Tumgik
#Marina Montanelli
marcogiovenale · 1 year
Text
roma, esc, 29 aprile: passaggi a francoforte
Gli accadimenti che segnano il nostro tempo, dalla guerra alla crisi climatica, dalla pandemia alla recessione economica, ci trascinano violentemente in uno scenario sconosciuto. Ciò che sembrava stabile vacilla, il mondo nel quale siamo cresciuti e abbiamo messo radici assomiglia sempre di più a quello che Stefan Zweig definiva “il mondo di ieri”. Durante transizioni e scosse tragiche come…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
giancarlonicoli · 6 years
Link
4 MAR 2019 20:49
BERLUSCONI TENDE LA MANO AI GIORNALISTI DELLA "GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO" E AL "GIORNALE" INSORGONO: PIUTTOSTO CHIAMA TUA FIGLIA E NON TAGLIARCI GLI STIPENDI DEL 30% – LA MOBILITAZIONE DURA DA SETTIMANE: MARINA È STUFA DI DOVER RIPIANARE I BUCHI DELLA GESTIONE ALLEGRA DI ZIO PAOLO E HA L’OK DEL PADRE PER LA VENDITA DEL QUOTIDIANO FONDATO DA MONTANELLI – LA SOLIDARIETÀ È CONGELATA DOPO LA SCELTA DEL BANANA DI CANDIDARSI ALLE EUROPEE E I REDATTORI VALUTANO LA VENDETTA: LO SCIOPERO IN UN GIORNO CHIAVE…
-
DAGONEWS
La notizia ha quasi dell’incredibile, ma ormai da settimane i giornalisti di via Negri si sono mobilitati per mettere all’angolo l’ex premier che avrebbe dato il suo placet al frateldismissionelo Paolo e alla figlia Marina per la vendita della storica testata fondata da Indro Montanelli.
In verità a volersi liberare del quotidiano è la numero uno di Mondadori (che detiene il 37% del Giornale), stanca di dover continuamente ripianare i buchi dovuti alla gestione piuttosto allegra dei bilanci dello zio Paolo (proprietario del 46% della testata). È finita che ci sono andati di mezzo i giornalisti, visto che a settembre scorso l’azienda ha annunciato dalla sera alla mattina l’intenzione di mettere tutti in solidarietà al 30%, un piano poi “congelato” dopo la scelta del Cav – in attesa anche per Marina - di candidarsi alle Europee.
I giornalisti del Giornale, però, hanno chiesto ripetutamente conto alla proprietà delle sue intenzioni, dicendosi disponibili a un piano di riduzione delle spese che coinvolga anche il management. Secondo un dossier in mano al Cdr, infatti, l’elenco delle “spese pazze” di Paolino è davvero lungo, al punto che Luca Fazzo, uno dei componenti del Comitato di redazione, interpellato dal Fatto quotidiano ha puntato il dito esplicitamente contro “gli sprechi dovuti alle rendite di posizione legate a rapporti familiari della famiglia Berlusconi”.
“Ci sono parenti e congiunti - dice Fazzo - pagati per compiti che potrebbero essere affidati ad altri con costi molto più bassi”. La lista è lunga e comprende anche ex mariti ed ex fidanzati.
Insomma, tra i giornalisti di via Negri e la famiglia Berlusconi è scontro aperto. E senza esclusione di colpi. Dopo lo sciopero dello scorso 5 settembre, infatti, il Cdr ha messo nero su bianco l’intenzione di concentrarsi nella rappresaglia al ridosso del voto del 26 maggio (pare che l’intenzione sia scioperare in un giorno chiave, magari quando il Giornale dovrebbe uscire con un’intervista a Berlusconi).
Ieri, intanto, sono arrivati i primi segnali. Al Cavaliere che da Matera solidarizzava con i giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno promettendo un suo intervento diretto (“sono pronto a dare una mano”, ha detto durante un comizio per la campagna elettorale delle regionali della Basilicata) il cdr del Giornale ha replicato con una nota in cui si invita Berlusconi ad “occuparsi anche della vicenda del Giornale”. Il messaggio neanche troppo tra le righe è: visto che sei pronto a dare una mano ai giornalisti della Gazzetta, fai uno squillo a tua figlia e a tuo fratello e dai una mano pure a noi.
0 notes
chasquida · 4 years
Audio
#chasquido 6
música: on ne change pas (celine dion)
texto: “el sujeto imprevisto de la huelga feminista” (marina montanelli)
0 notes
pangeanews · 5 years
Text
Conformismo lessicale, talk show a go-go, giornali di carta che sono “roba da vecchi”, tramonto della cravatta (non la usa più neanche Berlusconi). Ecco come è cambiato il sistema dell’informazione
È certamente sbagliato e allarmistico parlare di agonia. Ma di forte crisi è corretto affermarlo. I quotidiani di carta, quelli venduti insomma all’edicola, sono praticamente ignorati dai giovani attorno ai 18-30 anni. Roba da vecchi? Brutto dirlo, ma è così. I ragazzi, termine col quale ormai si designano oggi pure i quarantenni, preferiscono i “social”, ovverossia le reti sociali tanto per sottrarsi alla dittatura dell’anglo-americano. Con tutti i rischi del caso, in primis le notizie false (fake news), quelle interamente inventate oppure distorte, spesso messe in rete da misteriosi algoritmi gestiti da gruppi che intendono influenzare l’opinione pubblica e le scelte politiche. Chi ha seguito lo scandalo che ha coinvolto l’entourage del presidente Usa Donald Trump conosce perfettamente ciò cui ci rivolgiamo.
*
La televisione, nel bene e nel meno bene, offre un’alternativa seria. Anche per chi (come me che sono giornalista) è attento ai mutamenti comportamentali e linguistici. Con il passato governo giallo-verde (scelta cromatica che sveltisce l’eloquio, parlato e scritto) e le sue frequenti e alternanti dispute interne, i talk show sono proliferati a dismisura, dal mattino (“Agorà” di Rai 3 o “L’aria che tira” in tarda mattinata e nel primo pomeriggio e ben condotto da Tiziana Panella), come se fossero, per popolarità, copia dei vecchissimi intrattenimenti via etere quando non c’era ancora la trasmissione via cavo… I dibattiti, cui partecipano sia politici che giornalisti, hanno innalzato l’audience di alcuni canali, in primis La7.
Seguire con attenzione critica questi programmi è interessante: si assiste alla ricaduta di quel cambiamento tanto sbandierato da nuovi movimenti politici e dall’oggettivo desiderio della gente comune, stanca di antiche e fallaci dinamiche dei vari apparati pubblici. Si scoprono scandali, anche internazionali come la violazione fisica e psicologica delle donne, si viene a sapere del disagio dei dipendenti di fabbriche letteralmente spostate in Paesi dove la manodopera costa incredibilmente meno (purtroppo con la tiepidezza o l’impotenza dei sindacati tradizionali), si mostrano sacche di miseria e di degrado umano alle periferie di città ricche, si constatano pregiudizi e razzismi, si riflette su una stantia verità, ossia che gli italiani siano tutti, senza eccezione, brava gente. Viene messa in vetrina, con tanto di immagini e statistiche, l’uso drammatico e disinvolto di eroina e altri nuovi veleni. Ci si informa, infine, che esistono e si dilatano gruppi estremistici di destra, anche in terre che hanno amaramente applaudito e insieme subito fascismo e nazismo. A questo proposito i padri e i nonni hanno poco ascolto da parte di figli e nipoti, i quali hanno sempre più smemoratezza o ignoranza storica. Recentemente un sondaggio fatto in strada da un’emittente televisiva ha preso atto che rarissimi adolescenti conoscono il significato di alcune ricorrenze come il 25 aprile. E tanto meno il 27 gennaio, giorno della memoria a ricordare il massacro degli ebrei, degli zingari , dei dissidenti politici e degli omosessuali europei.   Mutismo assoluto se si chiede loro perché è stato scelto il 27 gennaio. Quel giorno del 1945 l’armata sovietica entrò nel campo di concentramento di Auschwitz, scoprendone e rivelandone al mondo tutto l’orrore. Si riscontra molta perplessità anche se si parla delle leggi razziali (applicate anche in Italia) e della sconcertante e comica “razza ariana”.
*
Dalla tv, come dicevo prima, emergono con nettezza comportamenti e linguaggi. Pare forse una sciocchezza o un rilievo marginale, ma fateci caso: gli uomini con la barba, lunga o appena abbozzata, aumentano di numero. Lo stesso per la cravatta: pochissimi la usano. Tendenzialmente ce l’hanno perlopiù gli anziani e coloro che aderiscono a Forza Italia, più o meno apertamente. A questo proposito va sottolineata una simpatica contraddizione: Silvio Berlusconi non ha più la cravatta (ma il doppio petto sempre), preferendo una quasi lucente camicia nera, talvolta sbottonata.
*
C’è poi il dolentissimo argomento libri. In Italia si legge pochissimo. Anche se alcuni giornali, come La Stampa con Tuttolibri, La Repubblica con Robinson e il Sole 24 ore con La Domenica, ne parlano bene e diffusamente, dando una mano a una parola quasi magica nel mondo dell’editoria, il passaparola. La televisione dà notizie sui libri. Un milione di persone segue ogni giorno, condotto per anni su Rai 3 alle 12,25 da Corrado Augias cui è subentrato il collega Giorgio Zanchini. È un ottimo strumento di conoscenza, non solo letteraria, ma anche scientifica e civile. In questi giorni – faccio un esempio – Zanchini ha intervistato due giornalisti, Carlo Bonini e Giuliano Foschini, autori di Ti mangio il cuore (Feltrinelli).  I quali hanno scavato sulla cosiddetta quarta mafia (dopo Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra). L’attività criminale di questa coda lunga mafiosa agisce nella Capitanata, in provincia di Foggia e nel Gargano. I killer sparano in faccia, subito dopo pare che lecchino il sangue delle vittime; non a caso i criminali, chiamati dalle Procure locali sbrigativamente “i baresi”, si sottopongono a riti di iniziazione. “La mafia al Nord non esiste”: questa la frase sciocca di un politico di destra, tempo fa. Ebbene, in Quante storie si è mostrata la cartina dello stivale in cui sono segnate in rosso (colore del pericolo) Lombardia e Lazio. Ricordate “Mafia capitale”? Tv e giornali hanno informato, ma ovviamente i giovani sanno poco o niente. Non sanno, per esempio, che uno dei mafiosi, tale Gaudenzi, un giorno ha sparato in aria dal balcone di casa sua pur di farsi arrestare. In un video, mostrato dalla televisione, il Gaudenzi ha pronunciato una frase su cui riflettere: “Non siamo mafiosi, noi siamo fascisti”. E ha aggiunto di voler vuotare il sacco solo di fronte al procuratore di Catanzaro, l’ottimo Nicola Gratteri.
*
Torniamo alla sbornia dei dibattiti, che ha avuto un picco questa estate dopo l’exploit di Matteo Salvini. Molte parole che, in temporanea assenza di fatti concreti, somigliavano a divinazioni o, se volete, a oroscopi. Comunque gli spettatori, grazie ai dibattiti, scoprono finalmente che faccia hanno molti giornalisti dei quali hanno solo sentito parlare o dei quali forse leggono gli articoli. Generalmente, occorre aggiungere, che se si domanda a qualcuno di elencare almeno cinque reporter, scatta l’imbarazzo. Forse esagero, ma il cosiddetto uomo della strada tende a citare Indro Montanelli, Enzo Biagi o Giorgio Bocca, maestri di decenni fa.
*
Veniamo al linguaggio. Anche se chi parla ha una buona cultura pronuncia parole alla moda, senza accorgersi di ingerire così un conformismo lessicale. Gli spettatori ogni giorno sentono dire: narrazione (o story telling), perimetro, due passi indietro o di lato, il problema è culturale, avversario da non demonizzare,  spin doctors (i consiglieri o suggeritori intellettuali; ma che buffo: il termine indicava originariamente un gruppo musicale rock di New York),  default, atto di responsabilità, fasce sociali,  trash o splatter (genericamente spazzatura), perimetro, influencer (persone che influenzano l’opinione pubblica, anche se davvero poco valenti). E via dicendo, l’elenco è davvero lungo. Con “antipatica” annotazione, c’è da dire che per un giornalista divenuto televisivamente visibile i talk show possono essere occasione per fare carriera. Da vice-direttore si può passare a condirettore. È successo, credetemi. Un ulteriore vantaggio per il giornalista che sa “bucare il piccolo schermo” ed è anche autore di un libro: la regia mostra la copertina. Una graditissima pubblicità. Il lato indubbiamente favorevole per tutti è che ci si ricorda il nome di un giornalista che parla chiaramente e, soprattutto, scrive con grande bravura. Ce ne sono. La speranza è che siano anche letti sui giornali.
Pier Mario Fasanotti
*Pier Mario Fasanotti ha lavorato all’Ansa e a “La Stampa”, è stato caposervizio Cultura e inviato di “Panorama”. Tra i suoi libri, ricordiamo la biografia di Salvador Dalì (“Io sono pazzo”, il Saggiatore, 2004) e “Tra il Po, il monte e la marina. I romagnoli da Artusi a Fellini” (Neri Pozza, 2017)
L'articolo Conformismo lessicale, talk show a go-go, giornali di carta che sono “roba da vecchi”, tramonto della cravatta (non la usa più neanche Berlusconi). Ecco come è cambiato il sistema dell’informazione proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2NletYw
0 notes
italianaradio · 5 years
Text
“NON E’ NOSTALGIA A CASACCIO” La politica di oggi e di ieri nella riflessione di Franco Crinò
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/non-e-nostalgia-a-casaccio-la-politica-di-oggi-e-di-ieri-nella-riflessione-di-franco-crino/
“NON E’ NOSTALGIA A CASACCIO” La politica di oggi e di ieri nella riflessione di Franco Crinò
“NON E’ NOSTALGIA A CASACCIO” La politica di oggi e di ieri nella riflessione di Franco Crinò
R. & P.
La politica ha sempre sollevato tanto malcontento, tanta avversione? Negli anni a cavallo del 2000, ed ancora prima, ci sono stati avanzamenti nella Locride con azioni che hanno riguardato i servizi, le infrastrutture, i beni culturali ( metanizzazione, sanità dignitosa, università della città capoluogo, valorizzazione di siti archeologici, lotti della S. 106 e tanto altro ). Avvertivamo il clima migliore. Il Partito Socialista ionico e reggino (parliamo di ciò che abbiamo vissuto direttamente) ha contato in Parlamento e ha dato contributi rilevanti negli Enti con l’ottimo operato di  Sisinio Zito e Saverio Zavettieri. Con Saverio abbiamo avuto un rapporto cameratesco (Dizionario “improntato a solidarietà e amicizia”), è quindi opportuno non soffermarsi, se non per fargli un in bocca al lupo come candidato sindaco a Bova Marina . A ben pensarci, se oltre all’ex deputato socialista, si mettono a disposizione dei loro municipi in questo turno elettorale personalità impegnate a partire da lontano (De Leo, Pittari,Bartolo, ecc., altri lo faranno il prossimo anno,sembra), è chiaro che bisogna parlarne del valore delle rappresentanze, della capacità di tradurre in azioni le idee progettuali. In un periodo, soprattutto, di forte svalutazione dei comuni, tra bilanci “rattrappiti” (il termine è di Gianni De Michelis e di Maurizio Sacconi ) e discutibili scelte di scioglimenti degli enti per infiltrazione mafiosa.  Con Zito c’era una dialettica forte, riguardava il rapporto con il partito romano, gli assetti degli enti territoriali – ASL e Comunità Montana – , l’idea che fosse sbagliato, al di là del merito, avere un parlamentare e un consigliere regionale entrambi ” targati Roccella”, ma non c’era se non una grande stima. Ci sono stati altri anni nei quali la politica non era così verticistica, e se tra … il Presidente della Regione e i cittadini “c’erano” i consiglieri regionali, i sindaci, la associazioni di categoria, i sindacati, erano questi stessi soggetti a trovare la legittimazione e ad assicurare  più risposte ai bisogni dei cittadini. Eh si … basta prendere i giudizi politici su Gianni De Michelis di questi giorni, a parte quelli dei pochi rancorosi e cattivi nemici di sempre (?), per rendersi conto delle differenze fra gli attori politici di ieri e di oggi. “Pensate alla musica – scrive Andrea Scanzi – ieri avevamo Fabrizio De Andrè e oggi Sfera Ebbasta”. E per … non destare sospetti, relativamente al concetto, aggiunge ” Ieri c’era Montanelli e oggi Scanzi” ( … ). Quali sono i gravi problemi di oggi che rendono inefficace la politica? Non c’è qualità, non c’è dibattito : si legge cosa dice Romeo, e si interviene per rafforzare o per attaccare la posizione del Partito Democratico e del suo capogruppo in Regione, rinunciando a pensare in proprio. Tifosi, fazioni, selfie. In realtà, ciò che non andava ieri va corretto. Demonizzare il passato e non garantire di proprio nessun pezzettino di ” paradiso”, viene letto(giustamente) come frustrazione, furbizia, rancore al servizio dell’opportunismo. Speriamo si capisca al più presto che bisogna parlare di politica, di quella sana, però tornarne a parlare. Altrimenti rimane tutto agonizzante.
Franco Crinò
R. & P. La politica ha sempre sollevato tanto malcontento, tanta avversione? Negli anni a cavallo del 2000, ed ancora prima, ci sono stati avanzamenti nella Locride con azioni che hanno riguardato i servizi, le infrastrutture, i beni culturali ( metanizzazione, sanità dignitosa, università della città capoluogo, valorizzazione di siti archeologici, lotti della S. 106
Gianluca Albanese
0 notes
marcogiovenale · 3 years
Text
a roma, 25-26-27 novembre, "walter benjamin e antonio gramsci: dialettiche di un incontro mancato - attualità di un confronto"
a roma, 25-26-27 novembre, “walter benjamin e antonio gramsci: dialettiche di un incontro mancato – attualità di un confronto”
  studigermanici.it/convegno-walter-benjamin-e-antonio-gramsci-dialettiche-di-un-incontro-mancato-attualita-di-un-confronto/ PROGRAMMA (more…)
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
pangeanews · 6 years
Text
Ezra Pound vs. Boris Pasternak. Una sfida fra titani: chi vincerà?
Il 1958 non è un anno come un altro per la letteratura. Nel 1958 Ezra Pound, il grande poeta, viene liberato dal manicomio criminale di Washington, il St. Elizabeths, dove era rinchiuso dal 1945. “Stando a quel che si legge, Ezra Pound sta per tornarsene a casa con una bella patente di matto che lo libera dall’accusa di tradimento, per la quale l’hanno tenuto dodici anni in gabbia. Gli americani non escono bene da questo affare… Io spero che Pound torni”, scrive Indro Montanelli il 20 aprile 1958, sul Corriere della Sera. Pound sbarcherà in Italia, a Napoli, sulla ‘Cristoforo Colombo’, il 9 luglio di quell’anno. Arrivò in Tirolo, dalla figlia Mary, tre giorni dopo. Nel 1958 il Nobel per la letteratura più contestato e politicamente velenoso della storia viene assegnato a Boris Pasternak. Pound sarà proposto al Nobel dall’anno successivo, senza accesso al trono. Come si sa, dopo pressioni di ogni sorta, l’espulsione dall’Unione degli scrittori e la minaccia che non gli sarebbe stato concesso di tornare in patria se si fosse recato in Svezia a ritirare il premio, Pasternak rifiuta il Nobel. “Si direbbe che il suo individualismo abbia deciso di seppellire il comunismo sul posto”, ha scritto, commentando l’alto rifiuto di Pasternak, Armand Robin, il suo traduttore francese. Pasternak muore nel 1960. L’anno dopo muore Ernest Hemingway, intimo amico di Pound. La sua morte, agli occhi di Pound, è la morte definitiva del mondo che conosce, di un mondo di intenzioni artistiche, di energie liriche, di idoli e di dèi. “Fu un colpo tremendo… L’aveva sognato prima di ricevere la notizia”, ricorda la figlia Mary. Sabato prossimo, il 2 febbraio, a Domodossola, alle ore 18, presso la Società Operaia di Domodossola (vicolo Teatro, 1), accadrà l’incontro “Pound vs. Pasternak: una sfida tra giganti della letteratura”. Alessandro Rivali parlerà di Pound a partire da Ho cercato di scrivere Paradiso (Mondadori, 2018), la lunga intervista a Mary de Rachewiltz, la figlia di EP, mentre io farò le parti di Pasternak, discutendo di Un alfabeto nella neve (Castelvecchi, 2018). Per aizzare la sfida, io e Alessandro abbiamo impilato dieci ragioni per leggere Pound e Pasternak (ne basterebbe una, invero: sono fondamentali per vivere in modo completo; non ne basterebbero un migliaio). Fate la vostra scelta. (d.b.)
*
10 motivi per leggere Ezra Pound
1. Perché, come ricorda la figlia Mary, “ha dato all’America, e in un certo senso al mondo, un’epica che equivale alla Divina Commedia… l’epica necessaria per il futuro”.
2. Perché negli ultimi frammenti prima di morire ha scritto: “Ho provato a scrivere il Paradiso / Non ti muovere, / lascia parlare il vento / così è Paradiso // Lascia che gli Dei perdonino quel che / ho costruito / Chi ho amato cerchi di perdonare / quello che ho costruito” (Drafts and Fragments).
3. Perché ha ricordato a tutti i poeti presenti e futuri che “la bellezza è difficile”.
4. Perché senza di lui Hemingway non sarebbe stato Hemingway. Senza di lui la Terra desolata non sarebbe stata la Terra desolata. Senza di lui, non avremmo avuto l’Ulysses di Joyce.
5. Perché in Catai ha scritto con il vento docile dell’Oriente: “Montagne azzurre a nord della muraglia, / Orlate da un bianco fiume; / Qui ci dobbiamo separare / e incamminarci per mille miglia d’erba morta. / La mente, come una gran nube veleggiante, / Tramonto, come vecchi amici che si lasciano / Inchinandosi, su mani congiunte, a distanza. / L’uno all’altro nitriscono i cavalli / Mente ci distacchiamo” (“Commiato da un amico”).
6. Perché nei Cantos ha raccontato senza sconti l’inferno della Prima guerra mondiale: “I saccarinosi, stesi in glucosio, / i pomposi in ovatta / in un puzzo di grassi a Grasse, / il grand’ano scabroso scacazza mosche, tuona imperialismo, / latrina, cesso, pisciatoio, senza cloaca” (Canto XV).
7. Perché fu profeta nel descrivere l’orrore del capitalismo selvaggio: “Con usura nessuno ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / per istoriarne la facciata, / con usura / non v’è chiesa con affreschi di paradiso / harpes et luz / e l’Annunciazione dell’Angelo / con le aureole sbalzate / […] Peggio della peste è l’usura, spunta / l’ago in mano alle fanciulle / e confonde chi fila. Pietro Lombardo / non si fe’ con usura / Duccio non si fe’ con usura / nè Piero della Francesca o Zuan Bellini / nè fu “La Calunnia” dipinta con usura…” (Canto XLV).
8. Perché, seguendo Confucio, insegnava che è essenziale impiegare la terminologia esatta: “Fan Tchi chiese a Kung il Maestro (cioè Confucio) insegnamenti sull’agricoltura. il Maestro disse: ne so meno di un qualsiasi vecchio contadino. Diede la stessa risposta per il giardinaggio: un vecchio giardiniere ne sa più di me. Tseu-Lou chiese: se il Principe di Mei ti nominasse Capo del Governo, quale sarebbe la prima cosa che faresti? Kung: chiamare persone e cose con i loro nomi, cioè con le giuste denominazioni, perché la terminologia fosse esatta” (Guida alla Cultura).
9. Perché continuò a scrivere il suo Poema nella gabbia di Pisa accecato dal sole o dei riflettori: “E la carità più profonda / si trova fra chi ha infranto / le regole” (Canto LXXIX); “Come è lieve il vento sotto Taishan / sa di mare / ci toglie all’inferno, alla fossa / alla polvere e alla luce accecante” (Canto LXXIX); “Deponi la tua vanità / Sei cane bastonato sotto la grandine / Tronfia gazza nel sole delirante, / Mezzo nero mezzo bianco / tu non distingui fra ala e coda / Giù la tua vanità / Spregevole è il tuo odio” […] “Ma aver fatto piuttosto che non fare / questa non è vanità […] Aver colto dall’aria una tradizione viva / o da un occhio fiero ed esperto l’indomita fiamma / Questa non è vanità” (Canto LXXXI)
10. Perché ha scritto questi versi che adoro: “Il mare oltre i tetti, ma sempre mare e promontorio. / E in ogni donna, pur fra l’acredine c’è una tenerezza, / Una luce azzurra sotto le stelle” (Canto CXIII).
Alessandro Rivali
*
10 motivi per leggere Boris Pasternak
1. Perché quando l’Unione degli scrittori, in seguito alla pubblicazione clandestina del Dottor Zivago e alla conseguente assegnazione del Nobel per la letteratura lo espelle per “tradimento nei confronti del popolo sovietico”, il poeta risponde così: “Non mi aspetto giustizia da voi. Mi potete fucilare o deportare, potete fare quello che volete. Vi perdono in anticipo”. Il perdono come carisma lirico.
2. Perché nel 1932 scrive un poema d’altezza siderea, Le onde – che va ascoltato nell’interpretazione di Carmelo Bene – dove sono incastonati questi versi, miliari: “Vi sono nell’esperienza dei grandi poeti/ tali tratti di naturalezza/ che non si può, dopo averli conosciuti,/ non finire con una metamorfosi completa.// Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi/ e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno/ non si può non incorrere, infine, come in un’eresia/ in un’incredibile semplicità”.
3. Perché è il poeta decisivo del Novecento: pur all’interno di una tradizione poetica precisa, senza simulare allarmate avanguardie, l’ha scassinata, con un linguaggio cifrato, allusivo, selvaggio (leggete Mia sorella la vita); perché aveva doti da sciamano del linguaggio, fino a intimorire Stalin; perché è sopravvissuto all’orda del ‘realismo socialista’, all’epoca che ha ucciso i suoi poeti, e li ha visti morire, uno per uno – Esenin, Majakovskij, Mandel’stam, Cvetaeva… – con i suoi occhi intrisi nella pietà e nel diamante.
4. Perché sapeva obbedire alla grandezza, sapeva riconoscerne il celeste e il celestiale. In particolare, tenne sempre in adorazione Rainer Maria Rilke: “Ho sempre pensato che nelle mie personali esperienze, in tutta la mia arte, io non ho fatto altro che tradurre e variare i suoi motivi, senza nulla aggiungere al suo mondo e muovendomi sempre nella sua scia” (da una lettera a Michel Aucouturier, 19 marzo 1959). Quando muore, nel 1960, all’interno del suo portafogli è trovato un piccolo cartiglio firmato da Rilke, scritto diversi lustri prima, in cui Rainer si complimenta con il poeta russo dopo aver letto alcuni suoi versi.
5. Per come lo ha cantato Anna Achmatova, in una lirica del 1936, Il poeta, in cui descrive Pasternak così: “ha avuto in premio un’eterna fanciullezza,/ la perspicacia magnanima degli astri;/ la terra tutta è stata suo appannaggio,/ ed egli l’ha divisa con tutti”.
6. Perché a Parigi, era la prima estate del 1935, costretto a forza dal governo sovietico a partecipare a quel vile Congresso degli scrittori “per la difesa della cultura”, poco prima d’incontrare, intontito dall’insonnia, Marina Cvetaeva, ha dato la più bella, umile, ariosa descrizione di cos’è la poesia: “La poesia rimarrà sempre eguale a se stessa, più alta di ogni Alpe d’altezza celebrata: essa giace nell’erba, sotto i nostri piedi, e bisogna soltanto chinarsi per scorgerla e raccoglierla da terra; essa sarà sempre troppo semplice perché se ne possa discutere nelle assemblee; essa rimarrà sempre la funzione organica dell’uomo, essere dotato del dono sublime del linguaggio razionale, di maniera che, quanto più ci sarà felicità a questo mondo, tanto più sarà facile essere artisti”.
7. Per come lo ha descritto Marina Cvetaeva, in una lettera del 10 febbraio del 1923 – il giorno del compleanno di Pasternak, secondo il calendario gregoriano: “Siete il primo poeta che – in tutta la mia vita – vedo. Siete il primo poeta nel cui domani credo come nel mio. Siete il primo poeta le cui poesie sono più piccole del loro autore, anche se più grandi di tutte le altre… Su nessuno ho visto il marchio da ergastolano del poeta. Etichette di versificatori ne ho viste molte – e di ogni tipo. Vivevano e scrivevano poesie (le due cose – separatamente) ignorando l’ossessione della scrittura, lo spreco di se stessi, accumulando tutto nei loro versetti – e non vivevano: si arricchivano… Voi, Pasternak, in assoluta purezza di cuore, siete il primo poeta della mia vita”.
8. Per come lui, nel 1930, ha descritto il suicidio di Vladimir Majakovskij, con un distico che è una pallottola conficcata sul cranio della Rivoluzione: “Il tuo sparo fu come un’Etna/ in un pianoro di codardi”.
9. Per la cura con cui lo ha tradotto Angelo Maria Ripellino – in un Paese editorialmente inerme come il nostro, dove, paradosso, esiste un ‘Meridiano’ Mondadori delle Opere narrative di Pasternak ma manca l’opera omnia poetica di uno dei lirici più autorevoli e influenti del millennio – e per le parole con cui ne ha cinto il talento: “Pasternak si ritrasse sin dagli inizi in una sua gelosa solitudine… e negli anni tumultuosi della rivoluzione si tenne ancora in disparte, diffidando dei temi politici e di quella poesia tribunizia in cui s’era invece tuffato Majakovskij con tutta l’anima. […] Egli passava nel folto delle battaglie, che avrebbero mutato la Russia, come un sonnambulo, destandosi a tratti per annotare con voce assonnata, non le gesta del popolo, ma i prodigi del cosmo”.
10. Perché è il poeta della vita, della gioia, del rischio della poesia che mette tutto in discussione, tanto che in una delle ultime lettere, a Nina Tabidze, sorpassa se stesso, si annienta, si proietta verso una ulteriore zona innocente e vergine dell’arte, con sovrumana compassione: “Zivago è un passo molto importante, una grande felicità e un successo quali neppure mi ero sognato. Ma ciò è fatto, e, assieme al periodo che questo esprime più di tutto ciò che è stato scritto da altri, questo libro e il suo autore si ritirano nel passato, e di fronte a me, ancora vivo, si libera uno spazio, la cui integrità e purezza vanno dapprima comprese e poi riempite da questa comprensione”.
Davide Brullo
L'articolo Ezra Pound vs. Boris Pasternak. Una sfida fra titani: chi vincerà? proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2S2OgAM
0 notes