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Liborio Salomi e il capodoglio di Punta Palascia (II parte)
di Riccardo Carrozzini
  Fig. 5 – Lo scheletro ricomposto, a Maglie (da Teresa Salomi, come le successive fino alla fig. 5e)
  La vendita venne infine effettuata al Museo di Zoologia e di Anatomia comparata della Regia Università di Pisa, il cui direttore era il prof. Sebastiano Richiardi, che offrì un corrispettivo di lire mille più spese di trasporto a suo carico. La spedizione venne effettuata nel maggio 1903. In una lettera di quello stesso mese al Richiardi, il Presidente Garzia lo informa dell’avvenuta spedizione ed aggiunge: “Le accludo una relazione, di questo egregio giovane Sig. Salomi Liborio, appassionatissimo cultore di Scienze naturali, il quale, sotto la direzione dell’insegnante prof. Consiglio di questo Liceo ha curato la preparazione e l’imballaggio del cetaceo“. Brani di questo documento, trascritto integralmente più oltre, vengono citati nell’articolo di Braschi – Cagnolaro – Nicolosi in precedenza citato. La scansione della relazione, di 8 pagine, mi è stata mandata il 22 maggio 2014 dal dott. Nicola Maio, dell’Università di Napoli, al quale è stata fornita da uno degli autori.
Fig. 5a – Particolare arto anteriore
  Fig. 5b – Particolare parte posteriore del cranio
  Fig. 5c – Particolare delle costole
  Fig. 5d – Particolare delle prime vertebre
  Fig. 5e – Particolare della mandibola
  Da una lettera della Giunta provinciale amministrativa di Terra d’Otranto del 3 luglio 1903 (prot. 10775), che si esprime in ordine ad una deliberazione dell’Istituto Capece, risulta che il Salomi, “avendo questi col suo lavoro contribuito al maggior vantaggio dell’amministrazione”, ricevette come compenso per l’opera prestata la somma di £. 50,00.
Fig. 6 – La lettera in francese per la vendita dello scheletro (Fondaz. “Capece”)
  Fig. 7a – La lettera al prof. S. Richiardi, pag. 1
  Fig. 7b – La lettera al prof. S. Richiardi, pag. 2 (Fondaz. “Capece”)
  Vi è poi una lettera del Prof. S. Richiardi, del Museo di Pisa, il quale aveva, evidentemente, anticipato di tasca sua le £. 1.025,00 pagate all’Istituto Capece per lo scheletro. Richiardi faceva rilevare che la quietanza di pagamento rilasciata dal Capece era sbagliata perché intestata a Salvatore e non a Sebastiano Richiardi, la qual cosa gli aveva impedito fino ad allora (10 maggio 1904) di essere rimborsato dall’Università di Pisa, e pregava il Presidente Garzia di inviargli una nuova quietanza correttamente redatta. Riferiva, nella stessa lettera, che “il Fisetere [9] è montato, mancano però l’ultima vertebra, una delle ossa del bacino, n. 8 denti, n. 3 ematoapofisi od ossa a V, n. 20 pezzi degli arti – dovrebbero essere 30+30”.
Fig. 8 – L’articolo di Braschi – Cagnolaro – Nicolosi citato nel testo
  Do’ anche conto delle spese sostenute dall’istituto Capece in occasione del recupero di questo scheletro: si trova, infatti, tra la documentazione, un rendiconto finale (denominato “Conto cetaceo”) delle spese sostenute, che ammontarono a lire 576,85; detratte queste dalle lire 1.025,00 avute come corrispettivo, risultò un guadagno netto, per l’Istituto Capece, di lire 448,15.
Fig. 9 – Il “Conto cetaceo” (Fondaz. “Capece”)
  ig. 10 – Il compenso di 50 lire a Salomi (Fondaz. “Capece”)
  Lo scheletro del capodoglio è ancora esistente presso la Certosa di Calci, dove l’Ateneo pisano ha il suo Museo di Storia naturale, dotato di una stupenda galleria che contiene gli scheletri di numerosi cetacei (si vedano le foto in calce alla presente).
È trascritta infine fedelmente, di seguito, la relazione di Salomi di cui si è fatto cenno più sopra, scritta su carta intestata del Liceo – Ginnasio Capece (una pagina di questa è l’ultima foto in calce), nella quale si autodefinisce “perduto amatore di Zoologia” e dalla quale si può chiaramente evincere, dai molti particolari e dalle descrizioni, chi era, quanto a conoscenze e competenze nel settore, Liborio Salomi già a 20 anni; questo documento è il più lungo testo con firma autografa che sono riuscito a trovare [10].
  Relazione di Liborio Salomi
Ill.mo Signor Direttore,
Prima di ogni altro mi permetta presentarmele quale un appassionato di Storia Naturale. Ho venti anni e sono in procinto di conseguire la licenza liceale in questo Liceo, dopo di che vorrò dedicarmi completamente allo studio delle scienze biologiche che ho coltivato sin da ragazzo. Ero ancora tale quando cominciai a catturare insetti e a sezionare quanti mammiferi, uccelli ed altri animali mi capitassero fra le mani; e poi ho continuato sempre più a sentirmi attratto dalle tante bellezze di cui è ricca la natura, e possiedo una discreta raccolta di insetti indigeni, di resti fossili, di uccelli imbalsamati da me stesso, di animali in alcool, fra i quali un bellissimo aborto mostruoso di Ovis Aries etc.. Qui in Maglie mi conoscevano già tutti per appassionato di Scienze Naturali, allorché un caso speciale venne a mettermi in maggiore evidenza. Fu questo l’arrivo in Otranto di un Capodoglio. Nello scorso anno infatti, nel 18 gennaio 1902 i soldati del Semaforo, addetti al servizio di Otranto nella località così detta “Palascia”, avvisarono che in alto mare galleggiava uno scafo di bastimento capovolto. A tale avviso, i poveri marinai otrantini, sperando di trovare in esso dei tesori che valessero a sollevare alquanto la loro miseria, si misero in mare con sette barche, ma grande fu la loro delusione quando, giunti al voluto scafo, riconobbero in esso un immane pesce, a dir loro già morto da parecchi giorni. Assicuratolo con una forte gomena attorno la coda lo rimorchiarono nel porto, donde il Sindaco, per ragione d’igiene pubblica, lo fece trasportare non lungi da Otranto, nella località detta “Rinule” a circa tre chilometri dall’abitato. Ben presto la notizia dell’invenimento di questo grande cetaceo si sparse per quasi tutta la provincia e da ogni parte di essa si recarono ad Otranto delle persone per vederlo. Tra queste ci fui anche io ed altri compagni di scuola, accompagnati dal sig. Giuseppe Consiglio, professore di Fisica e Scienze Naturali in questo Liceo. Dapprima vedemmo il cetaceo da sugli scogli e poscia con delle barche potemmo osservarlo da vicino. La putrefazione era già cominciata nell’interno, e ad ogni cavallone un po’ forte e quindi ad ogni conseguente muoversi del cetaceo, veniva fuori dalla sua bocca un puzzo penetrante e insopportabile. Provvisto di una discreta macchina fotografica il prof. Consiglio ritrasse l’animale, e la fotografia sebbene non molto chiara è abbastanza sufficiente per mostrare come esso giacesse sul fianco sinistro e come, ad arguirlo dalla bava bianchiccia che vedesi intorno alla bocca, fosse inoltrata in esso la putrefazione. Essendo lo Stato padrone di tali mostri che si rinvengono sulle coste italiane, il sindaco di Otranto annunziò al governo la scoperta del Capodoglio, perché si pigliassero serii provvedimenti onde distruggerlo, potendo riuscire, con la sua putrefazione, di grave danno per gli abitanti delle spiagge vicine. Si attendeva invano ordine dal Ministero, allorché il preside di questo Liceo, il sig. Giuseppe Gabrieli [11], attualmente bibliotecario all’Accademia dei Lincei, pensò che fosse conveniente all’Istituto Capece l’acquistare lo scheletro di un Capodoglio, sì importante nello studio della Zoologia ed Anatomia comparata e così raro nello stesso tempo. Si telegrafò dapprima alla Capitaneria del porto di Taranto, e avendo questa risposto che il cetaceo era in potere del Ministero di P. Istruzione, il presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Capece, il sig. Cav. Raffaello Garzia, fece delle pratiche presso di esso, il quale rispose che il cetaceo era a disposizione del gabinetto di Storia naturale di Maglie. Fu così che io, alunno della 2a liceale, e perduto amatore di Zoologia, ebbi dalla Onorevole Commissione di questo Liceo il piacevolissimo incarico di andare ad Otranto per dirigere la scarnificazione del cetaceo e sorvegliare a che nessuna parte dello scheletro venisse menomamente lesa. L’operazione per denudare le ossa fu di somma difficoltà e dispendio, sia per la località che non mi permise di trarre a secco il cetaceo, sia per la poca praticità del personale addetto al lavoro, sia in ultimo per i tempi piovosi. Potei constatare subito trattarsi di un individuo di Physeter macrocephalus, di sesso femminile. La pelle era completamente intatta, ciò che esclude l’idea che l’animale fosse morto per ferita. Dei denti, in massima parte cariati, mancavano otto, ciò che, tenendo anche conto della coda completamente liscia, mi fece pensare trattarsi di un individuo assai inoltrato negli anni. La putrefazione avvenuta mi impedì assolutamente di fare qualsiasi osservazione anatomica sui tessuti molli, e mi tolse anche l’agio di constatare se nella vescica orinaria vi fossero dei calcoli, e delle incrostazioni di simil natura sulle pareti dell’intestino. Ciò che mi colpì grandemente furono i muscoli tutti invasi, nel loro spessore, da corpuscoli un po’ più piccoli dei granelli di pepe, di color bianco-giallognolo e che alla osservazione microscopica sembrano delle uova di Elminti [12]. Fosse la morte del Cetaceo stata causata dall’esistenza di qualche parassita? Mancando di libri da riscontro non ho potuto venire a conclusione alcuna, eppure potrebbe trattarsi di qualche specie nuova o poco studiata di Elminto. Circa lo scheletro fui dapprima sommamente meravigliato di trovar distaccate le ossa facciali del lato sinistro, ma ben presto potei attribuir ciò al peso della massa muscolare sopraincombente del lato destro. Ebbi massima cura di conservare le ossa del cinto pelvico tanto importanti nello studio dell’anatomia comparata. Dopo 13 giorni di continuo lavoro le singole ossa furono trasportate a Maglie ed infossate nella calce viva per farle spolpare e sgrasciare completamente. Circa un mese fa le ho tolte da essa per pulirle definitivamente ed ora sono in viaggio per Pisa. Anche l’imballaggio è costato lavoro e fastidio, ma per la scienza bisogna far tutto, ed io mi reputo fortunatissimo di aver lavorato, ancor sì giovane, per la preparazione dello scheletro di un Capodoglio che di ora in poi adornerà (me l’auguro) le ricche sale del Museo pisano, vanto e gloria del nostro chiarissimo Savi [13]. E voglio sperare che ella trovi lo scheletro in buono stato, in modo che il mio lavoro non sia andato completamente perduto, e che voglia attribuire qualche piccolo difetto alla mancanza dei mezzi necessarii per la preparazione di tali scheletri e alla mia poca pratica con essi. Prima di fare l’imballaggio ho situate le ossa alla meglio onde fare la fotografia dello scheletro intero, e fra giorni mi farò un pregio di mandargliela insieme a quella del cetaceo in mare ed altre ritraenti diverse ossa e regioni singole dello scheletro, ed una rappresentante un frammento di membrana endoteliale dello sfiatatoio [14]. Lo scheletro come le sarà facile constatare è lungo, così disarticolato, m. 10,30, ma con i dischi intervertebrali misurava m. 11, pur essendo lungo m. 12 rivestito dalle masse muscolari. Nell’imballarlo ho messo nel gabbione oltre al capo anche l’atlante l’epistrofeo saldato alle altre cinque vertebre cervicali ed al processo odontoide rudimentale, le vertebre dorsali, le lombo-caudali e le costole. Nel cassone ho messo lo sterno, il primo paio di costole, i denti, le ossa del cinto pelvico, alcune ossa del capo che trovai da esso distaccate, le clavicole, le scapole, gli omeri, le ossa, saldate verso la loro estremità, dell’antibraccio, le ossa carpali con le rispettive falangi (1) [15] ed alcune ossa articolate alla faccia inferiore delle vertebre lombo-caudali, e che non so invero cosa siano, pur avendo cercato di riscontrare varii testi di anatomia comparata. (Che anzi le sarei obbligatissimo se volesse indicarmi a quali dello scheletro umano corrispondano queste ossa e che ufficio compiano nei cetacei). Di queste ossa vi è una nel gabbione che per l’azione della calce ha l’estremità libera un po’ bruciata, ma credo che ciò non pregiudichi lo scheletro; ché nella relazione del Gasco [16] sulla Balena catturata a Taranto, ho letto come anche nello scheletro di essa alcune parti siano state sostituite da legno. È mai possibile evitare qualche piccola avaria in scheletri così colossali e nello stesso tempo risultanti da ossa spugnose e fragili in sommo grado? Avrei desiderio di scrivere una piccola monografia su questo Cetaceo, ma a causa della mancanza di materiale di studio, rimando tal lavoro al primo anno di studii universitarii, che veramente non mi son ancor deciso dove fare. Potrà darsi che venga a Pisa; è un centro di studii tanto rinomato! Giorni fa leggevo nella Mammologia [17] Italiana del Cornalia di uno scheletro di Physeter, arenato nel 1868 in Calabria e da lei egregiamente preparato per l’Università di Bologna. Credo, se non mi sbaglio, che manchi ancora in Italia un elenco completo dei cetacei giunti morti o dati a secco sulle sue spiagge; e sto curando, tanto per contributo a tale elenco, di raccogliere notizie precise su tutti i cetacei rinvenuti sulle coste della penisola salentina. Pochi anni or sono ad Ugento, sullo Ionio, dettero a secco contemporaneamente parecchi capodogli, ma per la putrefazione avvenuta, il governo, a richiesta delle autorità locali, mandò due navi per curarne il loro affondamento in alto mare.
Giorni fa fui chiamato da alcuni cavatori di pietra per vedere delle ossa che avevano trovato a nove metri di profondità: Recatomi sul luogo ebbi a constatare trattarsi dei resti di un Equus caballus mastodontico, quaternario. Ho quasi tutti i denti, che sono veramente bellissimi. Di resti di Equus ed altri animali quaternarii trovansi spesso nelle nostre cave ed io ho una discreta raccolta, ma mi mancano molti scheletri di animali odierni per farne gli studi comparativi. Se crede ella che tali resti fossili possano servirle a qualche cosa, non dovrà che avvisarmene, ed io sarò fortunatissimo di farglieli avere. E così dico pure di qualsiasi prodotto naturale della penisola salentina.
Mi permetta intanto di ossequiarla e professarmele suo dev.mo
Liborio Salomi di Angelo
Maglie il 12 maggio 1903
Fig. 11 – Lo scheletro del capodoglio alla certosa di Calci (Foto dal prof. Roberto Barbuti, Università di Pisa, come le successive fino alla fig. 14)
  Fig. 12 – Sulla mandibola si può leggere “Otranto, gennaio 1902”
  Fig. 13 – Un’altra vista dello scheletro
  Fig. 14 – Una vista della Galleria cetacei con lo scheletro recuperato da Salomi in primo piano
  Fig. 15 – Una pagina della lettera-relazione di Salomi
Note
[9] Sinonimo di capodoglio, derivata dal nome scientifico latino.
[10] Ringrazio il prof. Barbuti, già citato in precedenza, che si è messo in contatto col dott. Alessandro Corsi, direttore della Biblioteca di Scienze naturali dell’Università di Pisa; questi ha autorizzato la pubblicazione della relazione.
[11] Giuseppe Gabrieli, da Calimera (LE), padre di Francesco (quest’ultimo deceduto nel 1996, uomo di sconfinata cultura che fu uno dei più grandi orientalisti italiani e Presidente dell’Accademia dei Lincei), orientalista anch’egli, mentre era Preside del “Capece” vinse il concorso per bibliotecario dell’Accademia dei Lincei di Roma e lasciò la Presidenza del “Capece” per assumere il nuovo prestigioso incarico.
[12] Elminti: nome caduto in disuso, che non designa un gruppo zoologico definito, ma genericamente i vermi, in particolare quelli parassiti.
[13] Dall’Enciclopedia on line Treccani: Savi, Paolo. – Naturalista (Pisa 1798 – ivi 1871), figlio di Gaetano, prof. di storia naturale nell’Università di Pisa (dal 1823); socio corrispondente dei Lincei (1860). Autore di molti notevolissimi lavori sulla geologia della Toscana, in cui sostenne la teoria attualistica di Ch. Lyell, e di due importanti opere ornitologiche.
[14] Evidentemente presso l’Università di Pisa non vi è traccia di queste foto, visto che nell’articolo prima citato è stata pubblicata una foto fornita dalla dott. Elena Valsecchi, pronipote di Liborio Salomi. Forse le foto sono quelle pubblicate in questo volume, in possesso della figlia Teresa.
[15] Qui vi è la nota (1) nel manoscritto, e a piè di pagina è scritto: le ultime vertebre caudali.
[16] GASCO, Francesco Giuseppe: famoso naturalista (Mondovì 3 nov. 1842 – Roma 23 ott. 1894). Dal Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 52 (1999), di Maria B. D’Ambrosio: … Nel 1877 il G. vinse la cattedra di zoologia e anatomia comparata all’Università di Genova, e qui si occupò anche del Museo zoologico che arricchì di nuovi reperti fra cui lo scheletro di una balenottera arenatasi a Monterosso in Liguria; contemporaneamente pubblicò una relazione, iniziata a Napoli, su una balena arenatasi a Taranto nel febbraio del 1877 che identificò nella balena dei Baschi, Balaena Biscajensis (euglacialis). Nel 1878 le sue ricerche sulla osteologia dei Cetacei lo spinsero a visitare i più importanti musei europei fra cui quelli di Parigi, Londra, Copenaghen, Leida e Bruxelles, dove più ricche erano le collezioni cetologiche e molto quotati i cultori di questo ramo della zoologia. Invitato dal direttore del Museo di Copenaghen X. Reinhardt a studiare lo scheletro di un esemplare catturato nel 1854 a San Sebastiano sulle coste spagnole, giunse alla conclusione che si trattava della stessa specie della balena di Taranto. …
[17] La mammologia è la scienza che studia i mammiferi, classe di vertebrati con caratteristiche come ad esempio pellicce e un complesso sistema nervoso. La mammologia si dirama anche in altre discipline, quali la primatologia (studio dei primati) e la cetologia (studio dei cetacei).
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swapmuseum · 2 years
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DECALOGO 4 TEENS. Scopri i lavori dei ragazzi del De Pace di Lecce al Castello Carlo V
ATTIVITÀ Realizzazione della call 4 swappers speciale“Decalogo 4 teens”
ORE: 30 PREMI: crediti scolastici
TUTORS: Elena Carluccio e Barbara Rizzo SWAPPERS: 30 ragazzi del IV° anno dell'Istituto Tecnico e Professionale De Pace di Lecce (classi 4^ATA, 4^BTA, 5^BTA) in PCTO
Asia Cino, Zanogo Diabate, Elena Dima, Eva Dimastrogiovanni, Mirko Errico, Giulia Greco, Giorgia Marzo, Noemi Notarnicola, Riccardo Persano, Azzurra Simmini, Giorgia Tursi, Leonardo Bertagna, Francesca Brandi, Christian Calò, Mattia Candini, Edoardo Chiga, Cristian Luigi Greco, Giorgia Greco, Gianmarco Mistico, Beatrice Palma, Swami Rizzo, Gabriele Tarantino, Joy Anna Blasi, Annachiara Carone, Giada Carrozzini, Giulio De Monte, Nicole Montinari, Naomi Antonella Totaro Fila, Alyssa Solazzo, Aurora Spagnolo
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Durante il percorso PCTO con Swapmuseum le 3 classi dell'Istituto De Pace hanno visitato gli spazi del Castello in una visita guidata non convenzionale a cura di Attraverso il Castello.
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Successivamente, in un divertente laboratorio in gruppi, hanno stilato un elenco delle 10 cose più divertenti da fare nel Castello, immaginando di portare a conoscerlo in visita gli amici più stretti, quelli con cui divertirsi un mondo insieme.
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Cosa hanno fatto i nostri swappers?
1. Hanno scelto il loro ambiente preferito del Castello
2. Hanno preso appunti (non noiosi)
3. Hanno lavorato in squadra
4. Hanno pensato a qualcosa che un nessun visitatore farebbe nel Castello
5. Si sono sparati tanti selfie e video!
6. Hanno provato in prima persona il Decalogo 4 teens.
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Curiosi di scoprire la loro ricetta non tanto segreta del Castello Carlo V a misura di adolescente?
Eccovi accontentati!
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DICONO DI NOI
Durante quest'esperienza, abbiamo scoperto un nuovo modo di vivere il castello e tutti i monumenti storici della nostra città. In particolare, ci è piaciuto perchè, attraverso il progetto Swapmuseum, abbiamo creato dei contenuti per avvicinare i nostri coetanei ai luoghi culturali producendo un modo diverso, nuovo e divertente di osservare il castello in tutte le sue particolarità: Il decalogo for teens! Beatrice Palma
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kentonramsey · 4 years
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Net-A-Porter & Gemfields Team Up With Elephant Conservationists On A Collection That Gives Back
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Over the last six months, the pandemic has caused a steep decrease in tourism and philanthropic funding to Africa — and those on the frontlines protecting animal habitats from poachers have witnessed a significant increase in the wildlife trade. Luckily, Space for Giants, a nonprofit dedicated to protecting African elephants and their natural environments, is working tirelessly to stop them. Now, they’re not alone: On Monday, Space for Giants launched Walk for Giants, a multi-layered collaborative campaign with Net-A-Porter and Gemfields. To kickstart the campaign, the nonprofit released two exclusive capsule collections: a 15-piece sustainable collection to be sold on Net-A-Porter and a 44-piece collection of responsibly-sourced coloured gemstones courtesy of Gemfields. 100% of the proceeds from both collections will go toward supporting Africa’s elephants and their natural habitats. Some of the items include a Hereu canvas and leather tote bag, a Burberry safari jacket, and an emerald-cut ring designed with Mozambican rubies.
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The idea for Walk for Giants came to the nonprofit’s founder, Dr. Max Graham, during a trip to Kenya prior to the pandemic. While there, Dr. Graham walked the Ewaso Ng’iro river, the “lifeblood to Kenya’s second biggest elephant population, most of the wildlife in central Kenya, and many of the Kenyan people,” with former Stylebop fashion director Leila Yavari and supermodel Lena Perminova, as well as a number of other philanthropists and influential people, to show them the elephant migration route that the species has taken for nearly 60 years. During the four-day journey, questions arose about how the fashion industry could be of help to Space for Giants, and vice versa: “How do we connect this experience with the fashion industry to create a much broader audience for these issues? How can we help brands come on board and become more compelling to their customers, but through that process, give back?” 
“The concept can be boiled down into a very simple question: How can we turn a unit of consumption into a unit of conservation?” Dr. Graham explains. The founder, with the help of Yavari and Perminova, has been building the Walk for Giants campaign ever since.
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LAUNCHING WALK FOR GIANTS We are thrilled to announce our latest initiative – Walk for Giants -presented by @spaceforgiants and @gemfields, supported by @netaporter. Walk for Giants is a movement, supported by fashion, to demand global action to protect nature forever. Today’s kick-off includes the release of two exclusive capsule collections by both Gemfields and Net-a-Porter in support of the campaign. All proceeds from these capsule collections will provide critical support to protect Africa’s natural landscapes and their wildlife. The release of these capsule collections marks the launch of the Walk for Giants campaign which will culminate in an immersive conservation journey along an ancient elephant migration corridor, with some of the world’s most influential individuals, to raise awareness and funding for the protection of Africa’s iconic wildlife and the critical natural ecosystems they depend on. @gemfields @netaporter #walkforgiants #spaceforgiantsxgemfields #walkthewalk Photographer: @francescocarrozzini Creative Director: @riccardoruini Models: @selenaforrest @arizona_muse Hair: @laurentphilippon Make-up: @lilichoimakeup Stylist: @hels_broadfoot Location: @enasoit
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The corresponding photoshoot, which features both collections, not to mention two elephants, took place at Enasoit Game Sanctuary in Kenya, which is located at the crossroads of a number of animal routes. “You can watch the procession all day,” Dr. Graham says. “It was an astonishing place to do the shoot.” Space for Giants tapped renowned fashion photographer Francesco Carrozzini and creative director Riccardo Ruini to elevate the Walk for Giants campaign, while models Selena Forrest and Arizona Muse were chosen as its faces. “Selena represents youth,” Dr. Graham says of Forrest. “She represents a lot of hope within her community, and I think she’s passionate about Africa and she’s passionate about conservation.” Another reason for choosing Forrest was to bring a younger, more vibrant audience to the conservation effort, which Dr. Graham says is “a bit stale.” “In many ways, [Forrest] represents a real opportunity to make the industry more mainstream and communicate to an audience who we wouldn’t normally speak to.” As for Muse, Dr. Graham calls her the “bonafide face of sustainability in fashion,” making her an obvious partner for the campaign. 
Once it’s safe to travel again, Dr. Graham plans to hold a second walk along the Ewaso Ng’iro with some of fashion’s most influential individuals in an effort to raise awareness and funding for Africa’s natural ecosystems. “The fashion industry has a bit of an image problem around the environment,” Dr. Graham says. “However, it’s also very, very powerful — it’s one of the biggest industries in the world.” 
Dr. Graham founded his nonprofit Space for Giants in 2010 after a number of the Kenyan elephants he’d been tracking and studying as part of his Ph.D. studies at Cambridge University were killed by poachers. “It really hit home to me, both how vulnerable elephants were to the illegal wildlife trade, and also just how little value they and their habitats have in terms of creating custodians among local people and national governments in Africa,” Dr. Graham says. Today, when the issue of wildlife poaching has once again seen a spike in popularity, it’s more important than ever to protect the natural ecosystems that hold elephants and other wildlife.
Shop both charitable collections today on Net-A-Porter.com and Gemfields.com and learn more about Dr. Graham’s mission at SpaceforGiants.org. 
Like what you see? How about some more R29 goodness, right here?
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21 Homeware Pieces That Give Back To Charity
How The NHS Became The Coolest 'Brand' In Britain
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mulherama · 6 years
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Com produções originais, Netflix aposta em tramas italianas
Netflix terá trama sobre Berlusconi e noticiário policial sobre máfia italiana
Com uma expressiva expansão internacional, alcançando mais de 130 países, a Netflix tem se consolidado como o principal serviço de streaming do mundo. Impulsionada por novos documentários, séries e filmes, a empresa também tem apostado em produções originais italianas.
Com produções originais, Netflix aposta em tramas italianas sobre máfia italiana e Silvio Berlusconi
Foto: Reprodução/Twitter
Da história de um dos políticos mais famosos do país europeu ao comportamento de grupos mafiosos, passando pelo polêmico assassinato de uma jovem estudante britânica em terras italianas. Esses são alguns dos roteiros relacionados ao país da bota que podem ser vistos na Netflix.
Em novembro de 2016, estreou um documentário sobre o ex-primeiro-ministro da Itália Silvio Berlusconi, um dos personagens mais controversos dos últimos 20 anos na política internacional. “My Way” (“Meu Caminho”, em tradução livre) tem direção de Antongiulio Panizzi e é baseado no livro homônimo do jornalista norte-americano Alan Friedman. Entre as mais de 100 horas de entrevistas, concedidas ao longo de 18 meses, Berlusconi fala sobre temas como escândalos sexuais, acusações de corrupção contra ele e a amizade com o presidente da Rússia, Vladimir Putin.
Por sua vez, uma das produções italianas mais emblemáticas no Netflix é o documentário “Amanda Knox”, que conta sobre um dos crimes mais midiáticos da história recente do país. Lançado em setembro do ano passado, o longa é de autoria dos cineastas norte-americanos Rod Blackhurst e Brian McGinn e narra o assassinato da estudante britânica Meredith Kercher e seus desdobramentos por meio de quatro perspectivas diferentes: da norte-americana Amanda Knox, do seu ex-namorado Raffaele Sollecito, do promotor italiano Giuliano Mignini e do jornalista do “Daily Mail” Nick Pisa.
Knox e Sollecito foram acusados de matar a britânica e chegaram a ser condenados e presos, mas acabaram absolvidos. Já na categoria “moda italiana”, o documentário “Franca: Chaos and Creation”, dirigido por Francesco Carrozzini, traz a história da lendária editora da “Vogue Italia” Franca Sozzani, morta em 22 de dezembro de 2016.
Entre as séries italianas, há a recém-lançada “Suburra”
Inspirada em um livro homônimo, a atração, que está em sua primeira temporada, conta a história de três jovens, Aureliano, Spadino, e Gabriele, que tentam, cada um a sua maneira, sobreviver em meio às disputas de poder em Roma.
A série explora as ações da máfia, as rotinas de famílias ciganas, traficantes de drogas, políticos, nobres e do Vaticano para garantirem seu quinhão no projeto de construção de um porto em Ostia, distrito litorâneo de Roma.
Para 2018, a Netflix já iniciou a produção de mais duas séries originais. A primeira, de quatro episódios, contará a rotina dos jogadores da Juventus, primeiro time de futebol a protagonizar uma atração feita pela empresa norte-americana.
Já a segunda, chamada “Baby”, será um drama inspirado em fatos reais sobre o escândalo “Baby Squillo”, uma trama que envolveu políticos, advogados, empresários e até mesmo o esposo da neta de Benito Mussolini em um esquema de prostituição juvenil ocorrido em 2014. Com oito episódios, a série, produzida pela Fabula Pictures, tem roteiro escrito por um grupo chamado “Grams”, que inclui Antonio Le Fosse, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti, Giacomo Mazzariol e Re Salvador.
Catálogo
“Suburra” é uma das produções originais italianas do serviço de streaming
Foto: Reprodução
Quanto aos filmes italianos disponíveis no serviço de streaming, existe um catálogo diferente para cada país, e novas produções são adicionadas a cada mês. Atualmente, é possível degustar grandes sucessos, como os filmes “A Grande Beleza”, de Paolo Sorrentino; “Amor eterno”, de Giuseppe Tornatore; “Viva a Liberdade”, de Roberto Andò; “Um sonho de amor”, de Luca Guadagnino; e “Era uma Vez no Oeste”, de Sergio Leone.
Além desses, estão disponíveis “La Coppia dei Campioni”, com direção de Giulio Base; “Um herói solitário”, de Gianni Amelio; “Um dia essa dor será útil”, de Roberto Faenza; “The Best Offer”, de Tornatore; “Neverlake”, de Riccardo Paoletti; “Benvenuto Presidente!”, de Riccardo Milani; “Slam: Tutto per uma ragazza”, de Andrea Molaioli; e “Honra e Lealdade”, de Alessandro Pepe.
Com diversas novas produções originais, o Netflix tem conseguido se firmar cada vez mais no mercado internacional. No segundo trimestre de 2017, a empresa atingiu cerca de 5,2 milhões de novos assinantes e superou a própria expectativa, de 3,2 milhões. Além disso, ultrapassou a marca de 100 milhões de clientes pelo mundo.
* com informações de ANSA Brasil
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Liborio Salomi e il capodoglio di Punta Palascia (I parte)
di Riccardo Carrozzini
Liborio Salomi (Carpignano Salentino, 1882 – Lecce 1952) è lo scienziato / geologo / naturalista / tassidermista, amico e collaboratore di Cosimo De Giorgi, al quale succedette nella cattedra di Scienze naturali e nella direzione del Museo – Gabinetto di Scienze presso l’Istituto “O. G. Costa” di Lecce. Di lui mi sono occupato nel volume Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto [1]. Ne riporto di seguito uno stralcio, che vede coinvolti gli addetti al Faro di Punta Palascia (Otranto), in ciò stimolato da Cristina Manzo, che ci delizia con i suoi bellissimi articoli sui Guardiani del mare (https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/08/07/i-guardiani-del-mare-si-raccontano-e-i-piu-belli-sono-nel-salento-iv-parte/). E che in quello del 7 agosto parla proprio di quel faro, che sul web (non ricordo dove) ho trovato essere stato costruito nel 1869, sul luogo di una delle nostre tante torri cinquecentesche, all’epoca già allo stato di rudere, che fu interamente demolita. Ho un po’ ridotto e adattato il testo alle esigenze di questo sito: si tratta della vicenda (che vide Salomi protagonista nel 1902-1903) del recupero dello scheletro di un capodoglio, la cui carcassa in decomposizione venne avvistata proprio dai soldati del semaforo. Sarei curioso di sapere se esistono i diari dell’attività di quel faro (allora era presidiato) e, in caso affermativo, se in quello del 1902 la vicenda è stata riportata.
  Poco più che diciannovenne, da studente del secondo Liceo dell’Istituto “Capece” di Maglie, Liborio Salomi mise già alla prova tutte le sue capacità partecipando attivamente al recupero e alla preparazione dello scheletro di un grosso capodoglio morto, il cui corpo venne avvistato al largo di Otranto il 18 gennaio 1902 [2].
Il corpo di questo enorme pesce (che in realtà, come si sa, è un mammifero), visto in lontananza, fu scambiato, dai “soldati del semaforo, addetti al servizio di Otranto, in località così detta Palascia”, per il profilo di un natante naufragato; alcuni gruppi di pescatori si diressero perciò, a bordo di sette imbarcazioni, verso questa sagoma indistinta visibile al largo, sperando di trovarvi chissà quale bottino.
Rivelatosi per quello che era, il corpo del cetaceo, già in stato di decomposizione, venne trainato a Otranto, da dove il Sindaco dell’epoca ordinò che venisse rimosso e spostato in località “Rinule” [3], a causa del fetore che emanava, in attesa che chi di dovere decidesse il destino di quella enorme carcassa. Esiste una foto, in possesso di Teresa Salomi (figlia dello scienziato, ancora vivente), appena leggibile e che, malgrado ciò, ho pensato ugualmente di pubblicare, del corpo del cetaceo trasportato nel porto di Otranto.
Fig. 1 – Il capodoglio nel porto di Otranto; sul molo un gruppo di curiosi (Foto da Teresa Salomi)
  Frattanto la notizia era giunta a Maglie, dove il Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Liceo Capece, avv. Raffaele Garzia, si interessò alla questione, manifestando il suo interesse anche presso il Ministero della Marina. Questo, con telegramma in data 24 gennaio, concesse il cetaceo al Ministero dell’Istruzione e per esso al Preside del Liceo Capece a “scopo scientifico”. Con telegramma del giorno successivo il Sindaco di Otranto comunicava al Preside che il Prefetto lo aveva reso partecipe di quanto sopra e che pertanto il cetaceo recuperato era nella disponibilità del Liceo Capece “subordinatamente intero pagamento spesa ricupero ed in caso rifiuto lo abbandoni ricuperatori”. Lo stesso giorno (25 gennaio) il Consiglio d’Amministrazione del Liceo Capece, convocato in via d’urgenza, adottava la deliberazione n. 51, con la quale si stanziavano £. 150,00 per l’acquisto “dello scheletro del cetaceo giacente nelle acque di Otranto”.
Il Salomi, già conosciuto nella sua scuola per la sua competenza e per gli interessi nel settore della preparazione di animali imbalsamati e scheletri, fu incaricato di recuperare, per l’Istituto “Capece”, lo scheletro del cetaceo, e si recò dove il corpo era stato portato, procedendo [4] alla rimozione di tutte le carni e le parti molli in decomposizione [5] e al dissezionamento dello scheletro; organizzò e sovrintese anche al trasporto dello scheletro stesso, ormai privato degli organi interni e in gran parte ripulito dalle masse carnose, a Maglie, dove le ossa vennero seppellite nella calce viva per una loro completa ripulitura.
Tra la documentazione reperita vi è poi una lettera del Presidente Garzia al prof. Giuseppe Consiglio [6] con la quale il docente veniva pregato “di compiacersi procedere al diseppellimento delle ossa del cetaceo, e provvedere per pulirle, facendosi aiutare da qualche alunno, se lo crede, per evitare spese all’Istituto”. Qui rientra in gioco il Salomi, che effettua la pulizia finale delle ossa dissotterrate e procede alla ricomposizione dello scheletro, come testimonia la fig. 5, in possesso della figlia Teresa e già pubblicata (sia pure in una versione “speculare” fornita dalla pronipote di Liborio dott. Elena Valsecchi) nell’articolo Braschi – Cagnolaro – Nicolosi (si veda la nota 2); la foto mostra lo scheletro, sommariamente ricomposto a Maglie, con accanto la figura inconfondibile del giovane Salomi [7].
Fig. 2 – Il frontespizio del fascicolo che contiene tutti i documenti della vicenda (archivio Fondazione “Capece”, Maglie)
  Non si capisce bene perché, ma le originarie motivazioni dell’acquisto, di cui si trova traccia nella delibera n. 51 (“per arricchire il materiale scientifico dei nostri Gabinetti”), vennero successivamente meno, tanto che venne deciso –credo unicamente per motivi economici, ma non ho trovato documentazione che confermi questa mia supposizione- di alienare lo scheletro, forse al miglior offerente, inoltrando la relativa offerta anche oltr’alpe.
Fig. 3 – La deliberazione n. 51 (Archivio Fondazione “Capece”)
  A tal proposito si segnala una lettera a stampa in lingua francese, su carta intestata, anch’essa in francese, non si sa se mai spedita (è, infatti, senza indirizzo), che trascrivo integralmente nella mia traduzione:
“Data del timbro postale – Il nostro Istituto ha acquisito, da qualche mese, lo scheletro di un capodoglio, restituito morto dal mare Adriatico nei pressi di Otranto il 19 gennaio 1902. Si tratta di un physiter macrocephalus femmina, il cui scheletro raggiunge la lunghezza di 15 metri [8] e la circonferenza di 7 metri all’altezza della parte anteriore del tronco. Non è ancora montato, ma tutti i suoi pezzi – mancano solo 8 dei 25 denti della mandibola destra – sono stati scarnificati con cura e seccati con la calce. Desideriamo venderlo o scambiarlo con altro materiale scientifico di zoologia in buono stato. In attesa di ricevere proposte, siamo pronti a fornirvi eventuali chiarimenti richiesti (foto, inventario dei pezzi, ecc.). Il Presidente dell’Istituto Raffaele Garzia.” La lettera è indirizzata, sempre a stampa, “ai Signori Direttori d’Istituti di scienze naturali, di Musei zoologici, etc.”, senza ulteriori specificazioni.
Fig. 4 – La lettera al prof. Consiglio (Fondaz. “Capece”)
  (continua)
  Note
[1] R. Carrozzini, Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto, Ed. Milella, Lecce 2015, ISBN 978–88–7048–581–3. Chi volesse saperne di più può cercare Liborio Salomi tra gli articoli della Fondazione Terra d’Otranto.
[2] Nell’archivio della Fondazione “Capece”, la cui sede è ubicata nello stesso stabile dell’omonimo Liceo, a Maglie, si trova, nella busta n. 9, un fascicoletto con la documentazione relativa a questa vicenda; in altre buste vi è anche traccia di alcuni mandati di pagamento relativi alla stessa. Ringrazio il Presidente della Fondazione dott. Dario Vincenti e l’addetta all’archivio dott. Giovanna Ciriolo per la grande disponibilità dimostrata e per l’autorizzazione a pubblicare la documentazione in loro possesso. Altro doveroso ringraziamento al prof. Roberto Barbuti, vice-Direttore del centro Interdipartimentale – Museo di Storia Naturale e del Territorio dell’Università di Pisa per le foto dello scheletro, l’articolo sullo stesso (S. Braschi,     L. Cagnolaro, P. Nicolosi, Catalogo dei Cetacei attuali del Museo di Storia Naturale e del Territorio                       dell’Università di Pisa, alla Certosa di Calci. Note osteometriche e ricerca storica, in Atti Soc. tosc. Sci. nat., Mem., Serie B, 114, 2007) ed altre notizie fornite. Ringrazio infine il dott. Nicola Maio dell’Università di Napoli, studioso dello scheletro dei cetacei dei musei italiani, con il quale ero in contatto per altre vicende relative al Salomi e che mi ha permesso di trovare e pubblicare la lettera/relazione di Salomi che si può leggere in questo articolo.
[3] Piccola cala ubicata circa 650 metri a nord della “punta” posta sulla costa a nord dell’insenatura principale della città di Otranto, ossia dopo l’odierna Riviera degli Haethei.
[4] Con l’aiuto di manovalanza non particolarmente qualificata, vedere relazione di Salomi trascritta più oltre.
[5] Il lavoro durò complessivamente tredici giorni; Teresa Salomi riferisce di aver appreso direttamente da suo padre che in quella occasione qualcuno gli insegnò a fumare il sigaro toscano, il cui “odore” riusciva in qualche modo a coprire o almeno a mitigare gli effetti dei miasmi nauseabondi emanati dall’enorme carcassa in decomposizione.
[6] prot. n. 110 in data 31 maggio 1902, fig. 4
[7] Si vedano anche le figg. 5a, 5b, 5c, 5d e 5e che raffigurano particolari dello scheletro prima del suo assemblaggio.
[8] I pochissimi articoli finora pubblicati sul Salomi, ed anche quanto riferitomi dalla figlia Teresa, in realtà concordavano sul fatto che la lunghezza del capodoglio sarebbe stata di 22 metri; la cosa mi insospettì fin da subito per due ordini di motivi: per quanto a mia conoscenza 22 metri era una dimensione più che rispettabile persino per una balenottera (i capodogli, più piccoli, non credevo arrivassero a tale misura), ed inoltre dalla fig. 5, in cui è visibile anche il Salomi, si desume facilmente che la lunghezza doveva essere notevolmente inferiore; il prof. Barbuti mi ha scritto infatti, il 15 gennaio 2013, che “non è lungo 22 metri bensì 12,57 metri”, evidentemente così com’è ancora esposto a Pisa; nella lettera riprodotta nella fig. 6 si parla di una lunghezza di 15 metri; Salomi nella sua relazione (ved. oltre) parla di una lunghezza massima di 12 metri.
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Libri| Il "Cosimo de Giorgi" di Lecce, primo liceo scientifico della Puglia
  Presentazione di Giovanna Caretto
Il Liceo “De Giorgi” non mi annovera tra le migliaia di studenti che dal 1923 si sono formati tra i suoi banchi. Nel lontano 1975, terminata la scuola media, fu mio padre, a suo tempo alunno di questo Liceo, ad orientarmi verso gli studi classici, che allora si addicevano più propriamente alla formazione delle ragazze. Tale scelta, però, non ha fatto vacillare la mia propensione per le discipline scientifiche, avendo conseguito la laurea in Scienze Biologiche con successiva specializzazione in Microbiologia. Nel 1987, vincitrice di concorso a cattedra, iniziò la mia carriera di insegnante di Scienze negli istituti secondari di Lecce e Provincia, passando per il Liceo “De Giorgi” negli anni 2005-2007.
Poiché sotto un’apparenza tranquilla si cela uno spirito curioso, desideroso di mettersi alla prova e sperimentare nuove vie, nel settembre del 2010, vincitrice di concorso dirigenziale, per volere del destino, tornai al prestigioso Liceo “Cosimo De Giorgi” di Lecce come dirigente, prima donna nella lunga serie di presidi-dirigenti avvicendatisi dal 1923 ad oggi.
Il turbinio delle emozioni provate, assumendo la dirigenza del De Giorgi, spaziava dall’intima soddisfazione di essere la dirigente del più antico liceo scientifico dell’intera regione, alla consapevolezza della gravosità dell’incarico. Assumevo la dirigenza di un Liceo, grande per numero di sedi, alunni, docenti, ma soprattutto per le elevate attese formative in esso riposte da genitori e studenti, a me personalmente note, avendolo io stessa scelto per la formazione di mio figlio Lorenzo. Da lavoratrice instancabile e con forte senso del dovere, quale ritengo di essere, mi sono gettata a capofitto nel lavoro per concretizzare la mia visione di scuola, sostenendo la mia ancora acerba esperienza dirigenziale con una grande attenzione ai bisogni delle persone che, a qualsiasi titolo, lavorano o collaborano col Liceo e che, insieme a me, sono attori della vita interna e dell’immagine esterna del De Giorgi. Per mia fortuna la comunità scolastica nel suo complesso mi ha accolto con sostanziale apertura e condivisione, consentendomi di avviare un cambiamento che sapesse coniugare nuovi processi didattici con un solido curricolo formativo, costruendo cioè il futuro delle nuove generazioni sulle esperienze acquisite, imparando il nuovo senza dimenticare il passato, sostanziando e corroborando il presente con la conoscenza del cammino già fatto.
In questo percorso di recupero delle radici, di documentazione del passato per dare forza e identità al presente, si inserisce la volontà di pubblicare il presente volume.
Il caso ha voluto che presso il “De Giorgi”, al mio arrivo, fosse in servizio il prof. Riccardo Carrozzini, architetto, docente distaccato su altri compiti per motivi di salute. Ho apprezzato, da subito, il suo stile pacato e concreto, ho beneficiato della sua competenza professionale e ho condiviso con lui la volontà di ricostruire la storia del Liceo De Giorgi. La sua peculiare situazione personale e professionale (architetto, ex docente, addetto alla biblioteca, ex alunno del Liceo) ha consentito di trovare in una sola persona motivazione, competenza e disponibilità di tempo per la minuziosa ricerca di documenti e la ricostruzione di uno spaccato della vita passata del De Giorgi. Si è perciò dedicato a tale attività con entusiasmo e grande profusione di tempo ed energie, andando ben oltre l’impegno scolastico antimeridiano.
Visti i risultati delle sue ricerche, per amore di documentazione storica ho ritenuto fosse importante non disperdere l’ingente documentazione reperita, in gran parte inedita, che occorreva, però, riunire in un unico testo che potesse ricostruire, pur con alcuni limiti, parte della storia del Liceo De Giorgi. Sicuramente il testo che si dà alla stampa presenta il limite di una visione un po’ personalistica: la ricerca di documenti e la ricostruzione guardano prioritariamente alla storia degli edifici sede del Liceo, al loro inserimento urbanistico e al loro stato di conservazione, purtroppo bisognoso di numerosi interventi. Di tanto Riccardo Carrozzini è ben cosciente, ma ciò non toglie importanza all’inedito lavoro, che a mio giudizio risulta di grande interesse. Documenti, foto, personaggi, nomi, curiosità del passato di questo Liceo, oltre a diventare accessibili a chiunque vorrà leggere il volume, potranno far rivivere ricordi a chi è più avanti negli anni, ma anche, forse, far sorridere i più giovani, in un inevitabile confronto con il presente.
Un piccolo spazio è stato dedicato alla raccolta di testimonianze-ricordi di ex alunni del Liceo, oggi professionisti di valore sparsi per il mondo. Mi scuso da subito con tutti coloro che avrebbero avuto titolo per portare la propria testimonianza e non sono citati, ma questa sezione vuole semplicemente essere una dimostrazione, per gli studenti di oggi, di quanto possano lasciare traccia gli anni trascorsi al Liceo De Giorgi.
Le difficoltà scolastiche, le piccole delusioni, le temporanee incomprensioni, gli inevitabili incidenti di percorso, oggi causa di grandi affanni, domani saranno ricordati con benevolenza. La palestra formativa del Liceo avrà prodotto i suoi frutti se i suoi studenti sapranno vivere una cittadinanza europea da professionisti competenti e se sapranno essere resilienti ai mutamenti della vita (come si usa dire oggi) o, ricordando una frase ben nota del passato, tetragoni ai colpi di ventura.
Sperando che questo lavoro possa essere apprezzato all’interno e all’esterno della comunità scolastica, rivolgo un sentito ringraziamento a Riccardo Carrozzini.
  Dalla Prefazione di Riccardo Carrozzini
Tanti e del tutto imprevedibili sono i casi della vita, che spesso è determinata da fatti che non avremmo mai pensato che potessero accaderci. Perciò anche quello che leggerete ritenetelo frutto di un caso. Questo ha voluto che, in seguito a un brutto evento che ha menomato le mie condizioni fisiche, io abbia potuto scegliere, nel 2007, la scuola dove essere mandato, da docente destinato ad altri compiti per motivi di salute. Ho preferito perciò la mia scuola da alunno, il Liceo scientifico “Cosimo De Giorgi”, e ciò mi ha consentito, nei ritagli di tempo e dedicandoci anche un bel po’ dell’ “altro” tempo, quello “mio”, di ricostruire, almeno parzialmente, la storia della Scuola, che alcuni anni or sono avevo appena abbozzato per il suo sito web. È evidente che volano di tutto il mio lavoro sono stati il fortissimo legame e i tanti ricordi che mi legano a questa Scuola ancora oggi, dopo 50 anni dalla maturità.
Le ricerche compiute e i molti documenti trovati, in buona parte inediti, hanno consentito di mettere insieme una specie di cronaca illustrata, certo non completa, ma spero interessante per chi abbia voglia di leggerla e guardarla. Ho volutamente scelto, da tecnico quale io sono, di approfondire solo quegli aspetti per i quali sentivo di avere mezzi sufficienti, e di riportare in larga prevalenza solo la successione degli eventi, senza esprimere giudizi e lasciando il più possibile parlare i documenti. Spetterà ad altri di occuparsi dei tanti aspetti che ho trascurato, più legati alla didattica, magari in occasione del centenario del Liceo, che cadrà nel 2023.
Fonte principale delle ricerche è stato l’Archivio di Stato di Lecce, terzo deposito della Provincia, che ha fornito la maggior parte delle testimonianze documentali. Ma anche presso l’Archivio Storico della Città di Lecce ho trovato diverse carte interessanti, che hanno permesso sia un veloce esame di carattere urbanistico della porzione di territorio a cavallo del viale De Pietro, dalla Villa comunale al bastione San Francesco, sia di ricostruire la vicenda legata al busto in bronzo di Cosimo De Giorgi, opera di Antonio Bortone, posto davanti all’ingresso della prima sede del Liceo.
I documenti trovati presso l’Archivio storico della Camera di Commercio hanno consentito di ricavare il ruolo che quell’Ente ebbe come finanziatore, insieme alla Provincia e al Comune di Lecce, del Liceo alle origini, e come promotore di una proposta tendente a dare al Liceo stesso una denominazione diversa da quella che poi gli venne assegnata.
L’Archivio storico della Scuola conserva, della prima sede (quella presso la villa comunale), poca documentazione; la maggior parte di essa, infatti, ed in particolare tutta la corrispondenza, deve essere andata perduta nel corso del trasferimento da quella sede all’attuale, nel 1957[1]. Cose interessanti ho trovato pure nel faldone dei documenti della Cassa scolastica, e un altro caso della vita ha consentito di identificare l’autore (un importante scultore romano) del busto in marmo di Toto Zaccaria, visibile nell’atrio insieme ad una targa marmorea con iscrizione, entrambi del 1925.
L’Ufficio centro storico della città di Lecce ha consentito, infine, di dire qualcosa sul presente e sul futuro dell’area intorno al Liceo, nel quadro dell’importante recupero complessivo dell’immagine di quella parte di città.
Mi auguro che il testo che sono riuscito a mettere insieme, corredato da numerose immagini, anche d’epoca, e dai più importanti documenti scelti tra quelli reperiti nei diversi archivi, possa risultare interessante anche per i non alunni del “De Giorgi”, visto che una sezione del libro riguarda un’area extramurale abbastanza importante di Lecce. Qua e là, poi, vi sono altre notizie interessanti, poco note o inedite, su situazioni particolari, passate e future, della città.
L’impostazione data a questo lavoro costituisce, probabilmente, una novità per le Scuole del Salento e può perciò costituire un esempio da seguire da parte di altre scuole “storiche” della Provincia.
Il sapere si accresce solo se condiviso, ha detto Ivan Tresoldi, noto poeta di strada, e ormai da alcuni anni qualcuno lo ha scritto con la vernice spray sulla nuova scala di accesso al Liceo “De Giorgi”. Approvo pienamente e perciò un altro sentito grazie va a tutti coloro che hanno reso possibile, col loro apporto, di qualsiasi genere, la stampa di questo volume e a tutti coloro che vorranno contribuire alla sua diffusione.
Mi scuso, infine, se ho, forse, troppo “personalizzato” alcune parti di questo scritto, ma mi sono sentito (e mi sento tuttora) molto dentro alle cose.
  Il contenuto di quanto leggerete è il seguente:
l’istituzione dei Licei scientifici con la riforma Gentile (1923);
la controversia sulla denominazione del Liceo scientifico di Lecce;
il busto in bronzo di Cosimo De Giorgi
le sedi del Liceo e il contesto:
prima … (brevi considerazioni di tipo urbanistico sull’area extramurale a cavallo di viale De Pietro, già viale Brindisi, già viale d’Italia, dalla fine del XIX secolo)
la Scuola d’Arti e Mestieri
la prima sede del Liceo
i primi lavori di adeguamento
la requisizione
l’ampliamento del 1951
l’atto di vendita del terreno dell’attuale sede centrale
i Vigili del fuoco
la nuova sede, inaugurata nel 1957
dopo il 1965
la Scuola … abusiva (!!!)
De Giorgi forever!;
oggi … e domani;
la Cassa scolastica e il busto marmoreo di Toto Zaccaria;
gli Annali misteriosi
l’altorilievo sulla facciata della sede di viale De Pietro;
curiosità;
contributi di (e su) ex alunni, ex docenti ed ex presidi;
nomi e numeri;
conclusioni.
  [1] Molti dei documenti citati e/o riprodotti sono, perciò, relativi ai rapporti tra la Scuola e l’Amministrazione provinciale, e vengono dall’Archivio di Stato di Lecce.
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