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Noi possiamo fingerci cinici, calcolatori, possiamo anche credere di esserlo. Ma poi quando all'improvviso ci troviamo di fronte ad un esempio di purezza, di candore, allora la maschera del cinismo cade e tutto quello che c'è di migliore in noi si sveglia. Le notti di Cabiria - 1957 - Regia di Federico Fellini con Giulietta Masina
https://www.youtube.com/watch?v=6POwWK95a5k
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Che cos'è il fallimento? Il mio mancato successo nel mondo letterario mi ha devastato, ma mi ha insegnato una grande lezione: che non ero io a sbagliare, ma la letteratura stessa. E che per reclamare il mio posto nel mondo avrei prima dovuto distruggerlo interamente. E cosi feci. Una società fatta di viscidi osservatori anonimi non può fiorire, proprio come un uomo con le dita dei piedi in cancrena non può saltare. Ciò che separa l'uomo dalle macchine, è che le macchine non hanno un pensiero proprio. Inoltre sono fatte di metallo. Mentre l'uomo è fatto di carne. Se sei un soldato, non combattere per la mia libertà, combatti per la libertà del soldato che combatte al tuo fianco. Questo renderà il mondo più stimolante per entrambi. Una brava persona segue le regole, una grande persona segue sè stessa. I bulli non sono altro che burberi e bugiardi. Al centro dell'industria c'è solo polvere. Non possono crocifiggerti, se la tua mano è stretta in un pugno. Se ti trovassi a contorcerti per adattarti a un sistema, caro lettore, fermati e domandati se sei davvero tu a dover cambiare, o è il sistema. Cit. Scissione - Regia di Ben Stiller
https://www.youtube.com/watch?v=-K4Wdhlz7lM
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In effetti, tra le definizioni cui si è pensato, quali scuola, bottega, laboratorio etc. quella che spiega meglio gli scopi e le altre implicazioni dovrebbe contenere un elemento rituale-terapeutico. Non sarebbe male voglio dire, questa scuola chiamarla un convento, o anche più esplicitamente un ospedale! Entrano di diritto i malati di una speciale malattia, simile ,Ça va sans dire, alla mia. Seriamente intenzionati non a curarsi, ma a farsi, mediante i riti di una apposita terapia, pazienti cronici e irreversibili di un grave morbo, la cui sintomatologia richiama per tratti chiaramente visibili i processi alchemici della magia.
Riassumendo, e per non cadere nel vago, il criterio non è nè formale, nè storico, ma allegorico irrazionale. Non è l'attore che cercasi.. è il mago! Parlo ai pazienti della mia terapia, ai degenti del mio ospedale. O meglio, ai miei compagni di corsia. Ed è ad essi che si chiede non il tradizionale curriculum ma, a loro rischio e pericolo, le loro più intime e sottili schede, da cui risulti in primis l'humus, la qualità, la natura della loro stortura mentale, la cui origine e il cui sviluppo garantiscano così solida consistenza da candidarli, in perfetta coscienza, ad un posto di rilievo nel nostro gruppo.
Ci pare dunque siano validi, come autentici titoli, i capitoli del proprio delirio esistenziale: morbi desueti, tic, manie, sonnambulismi, epilessie, dislalie, epilessie. In genere ogni male che proprio in quanto tale prometta un quoziente ottimale di complicanze ed analogie.  Ci dica il candidato se abusa di  eccitanti, se si masturba, chi sogna,  come scopa, se sviene, se alla bisogna telepatisce, se usa con sincerità la menzogna. Ci prometta che la sua realtà è una realtà alternativa, che la sua parte più viva vive altrove, e altrove non sa! 
Post scriptum facoltativo: Hai voce, memoria, orecchio? Son punti in più. Ma decisivo è se ti parli, si, anche allo specchio! Quanti monologhi sai? A Fonemi, glossi, tropi, come stai? Ci giuri di essere in moto, volubile, disponibile alle mutanze? Anzi.. vuoto! E perciò stesso riempibile?.  Se si ti aspetto. Ti prometto un piatto da leggere,  un letto visto che occorre mangiare, come testi i tuoi dissesti, per hobby le tue stesse tane in cui frugare o mio apprendista stregone! Ti prometto la soluzione dello sciamano che diventa padrone e sa  solo ignorando. E ti offro, anzi ti comando,  tout court, di allargare  lo iato tra te ed il reale, calcando il viottolo infando e fatato della metafora filosofale, i picchi della sineddoche e dell'iperbato!
https://www.raiplay.it/programmi/ilgiocodelteatro
Vittorio Gassman, Paola Gassman e gli attori della  bottega del teatro
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Tre Guitti: De curtis - Troisi - De Filippo
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Che fatica'.. Ah, a parigi sarà tutto diverso: le strade, la gente, la corte. Il re farà diventare il mio padrone ricco, famoso e io finalmente non farò più il servo nelle farse, ma sarò un vero servitore. E avrò cinque di tutto: cinque pasti al giorno, cinque berretti, cinque scarpe, cinque camiciole, cinque calzoni, cinque..
Cit. Massimo Troisi da "Il viaggio di Capitan Fracassa" di Ettore Scola. https://www.youtube.com/watch?v=Ghl88jzOqcs
Clown: <<Tu che proteggi uomini, animali e barracconi. Tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni. Tu che ogni sera, presti agli acrobati le ali degli angeli, fa che sulla nostra mensa non venga mai a mancare pane e ed applausi. Noi ti chiediamo protezione. Ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che accada dopo lo spettacolo. Tu che permetti ai nani ed ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, unica rete dei nostri esercizi fa che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore. Dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate. E lascia
pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono. Ma non importa, io li perdono. Un pò perchè essi non sanno, un pò per amor tuo e un pò perchè hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola ed aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità. Noi dobbiamo soffrire per divertire. Manda,
se puoi, qualcuno su questo mondo, capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri>>
Cit. Antonio De Curtis, preghiera del clown, da "Il più comico spettacolo del mondo".
Re Ferdinando: <<Pulcinè, tu intanto non hai risposto alla mia domanda. Di pulcinella in paradiso, dove secondo te sono tutti uguali, non c'è lusso, non ci sono re, non ci sono ministri, ne hai mai visti?>>
Pulcinella: <<No maestà. Non ne potevo vedere perchè pulcinella non muore mai. Voi potete impiccare un corpo, ma lo spirito di pulcinella che è l'anima di un popolo, rimane qua. Ed in ogni posto della terra i popoli vogliono essere liberi! Felici!Sazi!>>
Re Ferdinando: <<E in tutti i posti della terra, i re prendono quelli che si ribellano e li impiccano!>>
Pulcinella: <<Ma fino a quando lo potete fare maestà? Fino a quando ve lo permette la gente. Ogni popolo ha il re che si merita e voi fate bene a fare quello che fate. Continuate. Tagliate teste! Afforcate! La colpa non è vostra, è nostra maestà.>>
Cit. Eduardo De Filippo da "Ferdinando I, re di Napoli”
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Incastrati!! La nuova serie Comedy Crime di Ficarra e Picone (SPOILER)
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PREMESSA
La notizia di una serie TV scritta e diretta da Ficarra e Picone, considerata la grande stima e considerazione che nutro da sempre per i due comici siciliani,   non poteva che stuzzicare la mia curiosità. La serie Tv  “Incastrati” è disponibile in streaming su Netflix ed è una serie Comedy Crime divisa in 6 episodi da 30 minuti ciascuno. Nonostante la serie, nella Top ten delle più viste su Netflix, stia raccogliendo recensioni positive e venga considerata come la prima grande novità nel panorama italiano del 2022, confesso di non aver provato un senso di esaltazione al termine della visione, in quanto il prodotto ha alcuni difetti che non riesco a digerire con facilità.
LA STORIA IN SINTESI
I protagonisti della storia sono Salvo e Valentino, due tecnici della TV che in seguito ad una richiesta di assistenza, si recano in casa del sig. Alberto Gambino, trovandolo assassinato in camera da bagno. Per evitare di essere accusati, provano a scappare e cancellare le loro impronte, ma per una serie di imprevedibili circostanze restano “Incastrati” in una fitta rete di complicazioni che li porta a fare uno sbaglio dopo l’altro. Si scopre infatti che Ester, la moglie di Valentino, è l’amante di Gambino e che quest’ultimo è stato vittima di un omicidio di stampo mafioso. Salvo e Valentino vengono rapiti dalla mafia e costretti ad inscenare l’omicidio di Ester,  sotto ordine di “Padre Santissima”, un boss di cui nessuno è mai riuscito a svelare l’identità. Come se non bastasse Agata, il vice questore della polizia a capo delle indagini sull’omicidio Gambino, ha un legame sentimentale con Valentino, che per evitare ripercussioni mafiose è costretto a mentirle ed a manipolarla.  
LA SCENEGGIATURA
La sceneggiatura nel complesso funziona bene. Anche se la scoperta casuale di un cadavere  (l’evento scatenante) è  improbabile, rappresenta una situazione verosimile per lo spettatore. Voi come reagireste? Vi identificate nel comportamento di Valentino, che preso dal panico propone di contattare la polizia, oppure nel comportamento di Salvo, che decide di occultare le tracce per non essere accusato di omicidio? Da sottolineare che le reazioni di Salvo sono condizionate dal lavaggio del cervello subito dalla visione di una serie crime, chiamata “The touch of the killer” che sarà richiamata durante tutta la vicenda. Fino alla scoperta del cadavere da parte della polizia, la storia mantiene il suo pathos, in quanto i protagonisti sono all’oscuro di tutto, come lo spettatore. Non sappiamo chi è Gambino, se Ester è coinvolta in qualche modo nell’omicidio, se e quando la polizia riuscirà a risalire al coinvolgimento dei protagonisti. Da questo punto in poi, la storia inizia la sua involuzione verso situazioni già viste e riviste nelle sceneggiature dei precedenti film di Ficarra e Picone. Compare infatti la mafia,  palesemente responsabile dell’omicidio Gambino che minaccia Salvo e Valentino. Questi ultimi vengono scoperti dalla polizia e costretti a collaborare nell’organizzazione di una operazione blitz antimafia. In poche parole, la vicenda diventa molto simile al film “La matassa”. Il personaggio di Ester, che avrebbe potuto avere un ruolo chiave non ha sviluppo. Salvo e Valentino per evitare che venga uccisa dalla mafia, simulano l’assassinio di Ester e la portano al convento di Castelmonte per nasconderla. La presenza del convento e della relazione tra i protagonisti che li vede cognati è un’altra situazione già vista, un pò presa da alcuni sketch teatrali, un pò dal film “Il 7 e l’8″. La nota positiva è che le stesse situazioni, che nei film precedenti erano un pò scarne dal punto di vista della tensione narrativa e dei dettagli, in questo caso sono molto più godibili, grazie alla regia estremamente più matura di Ficarra e Picone e all’espressività interpretativa degli attori. Ogni episodio rispetta in pieno la struttura 1) “FASE DI TENSIONE INIZIALE” 2) “RICOSTITUZIONE DI UN EQUILIBRIO” 3) SCONVOLGIMENTO FINALE (CLIFF HANGER). Il ritmo incalzante degli ultimi minuti di ogni episodio rende i finali sospesi molto efficaci. In alcuni episodi basta un elemento anche apparentemente banale, come l’arrivo delle volanti della polizia, a instillare nello spettatore lo stimolo al  binge watching. La serie ha il pregio di farsi guardare tutta d’un fiato. Alcuni sviluppi di trama, soprattutto dalla 3 puntata in poi, sono prevedibili, ma non viene trascurato nessun dettaglio. Si percepisce che c’è un filo conduttore che lega ogni singolo elemento narrativo, che anche un singolo incontro casuale dei protagonisti con alcuni personaggi non è fine a sè stesso. Ad esempio la gag dell’incontro di Valentino con i due bambini sul pianerottolo di casa Gambino, che vediamo nelle prime puntate, farà saltare la loro copertura agli occhi della polizia. La serie ha un finale aperto, che sembra essere un espediente per confermare lo show per una seconda stagione. In realtà il finale ci fa capire che la serie era stata già ideata per proseguire con una seconda stagione e che siamo stati ingannati, in quanto ci sono alcune incongruenze nella storia, che non sono buchi di trama, ma punti di svolta. Salvo chiede a Valentino: <<come mai siamo stati chiamati per un intervento di assistenza  in casa Gambino, se abbiamo constatato che il televisore non era guasto?>> . In quello stesso istante, investono lungo la strada il boss “Padre santissima” e vengono rapiti nuovamente dal mafioso Tonino Macaluso. In questo modo la prima scena della serie si ricollega all’ultima, e si aprono nuovi scenari per una prossima stagione, in cui inconsapevolmente Salvo e Valentino sono diventati a loro volta degli assassini.
LA RECITAZIONE
Tra i pregi della serie spiccano la recitazione e l’interpretazione degli attori.
Ficarra e Picone hanno ormai una carriera trentennale alle spalle e la loro maturità artistica si vede tutta. L’interpretazione non è più costruita sul personaggio, non è più quella maschera goliardica che Ficarra e Picone indossavano trent’anni fa per farci divertire. L’attore e il personaggio sono ormai la stessa entità, è l’umanità dell’attore che rende il personaggio verosimile. Si percepisce che il personaggio ha il proprio vissuto, le proprie debolezze, le sue dinamiche psicologiche che lo spingono oppure lo bloccano verso alcune azioni. In molte scene Salvo e Valentino si trovano faccia a faccia con la morte, e sebbene anche queste scene abbiano una propria struttura comica (come è giusto che sia, dato che “incastrati” è un prodotto che deve far ridere) abbiamo la sensazione che i protagonisti siano davvero in pericolo e quindi esagitati. Allo stesso modo la scena in cui Salvo, profondamente ferito dal tradimento di Ester, tenta il suicidio, è molto carica di emotività. Sappiamo bene che Salvo non si butterà dal cornicione, ma la sua reazione ci trasmette la sensazione che  stia davvero per fare un gesto insano. Ci commuove l’intervento di Valentino  che riesce a distoglier Salvo dal suo proposito, mettendo in primo piano il loro forte legame di amicizia che è uno dei sentimenti per i quali vale la pena vivere.
Gli altri attori del cast interpretano in maniera magistrale i ruoli, pur dovendosi attenere purtroppo alla caratterizzazione stereotipata dei personaggi secondari. Abbiamo infatti nel cast Tony Sperandeo, Leo Gullotta, Sergio Friscia (che fa un piccolo cameo), Domenico Centamore, le bellissime Anna Favella e Marianna di Martino.
I PERSONAGGI
La caratterizzazione dei personaggi purtroppo, è una delle note dolenti che mi ha fatto storcere il naso. I protagonisti Salvo e Valentino sono caratterizzati in base al loro bagaglio personale, hanno un carattere ben definito, con i loro difetti e pregi. Poco conta il fatto che siano due tecnici della TV, avrebbero potuto svolgere qualsiasi altra professione e vivere in qualsiasi altro contesto territoriale. Gli altri personaggi e le loro relazioni reciproche invece sono tutti stereotipi. Ester in primis, la moglie di Salvo, viene rappresentata come un’insegnante di yoga dedita al perseguimento di valori ideali, come una vita sana ed equilibrata ed un’alimentazione ayurvedica. La sua indole contrasta con quella di Salvo, che è una persona apparentemente meno spirituale, che non bada alle esigenze della moglie ed è molto concentrato su sè stesso e sulla sua passione per le serie TV. Traspare quindi solo un messaggio negativo, l’ incomunicabilità nelle relazioni, dovuta ad una propensione naturale a dedicarsi alle proprie passioni piuttosto che al legame di coppia. In questa forma le diversità di Ester e Salvo vengano presentate come sinonimi di egoicità e di stupidità, come se il percorso di elevazione spirituale di Ester fosse solo un pretesto per colmare una mancanza di affetto da parte del marito. Infatti è proprio al corso di yoga che Ester incontra Alberto Gambino, in cui non trova un compagno spirituale, ma un’occasione per colmare quella stessa mancanza di affetto.  Allo stesso modo, la passione di Salvo per le serie TV è rappresentata come un difetto, che lo spinge a diventare logorroico nei confronti degli altri, piuttosto che essere motivo di riflessione e di condivisione. La madre di Valentino è invece la classica suocera/mamma apprensiva che soffre dalla sindrome di abbandono, molto concentrata su sè stessa piuttosto che sulle esigenze dei figli. I mafiosi sono rappresentati con la chiave ironica che è sempre stata utilizzata da Ficarra e Picone,  spietati, di estrazione contadina,  ma allo stesso tempo un pò sempliciotti, a volte quasi infantili. Capisco la propensione naturale di attori come Tony Sperandeo e  Domenico Centamore per questi ruoli, ma è possibile che non possiate scrivere un personaggio per loro diverso da quello di un malvivente?   
LE GAG
La verve comica di Ficarra e Picone è apprezzabile a prescindere all’interno di qualsiasi dialogo, poichè come coppia hanno dei tempi comici che rasentano la perfezione. Pertanto, anche uno scambio di battute banali, non distoglierebbe la mia attenzione nella visione di una scena. Detto questo non capisco perchè ciclicamente Ficarra e Picone si ostinino a portare in ogni loro lavoro le stesse gag. In quanti film abbiamo visto la scenetta dell’interrogatorio in cui loro sono seduti ad un tavolo al cospetto di un’autorità che cerca di imbeccargli il finale delle parole che loro inevitabilmente sbagliano? Quante volte abbiamo visto il luogo comune dell’impiegato comunale che prende la mazzetta per concedere piccoli favori? Quante volte abbiamo visto, non soltanto nei loro film, la scenetta dei mafiosi che devono stare al passo con la tecnologia e che battibeccano per organizzare una riunione su zoom? E ancora quante volte abbiamo visto la scenetta dei testimoni di Geova che bussano alla porta e vengono spudoratamente presi per il culo? Ragazzi, basta con questa pasta riscaldata. Siete dei geni, siete capaci di fare molto meglio.
CONCLUSIONI
“Incastrati” rappresenta certamente una novità nel panorama delle serie TV italiane. Il prodotto è godibile, divertente,  originale ed ha grandi potenzialità. Sono certo che una seconda stagione sarà accolta con grande piacere da tutti gli amanti delle serie TV, soprattutto perchè è un prodotto che si segue con leggerezza ed è adatto a tutte le età. In ogni caso, spero che Ficarra e Picone, nella ultima parte della loro carriera si impegnino ad uscire fuori da una serie di temi sociali e territoriali che in parte non consentono loro di esprimere a pieno la loro genialità. Mi auguro vivamente che tornino ad affrontare temi più introspettivi, che tendano a distruggere i luoghi comuni piuttosto che a crearli ed a descrivere l’essere umano nella propria fragilità. Un pò come accadeva nello spettacolo  teatrale “Sono cose che capitano”, geniale nel mettere a nudo le gabbie situazionali in cui ci si trova intrappolati nelle circostanze date (L’amore, La morte, La nascita), oppure nello spettacolo  “Vuoti a perdere” in cui con riferimento alla “paradossalità” delle situazioni sono state raggiunge vette comiche inarrivabili.
VOTO 2,5/5
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Sipario! Recensione del film i “Fratelli De Filippo” di Sergio Rubini
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PREMESSA
Martedì 14/12/2021, ore 19:50. Entriamo al cinema per vedere il film “I Fratelli De Filippo” di Sergio Rubini con la convinzione di trovarci in  sala con una decina di persone. Mi accorgo con stupore che la sala è quasi piena! Questa scoperta mi appaga ancor prima di aver constatato il valore della pellicola. A distanza di quasi 40 anni dalla sua morte Eduardo è ancora tra gli autori del 900′ più ricordati, conosciuti ed amati. Mi accorgo presto di non essere l’unico fanatico all’interno della sala, poichè ogni personaggio che entra in scena viene immediatamente identificato, come parte dell’universo Eduardo. “Ecco Luisa De Filippo!” sento vociferare. “Stanno per rappresentare Sik, Sik, l’artefice magico! Venche ie!” . Ed ancora “Quella è Dorothy Pennigton, la prima moglie di Eduardo!”.  
LA STORIA: La storia dei fratelli De Filippo (Eduardo, Peppino e Titina) non riserva grandi sorprese poichè ampiamente nota. Probabilmente la maggioranza delle persone che hanno visto il film in sala conoscevano già la storia di Scarpetta, della sua famiglia “allargata”, della arrampicata verso il successo dei tre figli non riconosciuti e  della nascita del “Teatro umoristico dei De Filippo”. Inoltre ad eccezione della parte iniziale,  le vicende del film si innestano cronologicamente alla fine del film “Qui rido io” di Mario Martone, uscito in sala pochi mesi prima, di cui “I fratelli De Filippo” è la naturale prosecuzione. Alla vicenda dei fratelli De Filippo si intreccia quella di Vincenzo Scarpetta, figlio secondogenito di Eduardo Scarpetta e Angela Rosa De Filippo, interpretato nel film da Biagio Izzo. Nonostante il film ruotasse a buon ragione intorno alla vicenda dei fratelli De Filippo, interessante è il  contrasto tra Vincenzo con il fratellastro Eduardo, che dimostra presto di avere ereditato un talento che Vincenzo non riesce ad eguagliare. L’emblema di questo scontro è lo starnuto con il quale Vincenzo ripetutamente schernisce il giovane Eduardo, costretto a recitare alle sue dipendenze. In alcune scene del film sembra trasparire il conflitto familiare, in altre invece il conflitto è prevalentemente artistico.  Vincenzo Scarpetta decide di seguire le orme del padre, perseguendo il filone del teatro comico e della rivista. Nonostante elogi la vena autoriale di Eduardo, non riesce ad elevarsi e  sposare la rivoluzione adoperata da quest’ultimo che trasforma il teatro “comico” in teatro “umoristico”, sul filone di Pirandello. Per Vincenzo la risata del pubblico, non può essere una risata amara, come la definisce Eduardo, ma è una risata  beffarda, cattiva e urlante. Una delle prime considerazioni che il piccolo Eduardo farà osservando il padre Scarpetta e il fratellastro recitare sarà: “Quandò farò teatro non urlerò come fanno loro” . Fino all’ultima scena Vincenzo cercherà di accaparrarsi la benevolenza di Peppino, che ha una naturale propensione per il teatro comico. Nonostante la grande titubanza di Peppino a lasciare la direzione artistica del trio al fratello Eduardo, deciderà di non cedere alle avance di Vincenzo, sia per l’orgoglio legato ai conflitti familiari, sia perchè rappresentazione di una tradizione ormai superata.  Avrei apprezzato che l’analisi e la crescita del personaggio di Vincenzo venisse maggiormente approfondita, in quanto si tratta di un filone che ha avuto un suo sviluppo indipendente, portato avanti dal nipote Mario Scarpetta che reciterà con Eduardo De Filippo ed il figlio Luca, nella compagnia “La scarpettiana” , attiva tra il 1954 ed il 1960, che riproporrà i capolavori della tradizione napoletana al Teatro San Ferdinando.
IL MESSAGGIO: LA TRADIZIONE CHE SI RINNOVA
Oltre ad essere un  omaggio alla vita e alle commedie dei fratelli De Filippo, il film trasmette un messaggio fondamentale: La tradizione artistica che si rinnova. Nella parte iniziale del film vengono mostrate alcune messe in scena di Scarpetta e della sua compagnia, che vengono percepite come arte ormai superata, che ha già sperimentato le sue potenzialità ed è in fase  crepuscolare. Lo stesso Scarpetta, interpretato da un bravissimo Giancarlo Giannini, seppur  molto potente, è  spietato verso chi tenta di inserire qualsiasi elemento di novità all’interno delle sue commedie. Molto significativa è la scena in cui Titina invece di stonare insieme agli altri bambini del coro decide di cantare soavemente. Quest’azione le costa uno schiaffo di Scarpetta, che non può accettare che si modifichi in alcun modo la sua opera. Lo stesso Scarpetta aveva rivoluzionato il teatro di Antonio Petito, assottigliando la netta distinzione sociale tra popolo e nobilità della commedia dell’arte, sostituendo alla maschera di Pulcinella quella di Felice Sciosciammocca. In concomitanza della scomparsa di Scarpetta, vediamo le origini del neorealismo di cui Eduardo è il fondatore. Eduardo sperimenta la tradizione e comprende l’importanza di partire dal teatro classico, che non è soltanto quello di Scarpetta, ma anche quello di grandi autori come Shakespeare e Molierè. Eduardo si separa dai fratelli per fare una breve esperienza a Milano, che non si rivela del tutto fallimentare, in quanto viene apprezzato come interprete, ma termina molto presto a causa dell’insofferenza di Eduardo nei confronti dell’ambiente classista e conservatore. L’esperienza gli insegna che il processo creativo non consiste nell’emulazione della tradizione, nell’identificazione dell’artista con le altre culture. Il processo creativo deve necessariamente seguire la direzione contraria, in quanto espressione delle nostre peculiarità  culturali, dialettali e psicologiche da mostrare al mondo. Il processo creativo così strutturato, non si arresterà con la fine di una carriera o con la morte di un autore ma si aprirà ad un ciclo sempre nuovo. Eduardo in una intervista affermava: “Si dice che nella vita dell'uomo c'è un punto di partenza ed un punto di arrivo, di solito riferiti all'inizio e alla fine di una carriera. Io, invece, sono convinto del contrario: il punto di arrivo dell'uomo è il suo arrivo nel mondo, la sua nascita, mentre il punto di partenza è la morte che, oltre a rappresentare la sua partenza dal mondo, va a costituire un punto di partenza per i giovani .I cicli, sempre uguali e sempre diversi, si susseguono, accogliendoci tutti nella loro inarrestabile evoluzione. Una immortalità umana, quindi limitata, ma all'uomo è stato concesso il dono di sognare, che non è poi piccola cosa...Dunque, questi miliardi di punti di partenza, che miliardi di esseri umani, morendo, lasciano sulla terra, sono la vita che continua. La vita che continua è la tradizione. Se un giovane sa adoperare la tradizione nel modo giusto, essa può dargli le ali. [...] Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma - e cioè morte - ma, se ci serviamo della tradizione come d'un trampolino, è ovvio che salteremo assai più in alto che se partissimo da terra!
IL NEOREALISMO DI EDUARDO: “IL BUCO DELLA SERRATURA”
Eduardo in seguito alla breve esperienza a Milano torna a Napoli da autore, dove riunisce la compagnia con i fratelli Peppino e Titina, convincendoli a liberarsi da ogni schema tradizionale precostituito ed a mostrarsi davanti al pubblico senza fronzoli, nelle loro vesti quotidiane, con l’intento di rappresentare la vita. Non a caso, in seguito ad uno spettacolo in Sicilia finito male, Eduardo riprende Titina rimproverandola per la sua ostinazione a recitare come soubrette, nonostante il suo aspetto poco attraente. Titina si offende alle parole di Eduardo, ma presto comprende che il fratello stava cercando di spiegarle che per emozionare il pubblico ha bisogno solo di essere sè stessa. Eduardo nelle sue opere ha spesso sottolineato il concetto di  palcoscenico inteso come “Buco della serratura “ attraverso il quale si possono capire le miserie e le sofferenze umane. Tuttò ciò che Eduardo riporta all’interno delle sue commedie scaturisce dall’osservazione della realtà, dai comportamenti umani, dalle espressioni linguistiche, dalle stravaganze della gente.  Su questo tema Eduardo durante una lezione all’università della Sapienza di Roma diceva ai suoi studenti: “La vita nostra di tutti giorni, le nostre speranze, i nostri dubbi, le nostre previsioni, chi ce le racconta? Nessuno. Non dovete imitarmi! Dovete essere voi stessi, i vostri vicini di casa, gli incontri casuali per la strada. Osservate i volti, osservate la gente! Ascoltate le battute, segnatevele!” Tralasciando le prime due commedie, ovvero “Sik Sik, l’artefice magico” e “Natale in casa Cupiello” Il film non cita in maniera esplicita le altre commedie di Eduardo ma introduce alcuni elementi che ne rappresentano la genesi. Nè è un esempio la scena in cui Eduardo sbadatamente sporca la tasca della giacca, allargando la macchia nel tentativo di pulirla via, palese riferimento alla commedia “Uomo e Galantuomo” in cui il protagonista-attore rovina irrimediabilmente l’unico vestito di scena portando in tasca un pezzo di sugna di ritorno dal mercato. Altrettanto significativa è l’esclamazione di Luisa De Filippo “Accussì..accussì..accussì!” inserita in un dialogo con Titina in cui Luisa manifesta la sua insofferenza verso la condizione “miserevole” in cui si costringono a vivere Eduardo e Peppino per  fondare la loro compagnia piuttosto che sottostare alla dipendenze del fratellastro Vincenzo Scarpetta. Questa esclamazione la ritroveremo nella commedia “Filumena Marturano” durante il racconto dell’episodio della sua infanzia che l’ha condotta a seguire la strada della prostituzione. Inoltre sarà il fratello Peppino De Filippo ad essere il protagonista nel film, di alcune azioni che ruotano intorno alla costruzione del presepe, che insieme ad altre circostanze di vita familiare hanno portato alla stesura di “Natale in Casa Cupiello”. Sarà lo stesso Peppino a distanza di anni dalla separazione dal fratello, che in un’intervista sul suo libro “una famiglia difficile” affermerà che le battute di Natale in Casa Cupiello sono nate dalla collaborazione dei due fratelli e dall’improvvisazione, provando e riprovando in palcoscenico, per poi essere inserite all’interno della commedia. 
CONCLUSIONI:  La vicenda in sè, la  rappresentazione degli scontri familiari, delle incomprensioni e del desiderio di sopravvento che Eduardo e Peppino covavano tra di loro fin da giovani è soltanto un pretesto. Eh si, perchè non sembra che lo scopo di Rubini fosse quello di far emergere una morale, nè quello di empatizzare con degli eroi positivi che al termine del loro percorso riescono ad ottenere il meritato premio delle luci della ribalta. Il film è un tributo alla vena creativa dei De Filippo, un ringraziamento per gli insegnamenti di Eduardo, anzi una vera e propria dichiarazione d’amore da parte del regista, che tende le braccia a chi considera Eduardo un maestro che ha aperto la strada a importanti riflessioni artistiche personali.
Voto: 4/5
Recensione di Alessandro Casaburi
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La Fortuna con l’effe maiuscola
https://youtu.be/mRfNYhRtPgY
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La Fortuna con l’effe maiuscola: una commedia di Eduardo De filippo che ha le sue origini nella realtà tragicomica di “Miseria e Nobilità” di Scarpetta. In questa versione adattata per la televisione ed interpretata dai fratelli Carlo ed Aldo Giuffrè e da Nuccia Fumo. La commedia originale viene sapientemente rivisitata in chiave poetica e presenta una caratterizzazione dei personaggi di grande spessore emotivo. Ho pochi dubbi sul fatto che la commedia e in particolar modo questo adattamento televisivo abbiano costituito la genesi della commedia “E fuori nevica” di Vincenzo Salemme, di cui popolarissima è la messa in scena del quartetto Salemme-Buccirosso-Paone - Casagrande. L’analogia tra  le due commedie risiede proprio nei personaggi, che nella commedia “E fuori nevica” vengono catapultati in un contesto familiare, sociale e storico  differente e ugualmente significativo. Ci sono idee che si ripresentano ciclicamente negli anni, ma la loro grandezza resta immutata. Oro colato nelle mani di chi si fa carico dell’arduo compito di portare avanti una tradizione teatrale che continuerà ad emozionare il pubblico attraverso i secoli. ❤
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In acque profonde
https://www.davidlynchfoundation.org/videos.html
https://meditazione-trascendentale.it/
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La meditazione non è una pratica egoistica. Anche se ti immergi per entrare in contatto con il Sè, non ti stai isolando dal mondo. Stai rafforzando te stesso, in modo da poter essere più utile una volta tornato nel mondo. Assomiglia all'annuncio che si sente a bordo degli aerei: <<Prima indossate la vostra maschera, poi aiutate chi è seduto ad indossare la propria>>. Il mio amico Charlie Lutes diceva: <<C'è un uomo in lacrime sul ciglio della strada, ti siedi accanto a lui per consolarlo e in un batter d'occhio gli uomini in lacrime sono due>>. Così la solidarietà, la comprensione e la capacità di aiutare gli altri vengono potenziati con la meditazione. Inizi a immergerti e a venire in contatto con questo oceano di amore puro, di pace pura: potresti perfino dire di compassione pura. Lo provi e lo conosci diventando un tutt'uno con esso. Solo allora puoi uscire nel mondo e fare davvero qualcosa per gli altri. Dal libro "In acque profonde" di David Lynch.
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Il pollo ruspante
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 Il Pollo Ruspante di Ugo Gregoretti dal film  “ROGOPAG” -1963
Il consumatore medio è l'italiano del miracolo economico, che in pochi anni ha raddoppiato il suo reddito ed ha superato le tradizioniali regole psicologiche del risparmio. Stimolato dagli incentivi più evidenti, ad esempio l'emulazione e la pubblcità. Questo consumatore medio è un incalcolabile serbatoio che può permettere alla produzione di mantenersi ai livelli raggiunti e di superarli trionfalmente, purchè venga costantemente controllato, sondato, sviato, incitato, frustato. L'invecchiamento psicologico del prodotto è forse il principale alleato della nostra industria in una congiuntura come l'attuale. Lor signori dovranno studiare sempre nuove campagne di richiamo per far nascere nuovi desideri, nuovi bisogni e provocare qualcosa come uno stato di scontentezza sistematica nei consumatori. Si è scoperto che durante l'acquisto l’assenza della persona fisica, dell'intermediario, cioè del commesso, eliminando la possibilità di fare una scelta preventiva e di rivolgere la richiesta, produce nel consumatore una consensione di liberazione e di felicità emotiva che permette agli impulsi dell'inconscio di affiorare senza inibizioni e di tradursi in acquisti, il più delle volte superflui o addirittura inutili, salvo riacquistare coscienza al momento del pagamento. Ma ormai è troppo tardi. 
Papà: <<Scusate, il pollo del menù è d'allevamento oppure è ruspante?>>
Cameriera: <<D'allevamento naturalmente signore >>
Figlio: <<Papà cos'è il pollo ruspante?>>
Papà << Adesso papà te lo spiega subito. Il pollo ruspante è un pollo libero, che vive in campagna, un pò disordinatamente senza criterio. Mangia quando può, quando ne ha voglia. Il pollo d’ allevamento no invece, sta lì nel suo allevamento, mangia ad ore fisse e cresce un tanto al giorno.>>
Figlio << E perchè tu preferisci il pollo ruspante?>>
Papà << Bhè, è più saporito insomma. Forse perchè mangia con più appetito. Mangia quando vuole e cosa gli pare. Un giorno non ha voglia di mangiare e quindi non mangia. Un altro giorno ha voglia di farsi una grande scorpacciata e mangia tanta roba. Sai, è un pollo insofferente, corre, scappa, va via, va con le galline, becca, fa del moto, vola via. Questo libero arbitrio lo rende più saporito. Il pollo d'allevamento invece no, capirai, fin da quando è pulcino viene messo nel suo bel reparto, sottoposto ad una disciplina. Fa soltanto quello che gli dicono di fare. Luce rossa "sveglia", luce verde "mangiare", campanello "basta", luce verde "dormire", luce rossa "si risveglia". Intanto ha il suo vitto assicurato e ingrassa scientificamente. Insomma agisce il suo subcosciente. Lui non può decidere niente, ed è per questo che è meno saporito >>
Cameriera: << Ha deciso signore?>>
Papà << Si, vada per la seconda combinazione del menù, un uovo al tegame>>
Cameriera << Due uova al tegame signore!>>
Papà << No guardi, io ne mangio uno solo, perciò me ne porta uno.>>
Cameriera << Mi dispiace signore ma la combinazione prevede due uova, non possiamo mica cambiare>>
Papà << Va bene, gliele pago entrambe, però lei me ne porta uno solo>>
Cameriera: << Mi dispiace signore ma io devo portargliene due.>>  
Papà << E va bene, me ne porti due. Vorrà dire che il secondo lo sbatto sotto il tavolo!>>
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La storia più antica. La luce contro l’oscurità.
Raccolta Messaggi dal Subconscio.   “Siamo come il sognatore che sogna e vive nel sogno” – Cit. David Lynch da Twin Peaks: The return
Siamo stati convocati in questo edificio per partecipare ad un evento molto importante. Lo sento. Siamo stati ingannati: non ci aspettavamo di trovarci in un ambiente amichevole si intende, ma dall’elettricità che ci circonda è chiaro che siamo le vittime sacrificali di un banchetto funebre. La penombra è l’unica regina di una asettica meeting room, con le pareti grigie come uno specchio opaco. Non filtra luce dalla penombra, siamo in grado di percepire le ombre chiarificate degli oggetti e degli individui che ci circondano, visibili a tratti come immagini sfocate intraviste tra i fasci di un grosso ventilatore in movimento. La cena prevede un’unica pietanza, che non ci viene servita, ma appare sotto i nostri nasi in un attimo di distrazione: un piatto molto ampio, con uno spazio al centro paragonabile al fondo di una tazzina da caffè. Rivolgo lo sguardo alla mia destra e mi accorgo che la mia accompagnatrice mi sta fissando, con aria interrogativa. Tra qualche mese darà alla luce una nuova vita e cerca nei miei occhi la conferma che prima o poi il fondo del piatto verrà riempito. Sembra aver dimenticato il motivo della nostra presenza a quell’incontro e ne attende solo la fine, carezzandosi il ventre con una mano, mentre con l’altra mi fa segno di stare fermo, quieto, per impedirmi di concederle una carezza sostentatrice. Io siedo al capo estremo di un lunghissimo tavolo nero in laminato melaminico, con i gomiti larghi poggiati sul bordo. Gli altri commensali rispettano uno specifico “dress code”: completo gessato di flanella grigio antracite ed una camicia rigorosamente bianca sulla quale è adagiata una cravatta regimental il cui nodo è geometricamente perfetto. Le schiene sono erette e il busto assume la forma di un trapezio rovesciato con alla base le spalle diritte e alla punta la vita stretta. I polsi sono poggiati con precisione sul bordo del tavolo e i pugni chiusi fanno da perno al mento impuntato verso l’alto. Gli occhi sono tutti su di me e seguono un binario immaginario che inizia dai miei piedi per finire sulla mia testa. Io non sono mai stato trasandato come in questa occasione: il volto segnato dalla barba incolta, ispida, dai confini irregolari estesi fino alle sfumature degli zigomi, labirintica nella direzione di crescita del bulbo pilifero poiché rasata senz’arte dalla mano inesperta di chi ha poca cura di sé stesso e usufruisce di una lama sfilata di rasoi di quinta scelta. Gli occhi stanchi e arrossati di chi veglia di notte per carpire le voci di dentro, convinto di poter evitare la sala d’attesa della “veglia ad occhi chiusi” ed addentrarsi nelle pieghe del sonno profondo senza conseguenze. I capelli sono sfibrati, spettinati e radi sulla fronte ma hanno una forma naturale. All’altra estremità del tavolo siede il carnefice, un uomo sulla sessantina, vestito come gli altri, i capelli voluminosi color ambra pettinati con la riga al centro, gli occhi color ghiaccio freddi e inespressivi, occupati nell’intento di fendere la realtà circostante e completamente a loro agio nascosti da una palpebra marcatamente bassa, sulla quale le sopracciglia bionde sono appena accennate. Gonfio d’orgoglio nel petto e determinato ad imporre la sua verità, è lui ad interrompere il silenzio, alzando l’indice inquisitore verso di me. <<In qualità di chairman credo di incontrare il consensus di tutti i presenti affermando che presentarsi ad un briefing di tale importanza con una papula di tale portata sia irrispettoso quanto disgustoso >> esordisce. Al termine di tale prologo un rivolo di secrezione scende giù dal mio collo, facendosi attimo dopo attimo più denso e copioso.  L’ascesso è giunto al punto di maturazione ed essuda il marciume contenuto al suo interno, miscelato a sangue raggrumato, che zampilla come un vulcano quiescente che ha sciolto il suo periodo di riposo. << Quale immenso beneficio per la dimensione del raggio del vostro ego si genera dal ribrezzo che percepite verso l’immagine di un involucro senza filtri. Da voi non si pretende che il corpo della personalità, il corpo emotivo e il corpo mentale si allineino con il vostro sé superiore. Non siete ancora consci di questi bisogni, né conoscete l’esistenza di una strada che vi conduca al di fuori del Tempio di Salomone. Avete bisogno di ingozzare la vostra personalità, di goderne a pieno fino alla nausea, prima che possiate comprendere il linguaggio di “IO”. Il vostro scopo è quello di rallentare questo processo e di trascinare giù dal carro il maggior numero di persone. Credete che le vostre certezze vi conferiscano il titolo e l’autorità per imporre una direzione non solo ai vostri flussi vitali, ma anche a quelli del vostro prossimo. Questo è ciò che intendiamo impedire ad ogni costo>> rispondo. Mi sento energeticamente forte. Il topo è saltato in un fosso colmo di serpenti. Voci sommesse sfrecciano lungo il tavolo, si rincorrono, si moltiplicano, si sommano ed infine si fondono in un unico grande sibilo.  Un’unica parola risuona in tutta la sala, celata dal battito dei pugni che fanno inclinare il piano della stanza da un lato. Non ci è dato comprendere la forma grammaticale di quella parola, poiché se avesse una struttura definita assumerebbe un significato specifico. La muta intenzione simula la luce artificiale. Quando quest’ultima non ha più ragion di esistere la muta intenzione aggredisce la luce naturale, soffocandola fino al buio, poiché soltanto una delle due forme può aver ragion d’essere. Un lungo corteo parte in famelica processione, brandendo il santo tra le mani a cui portano adorazione. Ha forma di coltello. Mi circondano, occhi furenti e parole taglienti mi scaraventano a terra. Dita dalle punte rinsecchite dall’acidità della saliva mi afferrano per le caviglie e per i polsi. Mi tendono da ogni lato, ma nessuno riesce a dividermi in pezzi, a strappare una parte di me. La mano maestra allora infila il santo dentro la pelle, facendo leva avanti e indietro. Ho la bocca spalancata ma non grido. Osservo il mio petto e il mio addome. Con estremo stupore e allo stesso tempo soddisfazione, mi rendo conto che riversi sul pavimento, intorno alla mia sedia, ci sono tanti piccolissimi brandelli di carta bianca.
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Recitare è uno stato d’animo. Nient’altro.
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Monica Vitti si racconta ai ragazzi del Centro Sperimentale di Cinematografia - 1988 -  https://www.youtube.com/watch?v=xC0_m69qz4Y
Ero anche indecisa se farvi vedere "Flirt", al quale io sono molto legata. Lì in particolare c'è una scena sulla panchina che vorrei che le attrici guardassero attentamente, perchè io di quella scena ho pensato fin da quando l'ho scritta. Quando l'ho scritta pensavo "Ma come la farò"? Mi domandavo come doveva essere realizzata e poi la lasciavo andare. Quando è arrivato il momento di fare questo monologo su una panchina, con la macchina ferma, io ho capito che  non dovevo prepararmelo. Dovevo continuare a pensarci, a pensare a quella cosa, senza sapere come la realizzavo. Continuare a pensare "che cos'era", "perchè", "lei sta lì per questo", "allora lei và lì..", "a quel punto fa questo", ma senza pensare tecnicamente a come la avrei realizzata. Volevo arrivare sulla panchina in uno stato di smarrimento totale e non sapere come farla, però con tutto un bagaglio di mesi di pensiero e di sentimento. Allora mi sono seduta sulla panchina e Roberto Russo mi ha detto <<Vuoi provare>>?. No preferirei non provare, non so se mi verrà bene alla seconda, alla terza, alla quinta, ma vorrei non provare. Per favore, proviamolo senza che io recito, sennò ho paura che non ce la faccio. Mi distrae qualcosa. E se mi distraggo non prendo quella cosa sottile, che non so cos'è, ma che ho nella testa e che la devo riacchiapare. Quello è un esempio di recitazione pensata. Io ho solo pensato intensamente a che cosa voleva dire, poi devono venire le intonazioni se sono sulla strada giusta. C'è una cosa bellissima di Cechov, una frase che dice "voi non sapete come è terribile accorgersi di non saper recitare". Recitare è uno stato d'animo nient'altro. Se tu becchi quello, sei salvo, è inutile costruire. 
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Lo vedi? Niente è impossibile. Arriva sempre il momento giusto per tutto: basta aspettare. Anche la luna, quando è bella piena, matura, può cascarti fra le braccia...
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La voce della luna di Federico Fellini - https://www.youtube.com/watch?v=yasDz-0NHZI
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L’unico modo per tentare di trovarci
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"Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com'è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire...Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l'unico modo per tentare di trovarci." - Federico Fellini - 8 e 1/2
 https://www.youtube.com/watch?v=_nJ2shjepHA
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Il berretto a sonagli
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Dovete sapere che Noi, tutti quanti, abbiamo proprio in mezzo alla fronte, tre corde di orologio. La seria, la civile e la pazza. La corda civile sta in mezzo alla fronte. Ci mangeremmo tutti quanti come tanti cani, ma non lo possiamo fare e quindi diamo una bella girata alla corda civile e ci presentiamo felici, con la mano stesa. Può succedere però che tra due persone nasca un equivoco, una parola capita male. Allora cosa abbiamo il dovere di fare? Dobbiamo dare prima una bella girata alla corda seria per parlare seriamente a quattro occhi e rimettere a posto in quattro e quattr'otto i rapporti di una volta e sistemarli. Ma se l'altra persona non ci sta sentire, allora sferriamo la corda pazza. Si coprono gli occhi e non sappiamo più ciò che facciamo. Non è possibile girare la corda pazza o quella seria per poi parlare contemporaneamente con la corda civile. Queste due corde vibrando insieme nel nostro cervello fanno un rumore che ci rimbabiscono, poichè le parole escono dalla bocca spinte dalla corda civile, ma vengono fuori stonate dal rumore che produce la corda pazza. E' facile fare i pazzi, ve lo dico io come dovete fare. Strillate, dite le verità in faccia alla gente. Nessuno vi crederà e vi prenderanno per pazzi. Dovranno fare buon viso a cattivo gioco. Lo potessi fare io!!! Ma se io potessi sferrare qua, tutta la corda pazza, girare per il paese con quel tale cappello in testa e Sputare in faccia a tutti quanti la verità! La cassa dell'uomo è costruita per una resistenza che ci farebbe vivere cento anni. Ma sono i Bocconi amari, le Ingiustizie, le Prepotenze, gli Abusi che siamo costretti ad ingoiare giorno per giorno che ci avvelenano lo stomaco, ce lo distruggono, ci fanno morire prima del tempo. Voi credete che non sia niente, il non poter parlare? Il non poter aprire la valvola della pazzia, è la morte. Strillate!!!!In faccia a tutti: MBEEEEEEEEEEE!!!! MBEEEEEEEEE!!!!!.  Cit. Il berretto a Sonagli di Luigi Pirandello, con Eduardo De Filippo
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