#Parmalat fallimento
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Lo Scandalo Parmalat: Il Crac Finanziario che Scioccò l'Italia e il Mondo
Una bancarotta fraudolenta da 14 miliardi di euro che ha segnato la storia economica italiana
Una bancarotta fraudolenta da 14 miliardi di euro che ha segnato la storia economica italiana Lo scandalo Parmalat rappresenta uno dei più grandi fallimenti finanziari della storia italiana, con un buco di oltre 14 miliardi di euro che travolse risparmiatori, banche e investitori in tutto il mondo. La vicenda, che venne alla luce nel dicembre 2003, scoperchiò un sistema di falsificazioni…
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ilpianistasultetto · 5 years ago
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Mi piacciono piu' le persone con idee diverse dalle mie ma coerenti, convinte che cio' che dicono siano idee che risolvono meglio i problemi di questo Paese. Non mi piacciono i fans, quelli del "e' giusto a prescindere" perche' lo ha proposto il Capitano meneghino o la Caciottara romana. Quel chiacchiericcio fastidioso (per me) che in questo momento tragico per il Paese non si puo'perdere tempo, che bisogna fare arrivare i soldi nelle tasche delle imprese in 24 ore e non in due mesi. Soldi subito senza controlli e burocrazie. Che non va bene vedere banche che preparano istruttorie snervanti prima di concedere crediti , che tutto questo e' una vergogna. Ed e' tutto un clap clap di molta parte d'italiani che ripetono certi concetti a pappagallo.
Quindi, cari venerandi di questo o quel politico, provo a dirvi due paroline visto che in altri tempi sentivo rabbie molto diverse contro le banche. Quei soldi che qualche politico vuole dare agli imprenditori in 24 ore senza nessun controllo e senza nessuna garanzia , sono i (nostri) vostri soldi, i vostri risparmi, quelli che tenete da parte per dare un anticipo per comprare una casa ai vostri figli. Quelli che tenete da parte per gli imprevisti, per curarvi se doveste averne bisogno, per pagarvi il dentista, per andare in vacanza o per permettervi di sopravvivere a disastri come quelli che stiamo vivendo oggi. Gia'! Perche' non c'e' nessun signor banca che ha soldi suoi da dare a chi glieli chiede.
Ora, io non so se la vostra memoria sia paragonabile a quella degli elefanti ma vorrei ricordarvi cosa successe nel 2008-2009 e anche prima. Ve la siete dimenticata al vicenda Parmalat? Ve le siete dimenticate le crisi bancarie di quel periodo? Gli scandali del mps e di tante altre banche che avevano prestato soldi ad amici imprenditori o ad amici politici senza nessuna garanzia e mai restituiti? Ve le siete dimenticate quelle migliaia e migliaia di povera gente che in un attimo persero tutti i risparmi di una vita? E i suicidi? E la disperazione? E quei milioni e milioni di titoli spazzatura, e quei miliardi mai restituiti da gente che aveva comprato cose a rete e mai pagate? Vogliamo ripetere quell'esperienza? Se non ricordo male eravate gente parecchio incazzata, vero?
Dare soldi facili a imprenditori che forse tra un anno dichiareranno fallimento e non daranno dietro un emerito cazzo? O diamo soldi a chi ha sedi nei paradisi fiscali irlandesi, olandesi o delle isole Caiman e che possono chiudere gli stabilimenti produttivi in Italia spostando la produzione in Polonia o Ungheria? Diamo soldi in 24 ore a quelle imprese produttrici di prodotti così obsoleti che sono destinate a morte certa?
Il politico grida contro le banche e la "schiera pappagalli" ripete in coro. Ma le banche cosa sono? Sono forse quei luoghi dove noi andiamo a depositare i nostri risparmi o cosa? E cosa prestano questi signori delle banche? Prestano i nostri soldi. I soldi della povera gente, dei lavoratori, del piccolo imprenditore, questi sono i soldi che le banche prestano non certo quelli delle grandi imprese o della grande finanza perché loro non lavorano, loro non hanno soldi veri ma solo virtuali e sono gli unici che non potranno perdere mai niente.
Come non perderanno soldi quei politici che adesso si sbracciano per dare tutto a tutti. Loro seguiranno a prendersi quel gruzzolo di 15mila euro mensili, seguiteranno a prendersi le migliori case di enti pubblici nei centri cittadini pagando affitti irrisori, a fare vacanze su panfili di amici e a bere champagne offerto da chi aspetta i loro favori. @ilpianistasultetto
@ilpianistasultetto
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donaldmemablog · 6 years ago
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Asti, crac da 4 miliardi gruppo Marenco: 51 denunciati
Gli indagati, tra cui figura un ex colonnello della guardia di finanza, sono accusati di bancarotta fraudolenta ai danni di 12 società del gruppo
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Sono 51 i denunciati per il fallimento delle società facenti capo a Marco Marenco, imprenditore del gas ed ex patron dello storico marchio di cappelli Borsalino. Gli avvisi sono stati notificati alla chiusura delle indagini, condotte dalla Gdf di Torino e Asti. Accertato un crac societario di oltre 4 miliardi e condotte distrattive per 1 miliardo e 130 milioni. Gli indagati sono accusati di bancarotta fraudolenta ai danni di 12 società di import-export di gas naturale e di produzione di energia elettrica. La bancarotta del gruppo Marenco è considerata seconda in Italia solo al crac Parmalat. Tra le persone indagate figura anche un ex colonnello della guardia di finanza. Si tratta di Luigi Antonio Cappelli, per il quale la procura di Asti ipotizza il favoreggiamento personale. Nell'estate del 2014 l'ufficiale contattò l'allora comandante provinciale della Gdf di Asti, il colonnello Michele Vendola, per chiedere notizie sugli accertamenti su Silvia Grosso, compagna del'imprenditore Marco Marenco.
Nel corso dell'inchiesta sono stati sottoposti a sequestro preventivo beni per un valore complessivo di 107 milioni di euro.
La rete di società in giro per il mondo - L'attività investigativa ha messo in luce reati tributari, come la dichiarazione fiscale infedele, l'omesso versamento delle imposte, la sottrazione al pagamento delle accise, truffa aggravata, appropriazione indebita, false comunicazioni sociali, ma soprattutto la bancarotta fraudolenta aggravata. Erano almeno 190 le società, italiane ed estere in paradisi fiscali, collegate fra loro mediante compravendite fittizie, appositamente costituite e intestate ad amministratori e manager vicini all'imprenditore astigiano. Queste ultime, vere e proprie 'scialuppe di salvataggio', erano a loro volta controllate da numerose società estere 'scatole cinesi'.
La cooperazione internazionale con numerosi Paesi, comprese le Isole Vergini Britanniche, l'Isola di Man, Panama, Malta, Cipro, Liechtenstein e Lussemburgo, ha permesso agli inquirenti di ricostruire le condotte distrattive e individuare le numerose società estere coinvolte.
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italytvlive · 6 years ago
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Asti, crac da 4 miliardi gruppo Marenco: 51 denunciati
Gli indagati, tra cui figura un ex colonnello della guardia di finanza, sono accusati di bancarotta fraudolenta ai danni di 12 società del gruppo
Sono 51 i denunciati per il fallimento delle società facenti capo a Marco Marenco, imprenditore del gas ed ex patron dello storico marchio di cappelli Borsalino. Gli avvisi sono stati notificati alla chiusura delle indagini, condotte dalla Gdf di Torino e Asti. Accertato un crac societario di oltre 4 miliardi e condotte distrattive per 1 miliardo e 130 milioni.
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Gli indagati sono accusati di bancarotta fraudolenta ai danni di 12 società di import-export di gas naturale e di produzione di energia elettrica. La bancarotta del gruppo Marenco è considerata seconda in Italia solo al crac Parmalat. Tra le persone indagate figura anche un ex colonnello della guardia di finanza. Si tratta di Luigi Antonio Cappelli, per il quale la procura di Asti ipotizza il favoreggiamento personale. Nell'estate del 2014 l'ufficiale contattò l'allora comandante provinciale della Gdf di Asti, il colonnello Michele Vendola, per chiedere notizie sugli accertamenti su Silvia Grosso, compagna del'imprenditore Marco Marenco.
Nel corso dell'inchiesta sono stati sottoposti a sequestro preventivo beni per un valore complessivo di 107 milioni di euro.
La rete di società in giro per il mondo - L'attività investigativa ha messo in luce reati tributari, come la dichiarazione fiscale infedele, l'omesso versamento delle imposte, la sottrazione al pagamento delle accise, truffa aggravata, appropriazione indebita, false comunicazioni sociali, ma soprattutto la bancarotta fraudolenta aggravata. Erano almeno 190 le società, italiane ed estere in paradisi fiscali, collegate fra loro mediante compravendite fittizie, appositamente costituite e intestate ad amministratori e manager vicini all'imprenditore astigiano. Queste ultime, vere e proprie 'scialuppe di salvataggio', erano a loro volta controllate da numerose società estere 'scatole cinesi'.
La cooperazione internazionale con numerosi Paesi, comprese le Isole Vergini Britanniche, l'Isola di Man, Panama, Malta, Cipro, Liechtenstein e Lussemburgo, ha permesso agli inquirenti di ricostruire le condotte distrattive e individuare le numerose società estere coinvolte.
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ecodaipalazzi · 5 years ago
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“Dai giornali”, press review del 10 luglio 2020 INTERNI Autostrade. Con la revoca andrebbero in fallimento sia Aspi con i suoi 9,3 mld di debito sia Atlantia con altri 9 mld di debiti: un disastro peggio della Parmalat.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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20 GIU 2019 15:11
LA DOLCE VITA DEI BANCAROTTIERI MILIARDARI FRA VINI, CAVALLI E NUOVE SPECULAZIONI - DA CRAGNOTTI A MUSSARI FINO A CALISTO TANZI E GIANNI ZONIN, ECCO CHE FINE HANNO FATTO GLI UOMINI AL CENTRO DEGLI SCANDALI - C'È CHI HA ABBINDOLATO 30 MILA INVESTITORI E CONTINUA A TENERE CORSI SU COME METTERSI IN PROPRIO - E C'È CHI HA PRELEVATO I SOLDI DAI CONTI CORRENTE DEI SOCI, MORTI COMPRESI, HA MEZZO DISTRUTTO UN PAIO DI BANCHE, MA NONOSTANTE QUESTO…
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Pubblichiamo un estratto del servizio di copertina del nuovo numero di Panorama, da oggi in edicola. Francesco Bonazzi ha firmato l’inchiesta «Bancarottieri d’Italia» sugli imprenditori che hanno provocato crac miliardari. Uscendone spesso quasi illesi. Ecco che fine hanno fatto Calisto Tanzi, Sergio Cragnotti e Giovanni Zonin.
Articolo di Francesco Bonazzi pubblicato da “la Verità”
C' è chi ha abbindolato 30.000 investitori, ma continua a tenere corsi su come mettersi in proprio [...]. E c' è chi ha prelevato i soldi dai conti corrente dei soci, morti compresi, ha mezzo distrutto un paio di banche, ma nonostante questi successi è tornato a comprare e vendere quote di istituti di credito. [...] Sergio Cragnotti, 79 anni, è stato patron della Lazio dal 1992 al 2003 [...].
Si è fatto sei mesi di carcere preventivo, ha incassato condanne, annullamenti della Cassazione e rinvii in un lungo calvario giudiziario che dopo 15 anni non è ancora concluso. Comunque vada a finire, la Cirio sbriciolò come croste di pane 1,1 miliardi di euro a oltre 35.000 investitori. E Cragnotti [...] a Roma non lo si vede mai. Manda avanti la tenuta agricola Corte alla Flora a Montepulciano, in Toscana, dove scontò gli arresti domiciliari e che oggi è intestata ai figli, e gira per il Centro Italia a promuovere i suoi vini in ristoranti e alberghi.
Calisto Tanzi ha appena un anno di più di Cragnotti, al quale è spesso accomunato perché come lui si muoveva sotto l' ala protettiva del banchiere romano Cesare Geronzi [...]. Il fallimento Parmalat pende su di lui [...]: un buco da 14,3 miliardi di euro e 145.000 risparmiatori danneggiati.
Dal 2003 a oggi Tanzi è stato sotterrato di condanne, poi in qualche modo riviste e ridotte fino alla metà, circa 19 anni di carcere. Considerata l'età, ha ottenuto i domiciliari e ora anche la semilibertà, che significa poter uscire di casa tre ore al mattino, vicino a Parma.
[...] Passa la giornata a fare il nonno e il giardiniere, nel parco di casa. Da fervente cattolico, sa che alla lunga si raccoglie quel che si semina. Ma nel Vangelo c'è anche una parabola che racconta la storia dell'amministratore infedele, ovvero colui che, quando capisce che il padrone sta per licenziarlo, chiama i debitori (del padrone, ovvio) e concede loro ampi sconti. [...]
Come deve aver fatto l'ex banchiere «cattolicissimo» Giampiero Fiorani, che ai tempi della sua Popolare di Lodi era di casa in Liguria (nel 2003 comprò il Banco di Chiavari). Nell'ottobre 2015, per i danni causati dalla scalata Antonveneta del 2005, risarcì la Banca Popolare di Lodi con 34 milioni di euro. Ma Fiorani (classe 1959), dopo una condanna a due anni e mezzo, dall' estate del 2014 è tornato in pista. L' ex banchiere vive a Lodi, ma è il braccio destro di Gabriele Volpi, l'imprenditore di Recco che ha accumulato fortune enormi in Nigeria lavorando nella logistica per l' Eni.
Volpi [...] ha investito oltre 100 milioni di euro per acquisire il 9% della Carige, che oggi è sospesa in Borsa e di milioni ne vale a stento 90 [...]. C'è chi invece vorrebbe scomparire, ma alla fine lo trovano sempre. Come Giuseppe Mussari, penalista calabrese che nell'era pre Bce dei banchieri «del territorio» fu fatto presidente del Monte dei Paschi di Siena.
È passato alla storia per aver aperto una voragine nella banca più antica del mondo comprando per 10 miliardi Antonveneta. Vive in un coagulo di villette intestate alla moglie, a pochi chilometri da Siena. Cucina e va a cavallo all'alba. [...] Al centro di varie inchieste, Mussari sta aspettando la sentenza per i derivati appioppati al Montepaschi e per operazioni immobiliari disastrose. A Milano, i pm hanno chiesto per lui 8 anni di carcere e 4 milioni di multa. [...]
Chi ha solo cambiato casa è Giovanni Zonin, per 19 anni dominus incontrastato della Popolare di Vicenza e della controllata Banca Nuova, l' istituto siciliano che gestiva i soldi dei servizi segreti e all' interno della quale si sarebbe mossa, secondo Report e per la Procura di Caltanissetta, la rete spionistica gestita da Antonello Montante, l'ex numero due di Confindustria. L'appartamento nel centro di Vicenza è chiuso e sbarrato.
La tenuta nella vicina Gambellara è affidata ai figli. Zonin e consorte si sono spostati tra i vigneti di Terzo d' Aquileia, in Friuli, dove possono andare a cena fuori senza che tutta la sala si metta a rumoreggiare. L'ex banchiere torna a Vicenza solo per il processo di primo grado, che non finirà prima della prossima primavera, dove si mostra sempre sorridente. [...] La prescrizione marcia inesorabile. [...]
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notizieoggi24-blog · 6 years ago
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Gruppo Marenco, crac da 4 miliardi: 51 indagati
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Il fallimento del grande gruppo italiano Marenco è sotto la lente della Guardia di Finanza, con l'accusa di bancarotta fraudolenta per 51 persone, associate a 12 società diverse. Il crac sarebbe stato per un totale di 4 miliardi di euro. Marenco è stato un marchio importante per il gas e per il brand dei cappellini "Borsalino". Gli avvisi di garanzia sono stati emessi dalla Guardia di Finanza, dopo aver accertato un crac da 4 miliardi e condotte distrattive per oltre un miliardo di euro. Le 12 società fallite, che facevano capo al gruppo Marenco, erano legate al mondo di importazione ed esportazione di energia elettrica e gas naturale. A livello numerico, il fallimento del gruppo Marenco è secondo solo a quello della Parmalat. La Guardia di Finanza ha contestato reati di frode fiscale, mancate imposte, mancato pagamento delle accise e truffa aggravata. L'operazione è stata resa possibile dalla cooperazione di paesi "paradisi fiscali", come Lussemburgo, Panama, Cipro ed altri, dove avevano sede alcune società. Read the full article
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foodnomics-blog · 8 years ago
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MPS: “Per colpa di qualcuno credito a nessuno” Una sfilza di nomi illustri dell’Italia che conta hanno stretto il cappio al collo, si fa per dire, della Monte dei Paschi portandola a cumulare 47 miliardi di prestiti malati.
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btpspread-blog · 7 years ago
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COME SALVARSI DAL FALLIMENTO ITALIANO
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Anche se non pensi che il fallimento italiano sia possibile, sei preoccupato per il tuo lavoro, la pensione, la stabilità della tua famiglia, il tuo futuro? Ti è già arrivata una delle famose cartelle pazze di Equitalia o dell'Agenzia delle Entrate? Conosci qualcuno che sia rimasto coinvolto nel crac di Parmalat, o che avesse rapporti bancari con Veneto Banca, Banca delle Marche, Banca Carige, o Monte dei Paschi, banca esistente dal 1474 e che rischia di diventare la prossima Alitalia… Noti le buche nelle strade? Ti è mai capitato di sentir parlare in televisione o da interlocutori credibili di scenari di uscita dell’Italia dall’Euro e di possibile ritorno alla Lira? Ebbene sì, se sei alla ricerca di informazioni libere da vincoli di censura, ma da noi verificate e di cui riportiamo sempre i link alle fonti per ulteriore approfondimento personale, allora sei sul sito giusto. Anche noi ci interroghiamo sul futuro del Belpaese e vogliamo dirti che tanti cittadini italiani preferiscono negare l’evidenza e vivere con la testa nella sabbia, sopportando supinamente inefficienze, burocrazia e vessazioni di ogni tipo, secondo noi, invece, una sana e piena presa di consapevolezza è meglio di un disastro annunciato. Come riuscire a salvarsi dal fallimento italiano? Lo Spread BTP BUND è solo un termometro e come sai bene la febbre è solo un sintomo. La malattia è un'altra, un male profondo che va studiato e capito per poterlo guarire.       C'è tanto che puoi fare per migliorare la tua situazione, ti chiediamo solo di prendere in mano la tua vita e di decidere di leggere il materiale che abbiamo raccolto proprio per te, che sei venuto a trovarci sul nostro sito. Se senti un crescente malessere  quotidiano, come noi devi capirne l'origine per poterlo appianare. A volte siamo come una rana in pentola che non si accorge del fuoco che scalda l'acqua fino ad ucciderla. Bisogna capire di essere in pentola, per poter saltare fuori... Non sei tu ad essere sbagliato, è il paese in cui vivi, che è profondamente sbagliato, malato e incurabile. Nei nostri scritti troverai un percorso con punti chiave per acquisire piena consapevolezza della situazione. Facciamo o prossimi sette passi insieme e arriverai ad avere tutte le risposte che cerchi...   PRIMO PASSO VERSO LA SALVEZZA       Qui sotto troverai le ricerche più frequenti di oggi degli italiani, un ottimo indicatore della consapevolezza dei cittadini sulla crisi del paese in cui vivono. trends.embed.renderWidget("dailytrends", "", {"geo":"IT","guestPath":"https://trends.google.it:443/trends/embed/"}); e l'andamento delle ricerche collegate alla crisi italiana. trends.embed.renderExploreWidget("RELATED_QUERIES", {"comparisonItem":,"category":0,"property":""}, {"exploreQuery":"q=spread%20btp&date=today 12-m","guestPath":"https://trends.google.it:443/trends/embed/"}); Read the full article
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sportpeople · 8 years ago
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La vera sorpresa è accorgersi che qualcuno si sorprenda. Un fallimento – soprattutto quando si presenta in proporzioni tanto grandi da assumere margini epocali – non avviene certo casualmente. È soltanto il punto finale di una parabola discendente colma di errori e intrisa di lassismo, incompetenza e ingiustificata superbia.
È troppo semplice oggi scagliarsi contro Giampiero Ventura (tecnico inadeguato, sia chiaro, come inadeguato è però chi lo ha scelto) o prodursi in retorici eloqui che vorrebbero indicare i troppi stranieri nei nostri campionati e nei nostri vivai come unica ragione di una debacle fragorosa. Come se nei settori giovanili di Spagna e Germania (che ad oggi, ahinoi, rappresentano il top nel mondo del calcio anche in prospettiva futura) fossero tutti autoctoni.
Certo, è fuor di dubbio che l’inserire nelle nostre rose un numero elevato di forze provenienti da fuori, le quali troppo spesso apportano una valore aggiunto pari a zero (anzi, spesso favoriscono il livellamento verso il basso), non aiuti la salvaguardia del calcio nazionale, ma è altrettanto vero che fare un uso populistico e speculativo di questo conduce soltanto a continuare su questa falsariga di gioco al rimpiattino. Incompetenti contro contestatori in malafede. Con i grandi esclusi che continuano a essere quelli che lavorano da anni bene e sottotraccia. Ma forse non hanno i giusti santi in paradiso.
Se poi parliamo esclusivamente di vivai, il problema da noi è un altro: l’importazione di ragazzi “forestieri” per spendere di meno nella loro formazione, per rimpinguare le tasche di quei procuratori che ormai rappresentano davvero uno dei mali del calcio e per realizzare facili plusvalenze. Oppure lo scarto sistematico del talento quando non è “corredato” da un fisico in grado di incidere sui risultati già nelle prime fasi agonistiche.
Perché? Avete idea dei soldi che girano nel calcio giovanile e quante società vivano (e pure bene) grazie alla vittoria dei campionati agonistici? Questa corsa al soldo ovviamente azzera anche talenti di prospettiva. Questo affannarsi a rincorrere la vittoria in ogni modo e in ogni condizione porta alla sconfitta certa nel futuro immediato, quando ragazzi e squadre si fanno maggiorenni e sono chiamati a foraggiare la piramide calcistica dalla Terza Categoria alla Serie A.
Se poi ce la vogliamo prendere con gli oriundi facciamo pure, ma teniamo presente che in tre rose su quattro che hanno conquistato la Coppa del Mondo c’era almeno un giocatore naturalizzato. Nel 1934 Allemandi, Borel, Demaria, Guarisi e Guaita. Nel 1938 Andreolo. Nel 2006 Camoranesi. Senza menzionare poi i vari Altafini e Sivori che in oltre cent’anni di calcio italiano hanno vestito la maglia azzurra. Segnale di debolezza? Può essere. Ma è davvero da populisti addurre tale harakiri alla loro presenza.
Come detto gli insuccessi partono da lontano. Se andiamo ad analizzare la strada della Nazionale dopo il 2002 (a mio avviso ultima rosa di livello davvero eccellente) ci imbattiamo in un suo lento declino. Che guarda caso ha marciato di pari passo con l’invecchiamento di quei giocatori “vecchia scuola”, dotati di un certo carisma, come Del Piero, Buffon, Cannavaro, Gattuso, Nesta, Totti, Baggio e via dicendo. Il 2006 ci ha portato una Coppa del Mondo, ma a rivederla ora è stata più una restituzione di sfortune e insuccessi immeritati nei tre lustri precedenti che una vittoria dettata da un percorso netto e a spron battuto nella fattispecie. Nel calcio però serve anche questo.
Nel frattempo anche i club hanno smesso di essere tutto ciò che erano stati nel recente passato. Quante squadre si sono qualificate per la Coppa Uefa (o l’Europa League) senza neanche giocarla? Anche tra i grandi club, chi ha saputo vedere al di là del mero guadagno offerto dalla Champions League andando a rafforzare una tradizione di successi perdurata almeno fino all’inizio degli anni 2000? Ci sono stati casi sporadici, legati solo a determinate squadre e in determinate situazioni economiche. L’Italia ha di fatto smesso di essere un’amalgama corretta e gradualmente livellata. Passando dall’essere modello a voler copiare a tutti i costi modelli altrui. Ora ne paghiamo lo scotto.
E neanche i più retorici e patetici nazionalismi marcati Mamma Rai, neanche i commenti più scontati firmati Walter Zenga possono lavare questa vera e propria vergogna sportiva. Un collasso preannunciato che in tanti hanno provato a lenire parlando di arbitraggi scandalosi e gioco duro attuato dalla Svezia. Come se tutto ad un tratto il calcio fosse diventato uno sport senza contatto. Come se non fosse normale, logico e persino giustificato che una squadra meno tecnica e più fisica giochi tutte le sue chance in questa maniera. Scuse, scuse e ancora scuse. Solo questo sono risultate determinate chiacchiere da bar.
Chiacchiere da bar da una parte e dall’altra. Dabbenaggini dal lato degli strenui e interessati difensori istituzionali, attacchi spesso sconclusionati e volti a raccogliere quattro like sui social provenienti da alcuni pulpiti.
Mi si perdoni se sono costretto a chiamarlo in causa, ma posso sapere, ad esempio, in base a cosa tale Sandro Pochesci può fare morali e impartire lezioni al prossimo (utilizzando peraltro linguaggi e slang che faticano a comprendere al di fuori del Grande Raccordo Anulare)? Lui, dipendente di una società che sinora ha lasciato macerie laddove è transitata (vogliamo chiedere informazioni a Fondi, ad esempio?), trasgredendo qualsiasi regola di base nel rispetto delle tradizioni calcistiche?
Quando sono fallite le Parmalat di turno e quando nel nostro pallone hanno cominciato a girare sempre meno soldi (ma soprattutto quando gli stessi hanno cominciato ad essere ripartiti in malo modo) bisognava aumentare il lavoro di crescita tecnica, sopperendo alla retromarcia economica con la ricchezza delle conoscenze. E invece si è preferito adagiarsi sugli allori. Credendo che, in fondo sì “siamo l’Italia, tutto ci è dovuto”. Peccato che il mondo – come prevedibile – non si sia fermato ad aspettarci. E la grande occasione di riempire i nostri centri federali di talenti e utilizzare le nostre scuole calcio per quello che tale dicitura significa (scuole calcio=posti dove si insegna calcio) è stata gettata alle ortiche da una tipica cecità italiana. Producendo danni che ci porteremo dietro almeno per un altro decennio.
L’Italia non parteciperà ai mondiali esattamente come nel 1958. Il Mondiale del Maracanazo, la sconfitta in finale dei padroni di casa del Brasile contro l’Uruguay che indusse un’intera popolazione a cadere in una depressione collettiva. Sessant’anni dopo la solfa si ripete e – vivessimo in un Paese che sa fare un minimo di autocritica – troppe dovrebbero essere le teste a cadere per non far mai più ritorno sullo scranno del potere. Successivamente però una domanda mi sorgerebbe: chi li rimpiazzerebbe?
I Tommasi? Gli Albertini? Oppure i soliti “vecchioni” che ciclicamente escono dalla porta per rientrare dalla finestra? Se nei secondi le controindicazioni sono talmente palesi da non meritare neanche approfondimenti, nei primi si rischia seriamente di ingigantire quel modus operandi caratterizzato da una “leggerezza intellettuale” e da un “moralismo sportivo” che hanno un pochino distorto la strada sia delle nuove generazioni di calciatori e calciofili e sia quelle di addetti ai lavori validi e meritevoli di credito. In Italia, oltre ai discorsi triti e ritriti su quanto si debba essere belli, buoni ed educati sugli spalti e sul terreno di gioco, c’è bisogno di riforme vere e ponderate. E non di scelte fatte per azzittire il popolino e continuare, dietro le quinte, a riempirsi la pancia a spese del movimento sportivo. Necessitiamo di personaggi che il pallone ce l’hanno nelle vene e lo sanno declinare in tutte le sue accezioni. Anche con un po’ di sana cattiveria e magari con qualche giacca tirata a lucido in meno.
Ridurre le squadre nei campionati è senza dubbio una soluzione da attuare, ma come si può pretendere che un movimento calcistico sia florido se ogni anno – soltanto tra i professionisti – falliscono decine di società? Marchi storici, addetti ai lavori che divengono disoccupati e tifosi annichiliti con un colpo di spugna. Costretti, quando le cose vanno bene, a ripartire dal dilettantismo. Se la Nazionale è la massima espressione del calcio in un Paese bisognerebbe ritenersi fortunati nell’aver disputato Mondiali ed Europei senza troppi problemi fino a oggi.
Siamo andati avanti (e continueremo ad andare avanti) per troppi decenni con i Carraro, i Tavecchio, i Lotito, i Macalli, i Matarrese di turno. Ora ne paghiamo le spese. Ma non andrebbe neanche scritto per quanto è palese e chiaro. È un po’ come quando nel paesello c’è quel tizio abituato a rubacchiare per vivere. Per anni tutti lo sanno ma lo lasciano fare, poi arriva il giorno che ruba le galline sbagliate e tutti si indignano. Del resto abbiamo sempre detto che il calcio è lo specchio del Paese? E allora cosa ci potevamo aspettare? Basterebbe vedere il trend del nostro pallone in questi ultimi anni per realizzare con facilità che la serata di ieri altro non è che l’approdo finale di uno sistematico lavoro di smantellamento.
Comunque sono abbastanza certo che la soluzione “Gattopardo” sarà la più gettonata. Tutto cambierà per rimanere com’è. Del resto se il buongiorno si vede dal mattino sono tutti ancora là. Più baldanzosi che mai.
Ma in questo scenario vogliamo forse omettere il pubblico, gli stadi e il rapporto in generale col mondo del tifo in questi ultimi quindici anni? Stolto e miope chi non comprende il legame tra tutte queste componenti.
Una decina di anni fa ci avevano prospettato una nuova alba per gli stadi italiani. Ci hanno imposto tessere, biglietti nominativi, prezzi esorbitanti, barriere, orari impossibili e partite sempre meno interessanti. Tutto per riportare “le famiglie allo stadio”, ci hanno raccontato. E siccome questi sono temi che noi abbiamo sempre affrontato in maniera approfondita, non ci sarebbe neanche bisogno di spiegare quanto l’allontanamento dei tifosi dalle gradinate e dal calcio in generale sia uno dei massimi risultati ottenuti dai cervelloni che per tutto questo tempo si sono avvicendati nella stanza dei bottoni. Tanto che ieri mattina ci saremmo anche aspettati un bel titolone, su un giornale nazionale, per accollare agli ultras la mancata qualificazione. Sarebbero stati capaci.
E invece hanno puntato su un qualcosa di impossibile nei giorni precedenti: la presunta bolgia che il pubblico di San Siro avrebbe dovuto creare. Il pubblico della Nazionale, storicamente mai stato rumoroso, figuriamoci dopo anni in cui chiunque ha osato frequentare gli spalti è stato additato con ogni genere di epiteto. Scalmanato, ignorante, violento, camorrista e chi più ne ha più ne metta. Però, all’occorrenza, lunedì sera a tutti sarebbero piaciute le due curve del Meazza con gli ultras. Magari anche con i tamburi e i fumogeni che per tanti anni sono stati demonizzati e vietati. E magari pure con un paio di megafoni.
E invece no, pensa tu. Il ruolo dei leoni lo hanno fatto i “freddi” scandinavi. Non ultras magari, ma calorosi per tutti i 180′. Erano 1.800 nello sperduto terzo anello (chissà cosa avranno pensato circa l’ospitalità italiana, dopo che ai supporter azzurri a Stoccolma era stato destinato uno spicchietto adiacente al campo) e hanno fatto il possibile per farsi sentire. Poco da imputargli. Tanta voce – soprattutto nei momenti di difficoltà della propria nazionale – tanto colore e tanta voglia di divertirsi, ritmati – loro sì – dall’incessante suono del tamburo. La stessa voglia di divertirsi che al pubblico italiano hanno insegnato essere un comportamento che va contro il fair play. Persino un fumogeno giallo accesso nel finale per festeggiare la qualificazione.
Di fronte a loro 70.000 manichini impassibili. Di cosa vogliamo parlare? Del vostro ideale di pubblico che ha fallito in ogni suo punto e in ogni sua forma?
Nota a margine: dopo diversi anni ho rivisto all’esterno dello stadio una quantità impressionante di bagarini e venditori abusivi vari. Ovviamente il tutto di fronte alle centinaia di agenti schierati per paura di non si sa quali incidenti, vista la tranquillità della tifoseria ospite e l’inesistenza di quella italiana, almeno nelle partite casalinghe (diversa la storia fuori casa, dove comunque va dato atto al movimento Ultras Italia di aver creato un discreto zoccolo duro sempre presente).
Ecco, per tutte queste ragioni non si continui a credere alla favola degli episodi sporadici. C’è chi pensava di aver toccato il fondo nel 2010 in Sudafrica, quando si riuscì a non passare un girone che tra le avversarie vedeva la Nuova Zelanda. Si è riusciti a far peggio. E siccome al peggio non c’è mai fine chissà cosa dovremo aspettarci nel futuro prossimo.
Ho smesso da tempo di credere che l’Italia, in qualsiasi campo della vita, sia capace di lavorare con programmazione, umiltà e abnegazione. Per farlo ci sarebbe bisogno di un radicale cambio dai vertici alla base. Troppo complicato per gli interessi e i nepotismi che ci sono costantemente in ballo.
Era ovvio che neanche il nostro proverbiale “stellone” avrebbe potuti salvarci vita natural durante. Così come era ovvio che in un Paese dove è ormai vietato sognare, anche per tanti bambini divenisse proibito vivere quello che un po’ tutte le nostre generazioni hanno vissuto: l’estate davanti alla televisione, con il calcio improvvisamente divenuto interessante anche per chi non ne conosce le regole basilari e le esultanze sfrenate ai gol o le lacrime alle dolorose eliminazioni ai calci di rigore.
Infine: avevamo poche cose certe. E tra queste c’era senza dubbio la Nazionale di calcio. Nessuno si è mai interessato alle qualificazioni, ad esempio, perché ritenute semplice formalità. D’ora in avanti cade anche questo mito. Un primato davvero poco edificante.
L’avete fatto grosso il danno.
Simone Meloni
  Italia-Svezia, qualificazioni mondiali: analisi di una disfatta annunciata La vera sorpresa è accorgersi che qualcuno si sorprenda. Un fallimento - soprattutto quando si presenta in proporzioni tanto grandi da assumere margini epocali - non avviene certo casualmente.
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IL 7 NOVEMBRE 2017 IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA DECIDERA’ LE SORTI DELLA STORICA FABBRICA DI CAPPELLI FAMOSA IN TUTTO IL MONDO PER AVER COPERTO LE TESTE DI ATTORI FAMOSI,POLITICI,INDUSTRIALI,PERSONAGGI CELEBRI,GENTE COMUNE E,ANCHE,FAMOSI GANGSTER E BOSS MAFIOSI COME  AL CAPONE NON RINUNCIAVANO MAI AL BORSALINO.
Lo storico marchio di cappelli nato originariamente per soddisfare la moda femminile del XX secolo,venne indossato dal 1920 come accessorio dagli uomini della classe agiata.
Il ‘borsalino’ è presente nel dizionario Treccani: “marchio registrato di un cappello floscio di feltro, per uomo, con cupola a tronco di cono e tesa di media larghezza, prodotto dalla fabbrica Borsalino”.
Ebbe il suo periodo di massima popolarità e diffusione nel 1930, fino a sostituire la Lobbia, in ogni colore pur essendo il nero, il marrone e il rosso quelli più comuni.
La fedora fu un simbolo femminile entrato nella cultura,gli usi e i costumi delle donne a partire dal 1891,quando a seguito della sceneggiatura di Victorien Sardou,scritta per Sarah Bernhardt,messa in scena per la prima volta in America,interpretava il ruolo della principessa Fedora. La moda maschile del Borsalino si impose nel XX secolo,quando molti Haredi e altri ebrei ortodossi indossavano Borsalini neri,ma non solo perché veniva spesso usato in città per proteggere la testa dal vento e dalle intemperie,ma poteva essere arrotolato se inutilizzato.
I cappelli non sono tutti uguali. Un borsalino è per sempre. Robert Redford addirittura scrisse una lettera a un ererde della famiglia Borsalino per avere il copricapo che indossava Mastroianni in “8 e 1/2“: “Dear Vittorio, you may remember me…my name is Robert Redford”.
Il cappello Borsalino ebbe un periodo di bassa popolarità verso la fine degli anni ’50-’60,ancora prima della west-coast degli USA nota più per l’abbigliamento casual.
Il cambio di moda di quegli anni con colletti e cravatte più sottili,l’introduzione delle auto negli anni ’50 che rendeva difficile indossare cappelli durante la guida,l’immagine di accessorio usato solo da persone anziane negli anni ’70  ne decretarono la “non essenzialità” e il declino.
Il Borsalino è un cappello invernale di feltro soffice incavato nella sua lunghezza è stato rivalutato negli ultimi anni,ma le “fedore” anziché grigie,marroni o nere hanno diversi colori e motivi,ma le più comuni sono quelle a scacchi anche se se ne vedono di nere con strisce bianche.
  Il Borsalino è divenuto famoso per essere stato usato come accessorio quotidiano da personaggi celebri, quali AL Capone,Federico Fellini, e Mitterand; attori famosi come Humphrey Bogart, Harrison Ford,Dan Aykroyd,Robert Englund(Freddy Krueger),John Belushi nel film The Blues Brothers.
Il film Borsalino del 1970 con Alain Delon e Jean Paul Belmondo; indossato da Rorschach personaggio dei fumetti Watchmen,nel manga/anime One Piece in cui unop dei tre ammiragli vestito da gangster si chiama Borsalino.
Il cappello associato ai gangster nell’era del proibizionismo e ai detective che lo combattevano. Il cappello associato spesso a personaggi nella parte del “duro” veniva usato spesso da Micheal Jackson durante le sue esibizioni.
Alla Borsalino,celebre fabbrica fondata da “u siur Pipen” nel 1857,un pezzo d’Italia che ha fatto la storia del cinema e della moda nel mondo,  si usa dire:”In passato creammo generazioni di stile. Oggi creiamo lo stile delle nuove generazioni”.
Il mito dei cappelli,Borsalino,però è destinata al declino se non si procederà al suo risanamento,che pur avendo chiuso il 2015 con un fatturato di 15 milioni di euro,e un più 20% nel 2016 rischia lo stop della produzione degli storici cappelli
I motivi sono da ricercare, come spiegava molto bene Piero Bottino de La Stampa nel 2015, nella speculazione della finanza e di come la finanza d’assalto possa  condizionare un industria sana fino a portarla all’estremo del fallimento.
 L’origine dei guai della Borsalino sono da imputare al finanziereastigiano,Marco Marenco,  61 anni, ex “re del gas” imputato per la maxi bancarotta fraudolenta delle sue società,e danni complessivi per oltre 3 miliardi di eurodi debiti non pagati con le banche e imposte e accise non versate all’Erario.
Dopo Parmalat il crack in Italia più oneroso.
Gli investigatori descrivono Marenco come un genio della matematica finanziaria e per uno “sfizio” aveva deciso di acquistare il marchio”Borsalino” di Alessandria,incrementando le scatole cinesi fatte di società dell’energia e un gioiellino della moda.
Le quote di almeno 11 società dopo il crack sono riconducibili al finanziere e messe sotto sequestro,ma tra queste compare anche la Borsalino di cui era proprietario per il 50,45%,oltre al 17,47% del cappellificio Finind commissariato per bancarotta.
I componenti del Cda della Borsalino,Marco Moccia, Francesco Canepa, Raffaele Grimaldi,deve pagare i dipendenti e in parte i fornitori,ma a causa della scarsa liquidità al tribunale di Alessandria il concordato preventivo: lo strumento giuridico per evitare il fallimento con cui si cerca un accordo per dare una parziale soddisfazione ai creditori e proseguire l’attività dell’azienda.
Borsalino è nel mirino dei creditori,o meglio è entrata nel crack di marenco,e il futuro è tutt’altro che scontato finchè Philippe Camperio, imprenditore italo-svizzero, alla guida di un ‘collective’ di investitori, decide di investire nel salvataggio de Borsalino.
Philippe Camperio con i suoi soci sembrano poter dare affidamento e continuità all’attività del cappellificio subentrano nella proprietà a Maggio del 2015,affittando un ramo d’azienda attraverso il fondo Haeres Esquita, per poi diventarne proprietario alla fine dell’iter previsto dalla legge.
La Borsalino non conosce crisi e continua a vendere senza registrare contraccolpi per le sventure finanziarie e a ottobre lancia il progetto itinerante del  cappello su misura coinvolgendo nel progetto le boutique del marchio. L’alt del tribunale di Alessandria raffredda le speranze,ma non per la gestione italo-svizzero quanto ai problemi tecnico-contabili relativi alla precedente.
Il decreto del tribunale parla di sospetti giri di capitali fino al 2012-2013 con società del bancarottiere Marenco.
L’azienda non è  fallita e non è a passo dal fallimento poiché nessuna istanza di fallimento è stata presentata, esiste invece il rischio di una chiusura contrariamente alla volontà di proseguire nella produzione dello storico marchio. Le ipotesi al vaglio per uscire dal vicolo cieco in cui l’azienda si è trovata sono quella di presentare un altro concordato, nuova ristrutturazione del debito con una nuova iniezione di denaro o il ricorso in Cassazione.
Giuseppe Borsalino, “u siur Pipen”, classe 1834,per avere la qualifica di Maestro Cappellaio aveva lavorato per lunghi 7 anni nel cappellificio Berteil in Rue du Temple a Parigi,tornato ad Alessandria aveva aperto il suo laboratorio in via Schiavina insieme al fratello,e sicuramente non avrebbe voluto vedere la sua creazione finire nelle aule di un tribunale.
Siur Pipen aveva intuito che la provincia non era il suo destino,ma l’internazionalizzazione dl marchio poteva fare la sua fortuna e quella dell’azienda. Inghilterra: Denton, Stockport, Manchester, con le macchine che avevano rivoluzionato il mestiere dei cappellai. Nel 1897 visita la fabbrica di Battersby a Londra dove di nascosto, “senza farsi vedere”, intinge il suo fazzoletto nella vasca della ‘catramatura’ e porta in Italia il segreto inglese per la fabbricazione delle perfette bombette. Ma questa è leggenda ,il resto lo ha fatto la storia del marchio.
la Borsalino ha dieci punti vendita di proprietà in Italia , uno a Parigi ed è presente nelle boutique e negli stores di tutto il mondo: da Saks Fifth Avenue a Harrod’s, da Galeries Lafayette a Printemps.
Dove l’uomo fa il cappello e il cappello fa l’uomo,ma per fare tutto questo occorrono 50 passaggi produttivi con un processo tramandato di generazione in generazione dove si alternano macchine e mano dell’artigiano: sfioccatura, soffiatura, imbastitura, pre-follatura, visitaggio, bagnaggio, follatura, assemblaggio, tintura, sbridaggio, apprettatura, informatura, pomiciatura, informatura di seconda, visitaggio, bridaggio e finissaggio e sette settimane di lavoro per ogni copricapo.
ALESSANDRIA. BORSALINO: L’AZIENDA DI CAPPELLI ALESSANDRINA FAMOSA NEL MONDO DA SALVARE. IL 7 NOVEMBRE 2017 IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA DECIDERA' LE SORTI DELLA STORICA FABBRICA DI CAPPELLI FAMOSA IN TUTTO IL MONDO PER AVER COPERTO LE TESTE DI ATTORI FAMOSI,POLITICI,INDUSTRIALI,PERSONAGGI CELEBRI,GENTE COMUNE E,ANCHE,FAMOSI GANGSTER E BOSS MAFIOSI COME  AL CAPONE NON RINUNCIAVANO MAI AL BORSALINO.
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purpleavenuecupcake · 8 years ago
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Gen. Preziosa, supermercato Italia, ecco perchè i francesi & co ........
La stampa francese "Le Figaro" e " Le Monde", da ieri ha iniziato a scrivere sul comportamento poco ortodosso del governo francese nei confronti dell'Italia. Per fortuna la carta stampata riesce ad esprimere evidenze chiare  anche ad un bambino. La  "storiella", però, inizia non molto tempo fa. L'anno della caduta del governo Berlusconi IV e dell'arrivo dell'ultra-europeista Mario Monti a Palazzo Chigi, dopo mesi di attacchi politici e finanziari al nostro Paese, ricordate lo "spread" che superò quota 500? Fu l'anno segnato dai quei "ridicoli" risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al Consiglio Europeo del 23 ottobre 2011. E proprio in quei giorni decisero di affossare l'Italia.Come ha rilevato Scenarieconomici, spulciando fra le mail dell'allora Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si scopre che l'attacco internazionale che portò alla caduta del regime di Muhammar Gheddafi e all'uccisione del Colonnello venne lanciato solo ed esclusivamente per rispondere a precisi interessi geostrategici francesi, con l'avallo statunitense. A tutto discapito degli interessi italiani.Certo, sapevamo già che la guerra voluta da Sarkozy era un mezzo per estromettere il nostro Paese dal controllo del petrolio libico, ma vederlo scritto nero su bianco desta comunque, tanta rabbia e risentimento. Ma ci fa capire che siamo stati stretti da una "morsa", micidiale. E allora vediamo cosa contengono, quelle e-mail, poco note.Il 2 aprile del 2011, la candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton riceveva un messaggio dal suo consigliere per il Medio Oriente Sidney Bluementhal dai toni assai espliciti. Da quelle righe emerge che il presidente francese dell'epoca, Sarkozy, aveva finanziato e aiutato, in ogni modo, le fazioni anti gheddafiane con denaro, armi e addestratori, allo scopo di strappare più quote di produzione del petrolio in Libia e rafforzare la propria posizione  sia sul fronte politico esterno sia su quello geostrategico globale. A motivare definitivamente la decisione dell'Eliseo di entrare nel conflitto sarebbe stato il progetto del raìs  di soppiantare il franco francese africano con una nuova divisa pan-africana, nell'ottica di un'ascesa della Libia come potenza regionale in grado di raccogliere intorno a sè un'alleanza regionale di Stati. Sostituendo, così, proprio la Francia, a suon di oro e di argento, Gheddafi ne avrebbe conservate poco meno di trecento tonnellate.Le conseguenze dell'intervento sono storia nota, con la Libia precipitata in una sanguinosa guerra civile, l'Isis che spadroneggia sulle coste meridionali del Mediterraneo e un'ondata di migranti, senza precedenti, che continua a riversarsi sulle nostre coste. All'epoca l'Italia, all'oscuro di tutto, prese parte alla guerra contro Gheddafi. Ora però è evidente che all'epoca Germania, con attacco speculativo e Francia, con una politica estera decisa e strategica, avevano un solo obiettivo, prevalere sull'Italia. Approfittare di un Paese sempre diviso dalle battaglie politiche interne, un Paese debole, instabile e senza strategia.Le ripercussioni di quelle azioni sono, oggi, la conseguenza del nostro disagio. Gran parte delle colpe sono nostre, ma reale fallimento è la Comunità europea. Una Istituzione che non riesce ad imprimere una politica estera comune. I nazionalismi, difficili da scardinare nel vecchio continente, prevalgono sulla flebile possibilità di avere una politica estera e forse di difesa comune. Se fossimo davvero uniti, non ce ne sarebbe per nessuno. Basta vedere il Pil dell'Europa, il primo al mondo, per non parlare dell'Industria, della Ricerca e di tutto quello che occorre per iniziare a parlare di Sistema Europa. Se fossimo davvero uniti, potremmo decidere davvero da superpotenza. Il Processo di unificazione, quello vero, però a quanto pare non lo vuole proprio nessuno, in "primis" gli Stati Uniti. Ma tornando ai giorni nostri e all'Italia, ecco come la Francia ha fatto incetta, negli anni, delle nostre aziende, senza che nessuno ponesse il "veto". Il gruppo multimediale francese Vivendi, ha preso le redini di Telecom Italia, passando per il gigante francese della gestione patrimoniale Amundi, che ha comprato dalla banca Unicredit la controllata Pioneer; per finire con la lunga lista di marchi italiani della moda e del lusso passati sotto bandiera francese e di cui e' simbolo anche il matrimonio tra Essilor e Luxottica. Antesignane di tutte queste acquisizioni nell'ultimo decennio, ricorda il quotidiano, sono stati il gigante agro-alimentare francese Lactalis, che ha ingoiato l'industria casearia italiana Parmalat; e l'acquisizione dell'azienda elettrica italiana Edison da parte del gigante energetico statale francese Edf, condotta mentre l'altro grande gruppo energetico pubblico francese Engie (ex Gdf Suez) si e' impadronito di diverse aziende elettriche municipali italiane. L'aspetto peggiore è, tuttavia, l'instabilità politica italiana e un prossimo futuro politico ancor peggiore. Come già scritto nell'articolo "le elezioni europee viste oltreoceano", non si andrà verso una politica di tutela degli interessi nazionali e soprattutto non protenderà verso una politica estera strategica. Non per incapacità ma per il solo motivo che non abbiamo il tempo di guardare fuori dal recinto Italia, troppi sono i problemi all'interno. La nostra fortuna? Siamo bravissimi a gestire le "emergenze", non sempre però il fato sarà dalla nostra parte.   di Pasquale Preziosa   Click to Post
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purpleavenuecupcake · 8 years ago
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Preziosa, supermercato Italia, ecco perchè i francesi & co ........
La stampa francese "Le Figaro" e " Le Monde", da ieri ha iniziato a scrivere sul comportamento poco ortodosso del governo francese nei confronti dell'Italia. Per fortuna la carta stampata riesce ad esprimere evidenze chiare  anche ad un bambino. La  "storiella", però, inizia non molto tempo fa. L'anno della caduta del governo Berlusconi IV e dell'arrivo dell'ultra-europeista Mario Monti a Palazzo Chigi, dopo mesi di attacchi politici e finanziari al nostro Paese, ricordate lo "spread" che superò quota 500? Fu l'anno segnato dai quei "ridicoli" risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al Consiglio Europeo del 23 ottobre 2011. E proprio in quei giorni decisero di affossare l'Italia.Come ha rilevato Scenarieconomici, spulciando fra le mail dell'allora Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si scopre che l'attacco internazionale che portò alla caduta del regime di Muhammar Gheddafi e all'uccisione del Colonnello venne lanciato solo ed esclusivamente per rispondere a precisi interessi geostrategici francesi, con l'avallo statunitense. A tutto discapito degli interessi italiani.Certo, sapevamo già che la guerra voluta da Sarkozy era un mezzo per estromettere il nostro Paese dal controllo del petrolio libico, ma vederlo scritto nero su bianco desta comunque, tanta rabbia e risentimento. Ma ci fa capire che siamo stati stretti da una "morsa", micidiale. E allora vediamo cosa contengono, quelle e-mail, poco note.Il 2 aprile del 2011, la candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton riceveva un messaggio dal suo consigliere per il Medio Oriente Sidney Bluementhal dai toni assai espliciti. Da quelle righe emerge che il presidente francese dell'epoca, Sarkozy, aveva finanziato e aiutato, in ogni modo, le fazioni anti gheddafiane con denaro, armi e addestratori, allo scopo di strappare più quote di produzione del petrolio in Libia e rafforzare la propria posizione  sia sul fronte politico esterno sia su quello geostrategico globale. A motivare definitivamente la decisione dell'Eliseo di entrare nel conflitto sarebbe stato il progetto del raìs  di soppiantare il franco francese africano con una nuova divisa pan-africana, nell'ottica di un'ascesa della Libia come potenza regionale in grado di raccogliere intorno a sè un'alleanza regionale di Stati. Sostituendo, così, proprio la Francia, a suon di oro e di argento, Gheddafi ne avrebbe conservate poco meno di trecento tonnellate.Le conseguenze dell'intervento sono storia nota, con la Libia precipitata in una sanguinosa guerra civile, l'Isis che spadroneggia sulle coste meridionali del Mediterraneo e un'ondata di migranti, senza precedenti, che continua a riversarsi sulle nostre coste. All'epoca l'Italia, all'oscuro di tutto, prese parte alla guerra contro Gheddafi. Ora però è evidente che all'epoca Germania, con attacco speculativo e Francia, con una politica estera decisa e strategica, avevano un solo obiettivo, prevalere sull'Italia. Approfittare di un Paese sempre diviso dalle battaglie politiche interne, un Paese debole, instabile e senza strategia.Le ripercussioni di quelle azioni sono, oggi, la conseguenza del nostro disagio. Gran parte delle colpe sono nostre, ma reale fallimento è la Comunità europea. Una Istituzione che non riesce ad imprimere una politica estera comune. I nazionalismi, difficili da scardinare nel vecchio continente, prevalgono sulla flebile possibilità di avere una politica estera e forse di difesa comune. Se fossimo davvero uniti, non ce ne sarebbe per nessuno. Basta vedere il Pil dell'Europa, il primo al mondo, per non parlare dell'Industria, della Ricerca e di tutto quello che occorre per iniziare a parlare di Sistema Europa. Se fossimo davvero uniti, potremmo decidere davvero da superpotenza. Il Processo di unificazione, quello vero, però a quanto pare non lo vuole proprio nessuno, in "primis" gli Stati Uniti. Ma tornando ai giorni nostri e all'Italia, ecco come la Francia ha fatto incetta, negli anni, delle nostre aziende, senza che nessuno ponesse il "veto". Il gruppo multimediale francese Vivendi, ha preso le redini di Telecom Italia, passando per il gigante francese della gestione patrimoniale Amundi, che ha comprato dalla banca Unicredit la controllata Pioneer; per finire con la lunga lista di marchi italiani della moda e del lusso passati sotto bandiera francese e di cui e' simbolo anche il matrimonio tra Essilor e Luxottica. Antesignane di tutte queste acquisizioni nell'ultimo decennio, ricorda il quotidiano, sono stati il gigante agro-alimentare francese Lactalis, che ha ingoiato l'industria casearia italiana Parmalat; e l'acquisizione dell'azienda elettrica italiana Edison da parte del gigante energetico statale francese Edf, condotta mentre l'altro grande gruppo energetico pubblico francese Engie (ex Gdf Suez) si e' impadronito di diverse aziende elettriche municipali italiane. L'aspetto peggiore è, tuttavia, l'instabilità politica italiana e un prossimo futuro politico ancor peggiore. Come già scritto nell'articolo "le elezioni europee viste oltreoceano", non si andrà verso una politica di tutela degli interessi nazionali e soprattutto non protenderà verso una politica estera strategica. Non per incapacità ma per il solo motivo che non abbiamo il tempo di guardare fuori dal recinto Italia, troppi sono i problemi all'interno. La nostra fortuna? Siamo bravissimi a gestire le "emergenze", non sempre però il fato sarà dalla nostra parte.   di Pasquale Preziosa   Click to Post
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Preziosa, supermercato Italia, ecco perchè i francesi & co ........
La stampa francese "Le Figaro" e " Le Monde", da ieri ha iniziato a scrivere sul comportamento poco ortodosso del governo francese nei confronti dell'Italia. Per fortuna la carta stampata riesce ad esprimere evidenze chiare  anche ad un bambino. La  "storiella", però, inizia non molto tempo fa. L'anno della caduta del governo Berlusconi IV e dell'arrivo dell'ultra-europeista Mario Monti a Palazzo Chigi, dopo mesi di attacchi politici e finanziari al nostro Paese, ricordate lo "spread" che superò quota 500? Fu l'anno segnato dai quei "ridicoli" risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al Consiglio Europeo del 23 ottobre 2011. E proprio in quei giorni decisero di affossare l'Italia. Come ha rilevato Scenarieconomici, spulciando fra le mail dell'allora Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si scopre che l'attacco internazionale che portò alla caduta del regime di Muhammar Gheddafi e all'uccisione del Colonnello venne lanciato solo ed esclusivamente per rispondere a precisi interessi geostrategici francesi, con l'avallo statunitense. A tutto discapito degli interessi italiani. Certo, sapevamo già che la guerra voluta da Sarkozy era un mezzo per estromettere il nostro Paese dal controllo del petrolio libico, ma vederlo scritto nero su bianco desta comunque, tanta rabbia e risentimento. Ma ci fa capire che siamo stati stretti da una "morsa", micidiale. E allora vediamo cosa contengono, quelle e-mail, poco note. Il 2 aprile del 2011, la candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton riceveva un messaggio dal suo consigliere per il Medio Oriente Sidney Bluementhal dai toni assai espliciti. Da quelle righe emerge che il presidente francese dell'epoca, Sarkozy, aveva finanziato e aiutato, in ogni modo, le fazioni anti gheddafiane con denaro, armi e addestratori, allo scopo di strappare più quote di produzione del petrolio in Libia e rafforzare la propria posizione  sia sul fronte politico esterno sia su quello geostrategico globale. A motivare definitivamente la decisione dell'Eliseo di entrare nel conflitto sarebbe stato il progetto del raìs  di soppiantare il franco francese africano con una nuova divisa pan-africana, nell'ottica di un'ascesa della Libia come potenza regionale in grado di raccogliere intorno a sè un'alleanza regionale di Stati. Sostituendo, così, proprio la Francia, a suon di oro e di argento, Gheddafi ne avrebbe conservate poco meno di trecento tonnellate. Le conseguenze dell'intervento sono storia nota, con la Libia precipitata in una sanguinosa guerra civile, l'Isis che spadroneggia sulle coste meridionali del Mediterraneo e un'ondata di migranti, senza precedenti, che continua a riversarsi sulle nostre coste. All'epoca l'Italia, all'oscuro di tutto, prese parte alla guerra contro Gheddafi. Ora però è evidente che all'epoca Germania, con attacco speculativo e Francia, con una politica estera decisa e strategica, avevano un solo obiettivo, prevalere sull'Italia. Approfittare di un Paese sempre diviso dalle battaglie politiche interne, un Paese debole, instabile e senza strategia. Le ripercussioni di quelle azioni sono, oggi, la conseguenza del nostro disagio. Gran parte delle colpe sono nostre, ma reale fallimento è la Comunità europea. Una Istituzione che non riesce ad imprimere una politica estera comune. I nazionalismi, difficili da scardinare nel vecchio continente, prevalgono sulla flebile possibilità di avere una politica estera e forse di difesa comune. Se fossimo davvero uniti, non ce ne sarebbe per nessuno. Basta vedere il Pil dell'Europa, il primo al mondo, per non parlare dell'Industria, della Ricerca e di tutto quello che occorre per iniziare a parlare di Sistema Europa. Se fossimo davvero uniti, potremmo decidere davvero da superpotenza. Il Processo di unificazione, quello vero, però a quanto pare non lo vuole proprio nessuno, in "primis" gli Stati Uniti. Ma tornando ai giorni nostri e all'Italia, ecco come la Francia ha fatto incetta, negli anni, delle nostre aziende, senza che nessuno ponesse il "veto". Il gruppo multimediale francese Vivendi, ha preso le redini di Telecom Italia, passando per il gigante francese della gestione patrimoniale Amundi, che ha comprato dalla banca Unicredit la controllata Pioneer; per finire con la lunga lista di marchi italiani della moda e del lusso passati sotto bandiera francese e di cui e' simbolo anche il matrimonio tra Essilor e Luxottica. Antesignane di tutte queste acquisizioni nell'ultimo decennio, ricorda il quotidiano, sono stati il gigante agro-alimentare francese Lactalis, che ha ingoiato l'industria casearia italiana Parmalat; e l'acquisizione dell'azienda elettrica italiana Edison da parte del gigante energetico statale francese Edf, condotta mentre l'altro grande gruppo energetico pubblico francese Engie (ex Gdf Suez) si e' impadronito di diverse aziende elettriche municipali italiane. L'aspetto peggiore è, tuttavia, l'instabilità politica italiana e un prossimo futuro politico ancor peggiore. Come già scritto nell'articolo "le elezioni europee viste oltreoceano", non si andrà verso una politica di tutela degli interessi nazionali e soprattutto non protenderà verso una politica estera strategica. Non per incapacità ma per il solo motivo che non abbiamo il tempo di guardare fuori dal recinto Italia, troppi sono i problemi all'interno. La nostra fortuna? Siamo bravissimi a gestire le "emergenze", non sempre però il fato sarà dalla nostra parte.   di Pasquale Preziosa   Click to Post
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