#Alessandro Lo Cacciato
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Trelios – Agentur für Local SEO und digitale Sichtbarkeit von Burak Kozal Über Flickr: Trelios-Logo auf einer Glastür im Büro der Agentur für Local SEO in Hannover.
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Non sfasciamoci la testa - Alessandro Bergonzoni
Cacciato dall'Eden dicono che Adamo cercò di entrare in un altro cinema... Che storia è questa? La si potrebbe chiamare una specie di prima visione assoluta. Da allora ci facciamo molti film, abbiamo strane visioni, ci sentiamo i migliori, protagonisti, ma siamo comparse e più spesso scomparse, ma sta cambiando sceneggiatura, trama, ordito; e noi siamo o spilli che sognano una cruna o aghi che han paura di ritrovare il filo.
Quindi non sfasciamoci la testa prima d'esser guariti! Sta cambiando il tempo: son giorni rappresi, le nuvole cadono, la pioggia inciampa, vola la terra che storna il sereno: lo si capisce dall'arrivo degli uccelli denigratori, dalle notti di luna piena di indici puntati.
Intanto l'uomo vuol essere atleta, olimpionico, bionico, e con la scusa di un record da abbattere prova a migliorare solo il suo tempo, non questi tempi.
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31 mag 2024 18:16
GLI 80 ANNI DI SABELLI FIORETTI – APRE LE VALVOLE DELLA MEMORIA UNO DEI GRANDI DEL GIORNALISMO, DIRETTORE DI CINQUE GIORNALI, CHE HA INVENTATO UN INEGUAGLIABILE GENERE DI INTERVISTE, IL CORPO A CORPO - “ALAIN ELKANN, A METÀ INTERVISTA, DISSE “BASTA”. AVEVO DOMANDATO DEI FIGLI: “NON TI DÀ FASTIDIO ESSERE MENO RICCO E MENO FAMOSO DI LORO?” – PENNACCHI IMPUBBLICABILE: HA RIPETUTO SOLO “STRONZO, VAFFANCULO E CAZZO”; POI MI PORTÒ IN UN RISTORANTE PIENO DI BUSTI DI MUSSOLINI - BERLUSCONI A ‘’UN GIORNO DA PECORA’’. GLI HO CHIESTO SE ERA FROCIO E LUI MI HA RISPOSTO CHIEDENDOMI SE ERO SICURO NON FOSSI UN PERVERTITO; MENTRE GIORGIO LAURO GLI HA MESSO LE MANETTE: “TANTI ITALIANI VORREBBERO”. E BERLUSCONI HA RETTO LA SCENA IN MANIERA PAZZESCA” -
Estratto dell'articolo di Alessandro Ferrucci per “il Fatto quotidiano”
(Claudio Sabelli Fioretti compie 80 anni il 18 aprile. È uno dei grandi del giornalismo, ha diretto cinque giornali “non sempre bene, mi hanno pure cacciato”. Ha condotto trasmissioni come Un giorno da pecora, con il presidente Cossiga complice fisso. Ha inventato un genere di interviste, il corpo a corpo: “Ho superato le 600. Poi mi sono un po’ rotto le palle”). [...]
Una carriera fulminante.
A Panorama sono diventato in poco tempo redattore capo; da lì mi offrirono di diventare direttore di ABC. Guadagnavo un casino di soldi.
Ti eri montato la testa?
Un pochino; (ride) ero stato assunto da uno scimpanzé.
Anche qui: metafora?
Mi invita a pranzo Francesco Cardella, editore di ABC, sposato con Raffaella Savinelli, la figlia del re delle pipe. Andammo da Giacomo, uno dei migliori ristoranti di Brera. Lui si presentò con Bobo, una scimmia vestita con giacca e cravatta. Bobo si sedette di fronte a me.
Altro che Caligola.
Bobo perché Cardella era molto legato a Craxi.
E al ristorante?
Cardella serio: “Ti voglio ad ABC, ti pago il doppio di Panorama”. “Forse accetto, ma non voglio cenare con una scimmia”. Bobo uscì con la moglie di Cardella, ma la ritrovai nelle riunioni di redazione.
Tuo padre cosa pensava della tua carriera?
Era contento; una volta fu veramente dolce: “Oggi un signore mi ha chiesto se sono tuo parente”. Quando in teoria doveva essere il contrario.
Le tue doti.
Curioso in maniera totale. Quando da bambino andavo alle feste, aprivo tutti i cassetti del padrone di casa.
Hai mai rinunciato a una notizia?
Ho una carriera strana, mi sono occupato di radio, giornali, televisione...
E... ?
Ho realizzato circa 600 interviste, con qualcuno ho litigato.
Chi?
Uno scrittore.
Pennacchi.
Con lui no, piuttosto mi ha rilasciato un’intervista impubblicabile: per tutto il tempo ha ripetuto solo “stronzo, vaffanculo e cazzo”; poi mi portò in un ristorante pieno di busti di Mussolini e altri gingilli del Ventennio. Uno schifo.
Insomma, lo scrittore?
Ruggero Guarini. Mi scrisse un telegramma: “La diffido dal pubblicare l’intervista di cui mi ha mandato copia perché mutila e tendenziosa e comunque non mi ci riconosco”.
Pubblicata?
Sì, mutila e tendenziosa. Gli risposi che probabilmente l’infingardo Panasonic e il tendenzioso Sony mi avevano ingannato.
Due registratori.
Sempre con me; (sorride) oltre a Guarini pure l’attrice Ida Di Benedetto. Lei telefonò addirittura a Cesare Romiti per bloccare l’intervista.
E Romiti?
Mi chiamò: “Claudio, ma che vole questa?”.
Altre liti.
Alain Elkann: a metà intervista disse di aver cambiato idea. E io: “Va bene, ciao”.
Perché?
Eravamo al ministero della Cultura, c’era Sgarbi, invidioso, che entrava e usciva per dargli noia, poi avevo iniziato a domandargli dei figli: “Non ti dà fastidio essere meno ricco e meno famoso di loro?”.
Povero Elkann.
A quel punto disse “basta”. E dopo un po’: “Sei arrabbiato?”. “No, ma a questo punto corro via, ho il treno”. “No, sei arrabbiato”. “ Ti assicuro di no! Ciao, perdo il treno”.
Si convinse?
Mi chiamò pure quando oramai stavo in stazione: “Sei arrabbiato?”.
Hai intervistato più volte Gigliola Guerinoni, la mantide di Cairo Montenotte. Qualcuno supponeva che avevate una storia.
Avevano ragione.
Lo ammetti, quindi?
No. Ero appena arrivato a Il Secolo XIX e venni scaraventato in provincia. Seguii il processo per l’omicidio di Cesare Brin e la Guerinoni passava per essere una strafiga. A me però non piaceva. Ma ottenevo tanti scoop.
Per forza, avevate una storia.
No, ero bravo. Quando a pranzo tutti i giornalisti andavano a magna’, io restavo in aula, lei pure. E mi raccontava molte storie.
Amici.
Per il processo di Appello la prendevo in auto la mattina e la portavo in tribunale.
Sarai stato simpatico ai colleghi….
Sono stato più sulle palle ai giudici, ho perso un casino di soldi.
Che hai combinato?
Colpa della mia scrittura un po' ironica; li prendevo per il culo. E s'incazzavano.
Esempio?
Di un giudice scrissi che l'ultimo giorno si era presentato in aula con ombrellone, ciambella e pinne. Doveva partire per le ferie.
Anche da direttore di Cuore hai perso qualche causa…
Mazzolato.
Quanto?
Diversi milioni di lire, molti di questi a Vincenzo Muccioli e al suo gruppo; eppure pubblicavamo cose vere, denunciavamo malefatte.
A Cuore eravate tosti.
Ho scritto cose tremende, a volte esagerate. Quando Muccioli stava per morire, titolammo: "Tutto pronto all'inferno per l'arrivo di Muccioli"
All'epoca eri coraggioso o spregiudicato?
Il Cuore di Serra era molto più bello del mio. Però era più attento, non gli arrivavano querele. Noi scapestrati. A monsignor Bettazzi facemmo confessare di essersi innamorato da giovane, e a quel tempo era una rivelazione enorme.
Con l'allora ministro Guidi non siete stati teneri.
Quando sono entrato a Cuore la redazione non mi voleva, erano innamorati di Serra; poi si sono innamorati pure di me.
E Guidi?
Appena nominato, c'era la Festa di Cuore a Montecchio e pubblicammo in copertina fotomontaggi di Guidi mentre stava alle parallele, si arrampicava e andava in bicicletta con il titolo: "Si finge disabile per ottenere una poltrona da ministro".
Non molto politically correct.
A Cuore erano tutti politicamente corretti. Quindi venni contestato, anche dai fan della festa di Montecchio, ma fortunatamente mi chiamò lo stesso Guidi e lo misi in diretta: "Claudio, sei il primo ad avermi trattato da persona normale".
La sinistra perbenista.
Venivo da Lotta Continua, nel 1974 parte della liquidazione da Panorama l'ho data a loro.
Estremista.
Quando sono arrivato a Panorama ero democristiano, ma quello era un covo di comunisti. Piano piano li ho scavalcati a sinistra. Ripeto, era il 1968
Canne?
In mia vita ne avrò fumate tre, sempre in serate alternative dove ci mettevamo seduti in circolo, a terra, e passava quest'oggetto bavoso che mi suscitava un po' schifo. E poi ogni volta mi ha causato la stessa reazione
Stordito?
No, andavo in bagno; mi scappava la cacca.
E le serate radical chic milanesi?
Frequentavo tutti, da Inge Feltrinelli a Ornella Vanoni. Ma in realtà i miei amici erano i giovani di Panorama, tipo Chiara Beria, Gianni Farneti, Marco Giovannini, Maria Luisa Agnese, Stella Pende, Valeria Gandus. Ancora ci vediamo.
Ieri (il 6 aprile) Eugenio Scalfari avrebbe compiuto 100 anni. Con te il rapporto non è stato idilliaco.
Ero disoccupato da ABC, chiuso dopo una copertina con scritto "Carabinieri assassini". Andai a Repubblica grazie a Lamberto Sechi, quando Repubblica doveva ancora uscire e ricordo Scalfari che veniva da me a mostrarmi il giornale che stava creando. Il mio ego era estasiato. "Tu sarai il capo dello sport".
Perfetto.
Non so quanti numeri zero abbiamo realizzato, forse venti, ed era imbarazzante perché erano numeri veri, ma con servizi e interviste che poi non uscivano; (sorride) le riunioni con Scalfari erano pazzesche, lui gigione recitava una sorta di messa laica e, nel frattempo, si faceva chiamare da Craxi o da De Mita. Lui li redarguiva e li consigliava.
Ne eri affascinato?
Un pochino; aveva un vizio: quando parlava oscillava la testa da destra a sinistra. Iniziai pure io, e non ero il solo: dopo un po' oscillavamo un po' tutti.
Quando hai smesso di oscillare?
Feci una cazzata; (sorride e torna a prima) la mattina spesso scoprivamo che il numero zero, chiuso la sera precedente, era cambiato.
Come mai?
(Imita la voce di Scalfari) "Sai caro, siamo andati a casa di Marta e Marta ha detto che non andava bene". Marta era la Marzotto. E la stessa Marzotto gli consigliò di togliere lo sport, perché volgare.
Insomma, la cazzata?
Decisero di riaprire lo sport; insomma c'era molta contusione ma non capii che era normale: Repubblica era un giornale allo stato nascente. Non ressi. E me ne andai a Tempo illustrato. Ma quelli di Tempo erano veri matti.
Soluzione?
Chiamai il redattore capo di Repubblica: "Puoi dire a Scalfari che mi cospargo il capo di cenere e mi inginocchio sui ceci? Chiedo scusa. Voglio tornare". E il mio amico, un ottimista, un generoso: "Non ti preoccupare, considera la cosa fatta. Resta al telefono". Dopo poco è tornato: "Ha risposto: nemmeno morto". Me la sono legata al dito.
Ci hai mai fatto pace?
Non lo so, non ci ho più parlato
In comune con Scalfari hai una passione per Spadolini. Hai scritto un libro sull’ex presidente del Consiglio.
Fu un litigio clamoroso. Quando l’editore gli mandò le bozze, decise di sopprimere il capitolo dedicato alla polemica con Capanna che gli contestava di aver scritto per giornali fascisti.
E tu?
Dissi all’editore di non azzardarsi; Spadolini mi telefonò e gli sbattei il telefono in faccia. Ero uno scapestrato.
Con Cossiga due libri-intervista.
È stata la mia passione, potevo chiedergli di tutto: accettava; soprattutto ai tempi di Un giorno da pecora: quando veniva in trasmissione si presentava con una bottiglia di whisky. “Presidente non si può, sono le regole della Rai”. “Me lo vengano a dire”. La volta dopo si fece accompagnare dal direttore generale della Rai.
Rapporto stretto.
Per uno dei libri mi volle in vacanza: “Porta pure tua moglie”. La mattina ci presentiamo a casa sua e troviamo un corteo di sei macchine: mi sono cagato sotto.
Addirittura?
Erano organizzati con modalità anti terrorismo, correvano come folli, fino a quando davanti a una chiesa hanno inchiodato: si doveva confessare. “Presidente è chiusa, non c’è il prete”. Poco dopo hanno trovato il prete.
In vacanza con Cossiga.
La mattina andavo in camera sua. Dormiva con l’assistente. Non sopportava restare solo. Si alzava ma non si vestiva. E ogni mattina lo intervistavo in mutande.
Hai rallentato con le interviste.
Per colpa di Teresa Bellanova, quando era ministro: secondo me ha capito che mi stava sulle palle e per un anno ha rimandato l’appuntamento. Fino a quando ho pensato: ma posso passare la vita appresso a una rompicoglioni? Mi ha fatto passare la voglia.
A Valeria Marini ne hai dedicate tre...
Mi ha dato sempre grandi soddisfazioni: si metteva il rossetto e poi baciava il quaderno dei miei appunti. Baci stellari.
Gianni Boncompagni altro tuo “cliente”.
Uomo divertente, non ti lasciava mai deluso. “Gianni, ma non puoi metterti con una della tua età?”. “Sono tutte morte”.
Su chi hai sbagliato?
In un paio di occasioni sono stato prevenuto, e invece ne sono uscito estasiato.
Nomi.
Il primo è Sandro Bondi: grande umanità, era un po’ patetico, quasi piangeva quando parlava di Berlusconi.
L’altro?
Il generale Vannacci.
Ti piacciono perché offrono un buon titolo.
Anche per quello.
Chi ti ha deluso?
Sergio Japino. Una volta davanti a lui mi sono reso conto di aver dimenticato a casa le domande, e non sapevo cosa chiedergli, non ho memoria, E lui rispondeva a monosillabi.
Tu chiudi le interviste con il gioco della torre. Quindi tra Scalfari e Mieli?
Scalfari, mi ricorda un mio errore e una sua cattiveria. Mentre Mieli mi è sempre stato vicino.
Gruber-Berlinguer.
Con la Gruber ho un buon rapporto, ma ha rifiutato di farsi intervistare. Per me è un peccato mortale, posso odiare per molto meno. Salvo la Berlinguer.
Giletti-Fazio.
Fazio è un altro che non mi ha dato l’intervista; Giletti lo vedo una volta l’anno al premio Nonino, e l’ultima volta ballava vergognosamente in canottiera. Una scena penosa.
Ricci-Bonolis.
Di Ricci ho un ricordo drammatico: a causa sua ho iniziato a girare con due o tre registratori.
Che è successo?
Lo intervistai ma il registratore non aveva funzionato e non gli potevo rivelare l’errore. Ho fatto finta di niente e lui non mi ha chiesto nulla.
Pier Silvio o Marina Berlusconi.
Ho circuito la famiglia Berlusconi, mi sono prestato a situazioni vergognose. Ma per un’intervista sono pronto a qualunque bugia. Se uno mi rivela “tifo per la Salernitana”, rilancio con “anche io!”.
Allora...?
Se l’intervistato aveva qualche contatto con Silvio Berlusconi, ogni volta gli mandavo un biglietto, una frase, qualunque aggancio pur di arrivare a lui.
Fino a quando è venuto ospite a Un giorno da pecora. Puntata storica.
Gli ho toccato i capelli, “sono veri?”, poi gli ho chiesto se era frocio e lui mi ha risposto chiedendomi se ero sicuro non fossi un pervertito; mentre Giorgio Lauro gli ha messo le manette: “Tanti italiani vorrebbero”. E Berlusconi ha retto la scena in maniera pazzesca.
Pier Silvio o Marina?
Salvo Pier Silvio.
Moretti-Sordi.
Amo Sordi. Anche se con Moretti abbiamo in comune Salina.
Che combini a Salina?
Ci vivo sei mesi l’anno, quando non sono a Lavarone per imbottigliare spumante.
Ti occupi di vino?
Come D’alema e Vespa, però il mio è un vino buono.
Come festeggi gli 80 anni? Odio i festeggiamenti. Tu chi sei?
Sono uno molto turbato dall’idea di avere 80 anni e sono molto contento quando le persone mi dicono che ne dimostro 60; sono scontento dall’idea di dover morire: non è giusto. Ho in testa tanti progetti. Con tanta gente che deve morire, perché proprio io?
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“Silvia Romano terrorista”: un partito normale avrebbe già cacciato Pagano. La Lega invece se lo coccola
“Silvia Romano terrorista”: un partito normale avrebbe già cacciato Pagano. La Lega invece se lo coccola
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Nera italiana cacciata dall'ufficio postale: «Lei qui non può entrare» DI ALESSANDRO GILIOLI Nera italiana cacciata dall'ufficio postale: «Lei qui non può entrare» L'ufficio postale dove è accaduto l'episodio razzista Ai razzisti a volte va male. Di rado, purtroppo, ma a volte capita. È capitato ad esempio al dottor Giuseppe De Luca, direttore dell'ufficio postale di Corso di porta Ticinese, angolo via Urbano III, nel centro di Milano. Uno degli uffici postali storici della città. A lui è andata male perché la donna nera che ha cacciato dal suo ufficio postale non solo è cittadina italiana, ma fa anche da badante a due anziani avvocati. Che, nonostante gli anni, sono scesi dal loro appartamento per constatare con i loro occhi se quello che denunciava la donna era vero. Era vero: e loro ne sono stati testimoni. Ma c'è di più, per lo sfortunato direttore delle poste di via Urbano III: uno dei due avvocati ha il figlio che da un po' di anni fa il giornalista. Cioè chi scrive, qui. Allora, andiamo con ordine. È venerdì 2 novembre, sono le 2 del pomeriggio e la signora O. decide di passare all'ufficio postale durante la sua pausa pranzo, prima di andare da mio padre. È correntista, deve sbrigare delle pratiche. La signora O. è un'italiana di origine somala, da 25 anni nel nostro Paese. Nera, di religione musulmana, quando è fuori casa indossa un foulard che le copre i capelli e le spalle, lasciandole libera la fronte e libero il mento. Non è neppure un hijab, tecnicamente. È proprio un semplice e sobrio foulard sul capo. Quando è in casa di mio papà se lo toglie - O. è tutto fuori che una bacchettona, la conosco da molti anni. Quando esce invece si mette questo benedetto foulard, per rispetto, dice. ma finora O. non era mai stata cacciata via da nessuna parte. Ora è successo. Il 2 novembre, appunto, in corso di porta Ticinese, nel pieno centro di Milano. O. è entrata nell'ufficio postale. Ha preso il numeretto. Si è seduta ad aspettare. Quando è arrivato il suo turno, è andata al bancone. L'impiegato stava per iniziare a sbrigare, quando dietro di lui è passato il direttore dell'ufficio postale, il signor De Luca appunto. Un uomo di mezza età, con i capelli bianchi e gli occhiali. Ha guardato O. e ha preso a urlare che lei se ne doveva andare di lì - e anche subito. O., che è sempre e entrata senza problemi in tutti gli altri uffici postali, ha chiesto perché. Quello ha ricominciato a gridare che lì non ci poteva stare con il foulard che aveva: se ne andasse subito, non aveva visto il cartello all'ingresso? . Via via, fuori di qui. O. se n'è andata piangendo. È salita a casa di mio padre in uno stato psicologico difficile da descrivere. Poi gli ha raccontato l'accaduto. Mio padre ha 88 anni. Mio zio 85. Insieme hanno fatto gli avvocati per piu di mezzo secolo. E insieme erano quando O. spiegava quello che le era successo. Sono scesi, l'ufficio postale è sotto casa. Hanno chiesto di parlare col direttore. Dopo un po' ce l'hanno fatta. Il direttore però ha sbraitato anche con loro. E no, quella donna non poteva entrare, doveva andarsene, c'era il cartello all'ingresso. Il cartello all'ingresso mostra un casco e un passamontagna barrati. Non si può entrare con il volto coperto. Il che ha senso, per ovvi motivi di sicurezza. Peccato che O. non avesse affatto il volto coperto. Non ce l'ha mai. Ha un foulard. Non ha il capo coperto più di una suora. Anzi meno. Chissà se il direttore De Luca caccia anche le suore, quando entrano nel suo ufficio postale. Non credo. In ogni caso, il volto di O. era perfettamente riconoscibile e lei aveva pieno diritto a entrare in quell'ufficio. Non lo dico io, lo dice lo Stato italiano che ha timbrato una foto con quel foulard - che lascia libero tutto il viso - nella foto della carta d’identità: documento che mio padre ha dato al direttore di quell’ufficio, ma che non è bastato a farla entrare. ...O. all'inizio non voleva rendere pubblica questa denuncia. "Ho paura di avere problemi", diceva. È normale. È orribile ma è normale, in questa Italia, in questo periodo. Poi si è convinta, con fatica. Pensando ai suoi figli. Italiani come lei, neri come lei. Che in questo Paese sono nati e vivranno. Non si può lasciare passare tutto, se si pensa a loro. ...Quello che importa è che Poste Italiane si scusi, e molto. E che mandi subito quel direttore a contare i francobolli in un paesino lontano. Lontano da tutto ma soprattutto dalle persone. Anche se in realtà il direttore d'ufficio postale Giuseppe De Luca è già lontano: da ogni rispetto, da ogni civiltà.
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(via Ἐκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial Network: Frateli ditaglia)
La meravigliosa performance del consigliere comunale di Ferrara Alessandro Balboni, esponente e capogruppo di Fratelli d'Italia, avvenuta qualche giorno fa, è assolutamente paradigmatica. Riassume in sé tre capisaldi della destra italiana del Terzo Millennio: 1) l'eterno complesso di inferiorità rispetto a una nebulosa e generica "cultura di sinistra", naturalmente monopolizzatrice e arrogante; 2) le grancasse sul degrado, il decoro e l'incuria, alle quali la civilissima società italiana è cosí sensibile e attenta; 3) i social media. Se qualcuno volesse leggere della vicenda in cronaca, che supera di gran lunga qualsiasi cosa escogitata da Lercio (però questa è vera), può andare sulle edizioni dei vari giornali emiliani e nazionali; in pratica, qualche giorno fa, il consigliere ferrarese Balboni Alessandro, fratello d'Italia sempre alla ricerca di nuovi degradi e nuove incurie da offrire al popolo ferrarese, si è imbattuto, presso la Certosa della città Estense, nientepopodimeno che nella tomba di Torquato Tasso, il sommo poeta della Gerusalemme Liberata che dimorò a lungo presso la corte del duca Alfonso II d'Este. Il Balboni ha prima ricevuto una indignata segnalazione da un cittadino, tale Alessandro Ferretti (la congiura degli Alessandri!) e poi non ha perso tempo per non lasciarsi sfuggire la ghiottissima occasione. Poiché la tomba di Torquato Tasso, al pari di altre, versa in condizioni pietose, dovute ovviamente alla bieca sinistra abbandonatrice d'illustri & itàlici sepolcri, il fratello d'Italia si è quindi recato di persona presso il sepolcro del Poeta accompagnato dal Ferretti segnalatore; i due si sono poi scattati dei selfies a testimonianza dello scempio perpetrato ai danni delle mortali spoglie di uno dei più importanti letterati italiani: Il fratello d'Italia Balboni dinanzi alle urne del Tasso. Indi, il Balboni ha preso la sua bella pagina Facebook e ha vibratamente denunciato lo stato di incuria, di degràdo, di abbandono degli illustri sepolcri della Certosa Ferrarese. Denuncia immediatamente ripresa dall'edizione ferrarese del "Resto del Carlino", che sarebbe consigliabile leggere dato il suo afflato d'indignazione, di amore per la cultura e di orgogliosa rivendicazione: "La cultura è una cosa seria, serissima. La cultura deve essere il motore di Ferrara. [...] Ci siamo sentiti dire che siamo dei rozzi e dei bifolchi senza cultura da una sinistra che per anni si è arrogata il ruolo di depositaria della 'Cultura'. Se questa è la risposta che danno, c'è da interrogarsi ampiamente sul loro operato." Il cittadino Ferretti Alessandro aggiunge: "E pensare -ricorda- che con le scuole ci portavano qui in Certosa per vedere le urne che la città di Firenze (dove ancora riposano le ceneri di Tasso), donò alla nostra città". Di fronte a cotanto scempio, il Balboni non si è fermato: ha infatti constatato anche lo stato di grave abbandono del sepolcro di un altro illustre cittadino ferrarese, l'aviatore fascista Italo Balbo. Qui, come dire, il Balboni giocava in casa. Da segnalare anche la chiusa indimenticabile dell'articolo del "Carlino", un autentica perla del suo autore, tale Federico Di Bisceglie: "Forse, con lo sguardo severo dei secoli, il tormentato poeta in forza alla corte di Alfonso II d'Este scriverebbe la Gerusalemme dimenticata. O la Ferrara che dimentica." Certo che questa Ferrara, specialmente quella del consigliere atque fratello d'Italia Balboni, del cittadino Ferretti e anche dell'articolista carliniano Di Bisceglie, di cose, in effetti, ne dimentica parecchie. Come fatto gentilmente notare a stretto giro di posta -pardon, di social- dal sindaco, Tiziano Tagliani, il quale ha adoperato un decente termine quale castroneria laddove altri sarebbero ricorsi a parole oltremodo più colorite, l'indignato Balboni dovrebbe piuttosto interrogarsi sulla miserrima figura che ha fatto fare ad un'onorata e storica città che, agli inizi del secolo XXI, produce personaggi come lui. E poiché noialtri siamo un po' meno gentili e non ricopriamo cariche istituzionali, possiamo usare le parole colorite di cui sopra: proprio una cosmica figura di merda. La "Ferrara che dimentica", degnamente rappresentata dai Balboni, dai cittadini indignati e dagli articolisti pindarici, si è infatti dimenticata, ad esempio, che Torquato Tasso, sin dalla sua morte avvenuta in Roma nel 1595 (esattamente il 25 aprile di quell'anno: una data che dev'essere senz'altro non molto amata dai Balboni d'Italia), è sepolto giustappunto a Roma, con tutti gli onori e regolare iscrizione in latino, nella chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo. Roma, chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo. La tomba di Torquato Tasso (quello non dottore). Presso il cimitero della Certosa di Ferrara, che -come ricorda il sindaco- è cimitero cittadino solo dal 1813 (vale a dire 218 anni dopo la morte del Torquato Tasso poeta), si trova sepolto tale dottor Torquato Tasso, un medico ferrarese morto agli inizi del XX secolo, la cui vita, come si legge nell'iscrizione, era stata improntata "ai sublimi ideali del dovere e dell'amore" fra i quali "trascorse la sua intemerata esistenza". Al Balboni sarebbe dunque bastato controllare su Wikipedia, ora che tutti questi meravigliosi marchingegni tecnologici permettono di verificare dove effettivamente si trovi il sepolcro del Poeta senza doversi recare alla chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo a Roma o, peggio, in una biblioteca. Ma anche senza verificare a Roma, in una biblioteca o su Wikipedia, magari qualche piccolo sospetto sarebbe potuto insorgere nella fulgida mente del fratello d'Italia e del suo indignato cittadino segnalatore. Immaginarsi l'immortale Poeta Torquato Tasso sepolto col titolo di "dottore" e con i "sublimi ideali del dovere e dell'amore" è come pensare all'ingegner Dante Alighieri, sposo onorato e marito esemplare, al ragionier Ugo Foscolo per sempre rimpianto dai colleghi della ditta o all'avv. Alessandro Manzoni crudelmente rapito alla fedele sposa e ai figli adorati e per tutta la vita ispirato da princìpi di assoluta giustizia e di severa imparzialità. Il cittadino indignato Ferretti Alessandro, coprotagonista dei selfies, fa poi intravedere uno stupendo e indicativo spaccato delle scuole ferraresi "Leonardo da Vinci" (anzi: "Scuole Prof. Leonardo da Vinci", anch'egli -ovviamente- sepolto a Ferrara) di qualche anno fa, quando le classi -evidentemente- dovevano essere portate presso la tomba del dottor Torquato Tasso dicendo ai bambini e ai ragazzi che là era sepolto il Poeta dell'Aminta (tanto per non nominare la solita Gerusalemme Liberata, e con la certezza che, se qualcuno chiedesse al Ferretti dell'Aminta risponderebbe che si tratta sicuramente di un centrocampista della SPAL degli anni '60). Non solo: le "urne del Tasso", indicate nel selfie dal Balboni con un'espressione dalla quale traspaiono la tempesta di cervello in atto nella sua scatola cranica e il mælstrøm di cultura che gli turbina nel profondo dell'essere, sarebbero state "donate dalla città di Firenze", dove "ancora riposano le ceneri del Tasso". Vale a dire: la città di Firenze (dove al massimo esiste una Piazza Torquato Tasso, in Oltrarno) avrebbe donato a Ferrara solo le urne (una delle quali riempita di terra come un volgare vaso di fiori, come si vede nel selfie del Balboni; sarà mica, per caso, proprio un vaso di fiori?), tenendosi però le ceneri. Dal che, peraltro, si evince che la grandezza del Poeta era tanta, che le sue ceneri sarebbero state addirittura divise in più urne (due etti e mezzo in una, quattro etti in un'altra e così via). E le ceneri del Tasso, Firenze, dove mai le avrà messe? In un cestino alla fermata dell' 11 e del 37 in piazza Tasso? Suggerirei a qualche fratello d'Italia fiorentino di andare a controllare, magari a quel Giovanni Donzelli che fu cacciato a calci nel sedere da un negozio dove si vendono articoli in canapa (pianta tessile utilizzata fin dall'antichità) dopo avere organizzato una pagliacciata mediatica credendo che vi si spacciasse cannabis. Ma le imprese tombali del Balboni e del Ferretti non sono terminate, inserendosi appieno in quella che dev'essere una vera e propria campagna cultural-cimiteriale dei fratelli d'Italia. Come detto, secondo il Balboni e il suo suggeritore, anche la tomba di un illustre ferrarese, Italo Balbo, quadrumviro della Marcia su Roma, comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, aviatore di possenti raid che mostrarono al mondo la giòvine gagliardìa dell'Italia fascista, governatore generale della Libia, potenziale e accreditato rivale del Dvce e, infine, misteriosamente abbattuto per errore dalla contraerea italiana nei cieli di Tobruch il 28 giugno 1940, si troverebbe in stato di abbandono, incuria, degrado ecc. Ignorando quale dottor Italo Balbo, magari ferreo militante comunista della Bassa Ferrarese, si trovi sepolto al Cimitero della Certosa, c'è però da dire che, con le tombe, proprio il Balboni non ci azzecca. L'Italo Balbo fascista & abbattuto si trova infatti sepolto, assieme ad alcuni suoi compagni aviatori e di avventure periti nei raid e in guerra, nel cimitero di Orbetello (Grosseto), per espressa sua volontà manifestata ancora in vita. Orbetello era stata la base di partenza per i suoi raid aerei attorno al mondo. Orbetello (Grosseto). La tomba degli aviatori, capitanati da Italo Balbo. Nella giòvine e confusa mente del Balboni Alessandro da Ferrara, incorniciata da regolare barbetta del III Millennio e giubbone col pelo che è tanto di moda, si agitano quindi tombe. Torquato Balbo, Italo Tasso, e vattelappesca chi altro. Coadiuvato da coltissimi cittadini che, da ragazzi, andavano con le scuole a rendere omaggio alle urne vuote di Torquato Tasso donate da Firenze, del fratelo ditaglia Alessandro Balboni, che -non nutriamo dubbi- proseguirà la sua luminosa carriera politica a base di degradi, incurie, migranti, meloni, glòbbar còntatt e quant'altro, risentiremo senz'altro parlare. Dopo aver finalmente denunciato il grave stato d'incuria della tomba del suo avo Benito Mussolini, che come tutti sanno si trova a Ferrara con tanto di urne, sarà un giorno fatto ministro della 'hurtùra. A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, come cantava l'immortale Poeta Gabriele d'Annunzio (o era Giosuè Pascoli?), la cui urna, degradata e incuriata dalla sinìstra, si trova anch'essa a Ferrara. Gli vorremmo quindi dedicare, modestamente e per chiudere, una canzone dei ferraresissimi Elio e le Storie Tese. Ma un lontano giorno, anche le urne del Balboni, dimenticate e in condizioni di colpevole abbandono al cimitero della Certosa di Ferrara, saranno riscoperte da un suo pronipote, fascista del IV Millennio, e debitamente denunciate; solo che Alessandro Balboni è sepolto a Caltanissetta fin dagli ultimi anni del XXI secolo. Pubblicato da Riccardo Venturi a 22:32:00
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D&D 4: riassuntone
Recappone di ieri seranottemattina
Siamo andati a seppellire gli scheletri. Mezz'ora per capire come e dove. Alla fine abbiamo deciso di seppellirli tutti insieme tranne i piedi così non scappano.
Abbiamo trovato un tesoro e fottesega abbiamo rivenduto tutto e io sono di nuovo povero perché un mezz'elfo mi ha venduto un arco lungo senza sconti. Ma dico io, se non ci possiamo fidare tra mezz'elfi, di chi ci si fida?
Gli altri sono andati a indagare e vendere cose, mentre il nano molestatore è andato al bar del principe urlando alla cameriera elfa "SCUSA ME LO FAI UN BEL BOCC..ALE?" ed è stato cacciato male. Il locale ha preso zero in servizio da Alessandro Lo Borghese.
(2 ore per valutare tutta la merce e io ero nell'angolo a valutare se un ranger poteva suicidarsi alla Kurt Cobain con un arco lungo)
Finito siamo andati in un altra valle per cercare un fiore e troviamo un incendio. Avvicinati danno tutti la colpa agli orchi, ma nessuno li ha visti. Io "FACCIO UN RICERCA TRACCIA" master "ma con sto trambusto cos..." Io "VENTINATURALE" master "MERDA"
Il signorotto del paese viene a spiegare tutto, ma è così fastidioso che il mio allineamento lo voleva staccare con una frecciata in un occhio, se non fosse che la bromance con il druido m'ha fermato.
Ah il druido ha craftato il suo montone per un lupo nero taglia grande. Senza motivo. Addio stambecco, ci mancherà quell'ariete.
La sessione finisce qui perché ci hanno cacciato dalla sala visto che erano le due di mattina, proprio in tempo visto che il nano si stava appartando con la figlia del fattore che ci stava ospitando per la notte
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Libertà Religiosa 2018. L'islam è il maggior persecutore
Ieri è stato pubblicato il nuovo rapporto sulla Libertà di Religione 2018 di Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione di diritto pontificio presieduta da Alfredo Mantovano e diretta da Alessandro Monteduro. Il quadro che emerge, come ci si poteva immaginare, non è dei migliori. Nel mondo, 1 cristiano su 7 vive in un paese in cui il cristianesimo è perseguitato. In questo inizio del XXI Secolo, il maggior persecutore dei cristiani, nel mondo, è il radicalismo islamico.
di Stefano Magni (23-11-2018)
Ieri è stato pubblicato il nuovo rapporto sulla Libertà di Religione 2018 di Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione di diritto pontificio presieduta da Alfredo Mantovano e diretta da Alessandro Monteduro. Il quadro che emerge, come ci si poteva immaginare, non è dei migliori. Nel mondo, 1 cristiano su 7 vive in un paese in cui il cristianesimo è perseguitato. Nel periodo preso in esame, dal 2016 al 2018, si riscontra un aumento della repressione religiosa in ben 17 Stati. La tendenza è complessivamente negativa: solo in 4 Stati la situazione è migliorata. E solo in due Stati (Kenya e Tanzania) la persecuzione dei cristiani, ad opera del movimento jihadista al Shabaab in quei casi, può dirsi complessivamente conclusa. Il maggior persecutore dei cristiani, nel mondo, è il radicalismo islamico.
Infatti la maggioranza dei paesi in cui si registra una persecuzione, è a maggioranza musulmana e governata da regimi islamici che applicano la sharia. Su 21 Stati in cui la persecuzione è conclamata e non è “solo” discriminazione, ben 14 sono regimi islamici e altri 3 sono Stati post-comunisti con una maggioranza islamica.
Le “eccezioni” sono notevoli. Il comunismo è ancora un grande persecutore dei cristiani in Corea del Nord, lo Stato più repressivo in assoluto, e in Cina, che, come abbiamo visto più volte su queste colonne, sta dando un giro di vite repressivo a tutte le religioni nel nome della “sinicizzazione”. Anche in Laos e Vietnam, regimi comunisti mai riformati, i cristiani sono tuttora discriminati. Vita dura per le religioni, non solo quella cristiana, ma anche quella musulmana, anche nelle repubbliche post sovietiche dell’Asia centrale, tutte a maggioranza islamica, di Uzbekistan e Turkmenistan (persecuzione conclamata), Azerbaigian, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan (discriminazione). In Eritrea, un regime nazionalista e militarista, tiene in pugno tutte le religioni autorizzate, controllandone strettamente le istituzioni. In Bhutan e nel Myanmar i persecutori sono i buddisti, ai danni di tutte le minoranze cristiane, indù e musulmane. Fra gli Stati che non ci si aspetterebbe di vedere c’è la Federazione Russa (caso di "discriminazione"), che ha cacciato del tutto la Chiesa cattolica dalla Crimea e ha messo al bando i Testimoni di Geova. C'è una Turchia sempre meno laica (sempre "discriminazione", non persecuzione vera e propria) in cui la minoranza cristiana denuncia di subire una demonizzazione sempre più diffusa nei media di Stato. Si trova una conferma della situazione allarmante in India, che è stata al centro di un processo di involuzione della libertà religiosa causato dall’ascesa del nazionalismo indù: gli attacchi ai cristiani sono raddoppiati, raggiungendo quota 756 nel 2017.
È comunque impossibile non notare come tutti gli altri casi di persecuzione siano ad opera di regimi e gruppi islamici. Non è solo una persecuzione di Stato. In Pakistan, per esempio, come dimostra il caso Asia Bibi, le autorità e la magistratura, sono decisamente più tolleranti rispetto a masse fanatizzate che chiedono in piazza l’impiccagione della “blasfema” cristiana. In Egitto, dove è al potere il generale laico Al Sisi, i cristiani subiscono rapimenti, conversioni forzate e attentati, fra cui le due stragi di Minya, l’ultima avvenuta lo scorso 2 novembre. «Questa situazione non è causata dal governo, che sarebbe più facile affrontare, ma dalla mentalità fanatica e criminale diffusa in quasi tutto l'Egitto, a causa dei Fratelli musulmani, i salafiti e tutti questi gruppi che si trovano in tutto il territorio egiziano, e che sono lasciati liberi di fare tutto quello che vogliono da più di mezzo secolo, soprattutto per diffondere il proprio pensiero. Quindi affrontare una popolazione fanatica e chiusa di mente è più difficile che fronteggiare un governo ingiusto o un dittatore» - dice mons. Botros Fahim, testimone, quest’anno, di Aiuto alla Chiesa che Soffre, vescovo proprio di Minya – «Alcuni giudici sono musulmani fanatici, e giudicano non secondo le leggi ma secondo la "sharia islamica", e ciascuno di loro dipende dalla propria scuola islamica e dalla relativa tendenza a favore o contro i cristiani. Al-Azhar, suprema autorità islamica in Egitto, non fa il suo dovere e non riveste un ruolo per il rinnovamento del pensiero e del linguaggio islamici tradizionali e fanatici, i quali alimentano la mentalità chiusa, aggressiva e violenta contro le altre religioni. A causa di tutto ciò, ed altro ancora, i cristiani soffrono in continuazione, in Egitto, e in tanti dei Paesi islamici. E la Chiesa continua ad offrire con fede e speranza, unita al suo Signore morto e risorto, martiri, sangue, sacrifici…».
L’altra testimone di Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’avvocatessa cattolica pakistana Tabassum Yousaf, racconta episodi terribili di persecuzione dei cristiani suoi conterranei, tutti ad opera di folle o singoli fanatici, con la complicità diretta o indiretta delle autorità governative. È il caso di Binish Paul, ragazza di 18 anni resa paralitica dal ragazzo musulmano che la corteggiava e voleva imporle la conversione all’islam. Poiché rifiutava la conversione è stata gettata dalla finestra. È il caso di Vikram, studente di Karachi, che ha perso un occhio dopo il pestaggio subito dai suoi compagni musulmani, perché cristiano. È il caso della famiglia Kharian: indebitata con una famiglia musulmana molto più facoltosa, ha subito da parte dei creditori il sequestro (ai fini della conversione all’islam) dei tre figli di 13, 9 e 7 anni, di cui non si sa più nulla. È il caso, molto simile, della famiglia Kareem Nagar, convertita all’islam in cambio di un prestito di denaro. Il creditore, a conversione avvenuta, ha festeggiato esponendo striscioni per le strade con i nomi dei convertiti (forzati). Non c’è pace nemmeno per i defunti: nella città di Lahore, in un quartiere islamico, la gente protesta perché non venga costruito un cimitero per cristiani. Non c’è giustizia, né aiuto per i figli delle vittime della violenza: i tre bambini di Shama e Shahzad (i due sposi cristiani accusati di blasfemia e gettati in una fornace), non hanno alcun aiuto, non hanno di che vivere e non vanno a scuola. Non c’è pace per i bambini in generale: Farah e Nazia, 14 e 13 anni rispettivamente, stuprate e picchiate da musulmani facoltosi e ben protetti dall’ambiente politico.
La Yousaf ritiene che i cristiani siano particolarmente vulnerabili, perché non sono istruiti e dunque non conoscono i loro diritti. Non sono istruiti, perché sono discriminati nella scuola e nell’istruzione. «Anche se ora c’è un’istruzione gratuita nelle scuole pubbliche – spiega l’avvocatessa – le condizioni per gli studenti e per gli insegnanti cristiani sono pietose. Per esempio non possono bere l’acqua dagli stessi rubinetti dei musulmani, né possono andare negli stessi bagni. Se un cristiano beve l’acqua dallo stesso rubinetto di un suo compagno musulmano, questo deve essere purificato recitando versetti sacri, rituali e preghiere. I cristiani, nella scuola e nella società, sono considerati e chiamati “choora” (intoccabili), “Bhangi” (impuri). Siamo chiamati anche “Eisai” (seguaci di “Eisa”), poiché nel Sacro Corano, Gesù è chiamato “Eisa” e i suoi seguaci “Eisai”, definizione che assume un significato sociale ed economico di “intoccabili e impuri”».
La persecuzione dei cristiani è ormai istituzionalizzata in Afghanistan(nonostante la presenza di contingenti internazionali), poiché i cristiani non possono praticare la fede in pubblico. È una repressione totale in Arabia Saudita, sempre più intensa in Indonesia, ancora intensa in Siria e in Iraq (nonostante la sconfitta dell’Isis e del suo Stato Islamico nei due paesi), in Libia, nella Gaza governata da Hamas, in Niger, in Sudan, in Somalia. In Nigeria, nonostante le sconfitte subite da Boko Haram, la persecuzione avviene ora per mano dell’etnia fulani. Benché vi siano anche motivazioni etniche ed economiche (pastorizia contro agricoltura stanziale), Acs considera che la violenza dei fulani sia sempre più definibile come un fenomeno di persecuzione religiosa: «Se le differenze etniche e il tentativo di impossessarsi delle terre coltivate costituiscono fattori rilevanti, la natura delle violenze dei fulani e in particolare i numerosi attacchi contro i cristiani raccolti in preghiera, sottolineano la crescente influenza del movente religioso. I vescovi locali hanno più volte denunciato l’esistenza di una “chiara agenda” per islamizzare un’area prevalentemente cristiana».
Incluso nel rapporto anche l’aumento della violenza antisemita e di quella terroristica in Europa, in Francia in particolare. Anche in questo caso, ad opera di gruppi armati legati all’Isis e alla galassia radicale islamica. D’esportazione o locale, imposto dallo Stato o praticato da masse fanatizzate, è l’islam radicale il singolo maggior persecutore dei cristiani in questo inizio di XXI Secolo.
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Dietro le parole, le formule, le riunioni politiche ai massimi livelli, insomma, si certifica e accetta un concetto caro al pensiero liberale: i poveri sono in qualche modo colpevoli di esserlo, e quindi un po’ – lo dico in francese – cazzi loro. Le Le Pen e i Salvini e tutta la compagnia neofascista che ogni giorno starnazza dalle cronache, hanno il loro conclamato razzismo, certo. Ma esiste un razzismo molto più presentabile e pulito, accettabile e incoraggiato, da “classe media” per dirla con monsieur Macron, ed è quello contro i poveri. L’aggettivo “economico” è usato a piene mani per descrivere chi non ce la fa, chi rimane sotto le soglie, chi resta stritolato. Restando alle voluttuose giravolte del vocabolario, non è un caso che i licenziamenti economici nelle politiche del lavoro italiano si chiamino “licenziamenti per causa oggettiva”. Capito? Il mercato è oggettivo, le vite delle persone invece sono soggettive, e quindi (di nuovo) cazzi loro. Non è niente male come paradosso per iniziare un secolo e un millennio: superate le ideologie (ahahah), archiviata ogni idea di socialismo, di pari diritti, di pari dignità eccetera eccetera, ecco che il mondo – e l’Europa in prima fila – riscopre una grandissima rottura di palle per ceti medi: i poveri. Irritano i migranti economici, in quanto poveri, irritano i turisti low cost che mangiano il panino in strada invece di andare al ristorante, con grande scorno dei Briatore e dei Nardella, irritano i laureati poveri che reclamano una vita più decente, con grande scorno dei Poletti. E’ come se si affermasse (a destra e a sinistra) un nuovo status sociale: l’equazione cittadino uguale ceto medio che Macron ha così soavemente esposto, penetra nelle coscienze. Come la bella Lisa, la prosperosa salumiera de Il ventre di Parigi di Zola, tutti paiono vagamente, persino subliminalmente convinti che il povero “si è cacciato in quella situazione”, e in un piccolo, veloce passaggio logico si trasforma la povertà in una colpa. Ecco spiegata la guerra in atto: una guerra contro i poveri, colpevoli di minare – con il loro colpevole essere poveri – la tranquilla stabilità di tutti gli altri. Non male come modernità: sono cose che si sentivano dire a tavola tanto tempo fa, quando annuendo e dicendo “signora mia”, si passava la salsa allo zar.
Alessandro Robecchi, il sito ufficiale » Il razzismo “perbene” della classe media: non sono “perseguitati”
La povertà come colpa.
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Le elezioni più imbarazzanti e difficili della storia Repubblicana con una serie di fuori programma che la rendono più simile al film di Verdone che alle elezioni politiche vere e proprie. La sceneggiata del Generale Antonio Pappalardo che dopo aver contestato Laura Boldrini,con l’arroganza di volerla perfino arrestare, è stato cacciato dalla sede dell’Arci di Milano.
Silvio Berlusconi,noto per le cenette eleganti nelle ville di Arcore e in Sardegna, fugge spaventato alla vista delle tettine della “Femen”,ma che non sia più lo stesso oppure è stato colto in un momento virilmente decadente.
A femen militant performs a protest against Italian former prime minister and leader of ‘Forza Italia’ party Silvio Berlusconi during a general elections at a polling station in Milan, Italy, 4 March 2018.ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
Alessandro Di Battista che dopo aver dichiarato:” vedo gli italiani molto rincoglioniti”, sbaglia seggio presentandosi al seggio di via Taverna a Roma,accorgendosi dopo che quello non era il seggio giusto. Alessandro Di Battista ti vedo molto rincoglionito.
Di Battista dopo l’imbarazzante siparietto è stato indirizzato al seggio di via Vallombrosa,ma prontamente ha dichiarato: “E’ colpa di un cambio di residenza, ti devono mandare un tagliandino e a me non è arrivato…”.
Pierluigi Bersani che ha votato a Piacenza,alla Scuola di via Emmanueli, uscendo dalla cabina elettorale ha driblato presidente di seggio e scrutatori infilando direttamnete la scheda nell’urna.
Il personale lo ha immediatamente redarguito spiegandogli che avrebbero dovuto staccare il tagliando antifrode dalla scheda elettorale,ma lui taglia corto:“Il tagliando andava… “, gli dice la segretaria della sezione: “Vabbè è lo stesso, mi scusi. Poi lo togliamo dopo”, il tagliando di controllo anti-frode ovviamente,ma se lo togliamo dopo aver aperto la scheda scopriamo per chi ha votato Bersani e qualcuno potrebbe obbiettare che il voto va annullato.
Beppe Grillo ha votato nel seggio di Sant’Ilario a Genova, ma per la troppa fretta di lasciare il seggio elettorale,temendo che qualcuno dei suoi famosi “Vaffa” gli ritornasse indietro,ha dimenticato la figlia.
QUARGNENTO. LA SMEMORANDA DEI POLITICI: BERLUSCONI PASSANDO PER BERSANI,DI BATTISTA E GRILLO. Le elezioni più imbarazzanti e difficili della storia Repubblicana con una serie di fuori programma che la rendono più simile al film di Verdone che alle elezioni politiche vere e proprie.
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Die Gründer von Trelios – Burak Kozal, Alessandro Lo Cacciato und Roman Vysotsky von Burak Kozal Über Flickr: Das Gründerteam der SEO-Agentur Trelios bei einem professionellen Outdoor-Shooting – Symbol für Teamgeist, Innovation und digitale Vision.
#Burak Kozal#Trelios#SEO Agentur Hannover#Gründerteam#Local SEO Experten#digitales Unternehmertum#Hannover Startups#Hannover#Alessandro Lo Cacciato#Roman Vysotsky#Blankenburg (Harz)#Sachsen-Anhalt#Deutschland#flickr
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Finisce 2-0 oggi e finì 2-0 anche allora, nel 2007, quando si incontrarono per l’ultima volta allo stadio Pierluigi Penzo leoni arancioneroverdi e Fere Umbre. Purtroppo le analogie finiscono qui perché, a differenza di quel giorno, dobbiamo riscontrare la scarsa presenza di pubblico sugli spalti sia a causa della serata molto gelida, sia per il divieto di trasferta inflitto ai tifosi ternani per alcuni episodi che li hanno visti protagonisti nei giorni scorsi.
Riguardo la tifoseria veneziana dovremmo aprire un capitolo a parte, perché se è anche vero che la squadra sta disputando un campionato assolutamente sontuoso e la società appare seria e florida di programmi solidi e futuristici, l’attuale cronica assenza di un impianto adeguato alla serie B e facilmente raggiungibile dai residenti in provincia, porta i tifosi meno accaniti a disertare le tribune e al disaffezionamento generale di chi, negli anni passati, gremiva maggiormente gli spalti colmi di storia del piccolo e vetusto stadio Penzo.
Tornando alla partita odierna le cose vanno come previsto, il Venezia gioca, vince e convince, mentre la gloriosa Ternana si avvia sempre più verso una retrocessione che appare ad ogni partita sempre più inevitabile: il recente cambio in panchina operato dalla società non ha impresso il cambio di marcia sperato e la situazione appare vicina all’irrimediabile ritorno in Serie C della compagine rossoverde.
Riguardo la situazione in casa Ternana ricordiamo che i tifosi umbri nella settimana scorsa hanno duramente contestato giocatori e presidenza, gli uni considerati rei di aver remato contro mister Pochesci, e la società colpevole di averlo cacciato, in seguito a una conferenza stampa molto polemica, rendendo ancora più difficile una situazione che già allora pareva al limite del recuperabile
Lo zoccolo duro dei tifosi lagunari occupa come al solito la curva sud. Anche se numericamente inferiori alle volte precedenti, si sono compattati egregiamente nella parte centrale del settore, facendosi sentire per larga parte della partita anche con cori contro i rivali storici di Padova, che si apprestano ormai incontrastati al ritorno nella cadetteria dopo parecchi anni di oblio in Serie C/Legapro.
Molti cori si sono registrati a favore del Presidentissimo Joe Tacopina (portaci, portaci, portaci in Europa, Tacopina portaci in europa) e all’indirizzo di mister Pippo Inzaghi, esortato a rimanere in laguna anche nella prossima stagione.
Da annotare nella cronaca anche uno striscione in ricordo di Alessandro, tifoso salernitano scomparso la settimana scorsa.
La serata si conclude, come già detto, con la vittoria del Venezia che impreziosisce ancor di più una stagione già di per sé straordinaria, mentre la Ternana incassa l’ennesima sconfitta e si avvia verso una triste retrocessione, contestata pure oggi da una sparuta rappresentanza di tifosi rossoverdi presenti in tribuna.
Marcello Casarottti
Venezia – Ternana: nel gelo del “Penzo” tutto come da copione Finisce 2-0 oggi e finì 2-0 anche allora, nel 2007, quando si incontrarono per l’ultima volta allo stadio…
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12 ago 2021 18:48
COME VIVERE, E MALE, SENZA FEDERICO ZERI - CI DICE ANCORA CHE LA STORIA DELL'ARTE È STORIA E BASTA: CHE L'OCCIDENTE E L'ORIENTE SI INCROCIANO DI CONTINUO. AVVERTE CHE SOLO SVILUPPANDO IL NOSTRO OCCHIO RIUSCIREMO A CAPIRE CHI SIAMO - ANNA OTTANI CAVINA: ‘’VISITING PROFESSOR A HARVARD E ALLA COLUMBIA, NON È MAI STATO CHIAMATO DA UNA UNIVERSITÀ ITALIANA. DA FREELANCE AVEVA UN'AUTOREVOLEZZA CHE SI ERA COSTRUITO DA SOLO. ERA UNA FIGURA LIBERA, CONTROCORRENTE. AVEVA UN DISTACCO ARISTOCRATICO DA OGNI SISTEMA, NON ANDAVA A BUSSARE ALLE PORTE’’
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Dario Pappalardo per "Robinson - la Repubblica"
Nei video su YouTube, Federico Zeri continua a tenere la sua lezione. Non dalla cattedra che non ha mai avuto, ma dalla scrivania della sua Villa di Mentana, tra i marmi e le cartelline di fotografie. Continua a googlare nella sua testa - lo fa da quando il termine ancora non esisteva - a trovare connessioni tra le immagini, tra maestri del colore riconosciuti o pittori anonimi, dimenticati dai documenti.
Ci dice ancora che la storia dell'arte è storia e basta: che l'occidente e l'oriente si incrociano di continuo sulle tavole delle icone, tra i polittici dipinti e le sculture degli imperatori. Avverte che solo sviluppando il nostro occhio riusciremo a capire chi siamo.
Zeri avrebbe compiuto 100 anni il 12 agosto. Di lui resta un archivio strepitoso - Internet ante litteram - che era già nella sua mente e che oggi è oggetto delle ricerche di studiosi e appassionati nel mondo. Quel patrimonio culturale è stato custodito dalla storica dell'arte Anna Ottani Cavina, che per 14 anni ha diretto la Fondazione Zeri, di cui ora è presidente onoraria, all'università di Bologna.
Con il critico e una ristretta cerchia di amici ha condiviso i viaggi e un'amicizia costante, fatta di discrezione: «Ci davamo del lei», dice. Chi era Federico Zeri? «La storia di Federico Zeri è quella di un irregolare di genio. Molti l'hanno conosciuto in tv, ma lui ha vissuto decenni di studio alfieriano fra biblioteche e musei con una sete ossessiva di conoscenza.
Si laurea a Roma nel 1945 con Pietro Toesca, guida i soldati americani alla scoperta della capitale, conosce le lingue, la botanica, la chimica ed entra in dialogo con i poli antagonisti della storia dell'arte: Roberto Longhi e Bernard Berenson, che raggiunge a I Tatti, la villa di Fiesole, pedalando sulla bici di Anna Banti».
Il più citato nella storia dell'arte italiana del Novecento rimane però Roberto Longhi. «Ma Federico Zeri ha sùbito una dimensione internazionale. Conosce il mondo anglosassone come nessuno in quegli anni: 18 traversate alla volta degli Stati Uniti. Parla e scrive un inglese perfetto. A 36 anni è chiamato dal Metropolitan Museum di New York per costruire il catalogo dei dipinti italiani, quattro volumi.
Poi il catalogo della Walters Art Gallery di Baltimora e il Census of Italian Paintings nelle collezioni pubbliche americane. Incrocia elementi di diversa natura - storia, filologia, iconografia - per restituire identità ai dipinti. È il consulente di grandi collezionisti, da Vittorio Cini ad Alessandro Contini Bonacossi, da Luigi Magnani a Gianni Agnelli a Paul J. Paul Getty: la sua connoisseurship diventa strumento di conoscenza storica».
Non lavorava per il mercato? «Non aveva piedistalli accademici, era un libero studioso. È stato l'advisor del grande antiquario Daniel Wildenstein. In mezzo alle fotografie di Zeri abbiamo recuperato 323 perizie, battute a macchina su carta termofax, molto lontane da quelle paginette oracolari, ontologiche, cui ci ha abituato il mercato. Ogni perizia, di tre/quattro pagine, ha la densità di un saggio.
Zeri sposta l'attribuzione e la data, decifra la scritta, individua l'emblema araldico, coglie gli indizi più labili e nascosti. Uno scavo molto serio per dare nome a un dipinto e ricostruire il tessuto storico. Senza potersi avvalere di Internet, aveva una capacità di connessione straordinaria. Scansionate nel cervello, tutte quelle immagini gli permettevano collegamenti che noi oggi facciamo con il computer».
Riguardando i suoi interventi in video appare sicuro nello smascherare i falsi con esiti clamorosi. «Usava parole di spietata precisione, definitive. Nel 1983 sul kouros del Getty, la statua greca ritrovata in sette pezzi che quadravano a perfezione, afferma a gran voce che è un falso. Cacciato dai trustees del museo, otterrà finalmente ragione nel 1990, alla comparsa sul mercato di un secondo kouros gemello. A favore delle telecamere del tg, nel 1984 afferma senza esitazione che le "teste di Modigliani": "So' du' paracarri".
La sua capacità di definizione proviene da un lungo processo investigativo e da una conoscenza delle forme e della loro evoluzione in un arco temporale vastissimo. Ma anche da studi incrociati. Persino dalla botanica».
La botanica? «Smaschera la cosiddetta Madonna di capitan Cook attribuita a Raffaello, riconoscendo nel dipinto una Cycas revoluta, una palma originaria delle terre oceaniche esplorate da Cook 250 anni dopo la morte di Raffaello. In questo campo la sua conoscenza capillare si saldava a un amore sconfinato per la natura che aveva motivazioni nel mondo antico e pagano, prima che la sacralità del regno vegetale fosse scalzata dall'avanzare del cristianesimo».
Era diventato una maschera televisiva, un influencer ante litteram. «I suoi affondi sono impudenti, a volte pittoreschi fra palandrane e jellabah, ma nel segno della denuncia. Conosce le potenzialità del mezzo: "Rispondendo alle buffonate con le buffonate, non ho esitato a travestirmi, ad apparire in scenari assurdi, a costruirmi una personalità che Salvador Dalí, che ho conosciuto di persona, non avrebbe sconfessato"».
Non ha scritto molti libri. «"Rimpiango tutti i libri che non ho scritto", diceva. Il suo Pittura e Controriforma è ancora un libro esplosivo, prima risposta italiana agli studi marxisti di Frederick Antal. Ma Zeri è una stella di prima grandezza, al di là dei suoi scritti, dove ha forgiato una lingua scabra e laconica, estranea alla cerchia longhiana: "una lingua elegante, costruita a colpi di rinunce, dove il poco tiene il posto del molto e lo riassume", come gli riconosceva Giovanni Testori».
Che ricordi ha dei viaggi con lui? «Viaggiava in luoghi remoti, allora poco accessibili, su autobus di linea. Si muoveva fra le rovine della città carovaniera di Palmyra - dove arrivammo nel 1988 con i cammelli - come se davvero quelle rovine lui le avesse abitate, quando ancora non c'era il deserto. "Non ci sono più le gazzelle!". Queste parole di Zeri non le dimentico. Aveva negli occhi la Palmyra del III secolo: leoni e gazzelle cacciati dall'imperatore Aureliano nei territori della regina Zenobia, come li aveva descritti Ammiano Marcellino».
Si lanciava in territori estremi per l'epoca. «Amava i crocevia delle culture, le civiltà alla periferia dell'Impero. Non era ancora caduto il muro di Berlino e si andò a Tallinn, in Estonia, alla ricerca di un retablo di Michael Sitow, poi a Mistra, fra le rovine medievali dei Paleologi, in Siria e in Turchia, dove si è recato più volte, mentre colleghi illustri non avevano mai visto Costantinopoli. A differenza di Roberto Longhi, che in Giotto riconosceva l'origine della nostra cultura visiva, Zeri individuava le nostre radici nell'Oriente e nella contaminazione dei due mondi».
Non ha mai avuto una cattedra in Italia. «Visiting professor a Harvard e alla Columbia University, non è mai stato chiamato da una università italiana. Da freelance aveva un'autorevolezza che si era costruito da solo. Era una figura libera, controcorrente. Aveva un distacco aristocratico da ogni sistema, non andava a bussare alle porte.
Si rifugiò lontano dalla città: a Mentana, fuori Roma, nella villa dove aveva montato la sua collezione di reperti in una passeggiata socratica di incontro con le ombre del passato. La lettura più penetrante è dell'archeologo Antonio Giuliano: Zeri veniva a noi da un mondo antico, cui sentiva di appartenere; da qui la sua solitudine intellettuale e il suo rapporto lacerante con il presente».
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"Non è vero che sono perseguitati": il nuovo razzismo perbenista della classe media
"Non è vero che sono perseguitati": il nuovo razzismo perbenista della classe media Alessandro Robecchi. Tutta da leggere. Siccome il catalogo delle ipocrisie planetario si arricchisce ogni giorno di più, servirebbe una bussola, un tutorial su YouTube, o almeno un rinnovo periodico del vocabolario. Il trucchetto funziona sempre: se non si riescono a cambiare le cose si cambiano le parole. Le parole nuove vengono ripetute e quindi accettate, e così, ecco che il migrante non è più migrante semplice, ma si divide in migrante perseguitato e migrante economico, con il corollario che il primo è un migrante vero, e l’altro una specie di furbacchione che non vuole lavorare al suo paese, è povero e cerca di esserlo meno andando via di lì. Col suo piglio neogollista da glaciale sciuparepubbliche il presidente francese Macron l’ha detto meglio di tutti: “Come spieghiamo ai nostri cittadini, alla nostra classe media, che all’improvviso non c’è più un limite?”. Perfetto e di difficile soluzione, in effetti: come spiegare a gente che borbotta se trova più di tre persone in fila alla cassa dell’Autogrill che ci sono migliaia di uomini e donne che vengono qui sperando finalmente di mangiare qualcosa? Mentre Macron diceva quelle cose (notare l’equazione “cittadini” uguale “classe media”), nei boschi tra Ventimiglia e Mentone era in corso una poderosa caccia all’uomo con i cani lupo alla ricerca di qualche decina di migranti passati clandestinamente in Francia. Scene degne dell’Alabama di fine Ottocento, a poche centinaia di chilometri dalla recente esibizione di grandeur di monsieur le Président. Dietro le parole, le formule, le riunioni politiche ai massimi livelli, insomma, si certifica e accetta un concetto caro al pensiero liberale: i poveri sono in qualche modo colpevoli di esserlo, e quindi un po’ – lo dico in francese – cazzi loro. Le Le Pen e i Salvini e tutta la compagnia neofascista che ogni giorno starnazza dalle cronache, hanno il loro conclamato razzismo, certo. Ma esiste un razzismo molto più presentabile e pulito, accettabile e incoraggiato, da “classe media” per dirla con monsieur Macron, ed è quello contro i poveri. L’aggettivo “economico” è usato a piene mani per descrivere chi non ce la fa, chi rimane sotto le soglie, chi resta stritolato. Restando alle voluttuose giravolte del vocabolario, non è un caso che i licenziamenti economici nelle politiche del lavoro italiano si chiamino “licenziamenti per causa oggettiva”. Capito? Il mercato è oggettivo, le vite delle persone invece sono soggettive, e quindi (di nuovo) cazzi loro. Non è niente male come paradosso per iniziare un secolo e un millennio: superate le ideologie (ahahah), archiviata ogni idea di socialismo, di pari diritti, di pari dignità eccetera eccetera, ecco che il mondo – e l’Europa in prima fila – riscopre una grandissima rottura di palle per ceti medi: i poveri. Irritano i migranti economici, in quanto poveri, irritano i turisti low cost che mangiano il panino in strada invece di andare al ristorante, con grande scorno dei Briatore e dei Nardella, irritano i laureati poveri che reclamano una vita più decente, con grande scorno dei Poletti. E’ come se si affermasse (a destra e a sinistra) un nuovo status sociale: l’equazione cittadino uguale ceto medio che Macron ha così soavemente esposto, penetra nelle coscienze. Come la bella Lisa, la prosperosa salumiera de Il ventre di Parigi di Zola, tutti paiono vagamente, persino subliminalmente convinti che il povero “si è cacciato in quella situazione”, e in un piccolo, veloce passaggio logico si trasforma la povertà in una colpa. Ecco spiegata la guerra in atto: una guerra contro i poveri, colpevoli di minare – con il loro colpevole essere poveri – la tranquilla stabilità di tutti gli altri. Non male come modernità: sono cose che si sentivano dire a tavola tanto tempo fa, quando annuendo e dicendo “signora mia”, si passava la salsa allo zar.
Alessandro Robecchi. Tutta da leggere. Siccome il catalogo delle ipocrisie planetario si arricchisce ogni giorno di più, servirebbe una bussola, un tutorial su YouTube, o almeno un rinnovo periodico del vocabolario. Il trucchetto funziona sempre: se non si riescono a cambiare le cose si cambiano le parole. Le parole nuove vengono ripetute e quindi accettate, e così, ecco che il migrante non è più…
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Coltivava marijuana in una serra artigianale: 34enne arrestato dai carabinieri
Coltivava marijuana in una serra artigianale: 34enne arrestato dai carabinieri was originally published on ITALREPORT
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Burak Kozal bei einem Outdoor-Strategie-Shooting von Burak Kozal Über Flickr: Burak Kozal inszeniert ein kreatives Outdoor-Shooting mit Flipchart und Geländewagen – Symbol für innovative Strategien im digitalen Marketing.
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