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#Radici di pace
marcogiovenale · 28 days
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28 aprile, roma: radici di pace - incontro per sos children's villages palestine
cliccare per ingrandire Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? Bertrand Russel, Albert Einstein, 1955 Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella…
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smokingago · 2 months
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“Un giorno forse arriverà la notte delle notti dove magari non fai l’amore ma dormi solo insieme, a fumare previsioni di pace, con la testa sul suo seno, sereno. A capire che toccare una mente è assai più complicato che toccare un corpo, perché un corpo puoi stringerlo in un letto ma una mente no. Una mente va dove vuole. Quando resta, una mente, vuole darti tutto, vuole darsi davvero. Oltre presenze e assenze, oltre distanze e vicinanze, oltre quello che puoi dire o non dire, fare o non fare. È ubiquamente tua. Sa sorriderti più delle labbra, quando si accorge che non vuoi possederla ma prendertene cura. Ed è questo il miracolo profondo, il senso denso di un vero incontro. Questo l’apice di ogni corrispondenza d’anima. Questo il senso di appartenenza. Partire per restare. Viaggiare senza spostarsi ma andare dappertutto. Mantenersi sempre un po’ selvatici ma farsi attraversare oltre i limiti dei propri confini. E lasciarsi finalmente contaminare gli occhi da radici felici.”
Massimo Bisotti
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fogliodicarta · 1 month
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Ora, lasciatemi in pace.
Ora, abituatevi alla mia assenza.
Io chiuderò gli occhi
e dirò solo cinque cose,
cinque radici preferite.
Una è l’amore senza fine.
La seconda è vedere l’autunno.
Non posso vivere senza che le foglie
volino e tornino alla terra.
La terza è il grave inverno,
la pioggia che ho amato, la carezza
del fuoco nel freddo silvestre.
La quarta cosa è l’estate
rotonda come un’anguria.
La quinta sono i tuoi occhi.
Non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io tramuto la primavera
affinché tu continui a guardarmi.
Amici, questo è quanto voglio.
E’ quasi nulla ed è quasi tutto.
Ora se volete andatevene.
Ho vissuto tanto che un giorno
dovrete per forza dimenticarmi,
cancellarmi dalla lavagna:
il mio cuore è stato interminabile.
Ma perché chiedo silenzio
non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario:
succede che sto per vivere.
Mai sentito così sonoro,
mai avuto tanti baci.
Ora, come sempre, è presto.
La luce vola con le sue api.
Lasciatemi solo con il giorno.
Chiedo il permesso di nascere..
Pablo Neruda,
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fioredialabastro · 6 months
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Una rabbia costruttiva
La vicenda di Giulia mi ha sconvolto più delle altre. Penso a quando mi sono laureata alla triennale quattro anni fa e il mio ragazzo di allora, malato di depressione, arrabbiato col mondo e per nulla intenzionato a farsi aiutare nonostante gli sforzi, era palesemente invidioso, al punto da sussurrarmi all'orecchio, un minuto prima di essere chiamata sul palco e proclamata dottoressa: "Certo che qua i 110 e lode li regalano, alla mia facoltà te li sogni". Quella frase, ovviamente, fondava le radici su parole e gesti ben più gravi, come quando prendevo bei voti agli esami e mi diceva che ero stata solo fortunata a ricevere le domande giuste, o quando mi costringeva a studiare con lui e mi lasciava rinchiusa nella stanza, impedendomi di tornare a casa o di andarsene dalla mia finché non aveva finito ciò che doveva. Allora penso all'invidia di Filippo per i successi professionali di Giulia, a come la sua rabbia si sia trasformata in un agghiacciante omicidio premeditato e realizzo quanto io sia stata fortunata del fatto che le violenze del mio ex si fossero fermate a qualche passo dall'inevitabile, anche dopo averlo lasciato.
È una sensazione terribile, perché solo adesso, a distanza di tutti questi anni, mi rendo conto profondamente della gravità della situazione che stavo vivendo. Tante volte, di fronte all'ennesima sopraffazione da parte sua, ho pensato: "Stiamo insieme da quattro anni, mi ama ma non riesce a dimostrarlo e poi non sono mai tornata a casa con un occhio nero, non può essere paragonabile a quelle storie che sento al telegiornale". Invece sì, lo è. Probabilmente, se non lo avessi lasciato facendogli credere che la scelta fosse sua, se mio papà non fosse intervenuto in maniera diplomatica dopo la rottura, a lungo andare avrei fatto la stessa fine di Giulia e di tutte le altre vittime. Perché quando vivi una relazione tossica, non sei consapevole di dove può arrivare la persona che dice di amarti e che credi di amare, anche se conosci bene i suoi problemi e ciò che un rapporto sano richiede. Si minimizza, si giustifica, si muore, lentamente.
Così, quando credo di aver superato il passato perché mi sento in pace per essere riuscita a perdonarlo e a non augurargli il peggio, ecco l'ennesima donna che muore per mano maschile, ricordandomi che il perdono ha senso solo se non si dimentica il male ricevuto. Perciò sì, sono stata fortunata, ma non per questo vado a ringraziare il mio ex per non avermi ammazzato. Piuttosto, voglio che questa rabbia rimanga, per continuare a lottare per una società più giusta, per non sentirmi più una sopravvissuta ogni volta che si parla di femminicidio.
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canesenzafissadimora · 4 months
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"La vita ti disillude perché tu smetta di vivere di illusioni e veda la realtà.
La vita ti distrugge tutto ciò che è superfluo, fino a che rimanga solo ciò che è importante.
La vita non ti lascia in pace affinché tu smetta di combatterla e accetti ciò che è.
La vita ti toglie ciò che hai, fino a che non smetti di lamentarti e inizi a ringraziare.
La vita ti manda persone conflittuali affinché tu guarisca e smetta di proiettare fuori ciò che hai dentro.
La vita lascia che tu cada una e un'altra volta fino a che ti decidi ad imparare la lezione.
La vita ti porta fuori strada e ti presenta incroci fino a che non smetti di voler controllare e fluisci come un fiume.
La vita ti pone nemici sul cammino fino a che non smetti di "reagire".
La vita ti spaventa tutte le volte necessarie a perdere la paura e riacquistare la fede.
La vita ti toglie il vero amore, non te lo concede né te lo permette, fino a che non smetti di volerlo comprare con fronzoli.
La vita ti allontana dalle persone che ami fino a che non comprendi che non siamo questo corpo ma l'anima che lo contiene.
La vita ride di te molte volte, fino a che non smetti di prenderti tanto sul serio e impari a ridere di te stesso.
La vita ti frantuma in tanti pezzi quanti sono necessari affinché da lì penetri la luce.
La vita ti ripete lo stesso messaggio con schiaffi e urla finché non ascolti.
La vita ti invia fulmini e tempeste affinché tu possa svegliarti.
La vita ti umilia e sconfigge fino a che non decidi di far morire il tuo Ego.
La vita ti nega i beni e la grandezza fino a che smetti di voler beni e grandezza e inizi a servire.
La vita ti taglia le ali e ti pota le radici, fino a che non avrai più bisogno né di ali né di radici, ma solo di sparire nella forma e volare dall'essere che sei.
La vita ti nega i miracoli fino a che non comprendi che tutto è un miracolo.
La vita ti accorcia il tempo affinché tu impari a vivere.
La vita ti ridicolizza fino a diventare nulla, fino a diventare nessuno, così diventi tutto.
La vita non ti dà ciò che vuoi, ma ciò di cui hai bisogno per evolvere.
La vita ti fa male, ti ferisce, ti tormenta, fino a quando non lasci andare i tuoi capricci e godi del respirare.
La vita ti nasconde tesori fino a che non inizi il tuo viaggio e non esci a cercarli.
La vita ti nega Dio, fino a che non lo vedi in tutti e in tutto.
La vita ti chiede, ti toglie, ti taglia, ti spezza, ti delude, ti rompe...fino a che in te rimanga solo AMORE"
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Bert Hellinger
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lunamagicablu · 9 months
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Esistono persone nelle nostre vite che ci rendono felici per il semplice caso di avere incrociato il nostro cammino. Alcuni percorrono il cammino al nostro fianco, vedendo molte lune passare, gli altri li vediamo appena tra un passo e l’altro. Tutti li chiamiamo Amici e ce sono di molti tipi. Talvolta ciascuna foglia di un albero rappresenta uno dei nostri Amici. Il primo che nasce è il nostro Amico Papà e la nostra Amica Mamma, che ci mostrano cosa è la vita. Dopo vengono gli Amici Fratelli, con i quali dividiamo il nostro spazio affinché possano fiorire come noi. Conosciamo tutta la famiglia delle foglie che rispettiamo e a cui auguriamo ogni bene. Ma il destino ci presenta ad altri Amici che non sapevamo avrebbero incrociato il nostro cammino. Molti di loro li chiamiamo Amici dell’Anima, del Cuore. Sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene, sanno cosa ci fa felici. E alle volte uno di questi Amici dell’Anima si infila nel nostro cuore e allora lo chiamiamo “innamorato”. Egli da luce ai nostri occhi, musica alle nostre labbra, salti ai nostri piedi. Ma ci sono anche quegli Amici di passaggio, talvolta una vacanza o un giorno o un’ora. Essi collocano un sorriso nel nostro viso per tutto il tempo che stiamo con loro. Non possiamo dimenticare gli Amici distanti, quelli che stanno nelle punte dei rami e che quando il vento soffia appaiono sempre tra una foglia e l’altra. Il tempo passa, l’estate se ne va, l’autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono l’estate dopo, e altre permangono per molte stagioni. Ma quello che ci lascia felici è che le foglie che sono cadute continuano a vivere con noi, alimentando le nostre radici con allegria. Sono ricordi di momenti meravigliosi di quando incrociarono il nostro cammino. Ti auguro, foglia del mio albero, Pace Amore, Fortuna e Prosperità. Oggi e sempre… semplicemente perché ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un poco di se e prende un poco di noi. Ci saranno quelli che prendono molto, ma non ci sarà chi non lascia niente. Questa è la maggior responsabilità della nostra VITA e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso. Paul MONTES **********************
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti
LE RADICI DELLA CRISI
Quando si pensa al "Rinascimento" in Italia, le espressioni si fanno idillio.
Ovviamente, è un errore.
Velato dalla bellezza delle arti plastiche e pittoriche in anni di densa produzione e di "maestri" inarrivabili, paradigmi della successiva "maniera".
Ma nell'Europa del Nord, la crisi spirituale e con essa il rivolgimento delle società e degli individui, la cui collocazione al centro della vita è già indice della modernità, si afferma senza infingimenti.
Nessuna illusione, neanche qui: si tratta di un'altra forma di retorica, severa, austera, grigia.
No, ancora di più: tormentata, angosciata, ossessionata.
L'intero vecchio continente ne verrà stravolto: l'età protestante, la riforma, la reazione delle gerarchie romane, le lotte di potere, il fanatismo religioso, la guerra, fino al "Sacco di Roma", avvenimento spartiacque che segna la fine della centralità della Chiesa cattolica e, paradossalmente, anche la fine dell'Impero incarnato da Carlo V.
Entrambe le istituzioni protagoniste della storia stanno per subire l'avvento delle Nazioni.
Lunga fu la scia, si estenderà per tutto il XVI secolo fino alla Guerra dei Trent'anni tra il 1618 e il 1648 e alla pace di Vestfalia che darà un nuovo assetto all'Europa.
La Germania rimarrà frammentata in Stati che potranno trovare unità solo oltre due secoli dopo.
È il riflesso del passaggio dall'unità religiosa alla fede vissuta come traccia individuale.
Ma non regge al fanatismo della verità: questi, non conosce la tolleranza.
E incombe, dai nuovi pulpiti.
Come il cavaliere attraversa saldo nella sua armatura di fede il dramma della morte e l'incombere del male, così l'uomo che l'arte del Nord immagina, è figura della solitudine e del sacrificio, eroe della lotta: l'unico affidavit è riposto in se stesso.
Dürer intuisce, come ogni vero artista, l'avvento di un modello diverso di umanità: più libera, cosciente.
Ma sa anche che questo modello richiede la ricostruzione di principi guida, di un'identità che dall'individuo passi alla dimensione collettiva: ecco la crisi.
La città, sul picco della montagna, è un enigma lontano, silenzioso.
Il cavaliere, meditabondo nella sua dignità di spada e di obblighi, segue il cammino e i suoi pericoli.
Li attraversa, non li teme.
Perché ne riconosce l'essenza: è identica alla sua.
Uno stanco mendicare che ha solo l'apparente baldanza muscolare di un cavallo al trotto e l'incosciente vitalità di un cane.
L'esteso simbolismo dell'immagine è anch'esso un barlume che non riesce a mascherare il senso di rassegnazione delle tre figure: fiacche comparse in un circo abbandonato al "memento mori".
Come radici senza più terra, abbarbicate sulla roccia.
Dura.
Pesante.
Scenario estremo che nulla potrà accogliere.
- Albrecht Dürer (1471 - 1528): "Il cavaliere, la morte e il diavolo", 1513, Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe (Germany)
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susieporta · 5 months
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In questo clima un po’ melenso, frenetico, falso, angosciante, e rumoroso che avvolge come sempre i giorni prima del Natale, dimentichiamo che questo evento accade nel momento più buio dell’anno e della notte, quando la natura sembra morta, le foglie marciscono per terra, i rami si anneriscono ghiacciati, e una coltre di gelo paralizza le radici e spesso stritola i cuori.
Il Natale di Gesù non lo riconobbe quasi nessuno: non certo i buontemponi di Gerusalemme o di Roma, impicciati nei loro intrighi politici, accecati dalle loro brame di potere e di possesso. Non se ne accorsero neanchè i sacerdoti di Israele, troppo occupati a scartabellare le Sacre Scritture per accorgersi che il Messia nasceva proprio in quel momento, rovesciando tutte le loro illusioni di conoscenza, e tutte le loro millenarie ipocrisie.
Solo i pastori avvertirono il soffio angelico della Novità, e i Magi, gli astrologi, coloro cioè che sapevano stare all’aperto, e sapevano ancora comprendere i disegni stellari nel Cielo.
Le sdolcinature cristiane degli ultimi secoli hanno aperto le strade ai Natale-panettoni, dove la bontà fa rima con pubblicità, e l'evento mistico ha ceduto il passo a quello consumistico.
Ma il Natale, cioè la nascita di qualcosa che puo' davvero salvarci, lo possiamo attendere solo se siamo disperati, ridotti alla nostra pura nudità dolente, alla nostra fragilità umana, alla nostra impotenza.
Solo allora qualcos’altro forse puo' ancora sbucare dalle macerie dei nostri castelli di sabbia.
La Nascita di una vera novità, è un evento estremo, sconvolgente, è uno spartiacque che spezza la storia dell'umanità e si offre soltanto a quanto di estremo c’è in noi, alla nostra follia, alla nostra ebbrezza, alla nostra mente visionaria, alla nostra sofferenza che non trova più alcun sollievo o ragione, al nostro bisogno straziante di salvezza, di pienezza, di eternità, di pace.
Marco Guzzi
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empreinte0 · 2 months
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“Ode alla pace”, la poesia di Pablo Neruda contro tutte le guerre
La follia umana sembra aver preso il sopravvento. In realtà, le guerre sono presenti in quasi ogni parte del mondo. L’Ode alla pace di Pablo Neruda vuole essere una preghiera affinché si fermi la barbarie e trionfi la pace.
Ode alla pace di Pablo Neruda
Sia pace per le aurore che verranno,
pace per il ponte, pace per il vino,
pace per le parole che mi frugano
più dentro e che dal mio sangue risalgono
legando terra e amori con l’antico
canto;
e sia pace per le città all’alba
quando si sveglia il pane,
pace al libro come sigillo d’aria,
e pace per le ceneri di questi
morti e di questi altri ancora;
e sia pace sopra l’oscuro ferro di Brooklyn, al portalettere
che entra di casa in casa come il giorno,
pace per il regista che grida al megafono rivolto ai convolvoli,
pace per la mia mano destra che brama soltanto scrivere il nome
Rosario, pace per il boliviano segreto come pietra
nel fondo di uno stagno, pace perché tu possa sposarti;
e sia pace per tutte le segherie del Bio-Bio,
per il cuore lacerato della Spagna,
sia pace per il piccolo Museo
di Wyoming, dove la più dolce cosa
è un cuscino con un cuore ricamato,
pace per il fornaio ed i suoi amori,
pace per la farina, pace per tutto il grano
che deve nascere, pace per ogni
amore che cerca schermi di foglie,
pace per tutti i vivi,
per tutte le terre e le acque.
Ed ora qui vi saluto,
torno alla mia casa, ai miei sogni,
ritorno alla Patagonia, dove
il vento fa vibrare le stalle
e spruzza ghiaccio
l’oceano. Non sono che un poeta
e vi amo tutti, e vago per il mondo
che amo: nella mia patria i minatori
conoscono le carceri e i soldati
danno ordini ai giudici.
Ma io amo anche le radici
del mio piccolo gelido paese.
Se dovessi morire mille volte,
io là vorrei morire:
se dovessi mille volte nascere,
là vorrei nascere,
vicino all’araucaria selvaggia,
al forte vento che soffia dal Sud.
Nessuno pensi a me.
Pensiamo a tutta la terra, battendo
dolcemente le nocche sulla tavola.
Io non voglio che il sangue
torni ad inzuppare il pane, i legumi, la musica:
ed io voglio che vengano con me
la ragazza, il minatore, l’avvocato, il marinaio, il fabbricante di bambole
e che escano a bere con me il vino più rosso.
Io qui non vengo a risolvere nulla.
Sono venuto solo per cantare
e per farti cantare con me.
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gregor-samsung · 10 months
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“ Dobbiamo avere la consapevolezza che noi conosciamo solo pezzi di verità, sull’assassinio di Moro, sulla P2, sulla strage della stazione di Bologna – l’elenco, ahimè, potrebbe continuare –, e che non abbiamo ancora chiarito i collegamenti tra gli uni e gli altri. Siamo nel tempo della dimenticanza assurta a valore, quasi che chi coltiva la memoria sia una persona desiderosa di vendetta, piena di rancori e meschinità, ingabbiata nel passato, che non guarda al futuro. Eppure non è forse attraverso il passato, ciò che siamo o non siamo stati, che possiamo intuire dove stiamo andando? Non viene forse anche da una mancanza di consapevolezza delle nostre radici – salvo esaltarle in contrapposizione a quelle degli altri – l’illusoria certezza che la democrazia sia un bene di consumo come un altro, facilmente esportabile, magari con una guerra? La nostra storia di italiani ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo. Ci potrebbe far riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni – quanto libere? –, non è soltanto progresso economico – quale progresso e per chi? È giustizia. È rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 93-94.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
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seoul-italybts · 2 months
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[✎ TESTO ♫ ITA] Hope on the Street Vol.1 - J-Hope⠸ ❛ NEURON ❜⠸ 29.03.2024
[✎ TESTO ♫ ITA] 
J-HOPE 📀 Hope On The Street Vol.1
 🌟🕺 ❛ NEURON (with Gaeko & Yoon Mirae ❜ 💃💫
~ NEURONE ~
__ 29. 03. 24 | Twitter __
SCRITTA DA: j-hope, Gaeko, Pdogg, Yoon Mirae
PRODOTTA DA: Pdogg
youtube
* Il titolo della canzone, "NEURON" è sì un rif. ai 'neuroni' – cellule specializzate nella ricezione, elaborazione e diffusione delle informazioni e stimoli ricevuti, attraverso segnali elettrici e chimici -, ma anche alla crew di ballo NEURON, di cui faceva parte j-hope prima di debuttare con i BTS, n.d.t.
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
(il tuo/vostro movimento interiore ha radici profonde
non perderlo/perdetelo mai
perché è più prezioso di ogni altra cosa)
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione¹ N-E-W-R-U-N, non è abbastanza Appello a tutti i miei neuroni In piedi, NEU In piedi, RON N-E-U-R-O-N, prestate attenzione N-E-W-R-U-N, non è abbastanza L'inizio di questa mia opportunità inestimabile Meglio NEW (*nuova) Meglio RUN (*corsa)
Neuron, una reazione ai miei pensieri Neuron, una reazione alla mia vita
New run, è di nuovo il mio momento
Uno stimolo per i miei nervi, come quando ero più giovane, mi lancio
Il mio corpo a stile libero, ancora freestyle
Il mio spirito è intramontabile, una cosa prima mai vista
Un albero ben radicato, come l'acqua sorgiva che fluisce in profondità
Perché questi neuroni sono le cellule che mi hanno risvegliato
Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione N-E-W-R-U-N, non è abbastanza Appello a tutti i miei neuroni In piedi, NEU In piedi, RON N-E-U-R-O-N, prestate attenzione N-E-W-R-U-N, non è abbastanza L'inizio di questa mia opportunità inestimabile Meglio NEW Meglio RUN
La vita che ho vissuto mi si legge in viso
Mi guardo allo specchio e ciò che vedo non è niente male
Rilasso le spalle, per essere onesto
Ho dozzine di buone motivazioni
Al crocevia dove si incontrano i neuroni
Cerco con calma di comprendere il significato della vita, le ragioni
Quanto fulminea e distante sarà la traiettoria di lancio
Lunga o breve, dipenderà da ogni singola decisione
Mi sono liberato delle bombe [*dei pesi]
Ho passato la palla alla mia crew
Gioco a catch ball con mio figlio
Prendo la metro dalla periferia
Il metronomo ancora vicino al piano della mia infanzia
Tenere il tempo è diventato il mio lavoro ed i guadagni continuano a salire
Ma la mia vita è ancora precaria
L'ansia del futuro è sempre in agguato sotto-palco come uno spettro
Urlo, faccio casino e poi rientro
Per rilassarmi con un semplice pasto fatto in casa
Giusto per avere del rumore di fondo
Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento Lasciate che ve lo ripeta Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre Lasciate che ve lo ripeta Saremo eternamente vivi e in movimento
j-hope x Yoon Mirae, tutto un altro livello
Pace e amore sono le due parole che mi porto nel cuore
Solleva il tuo [segno] peace, due dita verso il cielo
Ma non aspettatevi un okei-doke [*okay], baby T ²è un angelo nero
Una piccola miss dal sorriso impetuoso (Oh no)
Ora j-hope le ha passato il beat drop
Ma guardatevi, lì che rodete, perché s'è presa la parte migliore
Sì, il flow lo puoi imparare
Ma l'ardore non può essere insegnato
Io ho passione per quest'arte
Adrenalina, non mi sono mai fermata
Musica e famiglia, son tutto ciò che conta
Mi danno la forza di continuare giorno dopo giorno
Musica e famiglia, le cose più importanti
La mia motivazioni nei giorni in qui detesto tutto quanto
Mi ricordano che Dio ha creato qualcosa di speciale
Guardatemi, io ce l'ho fatta
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione
N-E-W-R-U-N, non è abbastanza
Appello a tutti i miei neuroni
In piedi, NEU
In piedi, RON
N-E-U-R-O-N, prestate attenzione
N-E-W-R-U-N, non è abbastanza
L'inizio di questa mia opportunità inestimabile
Meglio NEW
Meglio RUN
Lasciate che ve lo ripeta
Non ci daremo mai e poi mai per vinti, per sempre
Lasciate che ve lo ripeta
Saremo eternamente vivi e in movimento
Note:
¹gioco di parole con NEURON (neurone) e NEW RUN (nuova corsa/nuovo inizio/nuovo giro), la pronuncia è simile,
² Baby T: la T sta per Tasha (Natasha Shanta Reid), il nome americano di Yoon Mirae, n.d.t.
⠸ Ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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unquadernino · 1 year
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Tre anni fa E. mi ha spedito una lettera, io ero appena tornata dalla Francia e l'ho trovata a casa. Dentro c'era un foglio scritto in klingon, un bigliettino con scritto che quell'anno ci saremmo incontrati, e una carta jolly. Mi è sempre sembrato affascinante quell'insieme di cose, il loro abbinamento. Ma non sono mai riuscita a tradurre per intero la lettera che aveva scritto, perché tradurre il klingon non è cosa facile. Ieri però mi ci sono messa, e sono riuscita a capire tutto quello che aveva scritto. Alla fine c'era un nostro inside joke, e io lo avevo totalmente dimenticato. Trovarlo lì, leggerlo dopo tre anni, ora che quell'inside joke non c'è più, mi ha fatto percepire uno strano senso di nostalgia ineludibile, che non era una tristezza, ma proprio la sensazione chiarissima del tempo che passa e cambia le cose di superficie anche quando le radici restano le stesse, e forse anche la sensazione di quanto un rapporto si nutra proprio anche di quelle cose superficiali, alle quali resta attaccato come una ventosa. So che ci vogliamo bene come prima e questo mi dà un profondo senso di pace, ma mi dispiace che si sia persa tutta la superficie, che si siano perse tutte queste cose apparentemente senza importanza, è come se da qualche parte nell'universo ci fossimo ancora noi, con il sentimento forte che ci lega anche ora, ma a ridere come non facciamo più
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viendiletto · 4 months
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[...] “Assassini!”: così tuonava allora l’Eco di Pola, giornale conservato presso la Biblioteca universitaria di Pola, subito dopo il cataclisma, perché tre ondate di sganci, eseguite nell’arco di poche, ma lunghissime ore di terrore e ansia, portarono a Pola la morte. L’attacco ebbe le sue ragioni più tassative: distruggere le installazioni portuali e le unità di marina presenti, ma, colpa dell’imprecisione della vecchia tecnologia aeronautica, il cuore della città con i suoi rioni più popolati e più storici subirono il grande martirio, da vittime collaterali. L’incapacità di superare il trauma oggi, è ben visibile e chiaro persino a chi ha la vista offuscata: era bastata soltanto questa prima incursione aerea (senza contare tutte quelle successive), per ufficializzare 77 morti (di cui 15 militari germanici e 2 italiani), per poi capire che il numero dei morti erano più 100, fino ad aggiungerne altri ancora, in seguito al ritrovamento dei corpi di cui non si riuscì a accertare l’identità e ai decessi dei giorni successivi, dal momento che il numero dei feriti soccorsi fu di almeno 175 persone, di cui soltanto 35 militari. Con chiara evidenza, pur mettendo nel mirino l’impiantistica industriale-militare, i bombardamenti alleati commisero senza dubbio di sorta, la strage dei civili, a tutti gli effetti. [...]
[...] La giornata del 9 gennaio 1944, fu l’inizio del periodo più tragico per la città, dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia, fu la giornata del massacro nel nome delle ragioni politico-militari, ma per tanti anni nel nome del mancato ricordo, si è continuato a commettere violazione del sentimento di pietà, dimostrare mancanza di rispetto nei confronti della storia, forse perché ancora troppo pesante e scomoda. Ci voleva il 79.esimo anniversario dallo sganciamento degli ordigni esplosivi, per smuovere il Municipio, che proprio oggi celebrerà nuovamente la commemorazione. Del cinquantesimo, del sessantesimo e degli altri “esimi” manco ci si è accorti (a parte qualche mass media). Ed è cosa deplorevole, perché non si tratta di difesa, di aver “seppellito” il trauma con la mala strategia della “rimozione” inconscia, ma semplicemente di inerzia, o sentimento di sconvenienza, di chi ha governato la città, rappresentata oggi in gran parte da abitanti, diventati cittadini di Pola, senza radici di vecchia data e come tali liberi da certi gravami, perché inconsapevoli e ignari della storia del territorio che li ha accolti.[...]
Chi ricorda è delle Baracche, uno dei rioni popolari meno risparmiati, reo di essere stato troppo vicino alla zona militare, che per salvarsi doveva precipitarsi giù dalla monumentale gradinata sotto la Chiesa della Marina, con la madre vista cadere col bambino in braccio senza nessuno che aiuti a rialzarsi. Più o meno, il grande fuggi fuggi del popolo della baracche con valigie pesanti e “gamele” di cibo alle mani, si generava passando da queste parti, poi con la distruzione della discesa in bellissima pietra bianca, la via alternativa furono i sentieri tra i cespugli. Con tutte quelle baracche dai tetti divelti e dissestati, la sopravvivenza delle famiglie venne individuata anche mediante sistemazione nell’edificio che chiamavano “mariotica”, oggi inesistente, subito a fianco delle entrate dei rifugi piene di brande militari, oggi mangiati da un incredibile boscaglia colma di rifiuti. Guaio è che verso le ore 11 di quella tragica domenica (guarda caso domenica come per lo scoppio di Vergarolla avvenuto in tempo di pace), le sirene che si fecero sentire, non provocarono esagerata apprensione tra i polesani, convinti che si trattasse di qualche solito falso allarme come quelli precedenti. Invece di precipitarsi in rifugio, moltissimi restarono nelle loro case, ma ben presto i bombardieri diedero prova di forza seminando distruzione e morte facendosi sentire con tutta una serie di spaventose esplosioni. L’incredulità e la scarsa propensione al panico di un certo signor Mario delle Baracche fece sì di fermarsi nel parco dell’Ospedale di Marina per mettersi a contare il numero degli aerei visti sfrecciare con il proprio carico di morte sopra il cielo di Pola, per poi salvarsi per miracolo, buttandosi giù e mettersi a soccorrere, a pochi metri da lui, il povero signor Gasparini colpito agli occhi dalle schegge degli ordigni esplosivi, mentre gemeva “Mario, Mario io, io non ci vedo più!!!”. I bombardamenti su Pola si ripeterono inesorabili, e, questo stesso Mario continuò, cocciuto a riparare la sua casetta di fronte alla Chiesa della Marina. “Lori distrugi e mi riparo, lori spaca tuto e mi rimeto a posto, vedemo chi se stufa prima”. Per fortuna gli Alleati.
[...] Obiettivi militari a parte, duole quello che fu fatto a Pola: colpiti il centro cittadino in largo Oberdan, il clivo Grion, le vie Benussi, Barbacani, Garibaldi, Mazzini, Abbazia, Tradonico, tutta la zona tra Monte Zaro, il Monte Cappelletta fino a Monte Paradiso, comprese le vie Muzio, Tartini, Defranceschi e trasversali; il quartiere popolare delle Baracche e Monte Cane. Qualche bomba isolata cadde pure nei pressi del Mercato e dell’Istituto Tecnico e in via Sergia. Specifica Raul Marsetič: “Gravi furono soprattutto i danni provocati al rione popolare di San Policarpo (Stoia) dove erano concentrate le abitazioni degli operai dell’Arsenale e degli altri stabilimenti cittadini, edifici comunemente chiamati Baracche. Le cronache apparse sugli organi di stampa descrivono San Policarpo come una zona nella quale erano pochissimi gli edifici scampati alle bombe. Furono gravemente colpiti anche il Famedio del Marinaio italiano (Chiesa della Marina), l’area attorno al Cimitero degli Eroi (Cimitero della Marina), nel quale diverse tombe furono distrutte, le vie Premuda, Vettor Pisani, Ottavia, Antonia, Piave e adiacenti”. Nell’elenco delle vittime c’è padre Graziano Zanin, della parrocchia di San Giuseppe in via Carlo Defranceschi, Aldo Fabbro uno dei più noti calciatori di Pola del tempo, ma non vi fu famiglia di Pola senza aver perso un parente, amico o conoscente, mentre 894 di queste risultarono più o meno gravemente sinistrate e bisognose di soccorsi. Il bombardamento, tra l’altro, non aveva risparmiato nemmeno la sede della Guardia di finanza, in via della Specola, il Carcere giudiziario e tra le abitazioni distrutte in molti scavarono disperati per ore tra le rovine in cerca dei propri cari o per recuperare qualche oggetto. Il pronto intervento delle squadre di soccorso si dimostrò molto efficace come le manifestazioni di solidarietà che seguirono. Ma la cicatrice su Pola resta. E, nemmeno oggi si può rimarginare.
Arletta Fonio Grubiša
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stregh · 5 months
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Kahlil Gibran
Si chiamava Kahlil Gibran ed è noto soprattutto per il suo libro "Il Profeta". Il libro, pubblicato nel 1923, venderà decine di milioni di copie, diventando il terzo poeta più venduto di tutti i tempi, dopo Shakespeare e Laozi.
Lo chiamavano "sporco" perché la sua pelle era scura, non intelligente perché parlava a malapena l'inglese. Quando arrivò in questo Paese, fu inserito in una classe speciale per immigrati. Ma alcuni dei suoi insegnanti videro qualcosa nel modo in cui si esprimeva, attraverso i suoi disegni, attraverso la sua visione del mondo. Presto avrebbe imparato la sua nuova lingua.
Sua madre aveva preso la difficile decisione di portare lui, le sue due sorelle minori e un fratellastro in America, alla ricerca di una vita migliore per la loro famiglia. Si stabilirono nel South End di Boston, all'epoca la seconda più grande comunità siro-libanese-americana. La famiglia avrebbe dovuto lottare e il ragazzo avrebbe perso una sorella e il fratellastro a causa della tubercolosi. Sua madre morirà di cancro.
Scriverà: "Dalla sofferenza sono emerse le anime più forti; i caratteri più massicci sono segnati da cicatrici".
Nacque in povertà il 6 gennaio 1883 nell'attuale Libano.
Credeva nell'amore, credeva nella pace e credeva nella comprensione.
Si chiamava Kahlil Gibran ed è noto soprattutto per il suo libro "Il Profeta". Il libro, pubblicato nel 1923, venderà decine di milioni di copie, diventando il terzo poeta più venduto di tutti i tempi, dopo Shakespeare e Laozi.
Pubblicato in 108 lingue in tutto il mondo, alcuni passi de "Il Profeta" vengono citati ai matrimoni, nei discorsi politici e ai funerali, ispirando personaggi influenti come John F. Kennedy, Indira Gandhi, Elvis Presley, John Lennon e David Bowie.
Era molto schietto e attaccava l'ipocrisia e la corruzione. I suoi libri sono stati bruciati a Beirut e in America ha ricevuto minacce di morte.
Gibran fu l'unico membro della sua famiglia a seguire un'istruzione scolastica. Alle sue sorelle non fu permesso di andare a scuola, principalmente a causa delle tradizioni mediorientali e delle difficoltà economiche. Gibran, tuttavia, fu ispirato dalla forza delle donne della sua famiglia, in particolare della madre. Dopo la morte di una sorella, della madre e del fratellastro, l'altra sorella, Mariana, avrebbe mantenuto Gibran e se stessa lavorando in una sartoria.
Di sua madre scriverà:
"La parola più bella sulle labbra dell'umanità è la parola 'Madre', e il richiamo più bello è quello di 'Mia madre'. È una parola piena di speranza e di amore, una parola dolce e gentile che viene dal profondo del cuore. La madre è tutto: è la nostra consolazione nel dolore, la nostra speranza nella miseria, la nostra forza nella debolezza. È la fonte dell'amore, della misericordia, della simpatia e del perdono".
In seguito Gibran avrebbe sostenuto la causa dell'emancipazione femminile e dell'istruzione.
Credeva che "Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano".
In una poesia rivolta ai nuovi immigrati, scriveva: "Credo che possiate dire ai fondatori di questa grande nazione. Eccomi qui. Un giovane. Un giovane albero. Le cui radici sono state strappate dalle colline del Libano. Eppure sono profondamente radicato qui. E vorrei essere fecondo".
Scriverà in "Il Profeta":
"Lasciate che ci siano spazi nella vostra unione, e che i venti del cielo danzino tra di voi. Amatevi l'un l'altro, ma non create un legame d'amore: Sia piuttosto un mare in movimento tra le sponde delle vostre anime. Riempitevi a vicenda il calice, ma non bevete da un solo calice. Datevi l'un l'altro del vostro pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta. Cantate e danzate insieme e siate gioiosi, ma lasciate che ognuno di voi sia solo, come le corde di un liuto sono sole anche se fremono della stessa musica. Date i vostri cuori, ma non l'uno all'altro. Perché solo la mano della Vita può contenere i vostri cuori. E state insieme, ma non troppo vicini: Perché le colonne del tempio sono separate, e la quercia e il cipresso non crescono l'uno all'ombra dell'altro".
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ambrenoir · 6 months
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Ora, lasciatemi in pace.
Ora, abituatevi alla mia assenza.
Io chiuderò gli occhi
e dirò solo cinque cose,
cinque radici preferite.
Una è l'amore senza fine.
La seconda è vedere l'autunno.
Non posso vivere senza che le foglie
volino e tornino alla terra.
La terza è il grave inverno,
la pioggia che ho amato, la carezza
del fuoco nel freddo silvestre.
La quarta cosa è l'estate
tonda come un'anguria.
La quinta sono i tuoi occhi.
Non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io tramuto la primavera
affinché tu continui a guardarmi.
Amici, questo è quanto voglio.
E' quasi nulla ed è quasi tutto.
Ora se volete andatevene.
Ho vissuto tanto che un giorno
dovrete per forza dimenticarmi,
cancellarmi dalla lavagna:
il mio cuore è stato interminabile.
Ma perché chiedo silenzio
non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario:
succede che sto per vivere.
Mai sentito così sonoro,
mai avuto tanti abbracci.
Ora, come sempre, è presto.
La luce vola con le sue api.
Lasciatemi solo con il giorno.
Chiedo il permesso di nascere.
Pablo Neruda ▫️
(Trad. di M.Fernández.)
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xerotere · 2 years
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Vorrei trasformarmi in uno di questi alberi alti - le radici salde nel terriccio umido, le foglie carezzate dal sole, baciate dalla pioggia, cullate dal vento, e ondeggiare, innalzarmi, fare la fotosintesi clorofilliana, vivere in simbiosi col bosco - un po’ come una ninfa di qualche antico mito greco, tormentata da una divinità capricciosa e che nella natura trova l’agognata pace.
E invece ho la testa piena zeppa di pensieri frastagliati: pensieri che pensano il lavoro la salute le bollette l’affitto la crisi energetica quella dei microchip il precariato i crimini di guerra in Armenia la formazione continua l’inflazione la lordosi e la cifosi le proteste in Iran la vita sociale e la sua ostentazione i cocktail a 15 euro Fratelli d’Italia al governo la plastica in mare il costo dei biglietti aerei l’OPEC+ la TARI la PEC perché sono tutti più felici di me / perché sono tutti più realizzati di me? (domande, queste ultime, che nascono dall’osservazione delle storie di Instagram e che, pur sapendo essere per lo più infondate, continuano ad assillarmi e tediarmi - l’ho già detto che non meritavo di nascere in quest’epoca di narcisi?).
È questa in sostanza la divinità che mi tormenta: pensare, o meglio, pensare male, pensare sofferente, pensare sempre con l’acqua al collo, pensare da smettere di respirare finché i polmoni non scoppiano. E, per sfuggire al tormento, vorrei scappare o, al limite, diventare altro - pensare con una testa diversa, fare il grande salto, andare incontro alla famosa metamorfosi o, perché no, raggiungere il nirvana.
Intanto, per lo più, rimugino e piagnucolo dentro e mostro i pugni duri fuori mentre tento di risolvere questo grattacapo che è la vita adulta cercando, al contempo, di mantenere insieme i pezzi. Intanto, a volte, fingo di perdermi nel bosco e d’ignorare la finzione - alla ricerca di chissà quale verità o ispirazione da posare, infine, nello stanzino delle cose da dimenticare. Nel mentre, raccolgo funghi.
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