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#Michael Lo Sordo
artfulfashion · 11 months
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Lola Tung wearing Michael Lo Sordo for Fault Magazine August 2023 photographed by Raen Badua
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unes23 · 2 years
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Charlee Fraser by Michael Lo Sordo Resort 2022
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scintillulae · 1 year
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miahupdates · 1 year
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🎥 | michaellosordo via Instagram
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afashionshow · 5 days
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youtube
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Australian Fashion Week 2023 👗 Brand: Michael Lo Sordo Collection: Resort 2024 (Ready-to-Wear) Season: Womenswear Spring Summer 2024 Fashion Show Video quality: 1080p (Full HD)
🎁 Stunning DRESSES from $11.99: https://fas.st/WbfHv 🔥
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fashionfoodcocktails · 4 months
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What to wear| To your friends wedding in Italy
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a-secretkey · 1 year
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lapetitejamie
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matsiwrld · 1 year
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michael lo sordo ss 24
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rooneyredcarpet · 1 year
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Dove Cameron in Michael Lo Sordo and Giuseppe di Morabito at the 'Schmigadoon!' Season 2 Premiere (2023)
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myworldofelegance · 5 months
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Michael Lo Sordo Spring 2024 Ready-to- Wear
Australia Fashion Week
Source: TheImpression.com
Photo /Imaxtree
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ariesdiary7 · 1 year
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Michael Lo Sordo Resort 2024
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fagunt · 1 year
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Michael Lo Sordo resort 2024 Australian Fashion Week
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unes23 · 1 year
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Charlee Fraser for Michael Lo Sordo Resort 2022
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zigzagderogeliogarza · 2 months
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Por: ROGELIO GARZA
El 7 de mayo de 1824, sordo y enfermo, Ludwig van Beethoven presentó la Novena Sinfonía en Re menor Opus 125 ante unas dos mil personas en el Teatro de la Corte de Viena. Dirigió a la orquesta y el coro de la Sociedad Musical Vienesa, junto con el director Michael Umlauf, quien había indicado a los músicos que ignoraran a Beethoven porque no marcaba correctamente los tiempos. Pese a todo, fue un éxito instantáneo y el público lo ovacionó de pie durante largos minutos. Pero el maestro, de espaldas al respetable, no escuchaba. Hasta que la contralto Karoline Ungar tuvo la gentileza de voltearlo hacia la multitud.
La 9ª, el mayor logro de la música clásica occidental, es una sinfonía coral innovadora que compite en universalidad con la 5ª por su célebre canto. Mantiene la estructura de cuatro movimientos de la sinfonía, que solía durar 30 o 35 minutos, pero Beethoven la llevó a 74 minutos en una pieza épica de largo aliento. La orquesta es monumental y por primera vez en la música sinfónica incluyó un coro y solistas. La otra aportación son las letras que incorporó al género: el poema Oda a la Alegría de Schiller, el escritor y filósofo alemán. Se puede escuchar como un concierto o cada movimiento por separado se considera una obra en sí. El cuarto, conocido como Himno a la alegría, es la clave de su éxito universal por el mensaje de fraternidad y alegría en esa poderosísima melodía sinfónica/coral. Ha sido tocada con fines deportivos, humanitarios, pacifistas e ideológicos en todo el mundo.
LA VISIÓN DE BEETHOVEN SOBRE la unión de la humanidad era difícil de meter en discos. Lo escuchábamos religiosamente los domingos en casa, mi papá tenía tres ediciones: una era doble, con un movimiento por cada lado y un librillo explicativo. La edición que más escuchaba era en cd con Herbert von Karajan y la Orquesta Filarmónica de Berlín. La leyenda tecnológica dice que los desarrolladores del compacto, Phillips y Sony, siguieron una indicación del Presidente de Sony, Akio Morita: que el formato fuera diseñado para la 9ª completa. 
El impacto de Beethoven y la sinfonía en el rock es similar en la música electrónica, basta asomarse a la cantidad de diyeis que han hecho remixes de la 9ª. El más prominente es Gabriel Prokofiev (nieto de Sergei), productor, compositor y diyei, quien compuso una reinterpretación en 2011 con instrumentos clásicos y electrónicos: Beethoven 9 Symphonic Remix, incluida en el disco Beethoven Reimagined, con la Orquesta Nacional de la bbc de Wales, dirigida por Yaniv Segal. Además contiene la Sonata para Orquesta en C Menor Op. 30 y la versión sinfónica de Fidelio. Prokofiev ejecuta los loops, los grooves y unos coros alucinantes.
Beethoven la interpretó sólo doce veces en vida y, para celebrar los 200 años, la Casa Beethoven de Bonn reconstruyó el teatro de 1824 para un concierto de la Orquesta de la Academia de Viena, con instrumentos de la época y el coro de la cadena wdr, dirigidos por Haselböck. Dos siglos es nada, la 9ª es una sinfonía para la eternidad.
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miahupdates · 2 years
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📸 | michaellosordo via Instagram
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chez-mimich · 6 months
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LA CASA DEL SORDO
Assistere al capricco teatrale “La casa del sordo”, dell’Odin Teatret di Eugenio Barba è un po’ come trovare una istantanea di cinquant’anni fa in un cassetto: la si guarda con tanta nostalgia di quegli anni, ma anche con grande tenerezza. La fotografia però è sbiadita dal passare del tempo e non ha più nulla della sua originaria brillantezza. Ecco, se mi è concesso usare una metafora, sceglierei questa per descrivere cosa ho provato assistendo sabato scorso al Teatro Menotti di Milano alla rappresentazione dell’Odin su testo di Else Marie Laukvik ed Eugenio Barba. Con la rappresentazione di sabato si è chiusa una intera settimana dedicata all’Odin Teatret con presentazioni di libri, film, laboratori e conferenze dedicati ai “60 anni dell’Odin Teatret” fondato nel 1964 da Eugenio Barba a Oslo e poi trasferitosi a
Holstebro in Danimarca. Mostro sacro dell’avanguardia teatrale, si devono a Eugenio Barba, e al suo Odin, molte delle invenzioni, delle teorie, delle provocazioni del teatro di ricerca che venne poi definito “Terzo Teatro”. L’Odin fu il luogo, fisico ed ideale, dove un attore poteva “imparare ad imparare” (secondo un celebre motto del teatro); forse più che “spettacoli” l’Odin ha sempre prodotto esperienze, performance, “training”. Oggi le potremmo chiamare “residenze”, cioè un gruppo di artisti che permangono in un dato luogo e che lavorano congiuntamente su loro stessi, cimentandosi su un tema dato. L’Odin è più che altro questo, una perenne residenza artistica che ha saputo coniugare tutte le specificità della culture locali rituali, etniche, musicali dei luoghi in cui si è svolta. Lo sfondamento della “quarta parete”, a vantaggio di una circolarità dialettica tra performer e “spettatori”, l’abolizione del sipario, gli attori sempre in scena, l’utilizzo di materiali poveri o poverissimi (le “carabattole” di cui parlava in una intervista a “Scena” un giovane Eugenio Barba), sono queste le caratteristiche fortemente innovative dell’Odin, una specie di “agit-prop” declinato su grandi temi antropologici. E dopo questo “pippone” sull’avanguardia teatrale cosa resta da dire de “La casa del sordo”? Si tratta di un “pasticcio” teatrale ovvero “una specie di fantasia improvvisata che passa da un tema all’altro” come lo definì il compositore tedesco Michael Prætorius. Soggetto del “pastiche” è il pittore Francisco Goya, sordo totale dall’età di 46 anni, che si trova nella sua casa di Bordeaux dopo essere fuggito dalla Spagna, secondo il racconto che ne fa Leocadia Zorilla, dinnanzi allo stesso Goya nell’ultima notte della sua vita. Il racconto tocca gli eventi politici e culturali che hanno influenzato la vita di Goya, come l’Età della Ragione, il Romanticismo, l’Inquisizione e la Rivoluzione Francese. Un’ora abbondante di spettacolo, non riesce a convincere appieno lo spettatore che non sia passato attraverso quella indispensabile iniziazione alle avanguardie artistiche teatrali degli anni Sessanta e Settanta. Un testo, ma sopratutto una mise-en-scène, per adepti votati al sacrificio teatrale (e uso questo termine senza nessuna ironia). Il teatro come rito di evocazione non sembra più poter far parte della normale programmazione teatrale per un pubblico vasto. Occorre dire che al Teatro Menotti, Emilio Russo, direttore artistico, ha intrattenuto brevemente il pubblico su cosa stava per vedere, anzi su a cosa stava per assistere, e occorre altresì dire, che il pubblico non sembrava proprio essere capitato lì per caso e, pur tuttavia, è mancata quella ovazione finale che ci si poteva attendere, anche per la presenza in sala dello stesso Eugenio Barba.
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