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#Giulia Conte
marcogiovenale · 1 year
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fondazione baruchello, 31 marzo: l'archivio e la storia, convegno online
Per partecipare, accedere alla piattaforma Zoom cliccando qui Comunicato stampa qui
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crossroad1960 · 10 months
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Forse non è chiaro quello che sta succedendo. E cioè, la polizia pubblica su Instagram la ormai celebre poesia di Cristina Torre Cáceres (“Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto…”), e lo fa in memoria di Giulia Cecchettin. Sotto parte un profluvio di commenti, inatteso, tremendo, squarciante, migliaia di donne, molte a raccontare della volta in cui si sono rivolte alla polizia per essere state pestate, molestate, minacciate, e di non essere state credute, talvolta respinte, irrise, e raccontano delle loro amiche e parenti che per essere state respinte e irrise ora sono morte. A sera i commenti sono tremila, una rivolta, così vengono bloccati e poi rimossi, e infine ripubblicati per scongiurare una figura ancora peggiore. Diventano quattromila, cinquemila, seimila. Avrei scommesso la mia ultima banconota che l’indomani si sarebbe scatenato l’inferno, non per mettere la polizia spalle al muro, ma perché mai s’era visto qualcosa di più preciso e tambureggiante a restituire la dimensione di un fenomeno, di una frustrazione rabbiosa, di una sottovalutazione collettiva. E invece nulla, niente da dire Giorgia Meloni né Elly Schlein né Giuseppe Conte né alcuno di quel caravanserraglio sempre lì a buttarsi a pesce sul vago, sul futile, sullo strumentalizzabile con la frasetta baciperugina. Davanti a un tumulto di vita vera, starei per dire di politica, hanno solo il silenzio. Così quelle donne non credute, respinte e irrise sono state di nuovo non credute, respinte e irrise. Peggio: ignorate. E l’abbandono che hanno denunciato sotto il post della polizia diventa l’abbandono da parte di tutte le istituzioni. (Mattia Feltri)
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cinquecolonnemagazine · 7 months
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Recupero di reperti archeologici: tra web e Carabinieri
Duecento reperti archeologici, trafugati in Italia dai nazisti nel 1943, sono stati recuperati dai Carabinieri del Nucleo TPC di Monza grazie a ricerche mirate su siti di e-commerce specializzati nella compravendita di opere d'arte. L'operazione, che ha portato alla scoperta di manufatti in oro, argento e avorio, stampe antiche, volumi e persino un ritratto di Giulia Gonzaga di Jacopo del Conte, rappresenta un passo avanti fondamentale nel recupero di un'eredità culturale preziosa sottratta al nostro Paese durante la Seconda Guerra Mondiale. Le indagini I Carabinieri del Nucleo TPC di Monza, nell'ambito della loro attività di monitoraggio del web per contrastare il traffico illecito di beni culturali, hanno individuato su diverse piattaforme online numerosi reperti archeologici che presentavano caratteristiche sospette. Dagli accertamenti è emerso che i reperti in questione provenivano dalla collezione Pietro Fedele, già conservata presso la Torre di Pandolfo di Capodiferro a Gaeta, e trafugati dai nazisti durante l'occupazione dell'Italia. Il rimpatrio Grazie all'intervento dei Carabinieri, i reperti saranno sequestrati e rimpatriati in Italia. Saranno ora restituiti al Ministero della Cultura e riconsegnati alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento. Un'operazione di grande valore Il recupero di questi reperti archeologici è un risultato di grande valore, non solo per il patrimonio culturale italiano, ma anche per la memoria storica del nostro Paese. L'operazione dimostra l'impegno costante dei Carabinieri nella tutela dei beni culturali e nella lotta contro il traffico illecito di opere d'arte. Un esempio di come il web possa essere utilizzato per scopi positivi Inoltre, questa vicenda rappresenta un esempio di come il web possa essere utilizzato per scopi positivi, come la ricerca e il recupero di beni culturali trafugati. Grazie al lavoro dei Carabinieri e all'utilizzo di strumenti digitali avanzati, è stato possibile restituire al nostro Paese un pezzo importante della sua storia. Foto di Thanasis Papazacharias da Pixabay Read the full article
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lamilanomagazine · 8 months
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Beni asportati dalle truppe di occupazione durante la seconda guerra mondale recuperate dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Monza
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Beni asportati dalle truppe di occupazione durante la seconda guerra mondale recuperate dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Monza. Nel corso dei consueti controlli delle piattaforme di e-commerce e dei siti specializzati nella vendita di opere d’arte, i Carabinieri del Nucleo TPC di Monza hanno individuato numerosi reperti di natura archeologica presentati come provenienti della collezione Pietro Fedele e già conservati presso la Torre di Pandolfo di Capodiferro. I primi accertamenti hanno permesso di verificare come questi reperti fossero di provenienza demaniale e già musealizzati in quello che era conosciuto come Museo della Civiltà Aurunca, eretto nel 1926 dall’allora Ministro dell’educazione nazionale Pietro Fedele. Ma soprattutto si tratta di beni asportati dalle truppe di occupazione durante il Secondo Conflitto mondiale.   In collaborazione con i funzionari della SABAP e personale dell’Istituto Centrale del Restauro, i Carabinieri hanno potuto ricostruire le vicende che hanno visto protagonista proprio la Torre di Pandolfo di Capodiferro: torre longobarda che nel 1943 fu bombardata e rasa al suolo dalle truppe di occupazione tedesche non prima però di averla depredata. Destino comune ad altre città e luoghi di cultura come Milano, Montecassino, ma anche Pompei e il Ponte Borbonico Real Ferdinando che sormonta il fiume Garigliano luogo dove i tedeschi avevano fatto partire la nota “Linea Gustav”. Gioielli del nostro patrimonio culturale che subirono le conseguenze belliche del Secondo Conflitto. La torre di Pandolfo Capodiferro fu concessa negli anni venti in enfiteusi a Pietro Fedele dal Comune di Sessa Aurunca proprietario dell’immobile e dell’area demaniale circostante, su sua richiesta per realizzare un museo archeologico, per un canone annuo di 200 lire e con l’obbligo di restaurarla. Il canone fu poi ridotto a una lira “…quale segno tangibile di riconoscimento e di gratitudine … per la ricostruzione della Torre longobarda…” Nel 1926 Pietro Fedele fu talmente appassionato alla gestione della Torre come vestigia di una propria identità culturale a tal punto che la fece inserire nello stemma di famiglia nonostante la proprietà fosse demaniale. Il museo occupava tutti i quattro piani della torre mostrando numerosi reperti archeologici, numismatici e altri che appartenevano al medioevo. Alle centinaia di pezzi in oro, argento e anche in avorio si aggiungevano il ritratto di Giulia Gonzaga di Jacopo del Conte, stampe antiche rappresentanti vedute del territorio di Minturno, Gaeta, Fondi e Formia senza dimenticare l’angolo dedicato a Maria Cristina di Savoia e i circa 8000 volumi custoditi nella biblioteca. L’indagine, minuziosamente condotta, ha consentito ricostruire il viaggio che questi beni percorsero nel tempo. Il bottino del rastrellamento eseguito nell’autunno del 1943 quando le truppe tedesche del 15° Panzer Gran Division I.C. entrarono - per conto del Kunstschutz - e depredarono il museo, venne accuratamente selezionato dai soldati e raccolto in numerose casse. Parte del materiale è stato poi restituito tramite l’Archivio di Stato di Roma Sant’Ivo e Castel Sant’Angelo, luoghi presso cui vennero depositati i beni durante la guerra, agli eredi di Pietro Fedele. Al termine della guerra i beni dispersi furono oggetto di una specifica indagine condotta dall’allora ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero, a capo del Comitato per le restituzioni; attività successivamente sugellata dalla pubblicazione nel 1995 del volume “L’opera da ritrovare. Repertorio del patrimonio italiano disperso all’epoca della seconda guerra mondiale”. Ad oggi mancano all’appello ulteriori reperti archeologici, monete, medaglie e vario materiale riconducibile all’attività istituzionale svolta dall’allora Ministro dell’Istruzione, Pietro Fedele. Come affermato da esperti del settore, la distruzione della torre “… è stata una perdita per la cultura e per la regione, una delle più gravi disgrazie…”. Per questo motivo, la restituzione da parte dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale acquisisce un valore inestimabile perché restituisce il vero valore a questi beni culturali che, come recita l’articolo 2 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, sono oggetti che rappresentano testimonianza avente valore di civiltà e ogni volta che qualcuno considera questi beni solo come oggetti da vendere sottraendoli dal loro contesto storico e dalle loro origini, cancella la loro eredità culturale ovvero il loro vero valore impoverendo così tutti noi. Il Tenente Colonnello Giuseppe Marseglia, Comandante del Gruppo TPC del Centro Nord, restituirà oltre 200 reperti della Torre di Pandolfo di Capodiferro al Soprintendente della SABAP per le province di Caserta e Benevento durante la conferenza stampa prevista per il prossimo 10 febbraio presso le sale del Castello Ducale di Sessa Aurunca alla presenza delle Autorità locali.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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noisynutcrusade · 11 months
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Grillo da Fazio is a case, Bongiorno goes on the attack: "Pain is not a show"
ROME. The irreverent jokes against Giuseppe Conte did not make too much noise, not even at the top levels of the 5 Star Movement. What created the strongest controversy of Beppe Grillo’s entire show on “Che tempo che fa” was inevitably the direct attack on Giulia Bongiorno, senator of the League, but, above all, lawyer of the girl who accuses Ciro of sexual violence Grillo and his friends. During…
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totouchthcstars · 1 year
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@champagneprblms || Giulia & Luca cont. from x bc beta editor
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.。.:*☆ Guilia grinned and then simply hugged Luca, glad to have her friend back finally. "I am good, really?" She then exclaimed with a smile and a nod. "Yeah, I do go to college. Also a little bit out of spite, I have to admit. Because they expect girls here to get married and have a family, in first place." The thought made Guilia frown and roll her eyes again.
"We both like the sky and the stars, remember? So I really hope I can do something in that field. I also would not turn down a chance to sail the world, but - rumour has it that odd things happen when you try to leave Sydney. Better not risking my luck here."
G went silent for a moment, listening to Luca and their worries. "I do get that, really. But, you would surprise how many odd... people live here. Demigods, shapeshifters, you name it. So, I think you are pretty safe, actually? Like, honestly, even if they find out, no one really seems to care."
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personal-reporter · 1 year
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Alessandro Manzoni, padre del romanzo storico
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Lo scrittore che mutò per sempre la storia della letteratura italiana… Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785 da una relazione adulterina tra Giulia Beccaria e Giovanni Verri, fratello di Alessandro e Pietro, esponenti dell'Illuminismo,  nonostante ciò fu immediatamente riconosciuto dal marito di lei, Pietro Manzoni. Nel 1791 entrò nel collegio dei Somaschi a Merate, dove rimase fino al 1796, quando fu ammesso presso il collegio dei Barnabiti. Alessandro dal 1801 abitò col padre a Milano, ma nel 1805 si trasferì a Parigi, dove viveva la madre  con il  compagno, Carlo Imbonati, morto poi in quello stesso anno. Proprio in onore di Imbonati, in segno della stima che gli portava, Manzoni compose il carme In morte di Carlo Imbonati. A Parigi  visse fino al 1810 stringendo forti amicizie nell'ambiente degli ideologi, che ripensavano in forme critiche e con istanze etiche la cultura illuminista. Durante un soggiorno a Milano nel 1807, lo scrittore si innamorò di Enrichetta Blondel, che sposò con rito calvinista e dalla quale ebbe negli anni ben dieci figli. Il 1810 fu  l'anno della conversione religiosa della coppia,  il 22 maggio Enrichetta abbracciò la fede cattolica e, tra l'agosto ed il settembre, Manzoni si comunicò per la prima volta. Dal 1812 lo scrittore compone i primi quattro Inni Sacri, poi pubblicati nel 1815 e l'anno seguente iniziò la stesura del dramma Il conte di Carmagnola. Manzoni nei due decenni successivi compose, tra gli altri, La Pentecoste, Osservazioni sulla morale cattolica, la tragedia Adelchi, le odi Marzo 1821 e Cinque Maggio, le Postille al vocabolario della crusca ed avviò la stesura del romanzo Fermo e Lucia, uscito poi nel 1827 col titolo "I promessi sposi,  la cui seconda e definitiva stesura sarà nel 1840, con la pubblicazione nelle dispense corredata dalle illustrazioni del Godin. Il lungo lavoro sul romanzo si caratterizzò sostanzialmente per la revisione linguistica dello scrittore, nel tentativo di dare un orizzonte nazionale al suo testo, orientandosi sulla lingua  parlata dai ceti colti della Toscana contemporanea. Nel 1833 mori la moglie di Manzoni, evento che gettò lo scrittore in un grave sconforto,  nel 1837 si risposò con Teresa Borri, vedova del marchese Decio Stampa e madre dell’amico Stefano. La tranquillità familiare però nel 1848 fu turbata dall’arresto del figlio Filippo è fu proprio in questa occasione che Manzoni scrisse l'appello dei milanesi a Carlo Alberto. Di due anni dopo fu la lettera al Carena Sulla lingua italiana. Tra il 1852 e il 1856 Manzoni visse in Toscana, mentre la sua fama di letterato, di grande studioso di poetica ed interprete della lingua italiana si andava sempre più consolidando e i riconoscimenti ufficiali non si fecero attendere, tanto che nel 1860 fu nominato Senatore del Regno. Purtroppo, accanto a questa soddisfazione di rilievo segue sul piano privato un altro dolore infatti,  appena un anno dopo la nomina, lo scrittore perse la seconda moglie. Nel 1862 Manzoni fu incaricato di prendere parte alla Commissione per l'unificazione della lingua e sei anni dopo presentò la relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla. Alessandro Manzoni morì a Milano il 22 maggio 1873, onorato come il letterato italiano più rappresentativo del secolo e il padre della lingua italiana moderna e per lui Giuseppe Verdi compose la stupenda Messa da Requiem. Read the full article
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tastatast · 2 years
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L’Argine a Vencò
LOCALITZACIÓ
L’Argine, que es pronuncia Àrgine, significa “terraplè a la riba del riu”, el riu Judrio, que separa el Collio Goriziano i el Colli Orientali del Friuli. Com ja sabeu, m’agrada situar-me i mirar mapes; i més, en localitzacions frontereres com aquesta. Doncs bé, L’Argine està situat a Vencò, una fracció del municipi de Dolegna del Collio, a la província de Gorizia (Friuli-Venezia-Giulia). Estem enmig del camp, a les afores d’un poble d’uns 300 habitants que limita amb els municipis de Collio/Brda (Eslovènia), Cormòns (Gorizia), Corno di Rosazzo (Udine) i Prepotto (Udine). Estem a 90 metres d’alçada, al nord-est d’Itàlia i a l’oest d’Eslovènia (concretament a 1 km de la frontera eslovena), a la regió del Collio (els turons de Gorizia, Collio Goriziano o Goriška brda), a la riba dreta del riu Isonzo (Soča en eslovè). Ja ho veieu, aquí tot està indicat en 2 o 3 idiomes: italià, friülà i eslovè. Com m’agrada descobrir aquesta riquesa geogràfica, lingüística i culinària d’Itàlia!
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El restaurant, que també ofereix habitacions, és un edifici modern de línies rectes, de fusta i vidre, d’una única planta baixa i envoltat de camps i del propi jardí. El menjador, amb les parets de vidre, permet veure l’exterior; d’aquesta manera, des de la taula podem veure tant el jardí com la cuina, que també es pot observar a través d’una finestra, generant un tot, un espai únic, de la mateixa manera que ho fa la cuina de l’Antonia Klugmann, que porta l’hort i el jardí de fora cap a dins, cap al plat.
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HISTÒRIA I PERSONES
L’Antonia Klugmann (Trieste 1979) em va semblar una cuinera que cuina, que li agrada cuinar però també la jardineria i els productes del mar. Una persona treballadora, sensible, prudent, humil i molt respectuosa. De pare alemany i mare italiana i provinent d’una família juevo-italiana, va estudiar Dret 3 anys i ho va deixar per dedicar-se a la cuina.
Va treballar al Baldovino de Raffaello Mazzolini (Florència) i l’any 2006 va obrir l'Antico Foledor Conte Lovaria a Pavia di Udine però el 2010 un accident la va fer tornar a casa. Va ser llavors, durant la convalescència, quan va fer el seu primer jardí amb herbes i un hort. Va ser en aquell moment, quan va descobrir la riquesa aromàtica dels vegetals i va decidir tornar a obrir el seu propi restaurant, aquesta vegada a Vencò. Per poder-ho fer, però, necessitava treballar per pagar-ho. Per això, va cuinar amb Gianni Bonaccorsi d’Il Ridotto (Venècia) del 2010 al 2014. Curiosament, sense saber-ho, resulta que ja havia menjat la seva cuina quan l’any 2014 vaig dinar a Il Ridotto, coincidències d’aquelles que fan gràcia.
Finalment, el desembre del 2014 obre L’Argine à Vencò i, ràpidament, l’any 2015, ja rep una estrella que manté des de llavors. El 2017 s’incorpora al projecte la seva germana Vittoria Klugmann, que es dedicava al sector de les assegurances i que actualment dirigeix la sala del restaurant, una sala molt agradable i confortable, reformada a finals del 2018.
CUINA
La filosofia de la cuina d’Antonia Klugmann va lligada a la idea de la “cuina pobra”, és a dir, utilitzar productes i espècies o varietats poc comercials i, per tant, normalment més barates però no exemptes de qualitat, i dotar-los del luxe que tenen altres productes més famosos i valorats arreu. Tot i així, és un terme que no m’acaba d’agradar perquè en la definició ja hi ha un menyspreu intrínsec definint-la com a “pobra”. Una cuina lligada, també, a la idea de produir el mínim de residus possible, aprofitant la totalitat de les parts dels productes. Un relat indispensable i gairebé obligatori actualment però que, en el seu cas, sembla sincer i en concordança amb la persona. 
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La diversitat cultural de Klugmann (alemanya, italiana, jueva, cristiana, frontera amb Eslovènia…) també diferencia la seva cuina. Plats que sempre impliquen experiències personals o donen a conèixer tradicions, fent de la cuina i l’alimentació un mitjà d’expressió personal però també un mitjà de comunicació per a revaloritzar i donar a conèixer les cuines regionals que s’estan perdent, tant a dalt de tot de la piràmide de qualitat alimentària i als restaurants amb més ressó internacional com a la base d’aquesta piràmide on hi trovaríem la indústria de productes ultraprocessats. Per altra banda, també explica que admira a cuiners com Ferran Adrià, Massimiliano Alajmo (Le Calandre i Bar Quadri) i Pier Giorgio Parini; i diu que Niko Romito és la seva font d’inspiració actual.
A nivell organolèptic, és una cuina molt aromàtica, fresca, neta, lleugera, gens greixosa, en cap moment sobrecarrega els plats de sabors ni ingredients innecessaris. Sense deixar de ser gustosa i directa, és harmoniosa i equilibrada, és precisa, clara, transparent. Amb una presentació delicada, moderna, elegant i refinada, fa brillar els ingredients de manera cristal·lina.
Em fa pensar en la pulcritud, la finesa, la puresa, la intensitat aromàtica i gustativa d’aquelles tomaques, maduixes, alfàbregues, gambes, rasons (lloritos) i brandada de bacallà de la cuina dels 90’s de la Ruscalleda al Sant Pau. 
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És una cuina aparentment senzilla, sovint són plats amb pocs ingredients, amanits de manera prou original. Una cuina que permet la possibilitat de degustar productes comuns a la naturalesa però que no es poden aconseguir al mercat, cosa que trobo un dels punts excepcionals del seu restaurant ja que, al dia a dia, a casa, no puc tenir a disposició tanta varietat d’herbes i flors ni molt menys tenir-les de tanta qualitat i tant fresques. Herbes i flors que, per cert, utilitza de manera molt subtil i respectuosa, demostrant un gran coneixement botànic i un bon domini tractant-les. Productes locals per a servir un menú estacional que canvia seguint la temporada dels productes. Un menú on les verdures, les arrels, les herbes i les plantes en general tenen la mateixa importància que el peix (li agrada molt el peix blau, sobretot els seitons) i la carn. De fet, tenen el seu propi hort i jardí d’herbes aromàtiques, de les que n’estudia la seva genètica. I mira, com que cuina herbes i flors i des del menjador veiem el jardí que ens mengem, penso amb en Michel Bras, tot i que les seves cuines siguin ben diferents.
Klugmann ofereix la seva cuina tant amb plats a la carta com en tres menús (un de 10 plats, un de 6 i un de 5) als que se’ls pot afegir un plat per un suplement. 
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Pel que fa a la carta de vins, elaborada pel sommelier Roberto Stella, ofereixen principalment petits productors del Collio Friulano, el Colli Orientali, el Carso Triestino i la Brda eslovena. Però també, de la resta d’Itàlia i d’altres països, sempre de productors que segueixin una filosofia semblant a la del restaurant. També ofereixen 2 maridatges, un de 4 copes i un de 6; o la possibilitat de provar només alguna d’aquestes referències a copes.
MENÚ
Vam triar el menú de 10 plats, el “Menú Territorio: Vita in Movimento”. L’expliquem a continuació.
Primer de tot, et dónen una tovalloleta per rentar-te les mans; molt herbàcia i mentolada, molt agradable, la veritat. I això que mai m’ha acabat d’agradar aquest gest de la tovalloleta a l’inici dels àpats. 
PANS
Un grissino molt lleuger, amb gust de parmesà.
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Una ciabatta di pasta madre. Un pa amb llevats naturals i farines de dos molins de la zona, el Molino Tuzzi i el Molino Moras de Palmanova (Udine).
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Un pane rustico di pasta madre. Un pa integral, amb una fermentació més llarga i més àcid que la ciabatta. Molt bo, servit calent.
APERITIU
Polpette da fico.
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Una figa del seu jardí, sencera i servida calenta com si es tractés d’una mandonguilla de carn; acompanyada amb una salsa de tomàquet i amb unes herbes molt aromàtiques i fresques: orenga, marduix, alfàbrega, una pols de llorer i aigua de llorer.
MENÚ
Cefalo lotregano cotto nell’olio al tartufo nero dello Judrio e finferli in agradolce.
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Una llissa galta-roja (Liza aurata) de la Laguna di Marano, concretament de Marano Lagunare (a l’oest de Grado, que tanca el Golf de Trieste a la província d’Udine), d’un exemplar que feia uns 800 grams i de palangre (o, si més no, no era d’arrossegament). Semblava ben bé una papada de porc calenta i tenia una bona textura però era poc gustosa. 
Amb tòfona negra Tuber brumale var. moschatum fresca del Judrio.
Amb rossinyols (Cantharellus cibarius) marinats.
Cozze, bieta, elicrisio e finocchietto.
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Musclos del Golf de Trieste amb una salsa de cloïsses de la varietat lupini (més petites però molt intenses), amb una centrifuga de bleda, elicrisio (Helichrysum) i fonoll. Uns musclos ben cuits però un punt salats. Una fulla de bleda i unes fulles d’un matoll gran que també eren una mica saladetes. Finalment, pols de fonoll.
Riccio di mare e pesca.
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Garoines crues, pescades a mà per submarinistes; amb botarga de llissa llobarrera (Mugil cephalus o mújol), taronja confitada, préssec, ruta (una herba una mica amarga que s’utilitza per a aromatitzar licors) i punts negres d’una salsa d’all negre fermentat.
Massa petit, exasperant. Massa taronja i una sensació final dolça.
Panzanella a primavera nel Nordest.
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Mare de Déu, que poètic!
Panzanella, una recepta típica de la Toscana que consisteix en unes molles de pa de massa mare sucat amb una salsa feta d’herbes (cibulet, all bord…). Al fons, una aigua de kiwi groc, que substitueix la tradicional feta de tomàquet.
Sembla que hi hagi pebre rosa i queda una sensació final dolça.
Molles de pa exaltades per la frescor de tal manera que l’elegant i preciosa vaixella Cronos d’Or de Bernardaud li queda a l’alçada. Un plat finíssim, pur, net, cristal·lí, fragant i gustós, lleuger i estètic a base d’una recepta tradicional de subsistència i d’aprofitament. Un plat que trobo molt representatiu de la cuina de l’Antonia Klugmann.
Cannelloni ripieni di ricotta e cicorie selvatiche, glassati alle ortiche.
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Uns canelons farcits de ricotta de vaca de la Latteria Sociale de Cividale del Friuli i xicoira; amb una salsa (glassati) d’ortigues feta a base d’una infusió d’ortigues, laminaria (alga?), menta, finta ortica (lamio purpureo) lligada amb retalls de la pasta del caneló. Per sobre, unes fulles d’ortiga.
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Molt bo, una pasta molt fina, calent, gust d’ortigues, gens greixós i molt aromàtic.
Lenticchie arrostite e affumicate, glassa di peperone rosso e trifoglio.
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Llenties de Casteluccio di Norcia (Umbria), bullides, rostides en una paella de ferro i fumades en fred. A la base, una salsa de pebrot vermell. Per sobre, fulles de trèvol i una salsa de les mateixes.
De les millors llenties que he provat mai. Petitíssimes, al dente, amb un gust fumat molt lleuger i amb un gust intens de pebrot. Exquisit.
Ravioli al pomodoro. Ravioli ripieni di pomodoro arrostito, acqua di pomodoro e sambuco. Omaggio a Pierangelini (del ja tancat Ristorante Gambero Rosso de San Vincenzo, a la Toscana).
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5 raviolis petits, amb una pasta finíssima, delicadíssims, es desfan a la boca, no cal ni mastegar, farcits de tomàqut sofregit.
Al fons, aigua de tomàuqet amb iogurt i flor de saüc.
Per sobre, fulles d’artemisa, amb un gust molt conegut que associem al vermut.
Àcid i dolç, estètic, fi, delicat, ple de sabor. Fantàstic.
Pancetta bollita di maiale al rosmarino, radicchio rosso agradolce e liquirozia.
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La pancetta no era d’Osvaldo però era de molt bona qualitat.
Es nota el romaní.
Col lombarda (de Cividale del Friuli) feta de dues maneres: agredolça i saltejada; boníssima, cruixent.
PRE-POSTRES
Gelato fiordilatte e miele, brodo di tarassaco ed erbe del nostro giardino.
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Un gelat de mozzarella de vaca i mel. A la base, un brou amb una consistència gairebé de mel fet amb les flors grogues que fa la dent de lleó i que guarden des de la primavera per a fer aquesta reducció. Al costat, herbes del seu jardí amb suc de llimona marinada i una mica de sal per sobre.
Es tracta de veure com canvia el gust del gelat barrejant-lo amb les diferents herbes.
Unes pre-postres a base d’un gelat deliciós.
POSTRES
Pera e latte di avena.
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A la base, un pudding gelatinós de llet de civada. Després, daus de pera semi-deshidratada. Per sobre, una capa molt prima d’una gelatina feta a partir d’una tisana aromàtica. Finalment, un xarop de sucre mascavat (sucre Khandsari o Khand, sucre morè no refinat).
Un joc de textures molt divertit: sedós com un flam-pannacotta, tou com la pera semi-deshidratada i gelatinós però una capa prima (no carnosa) per la capa de dalt de tot.
M’agrada molt el perfil gustatiu de la pera hipermadura (i, diria que amb la pell i tot)  combinada amb el gust de llet de civada i, tot plegat, amb un punt de sal. M’agrada molt la sal als plats dolços, com la xocolata amb oli i sal. Unes postres boníssimes.
PICCOLA PASTICCERIA
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Petits fours servits amb cullera i forquilla de postres.
Llimona marinada (amb pell i tot) amb suc de llimona.
Tartaleta de mantega amb panacotta de cafè i fonoll.
Fulla de julivert amb sucre. Té ben bé gust de julivert. M’agrada el julivert amb sucre! I el joc visual simulant les gebrades és bonic. 
Gominola/Gelatina de ruibarbre.
Aquest dia no vam acabar d’encertar amb la selecció de vins. 
Inicialment motivats per les bones experiències tingudes el dia anterior a Hisa Franko, ens vam decantar per un blanc de maceració pel·licular amb anys i eslovè. Però el Louisa 2011 de Kabaj es va mostrar més com un vi blanc excessivament evolucionat sense gaire matèria ni expressivitat, incapaç de fer una mica evolució en copa. Un blanc massa fatigat i sense la qualitat per a evolucionar positivament. 
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Per altra banda, vam tastar a copes el Rondon 2016 de Coldigrotta, un vi negre de Isonzo del Friuli DOP, teòricament natural, de baixa extracció i macerat en àmfores (tot això segons el sommelier i la nostra petició) però que va resultar ser un Merlot-Cabernet tànic, madur i intens, gens adequat per la cuina de l’Argine. 
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En resum, de l’Antonia Klugmann n’esperava menjar bé però sobretot buscava que em fes conèixer el territori, la geografia, el paisatge, els productes de la regió i els seus productors. I ho va aconseguir. Un molt bon àpat que ens va fer gaudir menjant, que ens va fer viatjar per diferents punts de tot el Friuli-Venezia-Giulia i del que en tenim un molt bon record. 
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Recordarem molts dels seus plats, plats que realment transmeten la sensibilitat de l’Antonia.
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Picolit
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Questo vino trae la sua origine da un vitigno autoctono antichissimo oserei dire arcaico. Questo sublime vino risale al XIII secolo A.C. Il Picolit  fu assaggiato da imperatori romani e papi. Fu esaltato del celebre e famoso Carlo Goldoni  che lo definì la gemma del Friuli. il conte Asquini lo valorizzò talmente tanto che fu venduto nelle principali corti europee ed arcivescovili, raggiungendo una notevole notorietà che la propria bontà esaltata fu sempre apprezzata.
Alla morte del conte Asquini questo vino decadde .All’inizio del 1900 la famiglia dei conti Perusini riprese a diffondere questo grandioso vino presso la loro tenuta di Rocca Bernarda diffusero ii grande  Picolit. Questo vino oltre che fieramente degustato e famoso anche per le sue capacità seduttive nasce con il cuore in un territorio che si proietta in un territorio dal punto di vista geografico perfetto per la  produzione di ottimi vini rossi e bianchi , dovuta alla commistione climatica fra quella continentale tenue del centro sud e quella alpina a Nord.
Da dove scaturisce il nome Picolit, probabilmente dalle dimensioni piccole dell’acino e del grappolo provocato dal fenomeno dell’acinellatura cioè all’aborto floreale; elemento fondamentale di questo vitigno è la presenza di un polline che  provoca una sterilità che impedisce ai fiori del  Picolit  di svilupparsi.
Questo vino è considerato uno dei tesori della viticoltura italiana ed è stato riconosciuto come DOCG, il massimo livello di riconoscimento della qualità dei vini italiani.
Il Picolit viene prodotto con uve provenienti da una varietà di vitigno autoctono chiamato Picolit, coltivato esclusivamente nella zona collinare tra le province di Udine e Pordenone. Le viti sono coltivate su terreni argillosi e calcarei, con esposizione a sud-est, sud e sud-ovest.
Il processo di produzione del Picolit prevede una raccolta manuale delle uve, che avviene generalmente verso la fine di ottobre. Dopo la pressatura, il mosto viene sottoposto a una fermentazione lenta e controllata, che permette di preservare le caratteristiche organolettiche del vitigno e di ottenere un vino con un’elevata concentrazione di zuccheri.
Il Picolit si presenta di colore giallo dorato intenso, con un profumo intenso e complesso di frutta secca, miele, fiori e spezie. Al gusto è dolce, morbido e vellutato, con una delicata acidità che bilancia la dolcezza del vino.
Grazie alle sue caratteristiche organolettiche, il Picolit è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca. È inoltre un vino ideale per la meditazione, da gustare lentamente per apprezzarne tutte le sfumature aromatiche e gustative.
In sintesi, il Picolit è un pregiato vino bianco dolce prodotto nella regione Friuli-Venezia Giulia, in Italia, con uve provenienti dal vitigno autoctono Picolit. Grazie al suo profumo intenso e complesso e al suo gusto dolce e vellutato, è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca, ma può essere anche apprezzato da solo come vino da meditazione.
Possiamo avere tre diverse tipologie di  Picolit, ognuno con la propria peculiarità :
il Varietale di esprime con vendemmia dell’uva e vinificazione ricavandone un vino elegante e profumato.
il Passito, che si crea con un color giallo paglierino e con odori di miele e vaniglia si possono sentire odori di frutta candita e mandorla.
il  Botritizzato con presenza di muffa nobile .
  Uve di produzione
è prodotto esclusivamente con uva del vitigno Picolit. Qualche produttore usa tuttavia tagliare quest’uva è assai scarsa a causa di una grave malattia (l’aborto floreale) che ne colpisce il fiore è con altre locali e di buon pregio per un concorso massimo complessivo del 10-15%.
Il colore
è un intenso giallo oro che, dopo qualche anno di invecchiamento, tende decisamente ad uno splendido ambrato.
Odore
Inodore, delizioso e delicatissimo, ricorda quello di certi fiori appassiti e della frutta matura.
Il sapore
è nobilissimo, quasi amabile e armonico.
Gradazione alcolica
La gradazione alcolica è molto elevata: mediamente sui 14è, può raggiungere i 15è ed anche oltre nelle annate buone.
Invecchiamento
Tra tutti i vini italiani (rossi compresi), il Picolit è fra quelli che sopportano meglio l’invecchiamento. Per essere giudicato pronto alla degustazione, deve sostare almeno 3 anni in botti di rovere della Slavonia, al fine di compiere una serena maturazione prima, e il pre affinamento poi.
L’affinamento e l’invecchiamento veri e propri iniziano dal momento in cui, dalle botti, il Picolit passa in bottiglia (tradizionale la borgognona che va tenuta in posizione orizzontale), dove può riposare, indenne da decadenza, 15 e persino 20 anni.
Un cenno particolare merita la cantina destinata ad accogliere questo prezioso e rarissimo vino  essa deve essere perfettamente asciutta, tranquilla, a temperatura costante (12-15 C) e imbiancata a calce almeno una volta ogni 2 anni.
Degustazione
Per la degustazione, nessun problema: prelevata la bottiglia dalla cantina, la si mette in frigorifero, la si toglie dopo circa 2 ore (quando, cioè, la temperatura del vino sia scesa a 7-8 C) e la si stappa un’ora prima di mescere.
Abbinamento cibo vino
La maggioranza dei gastronomi dice che il Picolit sia un vino esclusivamente da dessert e vada servito con pasticceria e frutta a basso tasso zuccherino. D’accordo. Chi, però, bevuto con frutti di mare e con certi formaggi piccanti nostrani e francesi, sostiene che pure  è delizioso.
Centri di produzione
I centri di produzione sono situati nei territori dei comuni di Faèdis, Prepotto, Tarcento, Cividale del Friuli, Manzano, Corno di Rosazzo, Savorgnano, Togliano, Ipplis (provincia di Udine).
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marcogiovenale · 2 years
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studio campo boario: "supervacua", mostra multipla il 16 dicembre 2022
studio campo boario: “supervacua”, mostra multipla il 16 dicembre 2022
cliccare per ingrandire Nell’arco della serata, dalle 19 alle 23:30, il 16 dicembre allo Studio Campo Boario (viale del Campo Boario 4a), nel contesto di Rome Art Night di RAW – Rome Art Week, sarà possibile vedere in esposizioni immagini di Marina Conte dal libro d’artista Supervacua, e alcune opere di Alberto D’Amico del progetto Vignette d’artista. Verrà anche introdotto il progetto Supervacua…
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mantruffles · 1 year
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Questo vino trae la sua origine da un vitigno autoctono antichissimo oserei dire arcaico. Questo sublime vino risale al XIII secolo A.C. Il Picolit  fu assaggiato da imperatori romani e papi. Fu esaltato del celebre e famoso Carlo Goldoni  che lo definì la gemma del Friuli. il conte Asquini lo valorizzò talmente tanto che fu venduto nelle principali corti europee ed arcivescovili, raggiungendo una notevole notorietà che la propria bontà esaltata fu sempre apprezzata.
Alla morte del conte Asquini questo vino decadde .All’inizio del 1900 la famiglia dei conti Perusini riprese a diffondere questo grandioso vino presso la loro tenuta di Rocca Bernarda diffusero ii grande  Picolit. Questo vino oltre che fieramente degustato e famoso anche per le sue capacità seduttive nasce con il cuore in un territorio che si proietta in un territorio dal punto di vista geografico perfetto per la  produzione di ottimi vini rossi e bianchi , dovuta alla commistione climatica fra quella continentale tenue del centro sud e quella alpina a Nord.
Da dove scaturisce il nome Picolit, probabilmente dalle dimensioni piccole dell’acino e del grappolo provocato dal fenomeno dell’acinellatura cioè all’aborto floreale; elemento fondamentale di questo vitigno è la presenza di un polline che  provoca una sterilità che impedisce ai fiori del  Picolit  di svilupparsi.
Questo vino è considerato uno dei tesori della viticoltura italiana ed è stato riconosciuto come DOCG, il massimo livello di riconoscimento della qualità dei vini italiani.
Il Picolit viene prodotto con uve provenienti da una varietà di vitigno autoctono chiamato Picolit, coltivato esclusivamente nella zona collinare tra le province di Udine e Pordenone. Le viti sono coltivate su terreni argillosi e calcarei, con esposizione a sud-est, sud e sud-ovest.
Il processo di produzione del Picolit prevede una raccolta manuale delle uve, che avviene generalmente verso la fine di ottobre. Dopo la pressatura, il mosto viene sottoposto a una fermentazione lenta e controllata, che permette di preservare le caratteristiche organolettiche del vitigno e di ottenere un vino con un’elevata concentrazione di zuccheri.
Il Picolit si presenta di colore giallo dorato intenso, con un profumo intenso e complesso di frutta secca, miele, fiori e spezie. Al gusto è dolce, morbido e vellutato, con una delicata acidità che bilancia la dolcezza del vino.
Grazie alle sue caratteristiche organolettiche, il Picolit è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca. È inoltre un vino ideale per la meditazione, da gustare lentamente per apprezzarne tutte le sfumature aromatiche e gustative.
In sintesi, il Picolit è un pregiato vino bianco dolce prodotto nella regione Friuli-Venezia Giulia, in Italia, con uve provenienti dal vitigno autoctono Picolit. Grazie al suo profumo intenso e complesso e al suo gusto dolce e vellutato, è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca, ma può essere anche apprezzato da solo come vino da meditazione.
Possiamo avere tre diverse tipologie di  Picolit, ognuno con la propria peculiarità :
il Varietale di esprime con vendemmia dell’uva e vinificazione ricavandone un vino elegante e profumato.
il Passito, che si crea con un color giallo paglierino e con odori di miele e vaniglia si possono sentire odori di frutta candita e mandorla.
il  Botritizzato con presenza di muffa nobile .
  Uve di produzione
è prodotto esclusivamente con uva del vitigno Picolit. Qualche produttore usa tuttavia tagliare quest’uva è assai scarsa a causa di una grave malattia (l’aborto floreale) che ne colpisce il fiore è con altre locali e di buon pregio per un concorso massimo complessivo del 10-15%.
Il colore
è un intenso giallo oro che, dopo qualche anno di invecchiamento, tende decisamente ad uno splendido ambrato.
Odore
Inodore, delizioso e delicatissimo, ricorda quello di certi fiori appassiti e della frutta matura.
Il sapore
è nobilissimo, quasi amabile e armonico.
Gradazione alcolica
La gradazione alcolica è molto elevata: mediamente sui 14è, può raggiungere i 15è ed anche oltre nelle annate buone.
Invecchiamento
Tra tutti i vini italiani (rossi compresi), il Picolit è fra quelli che sopportano meglio l’invecchiamento. Per essere giudicato pronto alla degustazione, deve sostare almeno 3 anni in botti di rovere della Slavonia, al fine di compiere una serena maturazione prima, e il pre affinamento poi.
L’affinamento e l’invecchiamento veri e propri iniziano dal momento in cui, dalle botti, il Picolit passa in bottiglia (tradizionale la borgognona che va tenuta in posizione orizzontale), dove può riposare, indenne da decadenza, 15 e persino 20 anni.
Un cenno particolare merita la cantina destinata ad accogliere questo prezioso e rarissimo vino  essa deve essere perfettamente asciutta, tranquilla, a temperatura costante (12-15 C) e imbiancata a calce almeno una volta ogni 2 anni.
Degustazione
Per la degustazione, nessun problema: prelevata la bottiglia dalla cantina, la si mette in frigorifero, la si toglie dopo circa 2 ore (quando, cioè, la temperatura del vino sia scesa a 7-8 C) e la si stappa un’ora prima di mescere.
Abbinamento cibo vino
La maggioranza dei gastronomi dice che il Picolit sia un vino esclusivamente da dessert e vada servito con pasticceria e frutta a basso tasso zuccherino. D’accordo. Chi, però, bevuto con frutti di mare e con certi formaggi piccanti nostrani e francesi, sostiene che pure  è delizioso.
Centri di produzione
I centri di produzione sono situati nei territori dei comuni di Faèdis, Prepotto, Tarcento, Cividale del Friuli, Manzano, Corno di Rosazzo, Savorgnano, Togliano, Ipplis (provincia di Udine).
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blissful-moontrip · 1 year
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Questo vino trae la sua origine da un vitigno autoctono antichissimo oserei dire arcaico. Questo sublime vino risale al XIII secolo A.C. Il Picolit  fu assaggiato da imperatori romani e papi. Fu esaltato del celebre e famoso Carlo Goldoni  che lo definì la gemma del Friuli. il conte Asquini lo valorizzò talmente tanto che fu venduto nelle principali corti europee ed arcivescovili, raggiungendo una notevole notorietà che la propria bontà esaltata fu sempre apprezzata.
Alla morte del conte Asquini questo vino decadde .All’inizio del 1900 la famiglia dei conti Perusini riprese a diffondere questo grandioso vino presso la loro tenuta di Rocca Bernarda diffusero ii grande  Picolit. Questo vino oltre che fieramente degustato e famoso anche per le sue capacità seduttive nasce con il cuore in un territorio che si proietta in un territorio dal punto di vista geografico perfetto per la  produzione di ottimi vini rossi e bianchi , dovuta alla commistione climatica fra quella continentale tenue del centro sud e quella alpina a Nord.
Da dove scaturisce il nome Picolit, probabilmente dalle dimensioni piccole dell’acino e del grappolo provocato dal fenomeno dell’acinellatura cioè all’aborto floreale; elemento fondamentale di questo vitigno è la presenza di un polline che  provoca una sterilità che impedisce ai fiori del  Picolit  di svilupparsi.
Questo vino è considerato uno dei tesori della viticoltura italiana ed è stato riconosciuto come DOCG, il massimo livello di riconoscimento della qualità dei vini italiani.
Il Picolit viene prodotto con uve provenienti da una varietà di vitigno autoctono chiamato Picolit, coltivato esclusivamente nella zona collinare tra le province di Udine e Pordenone. Le viti sono coltivate su terreni argillosi e calcarei, con esposizione a sud-est, sud e sud-ovest.
Il processo di produzione del Picolit prevede una raccolta manuale delle uve, che avviene generalmente verso la fine di ottobre. Dopo la pressatura, il mosto viene sottoposto a una fermentazione lenta e controllata, che permette di preservare le caratteristiche organolettiche del vitigno e di ottenere un vino con un’elevata concentrazione di zuccheri.
Il Picolit si presenta di colore giallo dorato intenso, con un profumo intenso e complesso di frutta secca, miele, fiori e spezie. Al gusto è dolce, morbido e vellutato, con una delicata acidità che bilancia la dolcezza del vino.
Grazie alle sue caratteristiche organolettiche, il Picolit è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca. È inoltre un vino ideale per la meditazione, da gustare lentamente per apprezzarne tutte le sfumature aromatiche e gustative.
In sintesi, il Picolit è un pregiato vino bianco dolce prodotto nella regione Friuli-Venezia Giulia, in Italia, con uve provenienti dal vitigno autoctono Picolit. Grazie al suo profumo intenso e complesso e al suo gusto dolce e vellutato, è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca, ma può essere anche apprezzato da solo come vino da meditazione.
Possiamo avere tre diverse tipologie di  Picolit, ognuno con la propria peculiarità :
il Varietale di esprime con vendemmia dell’uva e vinificazione ricavandone un vino elegante e profumato.
il Passito, che si crea con un color giallo paglierino e con odori di miele e vaniglia si possono sentire odori di frutta candita e mandorla.
il  Botritizzato con presenza di muffa nobile .
  Uve di produzione
è prodotto esclusivamente con uva del vitigno Picolit. Qualche produttore usa tuttavia tagliare quest’uva è assai scarsa a causa di una grave malattia (l’aborto floreale) che ne colpisce il fiore è con altre locali e di buon pregio per un concorso massimo complessivo del 10-15%.
Il colore
è un intenso giallo oro che, dopo qualche anno di invecchiamento, tende decisamente ad uno splendido ambrato.
Odore
Inodore, delizioso e delicatissimo, ricorda quello di certi fiori appassiti e della frutta matura.
Il sapore
è nobilissimo, quasi amabile e armonico.
Gradazione alcolica
La gradazione alcolica è molto elevata: mediamente sui 14è, può raggiungere i 15è ed anche oltre nelle annate buone.
Invecchiamento
Tra tutti i vini italiani (rossi compresi), il Picolit è fra quelli che sopportano meglio l’invecchiamento. Per essere giudicato pronto alla degustazione, deve sostare almeno 3 anni in botti di rovere della Slavonia, al fine di compiere una serena maturazione prima, e il pre affinamento poi.
L’affinamento e l’invecchiamento veri e propri iniziano dal momento in cui, dalle botti, il Picolit passa in bottiglia (tradizionale la borgognona che va tenuta in posizione orizzontale), dove può riposare, indenne da decadenza, 15 e persino 20 anni.
Un cenno particolare merita la cantina destinata ad accogliere questo prezioso e rarissimo vino  essa deve essere perfettamente asciutta, tranquilla, a temperatura costante (12-15 C) e imbiancata a calce almeno una volta ogni 2 anni.
Degustazione
Per la degustazione, nessun problema: prelevata la bottiglia dalla cantina, la si mette in frigorifero, la si toglie dopo circa 2 ore (quando, cioè, la temperatura del vino sia scesa a 7-8 C) e la si stappa un’ora prima di mescere.
Abbinamento cibo vino
La maggioranza dei gastronomi dice che il Picolit sia un vino esclusivamente da dessert e vada servito con pasticceria e frutta a basso tasso zuccherino. D’accordo. Chi, però, bevuto con frutti di mare e con certi formaggi piccanti nostrani e francesi, sostiene che pure  è delizioso.
Centri di produzione
I centri di produzione sono situati nei territori dei comuni di Faèdis, Prepotto, Tarcento, Cividale del Friuli, Manzano, Corno di Rosazzo, Savorgnano, Togliano, Ipplis (provincia di Udine).
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danni-phantom · 1 year
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Questo vino trae la sua origine da un vitigno autoctono antichissimo oserei dire arcaico. Questo sublime vino risale al XIII secolo A.C. Il Picolit  fu assaggiato da imperatori romani e papi. Fu esaltato del celebre e famoso Carlo Goldoni  che lo definì la gemma del Friuli. il conte Asquini lo valorizzò talmente tanto che fu venduto nelle principali corti europee ed arcivescovili, raggiungendo una notevole notorietà che la propria bontà esaltata fu sempre apprezzata. Alla morte del conte Asquini questo vino decadde .All’inizio del 1900 la famiglia dei conti Perusini riprese a diffondere questo grandioso vino presso la loro tenuta di Rocca Bernarda diffusero ii grande  Picolit. Questo vino oltre che fieramente degustato e famoso anche per le sue capacità seduttive nasce con il cuore in un territorio che si proietta in un territorio dal punto di vista geografico perfetto per la  produzione di ottimi vini rossi e bianchi , dovuta alla commistione climatica fra quella continentale tenue del centro sud e quella alpina a Nord. Da dove scaturisce il nome Picolit, probabilmente dalle dimensioni piccole dell’acino e del grappolo provocato dal fenomeno dell’acinellatura cioè all’aborto floreale; elemento fondamentale di questo vitigno è la presenza di un polline che  provoca una sterilità che impedisce ai fiori del  Picolit  di svilupparsi. Questo vino è considerato uno dei tesori della viticoltura italiana ed è stato riconosciuto come DOCG, il massimo livello di riconoscimento della qualità dei vini italiani. Il Picolit viene prodotto con uve provenienti da una varietà di vitigno autoctono chiamato Picolit, coltivato esclusivamente nella zona collinare tra le province di Udine e Pordenone. Le viti sono coltivate su terreni argillosi e calcarei, con esposizione a sud-est, sud e sud-ovest. Il processo di produzione del Picolit prevede una raccolta manuale delle uve, che avviene generalmente verso la fine di ottobre. Dopo la pressatura, il mosto viene sottoposto a una fermentazione lenta e controllata, che permette di preservare le caratteristiche organolettiche del vitigno e di ottenere un vino con un’elevata concentrazione di zuccheri. Il Picolit si presenta di colore giallo dorato intenso, con un profumo intenso e complesso di frutta secca, miele, fiori e spezie. Al gusto è dolce, morbido e vellutato, con una delicata acidità che bilancia la dolcezza del vino. Grazie alle sue caratteristiche organolettiche, il Picolit è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca. È inoltre un vino ideale per la meditazione, da gustare lentamente per apprezzarne tutte le sfumature aromatiche e gustative. In sintesi, il Picolit è un pregiato vino bianco dolce prodotto nella regione Friuli-Venezia Giulia, in Italia, con uve provenienti dal vitigno autoctono Picolit. Grazie al suo profumo intenso e complesso e al suo gusto dolce e vellutato, è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca, ma può essere anche apprezzato da solo come vino da meditazione. Possiamo avere tre diverse tipologie di  Picolit, ognuno con la propria peculiarità : il Varietale di esprime con vendemmia dell’uva e vinificazione ricavandone … Leggi tutto
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captainvegas · 1 year
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Questo vino trae la sua origine da un vitigno autoctono antichissimo oserei dire arcaico. Questo sublime vino risale al XIII secolo A.C. Il Picolit  fu assaggiato da imperatori romani e papi. Fu esaltato del celebre e famoso Carlo Goldoni  che lo definì la gemma del Friuli. il conte Asquini lo valorizzò talmente tanto che fu venduto nelle principali corti europee ed arcivescovili, raggiungendo una notevole notorietà che la propria bontà esaltata fu sempre apprezzata.
Alla morte del conte Asquini questo vino decadde .All’inizio del 1900 la famiglia dei conti Perusini riprese a diffondere questo grandioso vino presso la loro tenuta di Rocca Bernarda diffusero ii grande  Picolit. Questo vino oltre che fieramente degustato e famoso anche per le sue capacità seduttive nasce con il cuore in un territorio che si proietta in un territorio dal punto di vista geografico perfetto per la  produzione di ottimi vini rossi e bianchi , dovuta alla commistione climatica fra quella continentale tenue del centro sud e quella alpina a Nord.
Da dove scaturisce il nome Picolit, probabilmente dalle dimensioni piccole dell’acino e del grappolo provocato dal fenomeno dell’acinellatura cioè all’aborto floreale; elemento fondamentale di questo vitigno è la presenza di un polline che  provoca una sterilità che impedisce ai fiori del  Picolit  di svilupparsi.
Questo vino è considerato uno dei tesori della viticoltura italiana ed è stato riconosciuto come DOCG, il massimo livello di riconoscimento della qualità dei vini italiani.
Il Picolit viene prodotto con uve provenienti da una varietà di vitigno autoctono chiamato Picolit, coltivato esclusivamente nella zona collinare tra le province di Udine e Pordenone. Le viti sono coltivate su terreni argillosi e calcarei, con esposizione a sud-est, sud e sud-ovest.
Il processo di produzione del Picolit prevede una raccolta manuale delle uve, che avviene generalmente verso la fine di ottobre. Dopo la pressatura, il mosto viene sottoposto a una fermentazione lenta e controllata, che permette di preservare le caratteristiche organolettiche del vitigno e di ottenere un vino con un’elevata concentrazione di zuccheri.
Il Picolit si presenta di colore giallo dorato intenso, con un profumo intenso e complesso di frutta secca, miele, fiori e spezie. Al gusto è dolce, morbido e vellutato, con una delicata acidità che bilancia la dolcezza del vino.
Grazie alle sue caratteristiche organolettiche, il Picolit è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca. È inoltre un vino ideale per la meditazione, da gustare lentamente per apprezzarne tutte le sfumature aromatiche e gustative.
In sintesi, il Picolit è un pregiato vino bianco dolce prodotto nella regione Friuli-Venezia Giulia, in Italia, con uve provenienti dal vitigno autoctono Picolit. Grazie al suo profumo intenso e complesso e al suo gusto dolce e vellutato, è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca, ma può essere anche apprezzato da solo come vino da meditazione.
Possiamo avere tre diverse tipologie di  Picolit, ognuno con la propria peculiarità :
il Varietale di esprime con vendemmia dell’uva e vinificazione ricavandone un vino elegante e profumato.
il Passito, che si crea con un color giallo paglierino e con odori di miele e vaniglia si possono sentire odori di frutta candita e mandorla.
il  Botritizzato con presenza di muffa nobile .
  Uve di produzione
è prodotto esclusivamente con uva del vitigno Picolit. Qualche produttore usa tuttavia tagliare quest’uva è assai scarsa a causa di una grave malattia (l’aborto floreale) che ne colpisce il fiore è con altre locali e di buon pregio per un concorso massimo complessivo del 10-15%.
Il colore
è un intenso giallo oro che, dopo qualche anno di invecchiamento, tende decisamente ad uno splendido ambrato.
Odore
Inodore, delizioso e delicatissimo, ricorda quello di certi fiori appassiti e della frutta matura.
Il sapore
è nobilissimo, quasi amabile e armonico.
Gradazione alcolica
La gradazione alcolica è molto elevata: mediamente sui 14è, può raggiungere i 15è ed anche oltre nelle annate buone.
Invecchiamento
Tra tutti i vini italiani (rossi compresi), il Picolit è fra quelli che sopportano meglio l’invecchiamento. Per essere giudicato pronto alla degustazione, deve sostare almeno 3 anni in botti di rovere della Slavonia, al fine di compiere una serena maturazione prima, e il pre affinamento poi.
L’affinamento e l’invecchiamento veri e propri iniziano dal momento in cui, dalle botti, il Picolit passa in bottiglia (tradizionale la borgognona che va tenuta in posizione orizzontale), dove può riposare, indenne da decadenza, 15 e persino 20 anni.
Un cenno particolare merita la cantina destinata ad accogliere questo prezioso e rarissimo vino  essa deve essere perfettamente asciutta, tranquilla, a temperatura costante (12-15 C) e imbiancata a calce almeno una volta ogni 2 anni.
Degustazione
Per la degustazione, nessun problema: prelevata la bottiglia dalla cantina, la si mette in frigorifero, la si toglie dopo circa 2 ore (quando, cioè, la temperatura del vino sia scesa a 7-8 C) e la si stappa un’ora prima di mescere.
Abbinamento cibo vino
La maggioranza dei gastronomi dice che il Picolit sia un vino esclusivamente da dessert e vada servito con pasticceria e frutta a basso tasso zuccherino. D’accordo. Chi, però, bevuto con frutti di mare e con certi formaggi piccanti nostrani e francesi, sostiene che pure  è delizioso.
Centri di produzione
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lamilanomagazine · 8 months
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Vicenza: una mostra per tutti, nidi, scuole e università per anziani in visita ai Tre capolavori
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Vicenza: una mostra per tutti, nidi, scuole e università per anziani in visita ai Tre capolavori. 101 le prenotazioni da parte di una quarantina di scuole provenienti anche da fuori Regione e sei laboratori per bambini e famiglie. Dai bambini di asilo nido, scuola dell'infanzia e primaria ai ragazzi delle secondarie fino agli adulti e anziani dell'università: la mostra "Caravaggio, Van Dyck, Sassolino. Tre capolavori a Vicenza" richiama in Basilica palladiana le scuole di ogni ordine e grado, di Vicenza e provincia ma non solo. «Una mostra per tutti – commenta l'assessore alla cultura, al turismo e all'attrattività della città Ilaria Fantin -, che riesce ad interessare bambini, famiglie, ragazzi e adulti per scoprire l'affascinante dialogo attorno al tema del tempo dei tre capolavori e la bellezza del nostro Monumento nazionale». Sono 101 le visite prenotate nel periodo di apertura dell'evento espositivo, dal 16 dicembre al 4 febbraio, da circa una quarantina di scuole. Tra queste, anche una proveniente dalla Francia e tre da fuori Regione, arrivate da Ascoli Piceno (Marche), Velletri (Lazio), Monfalcone (Friuli Venezia Giulia). Due gli istituti giunti in Basilica palladiana da fuori provincia, ovvero da Padova e Verona. Una decina invece i plessi dalla provincia di Vicenza, tra i quali anche le università per adulti e anziani di Sandrigo, Monticello Conte Otto e Malo. Bambini e famiglie, di Vicenza e provincia, sono stati coinvolti anche nei laboratori didattici del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio. Quattro gli appuntamenti organizzati per i più piccoli per un totale di 100 partecipanti. A questi sono stati aggiunti due laboratori su richiesta della scuola dell'infanzia di San Ulderico di Creazzo e dell'asilo nido Piarda di Vicenza. Una cinquantina i bambini coinvolti nelle due attività. La mostra è curata da Guido Beltramini e Francesca Cappelletti, è ideata e promossa dal Comune di Vicenza con la co-organizzazione di Intesa Sanpaolo. Il progetto espositivo ha coinvolto i Musei Civici Vicenza, Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio con il supporto di Marsilio Arte.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Picolit
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Questo vino trae la sua origine da un vitigno autoctono antichissimo oserei dire arcaico. Questo sublime vino risale al XIII secolo A.C. Il Picolit  fu assaggiato da imperatori romani e papi. Fu esaltato del celebre e famoso Carlo Goldoni  che lo definì la gemma del Friuli. il conte Asquini lo valorizzò talmente tanto che fu venduto nelle principali corti europee ed arcivescovili, raggiungendo una notevole notorietà che la propria bontà esaltata fu sempre apprezzata. Alla morte del conte Asquini questo vino decadde .All’inizio del 1900 la famiglia dei conti Perusini riprese a diffondere questo grandioso vino presso la loro tenuta di Rocca Bernarda diffusero ii grande  Picolit. Questo vino oltre che fieramente degustato e famoso anche per le sue capacità seduttive nasce con il cuore in un territorio che si proietta in un territorio dal punto di vista geografico perfetto per la  produzione di ottimi vini rossi e bianchi , dovuta alla commistione climatica fra quella continentale tenue del centro sud e quella alpina a Nord. Da dove scaturisce il nome Picolit, probabilmente dalle dimensioni piccole dell’acino e del grappolo provocato dal fenomeno dell’acinellatura cioè all’aborto floreale; elemento fondamentale di questo vitigno è la presenza di un polline che  provoca una sterilità che impedisce ai fiori del  Picolit  di svilupparsi. Questo vino è considerato uno dei tesori della viticoltura italiana ed è stato riconosciuto come DOCG, il massimo livello di riconoscimento della qualità dei vini italiani. Il Picolit viene prodotto con uve provenienti da una varietà di vitigno autoctono chiamato Picolit, coltivato esclusivamente nella zona collinare tra le province di Udine e Pordenone. Le viti sono coltivate su terreni argillosi e calcarei, con esposizione a sud-est, sud e sud-ovest. Il processo di produzione del Picolit prevede una raccolta manuale delle uve, che avviene generalmente verso la fine di ottobre. Dopo la pressatura, il mosto viene sottoposto a una fermentazione lenta e controllata, che permette di preservare le caratteristiche organolettiche del vitigno e di ottenere un vino con un’elevata concentrazione di zuccheri. Il Picolit si presenta di colore giallo dorato intenso, con un profumo intenso e complesso di frutta secca, miele, fiori e spezie. Al gusto è dolce, morbido e vellutato, con una delicata acidità che bilancia la dolcezza del vino. Grazie alle sue caratteristiche organolettiche, il Picolit è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca. È inoltre un vino ideale per la meditazione, da gustare lentamente per apprezzarne tutte le sfumature aromatiche e gustative. In sintesi, il Picolit è un pregiato vino bianco dolce prodotto nella regione Friuli-Venezia Giulia, in Italia, con uve provenienti dal vitigno autoctono Picolit. Grazie al suo profumo intenso e complesso e al suo gusto dolce e vellutato, è particolarmente adatto per accompagnare dessert a base di frutta secca, formaggi erborinati e pasticceria secca, ma può essere anche apprezzato da solo come vino da meditazione. Possiamo avere tre diverse tipologie di  Picolit, ognuno con la propria peculiarità : il Varietale di esprime con vendemmia dell’uva e vinificazione ricavandone … Leggi tutto
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