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#Jacques Di Donato
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lamilanomagazine · 2 years
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Cagliari, penultimo appuntamento con Musica a Palazzo
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Cagliari, penultimo appuntamento con Musica a Palazzo. Penultimo appuntamento domenica 27 novembre alle 11,30, con la rassegna "Musica a Palazzo", organizzata dall'Assessorato alla Cultura e Spettacolo del Comune di Cagliari e dai Musei Civici di Cagliari, in collaborazione con Ensemble Spaziomusica e il Conservatorio di Musica G.P da Palestrina. Roberto Noferini al violino e Donato D’Antonio alla chitarra presenteranno il concerto di musica da camera dal titolo Diabolus in Musica – Niccolò Paganini e la sua eredità. L’evento rientra tra quelli collaterali programmati in occasione della mostra "Corto Maltese Verso nuove rotte" allestita al Palazzo di Città. Niccolò Paganini, il più grande virtuoso di violino di tutti i tempi era anche un valente chitarrista. In ragione di questa sua peculiarità ha lasciato un importante repertorio dedicato proprio a questi due strumenti: violino e chitarra. Il concerto spazierà dalle musiche di Paganini fino ad arrivare alle musiche del Novecento ispirandosi alle musiche popolari spagnole di Jacques Ibert, ungheresi di Bela Bartòk e a quelle del tango argentino di Astor Piazzolla, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita.   SCHEDA INFORMATIVA Per prenotarsi accedere al sito del Palazzo di Città Costo del biglietto d’ingresso al concerto e alla mostra: € 8,00 Numero posti disponibili: 40 Contatti: [email protected] Palazzo di Città: 0706776482... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Noorderlicht International Photo Festival 2021: The Makeable Mind
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The Noorderlicht International Photo Festival 2021 takes place from 7th August onwards at several locations in Groningen and Friesland. With the theme ‘The Makeable Mind’ Noorderlicht explores the relationship between visual culture and reality: how is our thinking guided by a rampant image culture, unprecedented technological possibilities and lightning-fast internet connections? THE MAKEABLE MIND Curator: Paulien Dresscher I Junior curator: George Knegtel Departing from photography, the 28th edition focuses on the entire spectrum of the image, both analogue and digital: from traditional photography to digital and interactive images, internet glitches, machine learning, virtual reality, street guerrilla actions, performances, sound installations and deep fakes. From the open call, but also by invitation, festival curator Paulien Dresscher – in collaboration with junior curator George Knegtel and Noorderlicht curator Wim Melis – came to a selection of some seventy participating artists from the Netherlands and abroad, who will be presented at no fewer than 15 locations in Groningen and Friesland. Paulien Dresscher: “There are more flavours than fake or not fake, with a wealth of images and stories hidden between them. Sometimes dystopian, sometimes utopian or simply fantastic. But nevertheless, exciting and fascinating. With algorithms as our personal advisors, we all think we recognise objective reality within our own bubble, but if there is one thing we can know about that truth, it is that it is not singular.”
The festival’s pièce de resistance is the multimedia installation ‘LAWKI-NOW, Life As We Know It’. Commissioned by Noorderlicht and in cooperation with MU Hybrid Art Space, the work was developed by ARK especially for the Der Aa-Kerk choir. ‘LAWKI-NOW’ is an immersive cinematic experience that combines machine learning with human craftsmanship and visitor interaction. The result is a gigantic audiovisual instrument that confronts the audience with the reality of our lives. PARTICIPANTS Alfonso Almendros (ES) | Ali Eslami (IR) & Klasien van de Zandschulp (NL) | ARC (ovb) | Andrea Stultiens (NL) | Aristidis Schnelzer (DE) | ARK (Federico Campagna, Louis Braddock Clarke, Roosje Klap, Arran Lyon, Senka Milutonovic, Teoniki Rozynek, Valentin Vogelmann, Zuzanna Zgierska) (NL) | Bas Uterwijk (NL) | Beatrice Moumdjian (BG) | Camille Lévêque & Lucie Khahoutian (FR) | Daniel Mayrit (ES) | David Magnusson (SE) | Diego Moreno (MX) | Elena Efeoglou (GR) | Eleonora Calvelli (IT) | Elisa Maenhout (BE) | Evan Roth (US) | Ewa Doroszenko (PL) | Federico Estol (UY) | Flora Reznik (AR) | Florian Göttke (DE) | Floris Kaaijk (NL) | Forensic Architecture (GB) | Frederik Heyman (BE) | Gaetan Boisson (FR) | Grayson Cooke (NZ) | Helmut Smits (NL) | Hester Scheurwater (NL) | Ilona Szwarc (PL) | Jacques Perconte (FR) | Jan Robert Leegte (NL) | Joe Paul Cyriac (IN) | Joel Jimenez (CR) | Latipa (US) | Lisa di Donato (US) | Lisa Hoffman (DE) | Lisa van Casand (NL) | Manuela Braunmüller (DE) | Mara Sánchez-Renero (MX) | Marco Frauchiger (CH) | Margit Lukács (NL) & Persijn Broersen (NL) | Marjolein Blom (NL) | Marta Zgierska (PL) | Michelle Sijia Ma (CN) | Natalia Kepesz (PL) | Nathaniel White (GB) | Polymorf (NL) | Rick Pushinsky (GB) | Sam ten Thij (NL) | Santiago Martinelli (AR) | Silas Bahr (DE) | Simone Niquille (CH/NL) | Stephanie Dinkins (US) | Stephanie Lepp (US) | Sumi Anjuman (BD) | Tamara Shogaolu (US) | Thomas Kuijpers (NL) | Walter Costa (IT) | Yiu Sheung (CN)
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stodilusso · 4 years
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Il bacio davanti all’hotel de ville è una famosissima foto di Robert Doisneau scattata nel 1950 a Parigi.
La guerra è finita da qualche anno e il contesto artistico, dopo l’abominio delle atrocità della guerra, è la riscoperta del valore dell’esistenza umana. Il contesto artistico del dopoguerra in fotografia prende il nome di “fotografia umanista”, antesignana della attuale street photography. Robert Doisneau (Gentilly, 14 aprile 1912- Montrouge,1 aprile 1994) è stato uno dei maggiori esponenti di questo movimento artistico insieme a Henri Cartier-Bresson, Willy Ronis e a Izis Bidermanas. Lo stile di Doisneau è noto sopratutto per il suo inconfondibile approccio poetico alla strada e ai suoi personaggi. Il segreto del suo successo secondo lui era camminare e camminare. E camminare ancora. Immergersi nello spazio urbano e cogliere momenti di poesia cittadina. Nel 1949 pubblica il suo primo libro di fotografie intitolato “La Banlieu de Paris” composto da 130 fotografie di Parigi, dei suoi parigini e di quella realtà che aveva imparato a conoscere nei suoi scatti.
Nel 1950 la rivista Life, conscia della sua sensibilità artistica, incaricò Doisneau di fotografare coppie che si baciavano a Parigi per un servizio sulla capitale del romanticismo.
Doinesau amava le foto spontanee. Per quella campagna fotografica decise però di fotografare in posa e di reclutare degli attori. Era più una campagna pubblicitaria che uno dei suoi scatti in intimità con la realtà parigina. In una intervista successiva alla campagna disse: “ non avrei mai osato fotografare persone in quell’atteggiamento” e aggiunse anche “ innamorati che si baciano in strada? Raro che siano coppie legittime”.
La foto diventò subito un’icona. Per tutto il mondo diventò subito l’immagine dell’amore giovane a Parigi.
L’identità della coppia ritratta rimase un mistero per molti anni. Negli anni ottanta Doisneau incontrò Jean e Denise Lavergne, che pensavano di essersi riconosciuti nella foto. Per pura gentilezza il fotografo fu vago, speranzoso di alimentare il loro sogno. La coppia fece causa al fotografo per averli fotografati senza autorizzazione, costringendo Doinseau a rivelare i nomi dei modelli che aveva reclutato: Francoise Delbart e Jacques Carteaud. La Delbart, vedendo a sua volta un’opportunità di guadagno fece anch’essa causa a Doisneau. La fortuna fece sì che venne trovata la stampa che il fotografo aveva autografato e donato alla coppia. La denuncia fu ritirata. La Delbart vendette in seguito la sua stampa all’asta per la cifra di 155000 dollari.
La controversia giudiziaria provò molto il fotografo. Annette Doisneau, sua figlia, disse: “il bacio ha rovinato i suoi ultimi anni di vita”.
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Festival des Musiques Innovatrices / Saint-Etienne, Andrézieux et Saint-Héand (1987-2014)
15ème édition du 10 au 18 Juin 2004 : Blast - Catherine Crachat - Sklarska Poreba - Anthony Pateras - Robin Fox - Mark Harwood - Pan Sonic - Le Petit Cirque - Zu - La Campagnie des Musiques à Ouïr - Jéranium - Alessandro Bosetti - Groundlift - Kaffe Matthews - Ash In The Rainbow - Kouhei Matsunaga / John Duncan / Rudolf EB ER / Zbigniew Karkowski
ToTo n’aime pas la soupe / les concerts à Saint-Etienne en 2004 : Will Guthrie - Jacques Di Donato / Isabelle Duthoit / Bruno Meillier
RIP Mika Vainio, Zbigniew Karkowski
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diyeipetea · 5 years
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INSTANTZZ: Emler-Tchamitchian-Echampard Trio plus 4 clarinettistes (Festival Musiques del Monts, Escena Gran, Vilallonga del Monts. 2019-08-08) [Galería fotográfica]
INSTANTZZ: Emler-Tchamitchian-Echampard Trio plus 4 clarinettistes (Festival Musiques del Monts, Escena Gran, Vilallonga del Monts. 2019-08-08) [Galería fotográfica]
Por Joan Cortès.
Fecha: Jueves, 08 de agosto de 2019
Lugar: Escena Gran (Vilallonga dels Monts)
Grupo: Emler-Tchamitchian-Echampard Trio plus 4 clarinettistes Andy Emler, piano Claude Tchamitchian, contrabajo Eric Echampard, batería Nicolas Nageotte, clarinete bajo Vincent Lochet, clarinete Jacques Di Donato, clarinete Florent Pujuila, clarinete Nils Kassap, clarinete bajo -invitado en el tramo…
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entheosedizioni · 4 years
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Quel geniaccio di Balzac
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Non ho nessuna intenzione di scrivere la solita recensione, ossia di conformarmi ai canoni di chi riassume brevemente la trama del libro appena letto, ne analizza il contenuto, pretende di psicanalizzare i personaggi principali e si arroga il diritto di forgiare delle "chiavi di lettura" con le quali apre al lettore le porte del romanzo, finendo per influenzarne il giudizio, l'interpretazione e la ricezione dell'opera. Voi fidatevi di chi, come me, ne ha lette tante e limitatevi a leggere le recensioni sempre e solo dopo aver completato la lettura del testo. Sarà così più proficuo confrontare il vostro neonato punto di vista sull'opera con quello di chi l'ha recensita. Nascerà un dialogo ideale tra lettore e recensore e beneficerete del processo maieutico così come vi ha insegnato il buon vecchio Socrate. Un altro valido motivo per il quale non è conveniente leggere le recensioni prima di affrontare il testo originale è che esse contengono inevitabilmente delle anticipazioni sull'opera, o se preferite, contengono spoiler, visto che vi piace tanto anglicizzare una lingua – la nostra – che avrebbe invece molto da dare e poco da assorbire. “La cugina Bette” Che state aspettando dunque? Andate a comprarvi "La cugina Bette" di Honoré De Bazac e vi garantisco che non ve ne pentirete. Adesso però la recensione ve la faccio a modo mio, cioè raccontandovi la mia esperienza di lettura. In una domenica afosa venni letteralmente trascinato in una gita fuori porta con la quale ci si prefiggeva di sconfiggere un mostro abominevole: la noia. Secondo i miei calcoli, per poter parcheggiare un'automobile di medie dimensioni è necessario reperire uno spazio libero di circa 14 metri cubi con la condizione imprescindibile che esso sia formato da una base quadrangolare di lunghezza pari ad almeno 4,80 metri. Non è un'impresa da poco ottenere tutto questo, in piena estate, in una cittadina lacustre bendisposta ad offrire ristoro e refrigerio per i turisti accaldati. Però ci riuscimmo in un tempo ragionevole. Solo che, appena scesi dalla macchina, i miei compagni di viaggio furono immediatamente attirati da un mercatino della domenica e dunque si dispersero subito in mezzo a bancarelle adorne di futilità, oggettistica improbabile e abbigliamento improponibile. Che potevo fare io? Vagavo disperato e disinteressato finché non mi imbattei nella bancarella dei libri usati. Ora, io ho letto diverse opere di Balzac, quelle più conosciute e apprezzate, ma nessuno mi aveva mai suggerito "La cugina Bette", dunque quando mi trovai in mano quella vecchia copia in edizione economica non ero particolarmente entusiasta dell'acquisto. Pensavo si trattasse di un'opera minore, un romanzo giovanile e magari non tanto riuscito, un pò come succede oggi quando si acquista il CD di un grande artista contemporaneo, nel quale sono contenute tre o quattro tracce apprezzabili e una serie di deludenti canzonette riempitive: miserie della mediocrità dei nostri tempi. Nemmeno la copertina mi veniva in soccorso per attenuare la mia diffidenza e scardinare i miei pregiudizi poiché era tutta scolorita ed era illustrata da un dipinto di Joseph Tissot (chi sarà mai costui, mi chiedevo, non avendo mai sentito parlare di questo pittore col nome da orologiaio!) nel quale era raffigurata una donna adulta seduta in camera che mi rivolgeva uno sguardo malinconico e abbastanza deprimente. Se a tutto questo aggiungiamo un sottile strato di polvere, un odore di carta stantia, un titolo non certo allettante e un prezzo bassissimo, possiamo forse giusificare il fatto che io stessi quasi per rinunciare all'acquisto. Del resto, leggere significa investire il proprio tempo e io voglio sempre farlo nel modo più proficuo. È possibile oggi comprare un autentico capolavoro per soli due euro? È possibile nutrirsi l'anima per un'intera settimana leggendo ciò che costa meno di quello che serve a nutrire il corpo per un solo pasto? Sì, è possibile, vi dico io, ma per farlo vi serve un classico.
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Portrait of Mademoiselle LL James Jacques Joseph Tissot 1864 – olio su tela Musèe d’Orsay Mi sedetti in riva al lago e iniziai subito a leggere, quasi svogliatamente, tanto per ingannare il tempo nell'attesa che il resto della mia comitiva tornasse a reclamare la mia compagnia. E quando ciò avvenne ne fui quasi infastidito, talmente piacevole mi era risultata la lettura dei primi capitoli che aprono la storia presentandoci una situazione scabrosa e appassionante. Non volevo staccarmene e lo feci con ritrosia anche nei giorni seguenti, ogni volta che i miei impegni mi impedivano di restare in compagnia di Balzac. La trama La lettura de "La cugina Bette" fu fin da subito una sorpresa perché l'autore mi catturò immediatamente seducendo il mio interesse con una scena tanto inattesa quanto audace per un libro scritto più di 150 anni fa: un tentativo fallimentare di comprare l'inalienabile bene dell'amore. L'ex profumiere Crevel, diventato in seguito un danaroso speculatore, cerca di convincere Adeline, baronessa decaduta (per il momento solo finanziariamente parlando), cugina della protagonista, a concedersi a lui in cambio di una cospicua somma. Questo intento di porre in essere una inhonesta mercimonia deriva in parte da una sincera passione nutrita per l'ancora bellissima cinquantenne baronessa e in parte da un desiderio di vendetta da parte di Crevel nei confronti del suo amico e rivale di libertinaggio: il barone Hector Hulot d'Ervy, marito di Adeline. Quest'ultimo è colpevole di aver sottratto a Crevel la sua giovane amante Josepha, cantante molto in voga e donna particolarmente avvenente. Inutile dire che tale ratto sentimentale si è compiuto per mezzo di lusinghe in denaro e di regalie spropositate; piuttosto è importante spiegare che tali spese sono state compiute da Hulot per mezzo di cambiali, prestiti a usura e sotterfugi vari. Crevel sa che l'amico barone è quasi sul lastrico, che trascura la famiglia e gli interessi dei suoi due figli: Victorin, il primogenito, è sposato con Celestine, figlia unica proprio del malaccorto Crevel, mentre Hortense, la secondogenita, necessiterebbe di una dote per maritarsi. Però tutti i soldi di Hulot vanno a finire tra le grinfie delle cortigiane e dissanguano la famiglia. Proprio la consapevolezza di questa situazione rende Crevel talmente spavaldo da giocare a carte scoperte e da parlare apertamente alla baronessa Adeline, che tuttavia rifiuta scandalizzata le proposte indecenti del consuocero. È questo un romanzo nel quale amore e denaro viaggiano di pari passo, si incontrano, si scontrano, si sposano, si lasciano, si ricattano l'un l'altro e non trovano mai pace. Proprio come i personaggi che vi sono rappresentati: tutti soffrono o soffriranno, tutti sono affetti da una smania insaziabile che li fa cadere vittime dei loro vizi o delle loro virtù, delle loro ossessioni e delle loro ambizioni. Vizi e virtù rendono i personaggi schiavi e ostinati, terribilmente ostinati. Si affannano a perseguire il loro fine, sia esso moralmente disdicevole oppure encomiabile, sino al punto dell'autodistruzione. È ovvio che si tratta di caricature: Balzac esaspera i caratteri e i temperamenti dei protagonisti per raccontarci il vizio, per aprirci gli occhi sulle conseguenze sociali della liberalizzazione dei costumi che caratterizzava i suoi tempi (il romanzo uscì nel 1846). Ciò non vuol dire che l'autore sia un moralista o un retrogrado, quanto piuttosto un nostalgico. Egli rimpiange i tempi dell'ancien régime, ma non lo fa con il proposito di sollecitare una restaurazione, bensì con l'atteggiamento malinconico di chi ricorda i tempi andati mentre fotografa con occhio analitico la nuova società, più evoluta e più libera, della quale egli stesso fa parte, dal momento che nella sua vita privata non mancò mai né gaudenza né libertinaggio. Qualcuno potrebbe chiedersi dunque che senso abbia leggere oggi, in un contesto sociale molto più evoluto e progressista di quello che è oggetto della narrazione, tale romanzo. La risposta sta nella perizia con la quale Balzac manovra il suo scandaglio nell'animo umano e ci dà notizia di quelli che sono turbamenti, contraddizioni, debolezze, meschinerie e infamie messe in atto allora come oggi. È inolte interessante riflettere su quanto sia vischioso il processo di evoluzione degli usi e dei costumi e su quanto siano ripetitive e prevedibili le rimostranze dei cosiddetti conservatori. E poi ci sono le magistrali doti narrative di chi come lui è capace di tenerti incollato per ore a seguire la trama del suo racconto, riuscendo di volta in volta a sorprenderti con colpi di scena e risvolti inattesi. Anche se il romanzo è suddiviso in capitoli di lunghezza ridotta, la narrazione dà sempre l'impressione di non voler concedere pause al lettore e di procedere formando un unico blocco, dal quale risulta davvero spiacevole separarsi. Leggere questo libro mi ha fatto sorgere numerosi interrogativi e mi ha regalato tanti spunti di riflessione. È possibile che degli uomini maturi, scaltri, smaliziati, tanto adusi alla doppiezza inveterata del mondo degli affari, tanto tenaci nella contrattazione economica, tanto arditi e spregiudicati nell'arena finanziaria e sfrontatamente egoisti nel loro contesto familiare, vengano puntualmente beffati dalle moine di una bella donna? È possibile che degli uomini che hanno dato incontrovertibili prove di coraggio in battaglia, che hanno sfidato la morte, che hanno piegato il destino ai loro piedi, non siano poi capaci di negare un capriccio irragionevole al cuore volubile di una giovinetta dissennata? È possibile che siffatti uomini mettano a rischio, per il subitaneo impeto della passione, tutto ciò che la vita gli ha donato, patrimonio, rendite, carriera, onore, famiglia, reputazione e perfino la libertà personale, il tutto per non saper rinunciare alle grazie ammaliatrici di un'avida arrivista in gonnella? È possibile, ci dice Balzac. "Gli inganni dell'amore venale sono più seducenti della realtà. L'amore vero comporta dei battibecchi in cui ci si può ferire al cuore; ma il litigio fatto per finta è, al contario, una carezza fatta all'amor proprio dell'ingenuo."
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E invero le cronache ufficiali e ufficiose del tempo danno numerose testimonianze di uomini del bel mondo completamente rovinati dal perseguire i loro istinti lubrici. "Libertini" li chiama l'autore e il libertinaggio viene trattato alla pari di uno dei tanti inguaribili vizi nei quali l'uomo degenera. Del resto, lo stesso Balzac non era uno stinco di santo. Spesso, durante la lettura, mi sono soffermato a guardare la riproduzione in bianco e nero di un disegno di Cassal, riproposta tra le prime pagine del libro, e raffigurante l'autore in una mise elegante. I grandi occhi da malinconico di Balzac avevano un guizzo di dissolutezza, il tipico riflesso sornione del viveur, e non ho potuto fare a meno di pensare che egli abbia certamente avuto un'esperienza diretta, almeno parziale, di quegli stessi vizi che racconta così bene. La narrazione delle scellerate vicende dei libertini non è una novità in Balzac, avendone egli già dato mirabile prova nel suo romanzo "Splendori e miserie delle cortigiane", a sua volta prosieguo de "Le illusioni perdute" e certamente più famoso e blasonato de "La cugina Bette". In quest'ultimo però, le consuete tematiche del vizio, della lussuria, dell'arrivismo e dell'avidità vanno a costituire un sostrato narrativo al di sotto del quale viene a presentarsi il rancore. L'odio striscia furtivamente nel romanzo per tutta la durata della narrazione (che si esplica in 5 anni) e tale dannoso sentimento nasce, cresce e viene covato nel cuore della protagonista. Esso è tanto forte e radicato in lei, poiché atavico, ancestrale, dunque inestricabile e tale da aggirare il tipico problema del parossismo: non si manifesta in eccessi di rabbia, in irragionevoli scoppi d'ira, bensì in freddo e calcolato desiderio di rivalsa. "I godimenti dell'odio soddisfatto sono per il cuore i più forti e i più ardenti. L'amore è in un certo qual modo l'oro, e l'odio è il ferro di quella miniera di sentimenti che si trova dentro di noi poiché si odia sempre di più, come si ama ogni giorno di più, quando si ama. L'amore e l'odio sono sentimenti che si alimentano da sé; ma, dei due, l'odio ha vita più lunga. L'amore ha per confini delle forze limitate, riceve i suoi poteri dalla vita e dalla prodigalità; l'odio somiglia alla morte, all'avarizia, è in qualche modo un'astrazione attiva, al di sopra degli esseri e delle cose." Bette è il diminuitivo con il quale in famiglia chiamano Lisbeth Fischer, che è francese ma ha un nome tedesco poiché proviene dalla Lorena. Non ditemi che le vostre reminiscenze scolastiche non si ridestano immediatamente per darvi notizia di quante volte nel corso dei secoli la Francia e la Germania si sono contese Alsazia e Lorena e di come quei due tormentati territori siano finiti per dar luogo a una ibridazione non solo linguistica, ma anche culturale negli usi e costumi degli abitanti.
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La lorenese di cui Balzac vuole parlarci ha nel 1838 (data in cui ha inizio la narrazione) l'età di 43 anni ed è suo malgrado devota allo zitellaggio. Ha rifiutato ben cinque mariti che nel corso del tempo la sua famiglia aveva cercato di proporle. Ma l'aspetto cruciale del personaggio è l'invidia che la tormenta segretamente sin da quando era bambina. La sua invidia si origina dalla disparità di trattamento che la famiglia ha messo in opera tra lei, nata priva di grazie e per indole sempre caratterizzata da una certa rozzezza, e la cugina Adeline Fischer, di cinque anni più grande di lei, ma dotata di grande bellezza e raffinatezza. Bette è stata sacrificata alla cugina e ha dovuto rinunciare all'istruzione per sgobbare assiduamente come una qualsiasi popolana, dapprima facendo la contadina e successivamente impiegandosi come operaia. Tanti sacrifici furono imposti alla povera Bette quante attenzioni, delicatezze e vezzeggiamenti vennero invece rivolti ad Adeline, la quale aveva il solo merito di esser nata bella. C'è da dire però che l'adulazione sempre manifestatale dai familiari non ha insuperbito il carattere della bella Adeline né l'ha resa sdegnosa o viziosa. Il suo fascino, accompagnato da un carattere dolce e mansueto, le consentì da giovane di sposare colui che sembrava essere un ottimo partito: il summenzionato barone Hulot d'Ervy, allora benestante, aitante e avvenente nonostante avesse molti anni in più della moglie, e impiegato presso il Ministero della Guerra (oggi nessun governo chiamerebbe in questo modo la sua branca dedita all'amministrazione militare, preferendo invece la denominazione di Ministero della Difesa. Ciò non è certo dovuto al fatto che non si facciano più guerre, si fanno lo stesso, ma non  bisogna mostrarsene entusiasti o perlomeno bisogna spacciarle per necessarie). In tal modo Adeline poté abbandonare la provincia e trasferirsi a Parigi, cosa che a quei tempi rappresentava la prima soglia dell'ambizione sociale. Ma Adeline è l'anima candida del romanzo e non nutre nessuna ambizione al di fuori di quella di voler mantenere unita la famiglia e di dare continua prova di devozione al coniuge, seppure egli non la meriti affatto. Adeline è buona ma infelice (per colpa dei tradimenti di Hulot), è virtuosa ma assediata (dalle brame di lussuria e vendetta di Crevel), è affettuosa e onesta ma invidiata (da Bette). Ha deciso di invitare a Parigi la cugina per tenerla il più vicino possibile a sé e Bette è finita per diventare una balia per i suoi figli, una confidente per tutta la famiglia, una dama di compagnia per la cugina, una spalla su cui piangere e per ultimo anche un'agenzia di credito al consumo, visto che tutti le chiedono in prestito i suoi magri risparmi per poter tirare avanti nelle ristrettezze in cui il barone li ha lasciati. Tutti in famiglia vogliono bene a Bette, ma non la trattano come una loro pari poiché la considerano eccentrica, sgraziata e troppo grezza nei modi. Non smettono di canzonarla per il suo vestiario antiquato e strambo, per il suo aspetto dimesso, per la sua poca avvenenza e per la sua condizione di zitella. Nessuno ha idea del malanimo che la cugina cova dentro poiché ella non lo ha mai manifestato ed anzi ha sempre mantenuto un contegno mite e affettuoso con tutti i parenti. Però poi all'improvviso deflagra un ordigno potentissimo: Bette la zitellona confida alla giovane cugina Hortense di avere uno spasimante. Ciò è tanto insolito da far nascere una curiosità morbosa nella giovane, che oltretutto avrebbe una certa fretta di coniugarsi e rendersi indipendente, specie adesso che il suo progettato matrimonio è andato a monte per la perdita di quella che sarebbe dovuta essere la sua dote e che si è liquefatta tra le mani dissolute del padre Hulot. Hortense smania di voler conoscere e vedere colui che starebbe corteggiando la cugina Bette perché le sembra inverosimile che qualcuno si senta sinceramente attratto da quella donna. E in verità non si tratta di un vero corteggiatore, quanto piuttosto di un giovane che ha un debito di riconoscenza verso Bette. Il conte polacco Wenceslas Steinbock, di ben 15 anni più giovane di Bette, vive in una catapecchia al piano di sopra dell'appartamento della protagonista. Egli è un rifugiato politico clandestino che ha lasciato la sua patria dopo aver partecipato a un'insurrezione. Si trova in una miseria tale da ricorrere al suicidio per mezzo del braciere e del monossido di carbonio da esso esalato. Ma Bette lo salva giusto in tempo, si prende cura di lui, vi si affeziona e investe i suoi risparmi per aiutarlo a formarsi professionalmente come scultore e incisore. Il debito i riconoscenza porta Wenceslas a obbedire ciecamente a Bette e a diventarne quasi una vittima: lei gli impone ritmi di lavoro opprimenti né gli lascia spazio per alcuno svago perché cerca al più presto di mettere a frutto il suo talento e di fargli guadagnare del denaro. Bette sviluppa una notevole possessività nei confronti del suo protetto ma tra loro non nascerà mai una vera relazione d'amore prima di tutto perché Bette sconosce il piacere sensuale e rimarrà per sempre avvolta nel suo bozzolo virginale, in secondo luogo perché la differenza d'età tra i due è notevole, e infine perché Bette "rassomigliava a quelle scimmie vestite da donna che i piccoli savoiardi si portano in giro" e in più aveva qualche verruca sulla faccia. Sappiate voi che le verruche sul volto di una donna sono delle vere e proprie mine antiuomo, nel senso che terrebbero lontano qualunque corteggiatore dotato di un minimo senso dell'estetica. Ma, per farla breve, vi dico che un giorno Hortense incontra e conosce il bellissimo Wenceslas e se lo accalappia subito. Finisce per sposarlo e dunque lo sottrae al dominio di Bette. Costei, intimamente e segretamente furiosa per l'affronto subito, cerca perfino di farlo incarcerare ricorrendo a un sotterfugio, ma il suo intento fallirà. Bette inizia dunque a fare il doppio gioco, mantenendo da un lato la sua facciata di cugina devota con la famiglia Hulot, ma alleandosi segretamente con Valery Marneffe, la nuova fiamma del barone Hulot, allo scopo di rovinarli tutti. Hulot perde la testa per la Signora Marneffe, la vera femme fatale della storia, e pur di farne la sua amante finisce per sottrarre in modo fraudolento dei fondi allo Stato. La cosa strana è che la moglie Adeline e i figli gli perdonano sempre le sue sciagurate azioni poichè il barone Hulot è una persona seducente che riesce facilmente ad accattivarsi la benevolenza degli altri. Di certo i viziosi risultano più simpatici dei bigotti: "Il moralista non potrebbe negare che , in genere, le persone bene educate e molto viziose sono assai più amabili delle persone virtuose; avendo delle colpe da farsi perdonare esse sollecitano in anticipo l'ndulgenza, mostrandosi tolleranti verso i difetti dei loro giudici, e passano per essere eccellenti. Benché fra la gente virtuosa vi siano delle persone affascinanti, la virtù si crede già abbastanza bella per se stessa e non si dà da fare per abbellirsi: poi le persone realmente virtuose, poiché bisogna escludere gli ipocriti, hanno quasi tutte dei lievi dubbi sulla propria situazione; si credono ingannate nel grande mercato della vita, e hanno parole un pò agre alla maniera di coloro che si pensano misconosciuti.” Ma perché Hulot si comporta in tal modo? Per quale motivo non rende la moglie oggetto delle sue smodate passioni dal momento che ella è più che bella e desiderabile e invece ne disdegna le attenzioni per andare a ricercare soddisfazione altrove fino al punto della perdizione? Per il semplice motivo che Adeline, come la cugina Bette, non ha alcuna dimestichezza con l'ars amatoria. È una donna di puro sentimento, incapace di veicolare erotismo o di metterlo a frutto. Perfino quando la miseria la porterà a decidere di degradarsi sullo stesso piano della sua acerrima rivale (Valery Marneffe) e a tentare di prostituirsi per ricavare le somme che salverebbero l'intera famiglia dal disonore, il suo abbozzato tentativo di seduzione fallirà miseramente e susciterà solo pietà. Inoltre, tale sua pericolosa risoluzione, sebbene poi non messa in atto, le scombussolerà comunque il sistema nervoso al punto da minarne la salute.
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"Molte donne sposate, attaccate ai loro doveri e ai loro mariti, potranno domandarsi a questo punto perché quegli uomini così forti e così buoni, così facili alla pietà per delle signore Marneffe, non prendono le mogli, soprattutto quando somigliano alla baronessa Adeline Hulot, per oggetto del loro capriccio e delle loro passioni. Ciò ha a che fare coi più profondi misteri della natura umana. L'amore, questa immensa dissolutezza della ragione, questo virile e severo piacere delle grandi anime, e il piacere, questa volgarità messa in vendita sulla piazza, sono due facce differenti dello stesso fenomeno. La donna che soddisfi questi due enormi appetiti, è, in tutto il sesso femminile, tanto rara quanto il grande generale, il grande scrittore, il grande artista, il grande inventore lo sono in una nazione. L'uomo superiore come l'imbecille, un Hulot come un Crevel, sentono ugualmente il bisogno dell'ideale e quello del piacere; tutti vanno alla ricerca di questo misterioso androgino, di questa rarità che, nella maggior parte dei casi, risulta essere un'opera in due volumi! Questa ricerca è una depravazione dovuta alla società. Certo, il matrimonio deve essere accettato come un dovere, è la vita con i suoi tormenti e i suoi duri sacrifici, sostenuti in parte uguale da entrambi. I libertini, questi cercatori di tesori, sono altrettanto colpevoli quanto altri malfattori più severamente puniti di loro. Questa riflessione non è un'aggiunta posticcia di morale: essa ci fa capire molte infelicità incomprese". Balzac allude in tal modo alla contraddizione insita in ciascun uomo che vorrebbe poter riunire nella donna amata ora un angelo ora una puttana, che pretenderebbe di avere a fianco una compagna dolce e affettuosa, tuttavia pronta a trasformarsi in una voluttuosa concubina in camera da letto. Povero Honoré, se le femministe avessero letto questa sua pretenziosa asserzione lo avrebbero sbranato. Fortuna sua che ai suoi tempi il femminismo non era ancora in voga, così come non era ancora stato inventato il moderno e troppo spesso artefatto contegno del "politically correct", altrimenti non avrebbe potuto inserire impunemente nel suo libro tutta una serie di considerazioni azzardate e generalizzanti sulla presunta avidità degli ebrei e sulla loro predisposizione a praticare l'usura, tutta una serie di riflessioni a carattere classista circa la tendenza all'imbroglio e al furto da parte dei proletari: "In tutte le famiglie la piaga del personale di servizio è oggi la più dolorosa di tutte le piaghe finanziarie. Salvo rarissime eccezioni un cuoco e una cuoca sono dei ladri domestici, dei ladri salariati, sfrontati, di cui il governo si è compiacentemente fatto il favoreggiatore, incoraggiando così la tendenza al furto quasi autorizzata fra le cuoche dal vecchio e arguto modo di dire: "fare la cresta sulla spesa". A chi tenta di controllarli, i domestici rispondono con parole insolenti, o con le costose malefatte di una finta sbadataggine. Il male, giunto davvero al colmo potrà scomparire solo grazie a una legge che assoggetti i domestici salariati al libretto dell'operaio. il male cesserebbe allora come per incanto. Se ogni domestico fosse tenuto a esibire il suo libretto, e i padroni avessero l'obbligo di annotarvi le cause del licenziamento, la corruzione troverebbe senza dubbio un potente freno.  Non esistono statistiche sull'enorme numero di operai ventenni che sposano delle cuoche di quaranta e di cinquant'anni arricchitesi mediante il furto. C'è di che fremere al pensiero delle conseguenze di simili unioni dal triplice punto di vista della criminalità, dell'imbastardimento della razza, della vita familiare di queste coppie.") e, ancora, sulla natura selvatica, quasi ferina, degli slavi: “C'é negli slavi un lato puerile, come presso tutti i popoli primitivamente selvaggi, i quali, anziché civilizzarsi, hanno fatto irruzione nelle nazioni civilizzate. Questa razza è dilagata come un'inondazione e ha coperto un'immensa estensione del globo. Essa vi abita lande desolate dove gli spazi sono così vasti, che vi si trova a suo agio; non ci si sta gomito a gomito, come in Europa, e la civiltà è impossibile senza il continuo attrito di idee e interessi. L'Ucraina, la Russia, le pianure del Danubio, il popolo slavo insomma, è un trait d'union fra l'Europa e l'Asia, fra la civiltà e la barbarie. Perciò i polacchi, il gruppo più importante del popolo slavo, hanno nel carattere la puerilità e l'incostanza delle nazioni imberbi. Possiedono il coraggio, l'intelligenza, la forza; ma, privi di tenacia, questo coraggio e questa forza, questa intelligenza mancano di metodo e di direzione, poiché il polacco presenta una mobilità simile a quella del vento che regna su quell'immensa pianura inframezzata da acquitrini: se ha l'impetuosità degli spazzaneve, che dirompono le case e le trascinano via, come quelle terribili valanghe che precipitano dall'alto, egli però va a perdersi nel primo stagno che trova, e si dissolve in acqua. L'uomo prende sempre qualcosa dagli ambienti nei quali vive." Queste ultime parole non sono poi così lontane dalle tesi slavofobe che quasi ottant'anni dopo avrebbero infiammato il Mein Kampf. Le dittature del Novecento sono diventate l'emblema del razzismo e dell'antisemitismo, ma in realtà l'odio sul quale esse fecero leva era già conclamato nel contesto sociale europeo da diverso tempo (il caso Dreyfus esplose in Francia nel 1894) e anche in quei paesi che non furono soggetti al regime dittatoriale. Inoltre queste sono parole che fanno specie poiché provenienti dalla penna di colui che mentre le scriveva intratteneva una focosa relazione con una donna polacca (Madame Hanska). Naturalmente non è mia intenzione fare la morale a Balzac o peggio ancora additarlo come un reazionario illiberale, quanto piuttosto far notare come ogni uomo sia figlio del suo tempo, come cambino i costumi e il pensiero da un'epoca all'altra e come abbia poco senso giudicare e valutare con la mentalità odierna le convinzioni e le idee dei grandi del passato. Tuttavia anche queste considerazioni censurabili fanno parte delle sorprese che il romanzo ci riserva, al pari di alcune battute allusive e lascive, decisamente inconsuete per un'opera ottocentesca, e di un lessico che in determinate situazioni degrada dal livello aulico fino al punto più infimo della bestemmia quando la narrazione viene traslata nei bassifondi di Parigi. Non sprecate il vostro tempo per cercare una chiave di lettura perché non la troverete: la storia narrata è chiara, limpida, lampante e sviscerata in tutti i dettagli. È questa del resto un'opera che si inserisce nel contesto letterario del realismo, cioé ha lo scopo di fotografare la realtà così come essa è, e vi riesce appieno. Avrebbe senso ricercare la morale in un romanzo simile? Eppure quel geniaccio di Balzac lascia comunque trapelare un messaggio tra le sue splendide pagine: il vizio ha una forza corrompente potentissima e quasi inarrestabile. Finisce per travolgere tutto e trova un eccellente alleato nella miseria. Adeline, l'emblema della virtù, perderà la sua battaglia e morirà per il colpo fatale che l'immoralità del marito le infliggerà. Ella è, al pari di tutti gli altri, un personaggio statico, poichè come certamente avretepotuto intuire, i protagonisti del libro sono una manica di pazzi che perseverano ostinatamente nei loro errori: - Adeline rimarrà per sempre devota al marito fedifrago e scialacquatore e io ho perso il conto di quante volte ella sviene nel romanzo per colpa dei dolori che la condotta di lui le infligge. - Hulot rimarrà per sempre un seduttore e un sedotto, fino a rovinarsi completamente, fino a sfiorare la galera e il disonore (solo il fratello e il figlio potranno salvarlo a carissimo prezzo) e ogni suo tentativo di redenzione risulterà parimenti patetico e fallimentare. - Wenceslas rimarrà per sempre una promessa del mondo dell'arte non concretizzata e uno scansafatiche (in lui l'ozio vince perfino sulla lussuria che non riesce a corromperlo del tutto). - Bette rimarrà per sempre zitella e non riuscirà a vedere esaudito appieno il suo desiderio di vendetta nel gettare sul lastrico tutta la famiglia, nonostante si sia spinta fino al punto di fare da mezzana a una cortigiana. - Crevel rimarrà per sempre un povero illuso, credendo di essere il più furbo fra i viziosi edi potersi comprare l'amore con i suoi denari. - La signora Marneffe rimarrà per sempre un’intrigante arrivista ma non riuscirà a portare a termine i suoi propositi di arricchimento perché la sua nemesi arriverà anzitempo: il misterioso veleno di un amante geloso la porterà a morire ancora giovane, ma non prima di essere orribilmente deturpata nella sua bellezza con pustole, piaghe e bubboni. Un pò come sarebbe accaduto alla sua collega Nanà, figlia della penna di Emile Zola. - L'unico personaggio che sperimenterà un cambiamento è Victorin, figlio di Hulot e Adeline, uomo di legge integerrimo, dai principi saldi, che tuttavia finirà per sollecitare le morti del suocero Crevel e della sua promessa sposa Valery Marneffe, ex amante del padre Hulot, per salvare la propria eredità e quella della moglie, perdendo di fatto la sua integrità morale. Il vizio del padre scalfirà di riflesso la probità del figlio.
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Finale Adesso però non posso certo raccontarvi tutta la storia, altrimenti vi toglierei il piacere di scoprirla a poco a poco leggendo il libro, ma posso anticiparvi che il sodalizio Valery Marneffe - Lisbeth Fischer, cementato dall'odio e dall'ambizione, farà penare molto i familiari di Hulot e di Crevel e che entrambi i libertini saranno beffati come gonzi da colei (la Marneffe) che da rispettabile moglie diverrà presto la più abile delle cortigiane per ribellarsi alla sua iniziale condizione di miseria, che Balzac definisce "il più grande dissolvente sociale", attribuendole dunque la causa di molti mali. Adeline morirà e il vizio le sopravviverà poiché il barone vedovo continuerà a perseverare nel male e convolerà a nozze con una semplice cuoca molto più giovane di lui. A proposito, quasi dimenticavo, un colpo al cerchio e uno alla botte: "È un'immensa prova di inferiorità in un uomo non saper fare delle moglie la propria amante." Datevi da fare dunque, ma non dimenticate di leggere perché vi fa bene. Rosso Groviglio  Read the full article
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perfettamentechic · 4 years
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Jacques Doucet era uno stilista francese e collezionista d’arte. È noto per i suoi abiti eleganti, realizzati con materiali traslucidi in sovrapposizione di colori pastello.
Doucet nacque a Parigi nel 1853 da una famiglia prospera la cui lingerie e biancheria, Doucet Lingerie. Affermando di essere stata fondata a Parigi nel 1817, la House of Doucet raggiunse il suo massimo rilievo sotto l’influenza progettuale del nipote del fondatore, Jacques Doucet. Mentre molti membri della famiglia Doucet erano coinvolti in vari aspetti dell’abbigliamento e dei relativi affari, la Maison Doucet può essere fatta risalire ad Antoine Doucet e sua moglie, Adèle Girard, che iniziarono come venditori di articoli di lingerie, pizzi e ricami e articoli correlati per clienti di tutte le età e di entrambi i sessi. Nel 1869 venne venduto l’aspetto della merceria.
Nel 1871, dopo la morte dei coniugi Doucet, Jacques aprì un salone di abbigliamento femminile: “House of Doucet”.
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Doucet aveva una creatività spiccata, influenzata dalle sue passioni: egli, cresciuto in un ambiente raffinato e ricco, collezionava, sin da giovane, oggetti d’antiquariato, mobili, sculture e dipinti del XVIII secolo. Molti dei suoi abiti furono fortemente influenzati da quest’epoca opulenta. Infatti, Doucet creava abiti femminili e romantici, senza l’imposizione del busto; prediligeva gli abiti da casa, i deshabillé in tessuti traslucidi e in colori pastello, in lino ricamato o dipinto a fiori, soprattutto ortensie o con soggetti di insetti. Utilizzava chiffon ariosi e leggeri dall’aria sognante e pizzi rari (Point De Venise). Le sue creazioni erano molto popolari anche oltreoceano, i clienti americani infatti facevano eseguire copie perfette dalle altre maison.
A partire dal 1912, le mode di Jacques Doucet furono illustrate nella rivista di moda La Gazette du Bon Ton con altri sei stilisti parigini di spicco dell’epoca: Louise Chéruit, Georges Doeuillet, Jeanne Paquin, Paul Poiret, Redfern & Sons e la Maison Charles Worth. I suoi progetti più originali furono quelli che creò per le attrici dell’epoca. Cécile Sorel, Rejane e Sarah Bernhardt (per la quale ha disegnato il suo famoso costume bianco in L’Aiglon) indossavano spesso i suoi abiti, sia dentro che fuori dal palco. Per le attrici di cui sopra ha riservato uno stile particolare, quello che consisteva di fronzoli, sinuose linee curvanti e pizzo arruffare i colori dei fiori sbiaditi. Doucet era un designer di gusto e discriminazione che apprezzava la dignità e il lusso al di sopra della novità e della praticità, e gradualmente svanì dalla popolarità durante gli anni ’20.
La combinazione di colori del blu accentata con il turchese era una delle mariage preferite del designer.
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Alla fine del XIX secolo la Maison Doucet era una delle più grandi di Parigi con un giro d’affari di 30 milioni di franchi annui. Jacques Doucet è stato uno dei più famosi stilisti di moda che non solo collezionano arte, ma supportano anche artisti e architetti nella loro attività, chiedendo loro di modellare gli spazi in cui viveva e lavora.
La Grande Guerra purtroppo cambiò tutto. Le donne si emanciparono, trasformando il loro modo di pensare, e soprattutto lavoravano e praticavano sport.  Il vecchio Doucet sembrava rimasto fermo nel suo tempo, insieme alle sue creazioni. Tuttavia, continuò a lavorare e nel 1927 chiese ad artisti e scultori cubisti di decorare il suo Studio House in rue Saint-James, Neuilly-sur-Seine. Si chiamava “hôtel particulier”: fu progettato dall’architetto Paul Ruaud e comprendeva opere e progetti di Laurens, Csaky, Lipchitz e Marcoussis.
Nel 1924 la maison si fuse con quella di Doeulliet, ma nel 1932 anche quest’ultima cessò l’attività.
Collezionista d’arte e letteratura per tutta la vita, alla sua morte aveva una collezione di dipinti post-impressionisti e cubisti, tra cui Les Demoiselles d’Avignon, che acquistò direttamente dallo studio di Picasso, e due biblioteche, entrambe lasciate alla nazione francese. Doucet ha donato la sua collezione di libri d’arte e di ricerca all’Università di Parigi nel 1917, trasferito all’Institut National d’Histoire del’Art nel 2003 e, alla sua morte nel 1929, la sua collezione di manoscritti di scrittori contemporanei per i quali l’Università ha creato in suo onore la Bibliothèque littéraire Jacques-Doucet. Francois Chapon ha scritto un libro intitolato C’etait Jacques Doucet sulla vita e il lavoro dello stilista.
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Aggiornato al 27 aprile 2020
Autore: Lynda Di Natale Fonte: wikipedia.org, web
Jacques Doucet #JacquesDoucet #doucet #houseofdoucet #creatoridellostile #perfettamentechic #felicementechic Jacques Doucet era uno stilista francese e collezionista d'arte. È noto per i suoi abiti eleganti, realizzati con materiali traslucidi in sovrapposizione di colori pastello.
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giancarlonicoli · 5 years
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31 DIC 2019 18:30
ISOTTA IN LODE DI SCIASCIA: “E’ UN GRANDE A CUI AVREBBERO DOVUTO DARE IL NOBEL. UN SOMMO PESSIMISTA DIVORATO DAL DUBBIO: COSÌ AVEVA POTUTO ESSER STATO COMUNISTA, SOCIALISTA, RADICALE, POI NULLA - SCIASCIA ERA ANDATO PIÙ VICINO DI TUTTI ALLA COMPRENSIONE DEL DELITTO MORO - UNA VOLTA MI AIUTÒ ANCHE LA SUA IRONIA: "OGGI E' DIFFICILE INCONTRARE UN INTELLIGENTE CHE NON SIA CRETINO...”
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Paolo Isotta per “Libero quotidiano”
Ho confessato più volte che se la musica è la mia passione, il mio vizio è la lettura. Nulla mi piace quanto passare il pomeriggio a letto insieme col bassotto Ochs a leggere in due. Or, pochi giorni fa, rievocando il trentennale della morte di Georges Simenon, ho scritto che nel Novecento i sommi ai quali non è stato conferito il Nobel sono Céline, Borges e Simenon. Dimenticavo Leonardo Sciascia, del quale pure quest' anno cade il trentennale della scomparsa.
Le opere complete di Leonardo Sciascia le tengo sempre a portata di mano; sebbene i libri che ho sempre con me siano Lucrezio, Virgilio, Orazio, Leopardi, Manzoni, Flaubert: un anno I promessi sposi, un altro la prima versione, da lui rifiutata, convenzionalmente denominata Fermo e Lucia. Giovanni Macchia la giudica superiore e, certo, basterebbe l'atroce romanzo nel romanzo dedicato alla Monaca di Monza a farci gioire che tale versione non sia stata distrutta e sia stata ritrovata.
Manzoni e Leopardi sul cuore umano, sulla politica, sulla massa, hanno, con Flaubert, scritto le cose più rivelatrici di ogni tempo. Sciascia è un manzoniano e su Manzoni gli si debbono ricerche erudite che, come tutte le sue opere storiche, sono fra le perle della sua creazione. È un seguace di Manzoni nell' indagare il cuore umano e il suo indurirsi in rapacità e abiezione. Adorava le petites histoires, che spesso nascondono macigni. Nessuno come lui è capace di trarre da un piccolo fatto, che pare insignificante, una storia terribile o grottesca.
Lo studio che il grande Racalmutano fa dell'uomo parte sempre dalla Sicilia, sebbene s'allarghi in senso universale. L'attaccamento dei siciliani di ogni tempo alla roba, che si fa addirittura una metafisica della roba, non è dell'italiano tutto, se non dell' uomo assolutamente? E qui va osservato l'attaccamento alla roba proprio dei preti. Certo, di tutti; ma il clero siciliano, col suo particolarismo, la sua autonomia, ne è un emblema. Anche per l'essere il popolo siciliano, secondo Leonardo, superstizioso, sì, ma soprattutto irreligioso, a-cristiano se non ateo.
In questo di alta meditazione è la ricerca storica Morte dell' inquisitore, la storia di un monaco secentesco detenuto e torturato dall' Inquisizione il quale, prima del rogo, riesce colle manette a strangolare l'Inquisitore palermitano. Sempre sul tema, di acre ironia è la Recitazione della controversia liparitana; e di deliziosa ironia Il Consiglio d' Egitto. L'avesse scritto un Francese, si definirebbe uno dei capolavori del romanzo neo-volterrano, insomma uno dei capolavori del romanzo del Novecento.
IL PREMIO MANCATO
Perché a Sciascia non hanno offerto il Nobel, che avrebbe onorato questo premio sempre più spento? Ma perché dalle opere dei premiati deve scaturire una rappresentazione del mondo ottimistica, basata sul concetto che l'uomo sia fondamentalmente buono e capace di redenzione. Fosse esistito nel Settecento, l'avrebbero dato a piene mani a uno degli scrittori che più disprezzo e più mi è antipatico, Jaen-Jacques Rousseau. Di Voltaire avrebbero detto: «Ma che vuole, costui?» Sciascia era un sommo pessimista, ed era divorato dal tarlo del dubbio.
Inoltre, e questo suscita diffidenza, in lui è spesso difficile distinguere la narrazione pura (appunto, alla Simenon) dalla narrazione mista col saggio, come nel suo, e mio, Pirandello. Aveva risolto indagini storiche memorabili: una storia terribile, di tortura e rogo, suggeritagli da quel "chilo agro e stentato" che il Vicario di Provvisione stava facendo durante la rivolta dei forni, nel capo XIII dei Promessi sposi. Il dubbio e la ricerca della verità: Così aveva potuto esser stato comunista, poi socialista, poi radicale, poi nulla. Uno dei casi più clamorosi. Sciascia era (è) andato più vicino di quasi tutti alla comprensione del mistero del rapimento e del delitto Moro.
C' era una verità ufficiale che faceva comodo a tutti: le "Brigate rosse", ai comunisti, ai democristiani, ai Tedeschi, agli Americani. Renato Guttuso, un pittore di grande talento che spesso tale talento ha sprecato, era parlamentare del Pci. Si allineò vilmente a tale "verità". Di Sciascia del troppo intelligente scrittore isolato alla Camera, complice Guttuso, il pittore si vide recapitare un pacco da un commesso. Erano stati grandi amici. Il pacco conteneva un prezioso dipinto di Guttuso che anni prima aveva donato allo scrittore. Pacco e quadro: senza una parola.
Negli ultimi anni doveva chiedere ospitalità ai quotidiani; e chissà se lo compensavano. Era un bibliofilo e un esperto di ceramiche. E riusciva sempre a scoprire quel ch' è nascosto sotto un verso, una frase, una storia.
Alla mafia Sciascia si è dedicato con passione e lungimiranza: lo narrano Il giorno della civetta e A ciascuno il suo. Il bel libro recentissimo di Nando Dalla Chiesa ''Una strage semplice'' rievoca l' assassinio di Paolo Borsellino e mette in luce come tuttora esso, tra mandanti e coperture e depistaggi, sia avvolto dal buio; e sebbene Sciascia su Borsellino abbia fatto il suo solo errore, subito emendato, questa storia a me pare eminentemente sciasciana, quasi la realtà, ancora una volta, si sia sulla creazione artistica modellata. Ma questa creazione artistica partiva, nel caso di specie, da un' analisi della realtà effettuale.
L'IRONIA
L' ho frequentato, sia pur brevemente. Ora è come se fossimo intimi. A Milano colla moglie, Mimmo Porzio lo invitava sempre a cena. Una boccata di fumo tra un boccone e l'altro; taciturno, uno sguardo di pazienza insondabile e disperata. La sua pagina è per me, oltre che modello stilistico, soccorso al disagio del vivere. La disperazione, se si fa arte, aiuta. Una volta mi aiutò anche la sua ironia.
Avevo scritto che il rock (oggi aggiungerei il rap: pensate a Fedez e agli affari della sua "compagna") è uno strumento di consenso sociale, giacché gli sventurati sfogano consumandolo ogni carica di rivendicazione ed eversione. Mi attaccò su "Repubblica" un intrattenitore televisivo, un certo Beniamino Placido. Chissà quale pensione percepiva costui, ex funzionario parlamentare.
Scriveva che gli aristocratici napoletani non possono abbassarsi a capire niente. Risposi con una citazione di Nero su nero: «È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia cretino. Oh i bei cretini d' una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l' olio e il vino dei contadini.»
Se fosse ancora con noi, dialogherebbe con Manzoni, Baudelaire, Serpotta, la Tragedia greca, Lucrezio e Virgilio. Non aprirebbe nemmeno il giornale. Allora si diceva di lui: "il bravo scrittore e romanziere". Oggi si potrebbe definire solo un gigante. A volte accade persino: veritas filia temporis.
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jazzzzaj · 5 years
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280919 JazzaJ Műhely / Isabelle Duthoit Vocal Workshop
***scroll down for English*** Ezen a workshopon felfedezzük rejtett, személyes kincsünket: eredeti hangunkat. Azt a nyelv előtti hang-birodalmat, ami a légzéstől a sikításig tart. Ez a kincs mindenkiben megvan, de ahogy megtanulunk beszélni, fokozatosan elfeledkezünk róla. Ezek a hangok azonban nem vesznek el, valahol ott vannak a testünkben. Hogyan hozzuk elő újra, hogyan találjuk meg a rengeteg bennünk rejlő hangot? Hogyan használjuk őket? Hogyan figyeljük meg mindennapi hangjainkat – légzésünket, sikolyunkat, nyögéseinket, hümmögésünket – és hogyan építhetünk mindezekből egy új, saját nyelvet, amivel játszhatunk, improvizálhatunk, hogy újra felfedezzük a beszéd, a szavak előtti, első nyelvünket? A műhelymunka nem csak énekesek és zenészek, hanem mindenki számára nyitott, aki újra fel szeretné fedezni a saját történetét, annak egy szeletét. A workshop díja: 6000 Ft Regisztráció emailben: [email protected] Pontos helyszín egyeztetés alatt! Tervezett órarend: 10:30-12:30 workshop 1. rész 12:30-14:00 ebédszünet 14:00-16:00 workshop 2. rész Isabelle Duthoit a vokális improvizáció egyik nagymestere. Képzettsége szerint klarinétos, a kortárs klasszikus zenei repertoárban hangszeresként és énekesként is elismert, többek között Luciano Berio, Pierre Boulez, Iannis Xenakis, Olivier Messiaen, Helmut Lachenman darabjait adja elő. Az improvizációban rendszeres alkotótársai Franz Hautzinger, Phil Minton, Luc Ex, Jacques Di Donato. Ezúttal az Újbuda Jazz Fesztivál meghívására látogat Budapestre, ahol Márkos Alberttel és Bolcsó Bálinttal fognak trióban játszani szeptember 27-ikén. https://www.facebook.com/events/505078510302916/ A workshop utáni napon, szeptember 29-én pedig a debreceni MODEM születésnapján adnak elő. __________________________________________________________ In this workshop we will try to explore our very own, secret treasures: our original voice. A pre-language sound-empire between breath and scream. We all possess this treasure but as we learn to speak – it gradually falls into oblivion. But these sounds are never completely lost, they remain hidden somewhere in our bodies. How can we find and recover this voice inside us? How could we use it? How can we observe our everyday sounds – our breaths, screams, moans and hums – to invent a new, personal vocabulary to play and improvise with, to rediscover our very first language that we used before words and speech? The workshop is open not only for singers and musicians but for anyone who would like to rediscover his/her own story – or at least a slice of it. Workshop fee: 6000 HUF Registration via email: [email protected] The venue is to be announced soon! Planned schedule: 10:30-12:30 Workshop, Part 1 12:30-14:00 Lunch break 14:00-16:00 Workshop, Part 2 Isabelle Duthoit is one of the great masters of vocal improvisation. She was educated as a clarinetist, and recognised both as a singer and an instrumentalist in the contemporary music repertoire, often performing the works of Luciano Berio, Pierre Boulez, Iannis Xenakis, Olivier Messiaen or Helmut Lachenman. In improvised music, she regularly works with artists like Franz Hautzinger, Phil Minton, Luc Ex or Jacques Di Donato. This time she is invited to perform at the Újbuda Jazz Festival where she will share the stage with Albert Márkos and Bálint Bolcsó on the 27th September: https://www.facebook.com/events/505078510302916/ The day after the workshop, 29th September, the trio will perform at the MODEM’s birthday event in Debrecen
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das-series · 5 years
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Jeudi 27 juin - DATA - 20h Pierre Borel (saxophone) Laurent Charles (saxophone)
Pierre Borel est un saxophoniste et compositeur parisien, travaillant dans le domaine de la musique improvisée et expérimentale. Depuis 2006, il réside à Berlin, collaborant avec de nombreux musiciens et compositeurs. Il a joué dans la plupart des pays européens, au Japon, aux Etats-Unis et en Russie et est un compagnon de jeu régulier de Tobias Delius , Hannes Lingens , Derek Shirley , Tetuzi Akiyama , Christoph Kurzmann, Christian Lillinger, Axel Dörner , Sven Ake Johannson , Didier Lasserre ….
Il obtient un master en Jazz à l'Institut Jazz à Berlin en 2008 , et étudie la philosophie à Paris . Avec Florian Bergmann, Joel Grip et Hannes Lingens , ils créent le collectif Umlaut Berlin qui a organisé six festivals de musique improvisée.
Laurent Charles étudie au C.N.R de Metz et de Versailles, puis s’oriente vers la création contemporaine et l’improvisation. Son travail se développe autour de la relation du son et des autres formes d’expression (théâtre, danse, image, sculpture). Sur son parcours il a rencontré, entre autres, Annick Nozati, Fred Van Hove, Raymond Boni, les Dust Breeders, Camel Zekri, John Butcher, Vinko Globokar, Jacques Di Donato, Quatuor Stanislas, Kamel Maad, Fabrice Charles, Jean Luc Capozzo, Gerard Fabbiani, Marc Pichelin.... Enseigne actuellement au CRC de Saint-Raphael.
Pour cette soirée D.A.S. : quelques pistes musicales d'hier et d'aujourd'hui, de la mémoire et de l'instant, pour répondre, en partie, à la question  "Qui suis-je ?".
DATA, 44 rue des Bons Enfants 13006 Marseille Ouverture des portes à 19h Entrée à partir de 5€ + adh
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andthewinneris23 · 7 years
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42 e cérémonie des césar
Meilleur film
Elle de Paul Verhoeven, produit par Saïd Ben Saïd et Michel Merkt
Divines de Houda Benyamina, produit par Marc-Benoît Créancier
Frantz de François Ozon, produit par Éric Altmayer et Nicolas Altmayer
Les Innocentes d'Anne Fontaine, produit par Éric et Nicolas Altmayer et Philippe Carcassonne
Ma Loute de Bruno Dumont, produit par Jean Bréhat, Rachid Bouchareb et Muriel Merlin
Mal de pierres de Nicole Garcia, produit par Alain Attal
Victoria de Justine Triet, produit par Emmanuel Chaumet
Meilleur réalisateur
Xavier Dolan pour Juste la fin du monde
Houda Benyamina pour Divines
François Ozon pour Frantz
Bruno Dumont pour Ma Loute
Anne Fontaine pour Les Innocentes
Nicole Garcia pour Mal de pierres
Paul Verhoeven pour Elle
Meilleur acteur
Gaspard Ulliel pour le rôle de Louis dans Juste la fin du monde
François Cluzet pour le rôle du docteur Werner dans Médecin de campagne
Pierre Deladonchamps pour le rôle de Mathieu dans Le Fils de Jean
Manu Payet pour le rôle d'Eddie dans Damoclès
Fabrice Luchini pour le rôle d'André Van Peteghem dans Ma Loute
Pierre Niney pour le rôle d'Adrien Rivoire dans Frantz
Omar Sy pour le rôle de Rafael Padilla dans Chocolat
Meilleure actrice
Isabelle Huppert pour le rôle de Michèle Leblanc dans Elle
Judith Chemla pour le rôle de Jeanne Le Perthuis des Vauds dans Une vie
Marion Cotillard pour le rôle de Gabrielle dans Mal de pierres
Virginie Efira pour le rôle de Victoria Spick dans Victoria
Marina Foïs pour le rôle de Constance dans Irréprochable
Sidse Babett Knudsen pour le rôle d'Irène Frachon dans La Fille de Brest
Soko pour le rôle de Loïe Fuller dans La Danseuse
Meilleur acteur dans un second rôle
James Thierrée pour le rôle de George Foottit dans Chocolat
Gabriel Arcand pour le rôle de Pierre dans Le Fils de Jean
Vincent Cassel pour le rôle d'Antoine dans Juste la fin du monde
Vincent Lacoste pour le rôle de Sam dans Victoria
Laurent Lafitte pour le rôle de Patrick dans Elle
Melvil Poupaud pour le rôle de Vincent dans Victoria
Meilleure actrice dans un second rôle
Déborah Lukumuena pour le rôle de Maimouna dans Divines
Nathalie Baye pour le rôle de Martine dans Juste la fin du monde
Valeria Bruni Tedeschi pour le rôle d'Isabelle Van Peteghem dans Ma Loute
Anne Consigny pour le rôle d'Anna dans Elle
Mélanie Thierry pour le rôle de Gabrielle dans La Danseuse
Meilleur espoir masculin
Niels Schneider pour le rôle de Pier Ulmann dans Diamant noir
Jonas Bloquet pour le rôle de Vincent dans Elle
Damien Bonnard pour le rôle de Léo dans Rester vertical
Corentin Fila pour le rôle de Tom dans Quand on a 17 ans
Kacey Mottet-Klein pour le rôle de Damien dans Quand on a 17 ans
Meilleur espoir féminin
Oulaya Amamra pour le rôle de Dounia dans Divines
Paula Beer pour le rôle d'Anna dans Frantz
Lily-Rose Depp pour le rôle d'Isadora Duncan dans La Danseuse
Noémie Merlant pour le rôle de Sonia dans Le ciel attendra
Raph pour le rôle de Billie Van Peteghem dans Ma Loute
Meilleur scénario original
L'Effet aquatique – Sólveig Anspach et Jean-Luc Gaget
Divines – Romain Compingt, Houda Benyamina et Malik Rumeau
Les Innocentes – Sabrina B. Karine, Alice Vial, Pascal Bonitzer et Anne Fontaine
Ma Loute – Bruno Dumont
Victoria – Justine Triet
Meilleure adaptation
Ma vie de Courgette – Céline Sciamma, d'après le roman Autobiographie d'une courgette de Gilles Paris
Elle – David Birke, d'après le roman Oh... de Philippe Djian
La Fille de Brest – Séverine Bosschem et Emmanuelle Bercot, d'après le livre Mediator 150 mg : combien de morts ? de Irène Frachon
Frantz – François Ozon, d'après la pièce de théâtre L'Homme que j'ai tué de Maurice Rostand
Mal de pierres – Nicole Garcia et Jacques Fieschi, d'après le roman Mal de pierres (Mal di pietre) de Milena Agus
Réparer les vivants – Katell Quillévéré et Gilles Taurand, d'après le roman Réparer les vivants de Maylis de Kerangal
Meilleurs décors
Chocolat – Jérémie D. Lignol
La Danseuse – Carlos Conti
Frantz – Michel Barthélémy
Ma Loute – Riton Dupire-Clément
Planetarium – Katia Wyszkop
Meilleurs costumes
La Danseuse – Anaïs Romand
Frantz – Pascaline Chavanne
Mal de pierres – Catherine Leterrier
Ma Loute – Alexandra Charles
Une vie – Madeline Fontaine
Meilleure photographie
Frantz – Pascal Marti
Elle – Stéphane Fontaine
Les Innocentes –Caroline Champetier
Ma Loute – Guillaume Deffontaines
Mal de pierres – Christophe Beaucarne
Meilleur montage
Juste la fin du monde – Xavier Dolan
Divines – Loïc Lallemand et Vincent Tricon
Elle – Job ter Burg
Frantz – Laure Gardette
Mal de pierres – Simon Jacquet
Meilleur son
L'Odyssée – Marc Engels, Fred Demolder, Sylvain Réty et Jean-Paul Hurier
Chocolat – Brigitte Taillandier, Vincent Guillon et Stéphane Thiébaut
Elle – Jean-Paul Mugel, Alexis Place, Cyril Holtz et Damien Lazzerini
Frantz – Martin Boissau, Benoît Gargonne et Jean-Paul Hurier
Mal de pierres – Jean-Pierre Duret, Syvlain Malbrant et Jean-Pierre Laforce
Meilleure musique originale
Dans les forêts de Sibérie – Ibrahim Maalouf
Chocolat – Gabriel Yared
Elle – Anne Dudley
Frantz – Philippe Rombi
Ma vie de Courgette – Sophie Hunger
Meilleur premier film
Divines de Houda Benyamina
Cigarettes et Chocolat chaud de Sophie Reine
La Danseuse de Stéphanie Di Giusto
Diamant noir de Arthur Harari
Rosalie Blum de Julien Rappeneau
Meilleur film d'animation
Ma vie de Courgette de Claude Barras
La Jeune Fille sans mains de Sébastien Laudenbach
La Tortue rouge de Michael Dudok de Wit
Meilleur film documentaire
Merci Patron ! de François Ruffin
Dernières nouvelles du cosmos de Julie Bertucelli
Fuocoammare, par-delà Lampedusa de Gianfranco Rosi
Swagger d'Olivier Babinet
Voyage à travers le cinéma français de Bertrand Tavernier
Meilleur film étranger
Moi, Daniel Blake (I, Daniel Blake) de Ken Loach • Royaume-Uni
Baccalauréat (Bacalaureat) de Cristian Mungiu • Roumanie
La Fille inconnue de Jean-Pierre et Luc Dardenne • Belgique
Juste la fin du monde de Xavier Dolan • Canada
Aquarius de Kleber Mendonça Filho • Brésil
Manchester by the Sea de Kenneth Lonergan • États-Unis
Toni Erdmann de Maren Ade • Allemagne
Meilleur court métrage
(ex-æquo)
Maman(s) de Maïmouna Doucouré
Vers la tendresse d'Alice Diop
Après Suzanne de Félix Moati
Au bruit des clochettes de Chabname Zariab
Chasse royale de Lise Akoka et Romane Gueret
Meilleur court métrage d'animation
Celui qui a deux âmes de Fabrice Luang-Vija
Café froid de François Leroy et Stéphanie Lansaque
Journal animé de Donato Sansone
Peripheria de David Coquard-Dassault
César d'honneur
George Clooney
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pangeanews · 4 years
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Sia lode a Franco Maria Ricci, editore di enciclopedie e costruttore di labirinti. La sua “Biblioteca di Babele”, diretta da Borges, è un capolavoro (il catalogo è questo!)
Il labirinto esiste in sé, come gioco, o perché al centro c’è il mostro? Se si riduce il labirinto a enigma, a tensione ludica, se ne disinnesca l’implicita ferocia. In un labirinto si deve poter morire: di stenti o per l’assalto improvviso – provvidenziale – della bestia.
*
L’anno scorso mi è stato donato un libro sui Labirinti (stampa Rizzoli). Ne sono censiti molti, in ogni angolo del globo: l’Italia ne ingloba parecchi – anche la facoltà retorica, il vizio politico è labirintico, l’uomo è questa serpe che s’attorciglia creando un grumo di vie senza esito. Due pagine sono dedicate al labirinto di Fontanellato, provincia di Parma, creato da Franco Maria Ricci, visitabile. “Il suo creatore, Franco Maria Ricci, editore di libri eleganti ed esclusivi, ha definito Masone ‘una città dentro un labirinto’ e i suoi ampi spazi includono anche una cappella a forma di piramide… Quando accennò a Jorge Luis Borges, di cui pubblicava le opere, la sua intenzione di realizzare il più grande labirinto del mondo, ebbe questa risposa: ‘A che scopo? Esiste già; si chiama deserto’”.
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Nobile, indipendente, affascinante, Franco Maria Ricci ha creato i libri più belli – per lo meno, graficamente – dell’editoria italiana. E lo sapeva. Certo, occorre nutrire rispetto per un uomo che ha dedicato parte della vita a stampare, in vari volumi (“12 in facsimile per le tavole, 5 per i testi e uno di presentazione e studio con testi di Barthes, Venturi, Jacques Proust… e introdotto da Borges”), l’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert (dal 1970 al 1980) e l’altra parte – dagli anni Novanta – a ideare e costruire un immane labirinto, in muraglie di bambù. Enciclopedia e labirinto: paiono concetti in contraddizione per chi ignora che, come l’enciclopedia, il labirinto è un tentativo di insaccare il caos, evocandolo.  
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“Com’è noto, quando fece costruire il suo Labirinto, che era una prigione, Minosse nutriva intenzioni cupe e crudeli; io immaginai un equivalente addolcito, che fosse anche un Giardino, dove la gente potesse passeggiare, smarrendosi di tanto in tanto, ma senza pericolo”. Qui non sono d’accordo con FMR, formidabile esteta: anche il Giardino è una prigione, tra Eden e Babele la distanza è tra la stazione eretta e l’andare a quattro zampe. Senza pericolo – mi ripeto – non c’è labirinto: è Minotauro la serratura del palazzo. Nel labirinto si entra da ciechi – decuplicando lo smarrimento – o con la spada, traducendo il mostro in trono.
*
Tutti diranno di tutto – soprattutto della granitica rivista “FMR” –, per me Franco Maria Ricci è stato l’editore dei libri più belli – e introvabili – che ci siano. Come Scheiwiller consolidò un legame con Ezra Pound, così FMR si legò a Jorge Luis Borges. Intorno a lui – che ne fu il direttore – realizzò la collana “La Biblioteca di Babele”, magnifica, ideale biblioteca di libri senza tempo, a smangiare l’infinito, che costringono pure l’angelo alla caduta nell’alfabeto. In onore di FMR, ecco i 33 libri – numero topico, mistico – della collana:
Jack London, Le morti concentriche, 1975
Giovanni Papini, Lo specchio che fugge, 1975     
Léon Bloy, Storie sgradevoli, 1975          
Gustav Meyrink , Il cardinale Napellus, 1976       
Arthur Machen, La piramide di fuoco, 1977
Jacques Cazotte, Il diavolo in amore, 1978
Herman Melville, Bartleby lo scrivano, 1978       
Pedro Antonio de Alarcón, L’amico della morte, 1978
Franz Kafka, L’avvoltoio, 1978
William Beckford, Vatek, 1978
Charles Howard Hinton, Racconti scientifici, 1978
Gilbert Keith Chesterton, L’occhio di Apollo, 1979
Voltaire, Micromegas, 1979
Rudyard Kipling, La casa dei desideri, 1979
Robert Louis Stevenson, L’isola delle voci, 1979 
Edgar Allan Poe , La lettera rubata, 1979
Sung-Ling P’u, L’ospite tigre, 1979
Nathaniel Hawthorne, Il grande volto di pietra, 1979
Jorge Luis Borges, Venticinque agosto, 1983 e altri racconti inediti, 1980             
Henry James, Gli amici degli amici, 1980
Leopoldo Lugones, La statua di sale, 1980
Saki, La reticenza di Lady Anne, 1980
Auguste de Villiers de L’Isle-Adam, Il convitato delle ultime feste, 1980  
Herbert George Wells, La porta nel muro, 1980 
Oscar Wilde, Il delitto di Lord Arthur Savile, 1981
AA.VV., «Le mille e una notte» secondo Galland , 1981
AA.VV., «Le mille e una notte» secondo Burton,  1981
AA.VV., Racconti argentini, 1981
Lord Dunsany, Il paese dello Yann, 1981
AA.VV., Racconti russi, 1981
Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares, Nuovi racconti di Bustos Domecq, 1985
Idem, Il libro dei sogni, 1985
Jorge Luis Borges, A/Z, 1985
*
Forse l’altro mondo è un labirinto – FMR non avrà problemi a orientarsi. Il punto è capire chi è Minotauro. (d.b.)
*In copertina: Franco Maria Ricci & Jorge Luis Borges nel 1977 (la fotografia è tratta da qui)
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Festival des Musiques Innovatrices / Saint-Etienne, Andrézieux et Saint-Héand (1987-2014)
15ème édition du 10 au 18 Juin 2004 : Blast - Catherine Crachat - Sklarska Poreba - Anthony Pateras - Robin Fox - Mark Harwood - Pan Sonic - Le Petit Cirque - Zu - La Campagnie des Musiques à Ouïr - Jéranium - Alessandro Bosetti - Groundlift - Kaffe Matthews - Ash In The Rainbow - Kouhei Matsunaga / John Duncan / Rudolf EB ER / Zbigniew Karkowski
ToTo n’aime pas la soupe / les concerts à Saint-Etienne en 2004 : Will Guthrie - Jacques Di Donato / Isabelle Duthoit / Bruno Meillier
RIP Mika Vainio, Zbigniew Karkowski
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diyeipetea · 6 years
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INSTANTZZ: Julien Lourau et Andy Emler entourés du All Stars de Villelongue (Festival Musiques dels Monts, Grande Scène, Villelongue dels Monst –Occitanie- / France. 2018-08-11) [Galería fotográfica]
INSTANTZZ: Julien Lourau et Andy Emler entourés du All Stars de Villelongue (Festival Musiques dels Monts, Grande Scène, Villelongue dels Monst –Occitanie- / France. 2018-08-11) [Galería fotográfica]
Por Joan Cortès.
Fecha: Sábdo, 11 de agosto de 2018
Lugar: Grande Scène ( Villelongue dels Monts –Occitanie- / France )
Grupo: Julien Lourau et Andy Emler entourés du All Stars de Villelongue Julien Lourau, saxo tenor y soprano Andy Emler, piano Jacques Di Donato, clarinete y saxo soprano Nicolas Nageotte, saxo barítono Bruno Chevillon, contrabajo Eric Echampard, batería Roméo Monteiro, percusión
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