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#Palazzo Papadopoli
mote-historie · 2 years
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1910s Contessa Vera Papadopoli Arrivabene (1883-1946) by Umberto Brunelleschi (1879-1949).
Vera lived in Palazzo Papadopoli in Venice and was the lover of Ignazio Florio, yes the husband of the beautiful Franca, who also fought a duel for her with Count Arrivabene, in 1912; for the scandal the two spouses separated, but Vera continued the relationship. It seems that in the last period of his life he was a victim of opiates. 
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lamarchesacasati · 1 year
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Credit: Alamy
The secret life of Venice
Favourite spot
Home - the Palazzo Papadopoli. We have always lived here, since we were born. We live on the top floor, and the rest of the palace is now the Aman hotel.
We'd rather not tell you about...
...Trattoria Antiche Carampane, which serves the absolute best granseola tagliolini (spider-crab pasta).
Top tip
Naranzaria, a tiny osteria next to the Rialto bridge, is a brilliant stop for an Aperol Spritz
Best buys
Our father's [Count Giberto's] handmade Murano glasses. Or our slippers, of course...(x)
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Il meglio della mixology in laguna per il 'Venice cocktail week'
Sette giorni di incontri, masterclass e appuntamenti con bartender di fama internazionale dei migliori cocktail bar e bar d’hotel di Venezia, ospitati in un palcoscenico di charme come l’hotel Aman, in palazzo Papadopoli, uno degli otto edifici monumentali affacciati sul Canal Grande. E’ questo il programma della terza edizione della ‘Venice Cocktail Weekì, settimana dedicata alla mixology…
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albertsamson · 1 year
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Venezia (Palazzo Papadopoli), 2023, smalto su tela, 12x19 cm
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kitty-n-classe · 7 years
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Palazzo Papadopoli, Venise
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daniela--anna · 6 years
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Palazzo Papadopoli Venezia
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cartierbarbiedoll · 6 years
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Manifesting a daddy that’ll make me live the best hotel ever: Canal Grande suite in Palazzo Papadopoli, located in Venice, Italy.
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sellingsunsetsmiami · 3 years
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Splendor with a capital S ! Only in A little dream in Venice - Palazzo Papadopli Shared 📸via @aman_venice @aman / video @andreavetrano (at Palazzo Papadopoli) https://www.instagram.com/p/CM9ofopDFbp/?igshid=1st2fx4iyszrs
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vocidaiborghi · 5 years
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In questi giorni le circostanze hanno fatto sì che mi trovassi a transitare sulla strada provinciale che da Quarto d’Altino, comune del veneziano, conduce a Portegrandi, un paesino al margine della laguna di Venezia, dove le acque del fiume Sile, il più lungo corso fluviale di risorgiva d’Europa, si amalgamano con quelle salmastre. La mattinata si era presentata con la prima nebbia, che sapeva di un inverno imminente, e i giorni a seguire non avrebbero smentito una tale previsione.
La strada corre sinuosa in gara con il Sile per lunghi tratti ed è costeggiata da alberi, le cui chiome sono ormai scheletriche. Gli incontri sono sporadici: l’ostinato della bicicletta lungo gli argini, qualche auto e l’immancabile trattore con l’aratro sporco di terra nera. Raggiungo Trepalade. Quattro case e un ristorante chiuso da tempo. Qualche centinaio di metri in là, una targa ricorda l’edificio in mattoni quale l’ospedaletto da campo numero 67 della Prima Guerra Mondiale. Memorie di paese, sempre più rare, evocano radi scorci di quei tempi, tra i quali il ricordo dell’americano che guidava un’ambulanza, divenuto anni dopo un famoso scrittore.
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L’atmosfera della campagna circostante è ovattata, ogni rumore pare perdersi nella nebbia, che sembra carezzare i campi e i fantasmi di filari di piante spoglie. Imboccata la strada che, volte le spalle al Sile, conduce alla più trafficata Triestina, un canale dalle acque sonnolente sembra accompagnare il percorso. Le sue dimensioni sono modeste, come modesto appare il suo nome se rapportato al suo vicino Sile. In realtà, il Siloncello, opera dell’ingegno romano, rappresenta il filo conduttore della storia di questi luoghi: l’acqua.
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Più avanti, la vecchia sede del Museo archeologico di Altino, il cui porticato ancora oggi esibisce un coro di voci epigrafiche, che narrano il grande teatro della vita e della morte in un saliscendi silente tra i desideri terreni e l’aspirazione all’eternità.
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Qualche timido raggio di sole si fa spazio tra la nebbia e si accendono i colori che vanno dal marrone al rossiccio. Il panorama è un susseguirsi di poderi con qualche casolare, spesso diroccato, che rompe la continuità senza fine. Eppure, a qualche decina di metri, sotto qualche spanna di terra, il suolo nasconde l’ava di Venezia: la paleoveneta e romana Altino.
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Velleio Patercolo, storico latino del periodo di Tiberio, ricorda che, tra il 42 e il 40 a.C., queste terre furono solcate da Asinio Pollione al comando di un esercito composto da sette legioni. Da qui tenne in mano la “Venetia” e provvide alla distribuzione della terra ai veterani di Filippi (Vell. Pat., II, 76, 2). Più avanti, un altro storico latino, Tacito, ricorda che l’arrivo delle truppe di Vespasiano e il successivo presidio militare in previsione di un attacco della flotta ravennate. (Tac., Hist., III, 6). Più avanti ancora, nel 166 d.C., Altino divenne uno dei capisaldi delle truppe romane contro i Quadi e i Marcomanni, intenti ad assediare Aquileia, dopo aver dato alle fiamme la vicina Opitergium; e trampolino logistico per le spedizioni danubiane, effettuate da Marco Aurelio e da suo fratello adottivo Lucio Vero, il quale, di ritorno a Roma dal fronte danubiano, venne colpito da un colpo apoplettico, morendo nel febbraio del 169 d.C. nei pressi della città, dove si era fermato per una sosta (Hist. Aug., Ver. 9, 2). Peraltro, gli altinati videro il macabro trofeo di guerra delle truppe senatorie nella lotta contro l’imperatore Massimino il Trace. La sua testa fu esibita lungo il percorso da Aquileia ad Altino, per poi essere trasportata attraverso il tragitto endolagunare fino a Ravenna e, quindi, a Roma. Secoli dopo, alcuni passi delle epistole di San Girolamo al primo vescovo di Altino, Sant’Eliodoro, ricordano il centro come popoloso, tanto che l’aria sovrastante alla città era fosca e caliginosa per i numerosi focolari: Quam diu te tectorum umbrae premunt? Quam diu fumeus harum urbium carcer includit? (Hier., Ep., 14, 10). Il primo colpo d’arresto della città fu segnato dall’arrivo di Attila, che, seguendo le parole di Paolo Diacono (H.R., XIV, 11) e dell’Anonimo Ravennate (Chorographia, IV, 30), avrebbe preso e distrutto la città nel 452 d.C., benché le varie indagini archeologiche abbiano alquanto ridimensionato l’aspetto rovinoso dell’incursione.
Fino a qualche tempo fa, si riteneva che le origini della frequentazione umana dell’area altinate dovessero essere relegate all’età della cultura paleoveneta, basandosi in particolare sulle tracce superstiti risalenti al VIII – VII secolo a.C., rinvenute durante gli scavi effettuati nelle necropoli. Invece, uno scasso fortunato di un aratro aprì un nuovo capitolo nella comprensione della storia evolutiva dell’agglomerato urbano di Altino. In località Vallesina, le sabbie di origine pleistocenica avevano preservato delle preziose evidenze, che rievocavano la storia di un sito preistorico, ubicato in una posizione decisamente favorevole, essendo più alta rispetto al piano di campagna e ai margini della laguna. Lo studio dei manufatti e le considerazioni geostratigrafiche sul sito di ritrovamento collocarono questa stazione litica nel Mesolitico, l’era dei grandi cambiamenti climatici e ambientali. Lo stanziamento, forse più stagionale che permanente, apparteneva ad un gruppo di cacciatori e raccoglitori, che, allettato dalle nuove e più abbondanti risorse alimentari, alternò alla caccia la pesca e la più semplice raccolta dei molluschi marini. Numerosi indizi, quale la materia prima per eccellenza come la selce, portarono a pensare un possibile collegamento con le stazioni mesolitiche lungo la fascia collinare e pedemontana del Veneto orientale, forse attraverso i sentieri aperti dai cacciatori seguendo i percorsi stagionali degli animali, anticipando per taluni versi il tracciato stradale che in epoca romana sarà individuato come la via Claudia Augusta Altinate. Anche il Neolitico ha riservato continue ed importanti sorprese, che hanno mutato in modo sostanziale le convinzioni sulla tarda storicità del territorio altinate. In questo periodo ricevono grande impulso le tecnologie della manifattura in ceramica e della levigatura della pietra dura per costruire oggetti taglienti in genere, come le due asce rinvenute in località Cà Nuova e Brustolade, che rivestono una particolare rilevanza, dato il loro possibile raffronto con le due coeve portate alla luce alla fine dell’Ottocento a Venezia da Urbani De Gheltof, durante i lavori di consolidamento delle fondazioni del palazzo Tiepolo Papadopoli e la ricostruzione del Fondaco dei Turchi, l’altomedioevale palazzo Pesaro.
Nel 2004, in seguito ai lavori di sbancamento effettuati nella tenuta “I Marzi” di Portegrandi, emersero segnali di un possibile interesse archeologico. La Soprintendenza archeologica del Veneto, ordinata la sospensione dei lavori, intraprese le indagini stratigrafiche orizzontali e verticali del caso, affidandole alla dottoressa Elodia Bianchin Citton. Si è così proceduto allo scavo e sono emersi tutta una serie di dati, che hanno permesso di stabilire una cronologia relativa dell’occupazione dell’area, restituendo le testimonianze di una sua frequentazione insediativa a partire dall’età del Bronzo finale, intorno al X secolo a.C.. Il sito si estendeva al di sopra di un dosso sabbioso in adiacenza di un paleo-alveo del Sile ormai in foce, la cui continuità insediativa si venne ad interrompersi agli inizi della prima età del ferro, a causa dell’ingressione marina.
La nuova facies culturale, che possedeva una sua unità originaria indifferenziata, evolse tenendo conto delle specificità insediative più importanti, divenute tali in virtù di un processo di distinzione economica. Este e Padova divennero i due poli di maggiore irradiazione della cultura paleoveneta. La prima proiettò la propria influenza a sud-ovest, toccando il veronese; mentre la seconda segnò il Veneto orientale, segnatamente con i centri di Oderzo e Altino.
L’affermazione culturale e territoriale paleoveneta in quella che diverrà la “Venetia” si strutturerà in un arco temporale dal X/IX secolo al II secolo a.C., coincidente con l’arrivo dei Romani, che è stato suddiviso dagli studiosi in quattro periodi diacronici (A. Prosdocimi, 1882; G. Fogolari e O.H. Frey, 1965). I Paleoveneti possedevano una propria lingua di ceppo indoeuropeo e una scrittura basata da un alfabeto di derivazione etrusca. Secondo le fonti letterarie e le ricerche archeologiche i veneti dovevano essere un popolo di agricoltori e famosi allevatori di cavalli, ma, stando alle testimonianze pervenute, non sono mai ricordati come guerrieri. Comunque sia, per quanto inspiegabile il comprensorio veneto riuscì a mantenere una propria indipendenza dalle genti vicine piuttosto bellicose e lo stesso contatto con i Romani avvenne in virtù di un’alleanza militare in funzione antigallica.
I primi segni insediativi più consistenti sul suolo di quella che sarà Altino risalgono al X secolo a.C.. Sono uomini che costruiscono un impianto domestico con capanne a pianta rettangolare, pavimentate da un battuto argilloso con elevato al graticcio, poste al di sopra di dossi fluviali, delimitati da canali gravitanti sulla laguna e sul paleo-alveo del Sile. Le sue origini sono intimamente connesse al fiume Sile e alle acque della laguna, che grazie ai suoi primitivi ancoraggi la protesero in mezzo ai traffici endolagunari e marittimi del Mediterraneo. Inoltre, questo scalo fluviale sull’Adriatico era interessato da un reticolo stradale di antica percorrenza, che in molti casi vennero rifondate più avanti dagli ingegneri romani.
Intorno al VII secolo a.C., l’area interessata dalla stazione capannicola trovò una nuova dimensione urbanistica, divenendo un quartiere artigianale, mentre l’abitato residenziale venne spostato in direzione nord ovest, ma fu solo con il VI secolo che l’abitato assunse una determinazione protourbana, più o meno coincidente al suolo della successiva città romana, definita peraltro, dai due luoghi cultuali, collocati a fronte della direttrice marittima l’uno e l’altro sulla prospezione terrestre. A partire dal 1997, le indagini archeologiche sull’area oggi interessata dal nuovo Museo Archeologico Nazionale hanno restituito i resti di un’area sacra, che si sviluppò dal VI secolo a.C. all’età imperiale romana. La struttura cultuale, sorta in prossimità di un dosso bonificato da una canaletta e servita da una stradina che la poneva in relazione all’abitato, possedeva una planimetria rettangolare di 20 m X 12 m. L’elevato era pavimentato ed era costituito da un porticato anch’esso rettangolare, che cingeva una sorta di corte, all’interno della quale vi erano due grandi altari. All’esterno, i depositi votivi e rituali, all’interno dei quali erano stati deposti tutti gli ex voto e i resti del sacrificio, dopo la loro originaria deposizione nel tempio. Oltre ai resti ossei di numerosi animali domestici, tra i quali maialini da latte e cavalli, si sono rinvenuti numerosi frammenti ceramici, molti confrontabili con gli esemplari cultuali d’ambito patavino, nonché una decina di iscrizioni – tra le quali quella che ricordava il nome venetico di Padova – che hanno attestato l’esistenza di un rapporto tra Padova e Altino, suggerendo un’ipotesi molto suggestiva che vedrebbe nell’emporio altinate uno dei porti adriatici di Padova. Inoltre, le fosse del santuario hanno restituito delle ceramiche e dei bronzetti di attestazione etrusca padana, attestando determinate relazioni con gli empori di Spina ed Adria, attraverso le rotte marittime ed endolagunari. Infine, le dodici iscrizioni che hanno riportato in grafia patavina e locale il nome della divinità a cui era dedicato il tempio venetico: Altinom, in grafia patavina, e Altnoi, in grafia locale. Il teonimo e il toponimo coincidono; e si riferirebbe ad un luogo prominente rispetto alla realtà di spiaggia circostante, personificando la realtà insediativa.
L’altra area cultuale, identificata in località Maraschere per lo più dai dati archivistici relativi agli scavi del passato, avrebbe rivelato la coesistenza di almeno sei are, le cui dedicazioni evidenziano un contesto necropolare e, contestualmente, un baricentro ideale con la direttrice terrestre dello scambio di merci, idee, culture e tradizioni dell’emporio altinate: una ara anepigrafe, una dedicata agli dei degli Inferi, una a Vetlonia, una a Lucra Merita, una a Venere e una ad Ops, nonché un probabile culto di Belatukadro, dio celtico della guerra, testimoniato da un’iscrizione votiva del V – IV secolo a.C. (Marinetti, 2001, 103 ss).
Una prima organizzazione delle aree sepolcrali risalente al lasso temporale tra il VII secolo e il IV secolo a.C. è stata verificata a sud di quest’ultimo tempio, principalmente nelle località Fornasotti, Portoni, Brustolade e nella Tenuta Albertini. Dal punto di vista tipologico, le tombe in fossa terragna ricalcavano in linea di massima quelle riscontrabili nelle altre città venete. Anche il trattamento crematorio dei morti, la modalità di deposizione dei resti ossei combusti e del corredo personale all’interno di un contenitore per lo più ligneo collimavano con la coeva ritualità funeraria veneta. Dal IV secolo a.C. fanno la loro apparizione le sepolture a cremazione in “dolii”, grossi recipienti deposti nel terreno, in linea con le necropoli rinvenute a Padova. Un caso a sé è rappresentato dalle fosse multiple con individui di sesso diverso, ritrovate nella necropoli di Brustolade, dove si sono evidenziate delle inumazioni, probabilmente legate a specifici segmenti sociali.
I corredi femminili, che testimoniano analogie con il Veneto orientale e i centri friulani, sono costituiti da oggetti legati a lavori artigianali e domestici, oltre ad oggetti preziosi, indicandovi con ciò l’elevato status sociale della donna e della famiglia di appartenenza. Le tombe maschili, invece, sono caratterizzate da un corredo più povero e, solo in pochi casi, si registrano delle armi, per lo più cuspidi di lance.
A partire dalla fine del V secolo a.C., l’Italia settentrionale vede stringersi i rapporti non solo commerciali con il mondo celtico, ma assiste all’ingresso di piccoli gruppi nella Pianura Padana, preludio della successiva invasione, avvenuta in tempi diversi, attraverso i valichi montani. La prima popolazione celtica che mise piede stabilmente nel nord Italia furono gli Insubri, che si stabilirono nell’attuale Lombardia centro occidentale. Le ondate successive furono caratterizzate dai Cenomani, dai Lingoni, dai Boi, dai Carni e, infine, dai Senoni. I Cenomani occuparono l’area delimitata dal fiume Oglio fino alla pianura veronese; i Carni si stanziarono a nord est lungo l’asse segnato dal bacino del fiume Tagliamento, nell’odierno Friuli-Venezia Giulia; i Lingoni e i Boi si fermarono nell’area emiliana; i Senoni, infine, s’insediarono nel territorio romagnolo marchigiano. Il nuovo assetto territoriale del nord Italia determinò nuovi equilibri per quanto fluidi, circoscrivendo i Liguri ad occidente, ad oriente i Veneti, mentre sopravvivevano piccole enclave di greci etruschi, mero retaggio dell’Etruria padana.
Non è un caso se le testimonianze storiografiche siano del tutto concordi sul rapporto di conflittualità permanente, causato dal nuovo rapporto d’equilibrio tra il mondo celtico e la realtà veneta. Lo storico latino, dai natali patavini, ricorda lo stato permanente di guerra delle città venete, compresa la sua Padova, con i Galli vicini (Livio, X, 29). Tuttavia, nel II secolo a.C., i confini territoriali e culturali tra le due éthne erano andati sfumando in un gioco di vasi comunicanti, soprattutto nell’area veronese, nel altoplavense e a sud del ramo settentrionale del Po, tanto da far sottolineare allo storico Polibio che “la parte vicina all’Adriatico era abitata da un’altra popolazione molto antica, quella dei Veneti, per costumi e abitudini poco diversi dai Celti, ma con un’altra lingua” (Polibio, II, 17, 5). Ad Altino, come nelle altre realtà venete, l’elemento tangibile della rottura dell’unità socioculturale delle due etnie è rappresentato dalla comparsa di armi nelle tombe maschili, in particolare spade, l’arma per eccellenza del guerriero celta, confermando la graduale integrazione del ceppo celtico nel tessuto venetico. Alcune evidenze sepolcrali altinati, risalenti al IV secolo a.C., infatti, presentano un rito funerario estraneo all’ambito veneto, evidenziato dall’inumazione e dalla deposizione di spade, la cui tipologia rimanda al comparto senone. Successive sepolture, invece, presentano elementi di novità nelle armi di ambito cadorino, rafforzato dal rinvenimento delle statuine stereotipate in bronzo raffiguranti guerrieri celti, che trovano corrispondenza in quelle del santuario di Lagole a Calalzo di Cadore.
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Con la fine del III secolo e gli inizi del II secolo a.C., il Veneto sarà interessato dal vasto processo di romanizzazione, volano fondamentale per la storia della Venetia, non solo dal punto di vista politico, ma economico e culturale. La fondazione della colonia latina di Aquileia (181 a.C.), che viene a completare il processo di controllo militare romano lungo l’asse Piacenza-Cremona-Rimini e cuneo verso l’Oltralpe e l’Illiria, era stata favorita dalla costruzione di assi stradali, sovrapposti sulle direttrici già attive in epoca protostorica. Altino fu raggiunta nel corso del II secolo dal reticolo viario convergente su Aquileia, ma fu senza dubbio la via Annia, il tracciato costruito dal console Tito Annio Lusco nel 153 a.C. (Croce da Villa, in Concordia, 2001, 125),
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l’asse di scorrimento più rilevante della città, condizionando di fatto il processo evolutivo della città e il suo assetto urbanistico, oltre ad aver facilitato l’arrivo di soggetti romani, latini e italici, attratti dalla possibilità di laute attività commerciali.
L’abitato veneto vide aumentare il traffico dei militari e civili non soltanto per la raggiera di arterie stradali, ma vide accrescere il movimento del suo porto, reso più efficiente dalla costruzione di nuovi moli. Le strade e il porto, che allacciavano Altino all’Oriente e all’Occidente, furono i principali vettori degli scambi tra le diverse etnie, le quali portarono con sé non solo i prodotti di vita materiale, ma anche nuovi interessi politici, economici, nonché spirituali e culturali, che andarono a stratificarsi mano a mano nella vita di ogni giorno della città. Le nuove istanze portarono alla rifondazione su scala monumentale del santuario di Fornace, benché la dedicazione rimanga la medesima al dio Altino.
Comunque, fino a quel momento l’abitato altinate rimaneva un’entità insediativa di modesta estensione, la cui abbondante presenza dell’acqua aveva fortemente condizionato le sue caratteristiche ambientali e, a sua volta, aveva rappresentato un fattore d’impulso per l’economia locale, ma di contralto aveva dovuto fare i conti con le periodiche e rovinose piene e l’insalubrità delle zone paludose, che l’attorniavano. Inoltre, le aree portuarie, poco più di piccoli ancoraggi, possedevano un’attrezzatura inidonea al movimento di merci per una città con velleità commerciali di una certa rilevanza.
Gli ingegneri romani, favoriti dall’abilità raggiunta nelle opere idrauliche grazie alle tecniche derivate dall’Egitto tolemaico (Strab., V, I, 5), intrapresero una rilevante opera di risanamento e regimazione delle acque (Tirelli 1999, 12). La sua realizzazione prese avvio nella prima metà del I secolo a.C. e consentì il raggiungimento di finalità molteplici, strettamente connesse tra loro, quali la difesa idraulica del territorio; l’utilizzazione di nuove aree prima depresse, improduttive e paludose; la migliore fruibilità delle acque disponibili, con l’uso di nuovi tronchi di canali ai fini idroviari (Tirelli 1999, p. 12-13; Cresci Marrone – Tirelli 2007, 63). Furono di particolare rilievo le opere atte a sottrarre l’abitato di Altino al pericolo del Sile e degli altri corsi d’acqua, nonché allo sbilanciamento tra gli afflussi e gli efflussi di marea, l’effetto del quale non poteva essere che un progressivo aumento di allagamento della parte bassa, causa prima dello stato palustre della città. Lo scavo del Siloncello concluse questa grande operazione idraulica. Alimentato dalle acque del Sile, che si distendeva nei suoi meandri a nord della città, il suo corso rettifilo incontrava il canale di Santa Maria, che delimitava a sud l’abitato, divenendo da un lato il collettore principale delle acque circostanti i dossi dell’insediamento urbano e dall’altro l’ambito portuale fluviale collegato alla laguna, con tanto di nuove dotazioni di moli d’ormeggio (Cipriano 1999, 34-35).
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Tronco di rovere – rinforzo sponda Siloncello
Dovette essere quella un’opera di risanamento memorabile, come le altre effettuate sempre in ambito territoriale della Venetia, tanto che l’architetto Vitruvio, durante il suo viaggio in Gallia, al seguito di Cesare in qualità di praefectus fabrum, tiene a menzionarla: “Ne sono un esempio le paludi della Gallia intorno ad Altino, Ravenna, Aquileia e di altri municipi che sorgono in luoghi con analoghe caratteristiche…che…si rivelano…incredibilmente salubri” (de arch., I, 4, 11).
A qualche decina di metri dal vecchio edificio del museo archeologico, il Siloncello entrava nella città antica, dove la Porta Urbica Altinate si specchiava sulle sue acque. Si trattava di un ingresso monumentale costituito da torrioni laterali a pianta quadrata sul fronte e circolari all’interno, collegati da un muro. La struttura, le cui fondazioni sono costituite da palizzate di tronchi di rovere (Tombolani 1985; Gambacurta 1992), era fiancheggiata da entrambi i lati da due barriere murarie, definendo un cavedio quadrangolare di circa nove metri.
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L’effetto scenografico rappresentato dalla porta, e il suo intimo ruolo propagandistico, corrisponde ad una chiara attestazione della rinnovata fisionomia della città, ormai con numerosi elevati in mattoni e pietra e adeguata alla concezione urbanistica romana, come le necropoli collocate lungo le strade d’accesso che collegavano la città.
Altino, come tutti i centri situati tra il Po e le Alpi, si era vista concedere nel 89 a.C. il “diritto latino” con la Lex Pompeia e fra gli anni 49 a.C. e il 42 a.C. assunse la condizione giuridica di municipio romano, venendo ascritto alla tribù Scaptia. Il ricordo delle magistrature del municipio altinate si è tramandato grazie alle iscrizioni epigrafiche funerarie. Queste ricordano il consiglio cittadino, l’ordo decurionum,
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Sex(tus) Magius/ Sex(ti) f(ilius) Serenus/ Decurio sibi/ et Hermero/ ti Delicato/ v(ivus) f(ecit)            I sec. d.C.
che deliberava sui diversi aspetti pubblico-amministrativi della vita cittadina; nonché la presenza di altre importanti istituzioni pubbliche, quale il collegio dei magistrati, i quattuorviri. Il collegium era costituito da due coppie di magistrati, i duoviri iure dicundo, amministratori della giustizia, e i duoviri aedilicia potestate, con le funzioni di polizia e, per certi versi, con le competenze degli attuali assessori ai lavori pubblici, oltre all’occuparsi degli approvvigionamenti.
Dai materiali epigrafici risultano i collegi sacerdotali, quali ad esempio gli Augustales, addetti al culto imperiale, e i “collegia”, associazioni professionali, nelle quali si riunivano coloro che esercitavano un medesimo mestiere, con scopi sia assistenziali, sia religiosi. I ritrovamenti epigrafici confermano l’esistenza dei “centonarii” (fabbricanti di vesti e coperte), dei “fabri” (fabbri e carpentieri) e dei “fullones” (lavatori di lana). A questo proposito, gli allevamenti ovini e i pregi delle lane bianche di Altino sono ricordati da numerose fonti letterarie latine, da Marziale (XIV, 155) a Columella (VII, 2,3), da Strabone (V, 1, 7, 214) a Tertulliano (de pallio, III, 5-6).
In epoca Giulio Claudia, Altino conobbe un nuovo sviluppo urbanistico, che sostituì il precedente tessuto, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione dei lotti, degli isolati e delle sedi stradali.
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decumano
Un documento epigrafico, rinvenuto a Torcello e risalente ad un arco temporale tra il 13 a.C. e il 9 a.C., s’inserisce a pieno titolo a questo riguardo. La città lagunare, che, a breve avrebbe visto sorgere sul suo suolo il foro, il teatro e le terme, era stata arricchita da nuovi templi, portici e giardini, grazie alla donazione del futuro imperatore Tiberio (Tirelli 1998, 189-190). Altro elemento determinante per la prosperità della città fu la Via Claudia Augusta, tracciata nel 15 a.C. da Druso, generale di Augusto, e completata dall’imperatore Claudio. Due cippi commemorativi a forma di miliare, rinvenuti l’uno nel 1552 a Rablà vicino a Merano e l’altro a Cesiomaggiore nel 1786, riportano due iscrizioni non identiche, che ricordano la strada e celebrano Druso e Claudio. La diversità delle due iscrizioni si riferisce sul punto di partenza del percorso, dato che il cippo di Rablà lo poneva vagamente sul Po, mentre quello di Cesiomaggiore ricordava il capolinea nella città di Altino, generando ovviamente diverse ipotesi, che si sono risolte in linea di massima con l’ammettere due distinti capolinea e la rispettiva congiunzione nei pressi di Trento, per poi giungere all’antica Augusta Vindelicum (l’odierna Augsburg).
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Il cippo miliare di Cesiomaggiore, reca inciso il seguente testo:
T(iberius) Claudius Drusi f(ilius) Caesar Aug(ustus) Germa nicus pontifex maxu mus tribunicia potesta te VI co(n)s(ul) IV imp(erator) XI p(ater) p(atriae) censor viam Claudiam Augustam quam Drusus pater Alpibus bello pate factis derex[e]rat munit ab Altino usque ad flumen Danuvium m(ilia) p(assum) CCCL
“Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, figlio di Druso, pontefice massimo, tribuno per la sesta volta, console per la quarta volta, imperatore per l’undicesima, padre della patria e censore, stese la via Claudia Augusta che già il padre Druso aveva tracciato, una volta spalancate le Alpi con le armi, da Altino al fiume Danubio per una lunghezza pari a 350 miglia” (518 chilometri ca.).
Allo stesso imperatore viene attribuita la paternità del prolungamento attraverso una “fossa transversum”, la fossa Clodia, che perfezionava la rotta da Ravenna ad Altino con un percorso endolagunare, ricordato dall’Itinerario Antonino: inde (da Ravenna) navigatur Septem Maria Altinum usque (L. Bosio 1984, 115-118; L. Bosio 1992, 197-198) Sempre in età giulio claudia, la necessità di rispondere alle nuove dinamiche di sviluppo che avevano preso piede in Altino, sempre più schiacciata dagli elementi naturali, l’attenzione cadde sul tratto meridionale del Siloncello, che venne coperto e inglobato dallo sviluppo urbano. Ormai il paesaggio urbano della città portuale e le sue terminazioni in laguna, forse da individuare nell’odierna palude di Cona, avevano trovato la sua compiutezza. Le isole emergenti, ancora lambite da un reticolo di fiumi e canali ma collate tra loro mediante ponticelli e traghetti, sono caratterizzate da banchine e magazzini, edifici monumentali pubblici e privati, quando le leggere architetture di legno avevano lasciato il posto alle case di mattoni e pietra. Le porte urbiche, il porto e i tratti di cinta muraria raccontano di una città vitale e orgogliosa delle sue origini e del suo presente. Mentre lungo le strade prendevano corpo i grandi mausolei  e le sepolture più semplici dei ceti più abbienti cittadini,
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lungo la gronda lagunare numerose ville dei possidenti gareggiavano con quelle di Baia per la sontuosità (Mart., Ep. 4, 25), dotate tra l’altro di peschiere e piscine per l’allevamento di mitili e ostriche e, in alcuni casi, vasche adibite a saline. Un panorama questo che sembra adattarsi a quanto scrisse secoli dopo Goethe nella sua “Italienische Reise”, riferendosi alla più famosa delle sue discendenti, Venezia: “Tutto ciò che mi circonda è pieno di dignità, è una grande opera della forza umana congregata, un maestoso monumento, non di un despota ma di un popolo intero”.
A partire dal III secolo d.C., Altino, nonostante alcuni segni di degrado e di cambi di destinazione del tessuto urbano oltre una rilevante contrazione, dimostra una certa continuità insediativa. Nel 343 d.C. il concilio di Sardica aveva proibito di creare nuovi vescovi “in aliquo pago vel parva urbe, cui vel unus presbyter sufficit…ne episcopi nomen et auctoritas vilipendatur” (J. Hefele-Leclercq, Histoire des conciles, I/2, Paris 1907, 737 ss); e dato che Altino era divenuto sede di diocesi non poteva definirsi senz’altro un abitato di modesto rilievo. La topografia cristiana, ancora oggi custodita dal sottosuolo ma intuibile grazie alle fonti scritte, aveva determinato una nuova ridefinizione urbana, ponendo al centro la “basilicae ecclesiae” e il “martyrum conciliabula”.
Nei secoli successivi, le invasioni barbariche e, soprattutto, l’azione trasformatrice della laguna e dei fiumi portarono all’inesorabile crollo delle funzioni commerciali svolte dalla città e del progressivo abbandono delle infrastrutture d’approdo del suo porto; e una volta crollate, Altino non riuscì più a sollevarsi, costringendo gli abitanti al suo abbandono intorno al VII secolo d.C., divenendo una cava di pietra delle nuove realtà lagunari, quali Torcello prima e Venezia poi. In seguito, il silenzio. Altino era scomparsa dalla storia.
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Nuovo Museo Archeologico Nazionale di Altino – area espositiva
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Nuovo Museo Archeologico Nazionale – sale polifunzionali ed archivio
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Museo Archeologico Nazionale – ingresso
      Altino. La prima Venezia In questi giorni le circostanze hanno fatto sì che mi trovassi a transitare sulla strada provinciale che da Quarto d’Altino, comune del veneziano, conduce a Portegrandi, un paesino al margine della laguna di Venezia, dove le acque del fiume Sile, il più lungo corso fluviale di risorgiva d’Europa, si amalgamano con quelle salmastre.
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jo-shanevenice18 · 5 years
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A Couple of Easy Ones Around the Town
4-5/05/2018: A couple of days to go and we've done what we wanted, Murano, Burano, Padova. We done plenty last time we were here but just looking around is what's best about this city. We have two days of exploring, go our separate ways and find stuff, whether planned or not.
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Planning the day
Friday, we wandered out mid-morning after working out the garbage regime. Shane & Jo their direction, Cecilia hers and the boys theirs. We wanted another Venetian mask but could not remember where the shop that we got the last one was located. Knowing where the palazzo was where we stayed last time was a help and our memories and the shop's relation to it worked out fine.
We headed toward Saint Toma vaporetto stop and found the courtyard of the palazzo. From there it was easy, back along the alley where it met Calle Centani, turn left and there it was just a few metres away.  An interesting aside was that we found a store with nice leather bags. We intended to return later on in the day to buy a handbag for Jo.
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Calle Centani, the laneway to our last place
We looked at several masks and the one we liked most was nearly three hundred euro so we kept looking. Several masks resembled the mask that we bought from this shop the last time we were here but we weren't sure just what it looked like except that it was a female mask with musical notation as a theme. Jo got Mitch to send a photo of the mask to her phone and we ended up picking one similar, except male this time. This one cost one hundred and eighty Euros cash. We didn't want to carry it around all day so we gave the dude one hundred, said that we would collect it later and moved on.
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Shop full of masks
The next task was to head to Stazione di Venezia Santa Lucia to buy the train tickets to Florence that we would need in a couple of days time, casually taking in the experience of walking the streets, tourists and all. We aimed to find somewhere for a tea and coffee and a snack on the way but came across a little hole in the wall bar on sun bathed Campo dei Tolentini, bounded by the sizable Chiesa di San Nicola da Tolentino with its Corinthian portico at the front and Rio del Tolentini directly opposite. Bacareto de Lele was packed with people queuing onto the fondamenta so something good was happening. People were hanging around eating and drinking where they stood so Shane joined the line to end up getting a couple of small wines and small bread rolls with porchetta. 
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Campo dei Tolentini
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Standing room only
The wines came to one Euro sixty and the rolls the same. We had an excellent snack for just over three Euro and used the ornate balustrade of the steps leading to Ponte dei Tonentini as a table. Sometimes it’s the small things you experience that stick in your mind.
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Enjoying the sunshine
Unlike our last train trip from Florence to Venice where we had to change trains at Bologna and carry all the bags from one platform, down and back upstairs to an adjacent platform, all the time looking for the first class carriages, this one was direct on the Frecciarossa  so Aunty Cecilia wouldn't be a burden given her crook back, difficulty in keeping up and given the limited time available. Business class cost us about fifty seven euro (ninety dollars) each. We were to leave Venice at twelve thirty for a two hour and five minute journey.
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Pietro Paleòcapa seated in Giardini Papadopoli, a leafy bit of green space near the station. We sat on a park bench enjoying the solitude and green space until gate crashed by twenty odd seven to ten year old school kids. We knew when we were defeated and gladly gave up our seat for them.
We then decided to catch the vaporetto to Saint Marco stop and walk back, so after purchasing seventy five minute tickets we waited patiently on Pontoon B to take the number two boat. A boat arrived as we hit the pontoon but there was so many people that we missed it. We did however manage to get on the next boat about fifteen minutes later but were packed in like sardines. Quite uncomfortable. No sight seeing on this trip but as people got off at Rialto more room became available. Upon disembarking at San Marco, although we were a part of the problem, we tried to get away from the tourists. There were thousands. We followed the throng through the streets back toward the Rialto Bridge window shopping as we went. 
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People queuing to get into Saint Mark's Basilica
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A bit of room in the piazza today
When the bridge came into view to our left, we kept on straight ahead, moving away from it. Jo noticed an interesting bar on our right, Bacaro Jazz. We headed in for a drink. This place focused on jazz music and had it on the television non stop. It also had a ceiling totally covered in women's bras. It was quite interesting as was our conversation with other couples in there. One from Brittany who emphasised that Parisiennes were not indicative of people from other areas of France and some Canadians who we agreed to not call Americans if they didn't call us New Zealanders. It was all in jest and good fun.
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Interesting ceiling
From there we headed back to the mask shop to complete our purchase as well as an Italian hand bag for Jo, returning our goodies to the apartment before hunting down Cecilia at her favourite haunt, sucking on a few vinos and her vaping stick. Another wine and we were off to freshen up for dinner.
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Cecilia's locale
Since this would be our last restaurant dinner in Venice, we headed for a place where we had a good feed last time we were here, Ristorante Due Colonne near Campo San Agostin. The place was painted white this time and a lot brighter. After another enjoyable meal were retired back to the apartment for a failed attempt at Dictionary, another at Celebrity Heads but a successful game of Pass the Pigs before bed. Part of the entertainment was the drunken music session with Thomas blowing in a bottle, Beau popping his cheeks and Jo flicking her wine glass. Meanwhile Cecilia was filming and pissing herself laughing while Shane was standing behind Jo and unbeknownst to her, lowering his daks when in frame.
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A good day exploring today. Tomorrow should be good as well.
Saturday was our last day in Venice which would be spent as was yesterday, taking it easy and looking around again. First things first though, the Jets played Victory in the A League Grand Final this morning our time. 7:50pm at home was ten to twelve here. We should have been able to lob on up to a bar and watch it. As luck would have it there was nowhere around that televised the match. What an insult, Italians not being interested in Australian football. The internet was too slow as well so we had to miss out.
Anyway, we just wandered around again, got lost and done our thing. Cecilia, Jo and Shane headed out leaving the boys to their own devices but within a hundred metres, Cecilia had dropped off leaving Jo and Shane remaining. We had only one thing to take care of today, namely another Italian leather bag from the Chinese shop nearby (unfortunately it’s a reality), but from a different tangent. We decided to look at the other side of the canal and end up, if we couldn't find any elsewhere to buy them, at the leather bag shop that was somewhere near the apartment.
With Cecilia doing her own thing we headed towards the market area at Rialto where the aftermath of the morning fish markets was underway. 
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Still plenty to choose from at lunch time
Seafood was still in some stalls but many were practically empty. Might reflect the price put on their product. Most stalls however were finished and packing up. The only winners at this stage were the huge gulls hanging around. As big as the Californian ones we experienced around Monterey a few years ago. They were particularly interesting as though very cautious if approached, were sifting through the wrapping and containers for a morsel of leftovers. They needn't have been bothered too much as they were big enough to take a finger off if they wanted. One product that was still plentiful was bags of mussels for a couple of Euro each. We didn't bother but should have taken a couple of bags home for an easy dinner.
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They're all winners here
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Fish Market price list
Following an interesting look at the Rialto seafood goodies, we jumped on the vaporetto and headed to the Salute stop, just across from San Marco. Disembarking in beautiful sunshine, we were greeted by another minor basilica, this time Santa Maria della Salute. We were now on Fondamenta Salute and Punta della Dogana, the triangular peninsula nestled between the Grand and Giudecca Canals. The location of the contemporary art gallery, also called Punta della Dogana and the Dogana da Mar, one of Venice's old customs buildings, right at the tip. There were plenty of young couples taking it easy around the area giving at a romantic feel.
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Santa Maria della Salute
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San Marco from Dogana da Mar
Fondamenta Zattere Ai Saloni was the path facing Giudecca, the island across the way. This is where we headed and for the next ten minutes there were bugger all tourists. We weren't sure of the area though and were keen to get back to the Grand Canal, get our bearings and make sure we were going the right way.  More photos of an area that seemed that it may have been an upper class spot saw us back with the tourists. 
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Rio de la Fornace. Nice spot
At this time Jo needed to go to the loo so we walked back look for a restaurant as it was also time to eat. Jo's bladder had led us to Al Gondolieri, where we could sit down and have a break, a feed and a wee. Her bladder had also led us to a Michelin Star restaurant where surprisingly, although things were pretty ritzy, like two hundred plus euro bottle of wine, had cheaper options for the plebs, which we took.
The entrée, chosen by Jo was deep fried zucchini flowers with our mains being half serves of a beef dish for Jo and calves' liver for Shane. We also managed to find a twenty seven euro bottle of Pino Grigio (which surprisingly in Italian is Pinot Grigio), relaxed for an hour and can report that the meal was excellent. Something to chew on besides spaghetti or pizza. The half portions were very generous and tasted delicious. The whole meal was good. Half size aside, lunch still cost one hundred and ten euro. 
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Excellent feed at Al Gondolieri
We then kept pushing (literally) towards our apartment, navigating the laneways and bridges until we again arrived at our front door, an hour late for our wine tasting at Vineria all'Amarone. Our only two stops on our return leg was a visit to a Leonardo da Vinci exhibition at Chiesa di San Barnaba which held had a display of the contraptions that Leonardo invented, perfected, stole or otherwise and the Chinese Italian shop where we bought a leather bag for overnight trips. One hundred and ninety nine Euro reduced to one sixty six cash for the bag and a lot less for the Homer Simpson Vitruvian Man tee shirt.
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Leonardo's contraptions
As we arrived back at the Flamini joint, Cecilia was getting up from her Nanna nap and the boys were just hanging around the apartment. Jo stayed outside, sniffing around a pending wedding, whilst everyone else mustered for the wine tasting. Flowery decorations adorned the stair rails of the adjacent church and a young bloke in wedding garb was hanging around the front. Something was going on.
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Love is in the air
Once arrived at Vineria all'Amarone, we chose to sit outside, five tasting glasses each, half a glass in each. Jo took white wines and the rest of us took Italian regional reds. An interesting experience but after tasting all of the reds for a bit under forty Euro, the wines back at the apartment that cost five to six euro a bottle tasted pretty similar. Soon after, every one retired back to have a rest while Shane picked up some pasta and sauces for dinner and stopped at the bottl'o on the way back.
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The owner was upset that we didn't take the better (more expensive) option. Amarone wine
When he arrived back at the apartment, he was surprised that the Nannas were out on the balcony sipping on meloncello rather than having their afternoon ritual, the Nanna nap. The church across the road was hosting a big fat Italian wedding and there was plenty of entertainment (and waiting) to be had. Plenty of music and singing was coming from inside where eventually after all the wedding guests had exited the church, out come the bride and groom. Quite an occasion.
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Big fat Italian wedding
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Family photo
It was at this point that we thought that we would settle in for the night. Our last night in Venice would be a quiet one. Then all hell broke loose around the corner in Campo Silvestro. We went about our business for a while but the commotion got the better of us. The hard surfaces of the square echoed loudly down the narrow laneways, so much so that we headed over for a look at what was going on. The answer was simple, the local bar, Altrove 360⁰ Bar had a band on. Sort of like an Italian Blues Brothers and they were pretty good. The crowd stood around in a large ring, surrounding the entertainment that was perched up against the wall of the bar. We joined a scant crowd, but it wasn't too long before the word (or racket) had got around and the crowd swelled as darkness approached. Back to the A League Final being played in our home town. Our team, Newcastle Jets were robbed by poor refereeing. An early and blatant offside goal by Melbourne Victory was given the all clear by a linesman who obviously wasn't up to the task. The joke and obvious embarrassment to the FFA was that the VAR wasn't working at the time. Television picked it up okay but not the experts. At the music, across from us was some Melbourne Victory supporters in their jerseys. A bit of friendly banter, acknowledgement from the Victory fans that we were robbed and it was back to the entertainment, complete with Cecilia, Jo and Beau getting on the dance moves.
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Great entertainment at Altrove 360⁰ Bar
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Strange thing. Out of nowhere came a bunch of youngens and started a tug-o-war. They disappeared as quickly as they came.
We spent the rest of the night in the square, enjoying the music and the antics of the muso's.
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When in Venice, do what the Venetians do (or the tourists)
Plenty of entertainment, plenty of beer and no packing for our departure tomorrow as we depart for Florence on one of the fast trains.
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Papadopoli Palazzo Amann Grand Canal, Venice 
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Aman Grand Canal Palazzo Papadopoli
What better gift than a good book/ebook for a magical trip? “Under Florence Skies” you can order from  https://goo.gl/4gvtDp
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Aman Venice Food, Italy | Fariha Ansari Javed
Situated on the Grand Canal, The Aman is one of the most luxurious hotel in Venice if not all of Italy. It was the obvious choice for Hollywood royalty George Clooney to get married to our #girlcrush Amal Alamuddin in 2014.
 The hotel is a 16th century historic Papadopoli Palazzo and a true work of art. The beautifully landscaped gardens house this grand building and when you enter the hotel, it is a sensory overload! You will be unsure of whether to admire the flooring, the frescoes, the ornate high ceilings, the Murano chandeliers or the breathtaking views of Venice! After gaping for the first 20 minutes, we make our way to the main dining room above a lofty flight of stairs.
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perfettamentechic · 5 years
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George Clooney & Amal Alamuddin
#George #Clooney & #Amal #Alamuddin #anniversariomatrimonio #anniversario #matrimonio #weddingstar #perfettamentechic
Matrimonio “promessa”, non da favola ma in stile hollywoodiano, per l’affascinante attore George Clooney e l’avvocatessa anglo-libanese Amal Alamuddin nella bellissima laguna veneziana, il 27 settembre 2014, presso Palazzo Papadopoli, sul Canal Grande, Venezia (Italy).
La cerimonia è stata officiata in inglese da Walter Veltroni, carissimo amico dello sposo dal 2009 anno in cui l’ex sindaco di…
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Institution royale d'Hollywood: Les lignées royales et nobles ont des liens profonds avec Hollywood et l’industrie du divertissement, notamment par le biais des mariages. Tom Cruise a épousé Katie Holmes au château d'Odescalchi. La famille Odelscalchi est une noblesse noire liée au Vatican et dirigée aujourd'hui par le prince Carlo Odescalchi. George Clooney s'est marié à Venise à l'hôtel Aman Canal Grande ou au Palazzo Papadopoli, construit et appartenant à la noblesse italienne et situé juste à côté du Palazzo Giustiniani.
Institution royale d’Hollywood: Les lignées royales et nobles ont des liens profonds avec Hollywood et l’industrie du divertissement, notamment par le biais des mariages. Tom Cruise a épousé Katie Holmes au château d’Odescalchi. La famille Odelscalchi est une noblesse noire liée au Vatican et dirigée aujourd’hui par le prince Carlo Odescalchi. George Clooney s’est marié à Venise à l’hôtel Aman Canal Grande ou au Palazzo Papadopoli, construit et appartenant à la noblesse italienne et situé juste à côté du Palazzo Giustiniani.
  Institution royale d’Hollywood
Les lignées royales et nobles ont des liens profonds avec Hollywood et l’industrie du divertissement, notamment par le biais des mariages. Tom Cruise a épousé Katie Holmes au château d’Odescalchi. La famille Odelscalchi est une noblesse noire liée au Vatican et dirigée aujourd’hui par le prince Carlo Odescalchi. George Clooney s’est marié à Venise à…
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mynameiseosson · 7 years
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