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Cosa dovremmo recensire secondo voi? #hardchoices #musicalreview #review #soundaround #cccp #fabriziomoro
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#guccini #francescoguccini #review #musicalreview #soundaround #incoming
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E così, anche il Maestrone molla. Molla perché è stanco, molla perché in musica non ha più molto da dire. Non lascia in gloria. "L'ultima Thule" è, come ora il suo autore, un album stanco, pigro, nostalgico. Ma capace comunque di qualche guizzo.
 Le otto tracce che compongono questo disco di addio sono un riassunto di temi tipicamente gucciniani: c’è la "Canzone di notte", ci sono i ricordi d'infanzia e le epifanie di una vita in "L'ultima volta", c'è l'"odore di dopoguerra" di "Quel giorno di aprile".
 Aggiunta molto efficace in questo senso è la ghironda, antico strumento a corda che dà ai due pezzi migliori del disco, "Su in collina" e "L'ultima Thule", il giusto tono epico. La prima, trasposizione di una storia dialettale partigiana, mescola il freddo dell'inverno e la desolazione della collina emiliana a una morte in guerra che gela il cuore. Con tono dimesso, Guccini riporta in luce la tragedia di un periodo troppo spesso svuotato del suo lato umano.
 Figlia di una gestazione lunga quasi quanto la sua carriera - era dai tempi di "Radici" che Guccini pensava a "L'ultima Thule" come titolo per il suo album conclusivo, la canzone sfrutta il mito medioevale dell'isola di ghiaccio e fuoco perduta all'estremo nord dei mari per intrecciare un'ultima volta vecchiaia, sogno e memoria. Senz'altro la traccia più incisiva del disco, è anche uno degli episodi musicalmente più entusiasmanti dell'intero canzoniere gucciniano: una cavalcata prog-folk in cui tastiere, fiati, percussioni, ghironda si rincorrono e fanno da contrappunto alla voce con energici motivi celtici.
La sua è una scelta onorevole. Avrebbe potuto andare ancora avanti, come tanti, centellinando dischi sempre più lontani e opachi. Diluire il poco rimasto da cantare, fingere che l'entusiasmo sia sempre quello di un tempo. Sarebbe stata, senza alcun dubbio, una morte un po' peggiore.
Voto 6,5
Ascolta qui: https://open.spotify.com/album/59DnJ7cUvaTem4WCosr92f
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#workinprogress #soundaround #review #musicalreview
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(via Funkadelic - Ain't That Funkin’ Kinda Hard On You? (feat. Kendrick Lamar & Ice Cube))
George Clinton pubblica a nome Funkadelic una nuova versione del brano Ain’t That Funkin’ Kinda Hard on You? della sua iconica funk band con nuove strofe fornite da Ice Cube, segnala Complex.
Precedentemente Clinton è comparso tra i crediti dell’ultimo album di Lamar, To Pimp A Butterfly ed ha accompagnato il rapper di Compton in occasione della vittoria per il Best Rap Album all’interno dei Grammy 2016. Di seguito l’ascolto del nuovo remix.
Il vecchio e il nuovo della black music. Imperdibile
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La morte di Fabrizio De André, oltre ad averci privato di uno dei massimi cantautori italiani di sempre ci ha lasciato un'orda di musicisti italioti che ha pensato bene di sovrapporre la propria voce a quella inconfondibile del cantautore genovese con esiti a volte improponibili.
Il cofanetto "In direzione ostinata e contraria" - a cominciare dal titolo è una perfetta sintesi della personalità di De André - rappresenta nel modo migliore l'eredità di una carriera quasi quarantennale, che ha sconvolto la canzone italiana, liberandola della stucchevole patina sentimentale che l'avvolgeva, e trascinandola nei dirupi della desolazione umana.  Nei tre cd, infatti, sono raccolti ben 54 brani, che ripercorrono "la cattiva strada" di Fabrizio dalle origini fino ai capolavori degli anni 80 e 90. Dalle ballate folk alle murder ballads di "Tutti morimmo a stento",
Brani ormai entrati a far parte del patrimonio non solo della musica, ma anche della cultura e del costume italiani, ai quali se ne affiancano altri pressoché inediti.
A guidare l'intera operazione, la mano di Dori Ghezzi, che ha scelto e curato personalmente tutti i brani.  Ed è della vedova del cantautore ligure anche l'inconsueta scelta di "demasterizzare" le tracce. Sono stati infatti recuperati tutti i nastri master e si è intervenuti sul suono con minimi accorgimenti, usando solo gli strumenti disponibili nell'anno di pubblicazione dei brani. In questo modo si sono cancellate tutte le compressioni digitali, riportandone alla luce lo spirito originario, imperfezioni comprese. Un ulteriore passo "in direzione ostinata e contraria", ma anche una sincera testimonianza d'amore.  Se davvero le liriche di De André - come si blatera da anni - dovessero mai entrare nei programmi scolastici, questo libretto ne sarebbe il sunto ideale. L'eredità di un poeta non allineato, che usava la forza dissacrante dell'ironia per denunciare l'ipocrisia di quella stessa borghesia cui apparteneva. Un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere.  "In direzione ostinata e contraria" è un'opera che, senza esagerazione, si potrebbe definire necessaria. Per chi ha amato De André e per chi non lo conosce ancora.
 Voto 9.5
 Ascolta qui: https://open.spotify.com/album/6W4yNRsa7NUHBQZU27oB8Q
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Il secondo disco dei Coldplay era molto atteso: il precedente "Parachutes" aveva fatto cantare, fischiettare, immalinconire o innamorare tante persone rendendo la band un fenomeno mondiale rivolto alle persone che avevano bisogno della ricetta semplice ma eseguita in maniera impeccabile dal quartetto londinese. Però si sa, il secondo album per una rockband è sempre il più difficile: regola confermata dalle cronache, e dalle sincere ammissioni dei nostri nelle interviste in cui dimostrano che le difficoltà ci sono state, si parla di canzoni ripensate e reinterpretate e di conseguenza reincise.
Il successo è un peso che bisogna saper portare.
Ma se ci si avvicina al nuovo lavoro dei Coldplay come se fosse il disco di un gruppo qualsiasi e di cui si conosce poco,ci si può rendere conto che, ad esempio, il singolo "In My Place", pur nella palese mancanza di originalità, non è poi malvagio, grazie soprattutto alla voce di Chris Martin che è davvero bella.
Proseguendo lungo l'album ci si rende conto di come effettivamente il lavoro in studio sui brani sia stato meticoloso e certosino che che ha fatto un po’ perdere di spontaneità i brani. Non è venuta meno, però, la capacità dei Coldplay di suonare e cantare belle e semplici melodie. "A Rush Of Blood To The Head" è considerabile un “grower” cioè un disco che cresce con l'aumentare degli ascolti.
Certo sono canzoni semplici, magari non originali e di maniera, ma se alla musica a volte non chiedete necessariamente di farvi stupire o novità all'ultimo grido, questo può essere il vostro disco.
Voto 7
Ascolta qui: https://open.spotify.com/album/0RHX9XECH8IVI3LNgWDpmQ
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A quasi ventanni dal rivoluzionario "Mezzanine" esce il nuovo EP dello storico duo di Bristol.
"Internet ci sta consumando", ha dichiarato di recente Del Naja, la mente che partorì i deprimenti scenari digitalizzati già nel 2003 - prima dell'era dei social network e dell'ubiquità delle mele rosicchiate
Dopo quattro anni di silenzio discografico sono quattro i brani e quattro i featuring per "Ritual Spirit", quindi, che, quindi nasce col presupposto di essere volutamente incompiuto.
Roots Manuva, rapper britannico, è il primo ospite su "Dead Editors" (un rimando al controverso Charlie Hebdo?), brano che viaggia a velocità tripla rispetto ai tempi classici dei MA, seguito da "Ritual Spirit", il pezzo massiveattack-iano che ti aspetti, con basso grave, loop ipnotico, echi e voci oniriche.
Finale con sorpresa, con la classicheggiante "Take It There", in cui rappare Tricky in un duetto "rap" reminiscente dei giorni d'oro.
Tutt'altro che sorprendente ma che pure si lascia ascoltare con piacere, nonché con un leggerissimo magone in chiunque sia cresciuto con "Dummy", "Protection" e "Mezzanine" come soundtrack tra le crisi adolescenziali Poco di nuovo quindi nei i diciassette minuti di "Ritual Spirit", soprattutto se si conta un divario di quasi cinque anni dal parto che l'ha preceduto. Un'uscita che lascia però un'impressione positiva in vista delle produzioni future del duo di Bristol.
Voto 7 (sulla fiducia).
Ascolta qui: https://open.spotify.com/album/6KHhT15M6l7cgaPZamEpM3
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Si chiama Ingresso libero ed è il primissimo lavoro firmato da Rino Gaetano, e di conoscerlo dovete conoscerlo. Nel ’73, Gaetano aveva pubblicato I love you, Maryanna / Jaqueline, testi scanzonati, ironici pieni di riferimenti nascosti, una cosa che non si era mai vista.
Rino Gaetano è una persona timidissima, è praticamente stonato e non vuole cantare le proprie canzoni, un suo amico e produttore lo convince/costringe a farlo. Ingresso libero è dunque il primo risultato di un esperimento pienamente riuscito, il primo tassello di una poetica nuova.
La formula vincente del disco è quel mix di freak con influenze pop , canzone d’autore acuta, politica e alla moda. Dentro a Ingresso libero, convivono già tutte le differenti spinte che andranno via via definendo la poetica di Rino Gaetano anche nei dischi successivi. Dall’album emergono, in modo poeticamente riuscito, due filoni tematici: il rapporto con l’amore, con la propria donna, dell’intimità (Tu, forse non essenzialmente tu, Supponiamo un amore, I tuoi occhi sono pieni di sale) e testi ricchi di considerazioni profondamente politiche, praticamente dei quadretti molto esaustivi del tempo in cui si parla di desideri eversivi, di sfruttamento, di abuso di droghe (Agapito Malteni Ferroviere, L’operaio della FIAT “La 1100”, A Khatmandu).
Se Tu, forse non essenzialmente tu è, ad oggi, esempio straordinario di un nuovo modo di cantare di amore, di solitudini e malinconie a lui connesse – il tutto attraverso un ragionamento che ricorda un po’ certi approcci al racconto introdotti in primis da Luigi Tenco (“Tu, forse non essenzialmente tu: un’altra… ma è meglio fossi tu” ricorda il modus analitico de “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare…”) -,Agapito Malteni Ferroviere è un evidente tributo musicale/tematico a Il bombarolo di Fabrizio De André, brano cardine del concept album Storia di un impiegato, uscito poco prima, nell’ottobre del 1973. Ai testi ricchi di rimandi ora struggenti ora ironici, si vanno a unire musiche di volta in volta vicine alla ballata (Supponiamo un amore) o giocose e scanzonate (è il caso di Ad 4000 D.C.).
Un disco seminale, bello e bellissimo, molto interessante, di ampissimo respiro, che ha, come valore aggiunto, tutta l’estemporaneità creativa dell’esordio di uno dei cantanti più amati e rimpianti della storia italiana.
VOTO: 9
Ascolta qui: https://open.spotify.com/album/5YMuoXtH6tuEMgcroiuqf9
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Un mixtape prodotto di diciassette tracce di flow ininterrotto
If You’re Reading This It’s Too Late (IYRTITL) è il contraltare biografico e atmosferico di So Far Gone, uscito giusto sei anni fa. Al tempo, il rapper canadese veniva fuori dal tunnel della televisione e l’universo dello showbiz sembrava luccicare sopra di lui. Come ogni carriera stratosferica che si rispetti, anche quella di Drake deve però fare i conti con le pressioni della celebrità. Per questo, il mixtape che abbiamo fra le mani respira un’oscurità urbana, tempestata dai confronti rima a rima con le sue nemesi contemporanee. Abbiamo Diddy, con il quale il Nostro è il polemica per la firma sul brano 0 to 100, abbiamo Tyga (6pm) abbiamo l’amico e rivale Kendrick Lamar (Used To).
La vera specialità della casa, qui, è il sapiente mix di hip hop e R’n’B, filtrato tramite un tappeto emozionale di flow. Lo si nota, magnificamente negli spazi, curati, come la maggior parte dei brani dell’album, dal producer Noah “40” Shebib.
Il lavoro di produzione, in effetti, è magistrale, perché per tutta la durata del tape tiene vivo il sapore di maturità dell’album, a tratti ipnotico e oscuro, a tratti quasi sentimentale. Che siano 80 o 180 bpm fa poca differenza se si dispone di un impianto orchestrale così sapientemente equilibrato.
Drake ha dimostrato di essere su un piano gerarchico diverso rispetto ai suoi confratelli dell’hip hop mainstream: con un pugno di beat, la facilità ritmica del suo rap e, soprattutto, con lo smussamento di alcune caratteristiche un po’ troppo sentimentali dell’ultimo Nothing Was The Same, Drake si è rimesso in carreggiata. Quella giusta.
Voto: 7,5
Ascolta qui: https://open.spotify.com/album/2bfWH730j0HtAJrNcg1LuP
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