di noi, l’abisso del peggiore e del più fetido degrado”. Dostoevskij. La requisitoria della difesa è molto più intrigante. È un vero e proprio trattato sofisticato di teoria della Giustizia. Colpevole fino a prova contraria, il garantismo, la fallacia della memoria, la necessità di una dimostrazione. “Meglio rilasciare 10 colpevoli che condannare un solo innocente!”. Poi si conclude in modo lineare. È una parte sicuramente più lunga. È un vero e proprio processo quindi sembra quasi estraneo al libro per come l’ho affrontato finora. Però è godibilissima e facile da leggere.
Epilogo L’epilogo dura circa 15 pagine. Dostoevskij ha deciso di chiudere il libro in modo che definirei furbo, cioè commuovendo. È un epilogo semplicissimo ma, appunto, commovente e strappa lacrime.
Commento a caldo: che privilegio aver letto questo romanzo! Sono un po’ sopraffatto.
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