Tumgik
#Russi gelosi
firewalksbymyside · 7 months
Text
Tumblr media
"Ciao amore sono pronta per la conferenza"
"Siamo sicuri che è una conferenza?"
10 notes · View notes
diceriadelluntore · 4 years
Photo
Tumblr media
Storia Di Musica #156 - The Velvet Undeground & Nico - The Velvet Underground & Nico, 1967
La Verve è l’etichetta del jazz fondata da quel genio di Norman Granz a metà anni ‘50. Nel 1967 era una delle etichette più famose e rispettabili del panorama musicale quando si ritrovò a contratto una band di 4 giovani, che avevano due precettori niente male: Tom Wilson, l’uomo che scoprì Dylan, e Andy Warhol, il quale ingaggiava la band durante i party alla Factory, il suo laboratorio artistico, proiettando letteralmente addosso ai quattro musicisti delle immagini: da questo presero l’abitudine di suonare sempre con gli occhiali scuri da sole. La band in questione era composta da due studenti di letteratura, Lou Reed e Sterling Morrison, un giovane gallese con un bagaglio musicale classico e una viola elettrica, John Cale e una giovane batterista, dalla tecnica piuttosto basica, Maureen Tucker. Scelsero come nome il titolo di un libro del giornalista Michael Leigh, pubblicato nel 1963, che indagava per la prima volta le oscure e inconfessabili abitudini sessuali dei newyorkesi, tra cui lo scambismo, le pratiche sadomaso e così via: The Velvet Underground. Quella che è una delle band pilastro della leggenda rock è una parabola breve, strana e costellata di zero successo all’inizio. Buona parte di ciò si deve all’idea che la band aveva della propria musica: se tutto intorno furoreggiavano la musica di protesta, il flower pop, le abilità strumentali, Reed e compagni mettevano in musica il lato oscuro della vita, l’abuso delle sostanze, il rapporto ambiguo e misterioso con il sesso, la sperimentazione musicale. Il loro primo album è il fondamentale The Velvet Underground & Nico che uscì il 12 Marzo 1967. La copertina, uno dei simboli del rock, fu opera di Warhol: senza nome della band nè titolo del disco, aveva una banana che si sbucciava davvero (fu costruita una macchina apposita per creare gli adesivi) e lasciava alla vista un frutto dalla polpa rosa (e allusione meno diretta non esisteva): sia per il costo della realizzazione sia perchè un attore della Factory che appariva nelle foto interne fece causa per uso improprio della sua immagine, furono realizzate poche copie con l’adesivo, e visto anche “il successo relativo” del disco (di cui parlerò dopo), è uno dei pezzi più pregiati e ricercati dai collezionisti. Ma il vero shock è la musica: 11 brani divenuti tutti iconici, uno spaccato di vita nera e disperata, incentrata sulla musica iconoclasta e urticante della band, a cui Warhol affiancò l’algida voce e le idee di Nico (al secolo Christa Päffgen), la prima icona della musica goth. Nel disco ci sono tutti i brani già composti dalla band (che iniziò a suonare insieme da metà 1965) a cui Wilson aggiunse insieme a Reed altre idee; il disco fu registrato soprattutto allo Scepter Studios di Manhattan, in uno stabile che era destinato ad essere demolito, tra buchi alle pareti e pavimenti instabili, in soli quattro giorni (in realtà lo stabile fu ristrutturato e al primo piano si stabilì il mitico locale Studio ‘54). Norman Dolph, l’ingegnere di studio, volle essere pagato con un quadro di Warhol, Death and Disaster, che vendette per 17.000$ nel 1975 durante il suo divorzio (se l’avesse tenuto, adesso varrebbe milioni di dollari). Il disco si apre con la dolcezza di Sunday Morning, uno dei brani più usati nelle pubblicità di prodotti per bambini, per via della melodia che sa di giochi per neonati: in realtà è il risveglio da una notte di balordi e di eccessi; segue uno dei brani leggenda del rock, I’m Waiting For My Man: la storia di un uomo che va da Lexington 125 (la sede della Factory) ad Harlem, per comprarsi una dose da 26$, una delle canzoni che modellano il rock, che nella visione del Reed di quegli anni era un omaggio alla poetica di Dylan; Femme Fatale, altro classico, è la languida e disperata elegia d’amore che Reed dedicò a Edie Sedgwick, una delle muse di Warhol, amata da Reed ma anche da Bob Dylan, che le scrisse nientemeno che Just Like A Woman (la Sedgwick fu definita da una rivista dell’epoca “la donna che ha dato un senso alla calzamaglia oltre il teatro shakespiriano”). Il brano, cantato dalla voce di Nico, nasale e quasi misteriosa, sfocia poi in un altro capolavoro: Venus In Furs è un chiaro omaggio al romanzo Venere in Pelliccia di Von Masoch, un triangolo sadomaso puntellato dalla viola, quasi violenta, di John Cale, uno dei brani culto della band. Run Run Run è la prima canzone di Reed dove compaiono strani personaggi dai nomi bizzarri (Teenage Mary, Margarita Passion, Seasick Sarah, e Beardless Harry), forse transessuali, che vivono una Union Square luogo di incontri e spaccio. All Tomorrow’s Parties, cantata da Nico, era la canzone preferita di Warhol: una versione decadente e funerea di Cenerentola, ispirata a certi personaggi che frequentavano la Factory di Warhol. Nico canta anche la stupenda I’ll Be Your Mirror, forse il brano più “convenzionale” del disco, scritta da Reed per Shelley Albin, prima fidanzata di Lou, ma forse anche alla stessa Nico. Il disco non lascia niente dietro: senza tabù si parla della violenza dei gelosi in There She Goes Again (che utilizza il riff di chitarra di un brano di Marvin Gaye, Hitch Hike del 1962), sperimenta i suoni al limite del disturbo in The Black Angel’s Death Song (Sterling Morrison raccontò per anni che suonata per la prima volta in pubblico, furono licenziati in tronco dal proprietario del locale in cui si esibivano). Il disco si chiude con altre due perle, scure e drammatiche come tutte il resto: European Son è un omaggio sentito e meraviglioso di Reed e Morrison a Delmore Schwartz, professore di scrittura creativa alla Syracuse University, che gli fece scoprire il decadentismo francese, Baudelaire, i poeti russi e la forza dell’uso delle parole: un breve testo cantato sopra un convenzionale riff di chitarra e basso è come spezzato da un suono creato da John Cale trascinando una sedia di metallo sul pavimento e poi facendola sbattere violentemente contro una pila di piatti di alluminio, per poi esplodere in feedback, distorsioni, un incubo musicale che lascia senza fiato. Ma è un’altra la canzone leggenda di questo disco epico: Heroin è probabilmente la canzone definitiva sull’eroina, un racconto asettico e terribile dei gesti di chi si droga (l’ago nella vena, il sangue che scorre, l’euforia che ne consegue), con la musica che sale e scede con lo stesso probabile andamento delle sensazioni di chi si è iniettato l’eroina in vena: tuttavia Heroin è da considerarsi una canzone “a proposito” e non “a favore” dell’eroina, tanto che Reed per decenni si rifiutò di cantarla (aiutato in questo dal fatto che per anni la canzone fu bandita da numerosi Stati degli USA). Il disco all’epoca ebbe zero successo commerciale: non si sa nemmeno quanti dischi vendette davvero, chi dice 1000, chi 10 mila, chi 30 mila. Eppure è vero quello che Brian Eno disse al riguardo: È stata un'incisione talmente importante per così tante persone. Sono convinto che ciascuno di quelli che l’hanno comprato ha fondato una band. I VU scriveranno un altro disco leggendario, senza Warhol (White Light\White Head, capolavoro del 1968) ma poi perderanno Cale, che non compare già in The Velvet Underground del 1969, che è di fatto il primo disco di Lou Reed e con Loaded del 1970 Reed se ne va, sostituito da Doug Yule, ma siamo già in un’altra dimensione. Se qualcuno che non l’ha mai ascoltato verrà affascinato e convinto all’ascolto da quello che ho scritto me lo faccia sapere, per capire se fa ancora lo stesso effetto oggi di quello dirompente che fece oltre 50 anni fa.
42 notes · View notes
sciscianonotizie · 5 years
Text
Presentazione a Napoli, Luna ” Rossa ” di Massimo Capaccioli
#ILMONITO
Nell’ anno del cinquantenario del primo sbarco sulla luna, martedì 8 ottobre 2019 , ore 16,00, alla Biblioteca Nazionale di Napoli si presenta il libro “Luna rossa” di Massimo Capaccioli (Carrocci ed. 2019). Ne discutono con l’autore: Pietro Greco, giornalista scientifico e Filippo Maria Zerbi , Presidente Nazionale INAF coordina  Vittorio Dini, introduce Francesco Mercurio direttore della Biblioteca. L’ astrofisico italiano Massimo Capaccioli ripercorre in modo vivace e coinvolgente tutte le tappe della corsa allo spazio e  dedica il suo recentissimo volume non agli americani che giunsero per primi sulla luna ma ai sovietici che diedero il via alla sfida dello spazio con  lo Sputnik e i coraggiosi cosmonauti come Jurij Gagarin, Valentina Tereškova e Aleksej Leonov. Per quasi 20 anni le imprese spaziali assurgono a terreno della guerra fredda tra USA e URSS, nelle pagine la lunga storia fatta di ambizioni, abnegazione, patriottismo, colpi bassi, gelosie, errori  ma anche dei capricci della sorte.Furono, infatti,  gli americani a tagliare per primi il filo di lana, il 20 luglio 1969, ma furono i russi il 4 ottobre 1957 a lanciare lo Sputnik, il primo satellite artificiale della storia. Un mese dopo (il 3 novembre 1957)  i sovietici replicano con il lancio di un altro Sputnik. C’è a bordo la cagnetta Laika, il primo essere vivente a sfidare lo spazio.
Visita guidata  alla mostra Guarda che luna!  (ultimo Giorno di APERTURA)
La Mostra bibliografica, documentaria e iconografica  allestita  per il 50° anniversario dell’allunaggio (1969-2019) un percorso tra realtà scientifiche e suggestioni romantiche  dalle rappresentazioni geocentriche dell’universo alle osservazioni dei fenomeni celesti e le nuove tecnologie ottiche;
Evento in collaborazione col Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Federico II di Napoli e con l’ IstitutoItaliano per gli StudiFilosofici.
Massimo Capaccioli (Montenero d’Orcia, 19 aprile 1944) è un astrofisico italiano. Maremmano, nel 1969 si è laureato in fisica all’Università di Padova dove ha iniziato la propria carriera come assistente, professore stabilizzato e associato di meccanica celeste. Nel 1986 è diventato astronomo ordinario presso l’Osservatorio di Padova e nel 1989 ordinario di astronomia all’Università di Padova. Nel 1995 ha trasferito la cattedra all’Università di Napoli Federico II, che ha tenuto sino alla pensione, nel 2014. Attualmente è professore emerito. Già direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte dal 1993 al 2005, è stato presidente della Società Astronomica Italiana per un decennio e presidente generale della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti in Napoli. (da wikipedia)
  L'articolo Presentazione a Napoli, Luna ” Rossa ” di Massimo Capaccioli di Redazione
source http://www.ilmonito.it/presentazione-a-napoli-luna-russa-di-massimo-capaccioli/
0 notes
Text
• 2016 👋🎉🎆 • Un anno difficile, pieno di ostacoli e decisioni da prendere. Un anno di amicizie complicate e perse, di dubbi e paure, di esami, studio, corsi e poco tempo per vivere. Un anno in cui, inevitabilmente, ho conosciuto tante nuove persone e ho iniziato, in un modo o nell'altro una nuova vita. Un nuovo trasferimento, una nuova casa e una nuova coinquilina. L'indecisione e poi la vita nel campus universitario, vicini pazzeschi, argentini, algerini, russi che mi hanno insegnato tanto, soprattutto sulla vita. Tanti nuovi cibi assaggiati, nuove canzoni ballate in vecchi locali. Il mare d'inverno. Una coinquilina come una sorella, un estate speciale, strana, con luoghi nuovi e diversi dalle solite abitudini. Scegliere cos'è giusto e cosa è sbagliato e sentirsi più di una volta sulla strada sbagliata, sentirsi inadatta, persa, svuotata di tutto, infelice tante volte. Esperimenti culinari, disastri in cucina e infortuni. Concerti speciali e Clementino, come sempre a fare da colonna sonora. Tramonti in due, con le mani strette che tanto spesso si allontanavano per ricercarsi. Sagre, vino, birra e baci rubati. Tanti abbracci e carezze sul cuore, che hanno risvegliato tutto ciò che si era spento, che cercava luce. Dolcezza a volte immeritata. Litigi brutti e dolorosi, parole taglienti, gelosie incontrollabili, situazioni che segnano la mente e imprigionano il cuore. Segreti, bugie e sorprese. Un arrivo inatteso, un matrimonio da favola, una migliore amica come una sorella e io la sua damigella. Tanti e troppi addii, falo' sotto le stelle. Ritorni, festini, cene multiculturali e piene di risate e gioia. Persone speciali che sanno capirti con uno sguardo, che tirano fuori il meglio di te, che vedono come sei davvero dentro e ti apprezzano. Che ti sembra di aver trovato la tua meta' perfetta. Qualcuno uguale a te, con i tuoi occhi, le tue paranoie, le tue paure, i tuoi gusti e il tuo carattere ingestibile. Persone che cercano di aiutarti e ti stanno accanto anche quando sei intrattabile. Silent party, cuffie con musica e un sorriso di fronte il mio a rendere tutto più bello. Ballare insieme e annullare il resto. Pazzie con gli amici, notte bianca, addio al nubilato. Cene con associazioni universitarie e pizza party improvvisati, andando a bussare a qualche porta. Bische clandestine di giochi a carte tutta la notte ma che poi vince sempre il solito e per fortuna che non giochiamo a soldi. Rubare i cartelli del pavimento bagnato alle signore delle pulizie. Tirocinio e bimbi bellissimi che ti fanno disegni, che ti sorridono, che ti insegnano che gli adulti non sognano mai abbastanza. Amici nuovi con cui consolarsi nei momenti difficili. Feste per il Benevento in serie B, ritrovare il sorriso quando lo si dimentica, ritrovare la dolcezza, la voglia di amare e di stare insieme , che in due è più bello. Trovare la forza quando ci si sente più deboli, fare follie dettate dal cuore, accettare di rinunciare alla felicità, per quella di un altro o avere difficoltà ad arrendersi e provarci fino a sfinirsi anche se non si hanno probabilità di vincita, perché se vuoi una cosa combatti fino alla fine.
2 notes · View notes
italianiinguerra · 6 years
Text
«Sono giunti più di 20 mila soldati cosacchi e caucasici, alcuni con famiglia, portano con sé un numero assai grande di cavalli. Sono il flagello di Dio. Dove passano è come se fossero passate le cavallette; dove si fermano tutto è letteralmente saccheggiato»
Con queste parole allarmate il 22 ottobre 1944 l’arcivescovo di Udine Giuseppe Nogara descriveva alla Segreteria di Stato vaticana il contingente inviato dai tedeschi in Friuli per contrastare il locale movimento partigiano.
Dalla tarda estate del 1944 sino ai primi giorni di maggio del 1945 la Carnia e parte del Friuli furono occupate da una formazione collaborazionista composta da militari di origine cosacca e caucasica che giunsero in regione accompagnati dai propri civili, veri e propri profughi che seguivano gli armati con carriaggi e con tutto quanto avevano potuto portare durante una lunga ritirata che li aveva condotti dalla Russia meridionale all’Italia attraverso l’Ucraina, la Bielorussia e la Polonia.
Prima di analizzare quella che i tedeschi denominarono operazione “Ataman” vorrei spendere due parole sui cosacchi. Inizialmente con tale termine furono individuate le popolazioni nomadi tartare (mongole) delle steppe della Russia meridionale. Tuttavia, a partire dal XV secolo, il nome fu attribuito a gruppi di slavi (per lo più russi e ucraini) che popolavano i territori che si estendevano lungo il basso corso dei fiumi Don e Dnepr (questi ultimi erano noti come cosacchi dello Zaporož’e); in questo senso, i cosacchi non costituiscono un gruppo etnico vero e proprio. Altre zone di colonizzazione successiva furono la pianura ciscaucasica (bacini dei fiumi Kuban’ e Terek), il basso Volga, la steppa del bacino dell’Ural e alcune zone della Siberia orientale nel bacino del fiume Amur.
I cosacchi, guidati da un ideale di vita avventurosa, caratterizzati da una propria cultura e gelosi della propria autonomia, finirono per svolgere il ruolo di difensori della religione ortodossa e dei confini più remoti dell’impero zarista, in specie contro tartari e turchi, nonché quello di pionieri nella conquista di nuovi territori in nome dello Zar. A questo scopo gli insediamenti cosacchi occupavano aree cuscinetto ai confini dell’Impero. A loro era affidata inoltre la raccolta dello iasak (imposta dovuta allo zar).
Durante la guerra civile russa (1918-1922) i cosacchi, che inizialmente avevano appoggiato la rivoluzione contro lo Zar, si schierarono in gran parte con le Armate Bianche in opposizione ai bolscevichi. Il “tradimento” dei cosacchi verso Mosca, aveva comunque delle giustificazioni storiche, così come il loro odio verso Stalin aveva radici profonde. Durante la rivoluzione comunista i cosacchi furono gli ultimi a cedere le armi ai bolscevichi e mentre l’Impero Russo si sfasciava essi continuarono a combattere al fianco delle Armate Bianche fedeli allo zar.
Dopo la vittoria dell’armata rossa, la rivolta non cessò mai di covare tra le popolazioni cosacche, restie ad essere sottomesse al potere moscovita: le leggi di Lenin e di Stalin dovettero essere imposte con le repressioni, le deportazioni ed il terrore. Quando i tedeschi nell’estate del ’42 raggiunsero l ‘Ucraina meridionale, la Crimea e le regioni caucasiche, le popolazioni cosacche insorsero contro i commissari politici sovietici, facilitando la conquista dei territori da parte dei tedeschi. La fiamma della rivolta si riaccese: l’indipendenza poteva essere riconquistata con l’aiuto di Hitler.
A Novocherkassk, la capitale cosacca sul Don, Sergei Pavlov atamano (capo cosacco) locale invitò tutti i cosacchi a prendere le armi per combattere al fianco dei tedeschi contro l’Armata Rossa. Dal giugno 1942 agli alti comandi tedeschi iniziarono a giungere insistenti richieste per l’autorizzazione a formare una forza cosacca volontaria. Il 10 novembre 1942, Hitler in persona confermò l’autorizzazione a concedere ai cosacchi una limitata autonomia, nel rispetto dei loro costumi e delle loro usanze: ad ascoltare il proclama del Fuhrer accorsero tutti i vecchi cosacchi sopravvissuti alla rivoluzione bolscevica, e tra questi gli Atamani Kulakov, Pavlov e Domanov.
Ma non bastava, dopo approfondite ricerche il ministro per i territori orientali Rosenberg riuscì a trovare per i cosacchi un’origine germanica, dimostrando che essi non erano una popolazione slava, bensì un popolo germanico, discendente dalla stirpe degli ostrogoti che dall’Ucraina si erano spinti fino alla Crimea e al Caucaso.
Il maggiore Ranieri di Campello alla testa dei suoi Cosacchi
Non furono solo i tedeschi a intuire le capacità dei cosacchi in combattimento. A metà luglio del 1942 il Regio Esercito costituì il Gruppo Squadroni cosacchi “Campello”, unità di cavalleria corrispondente al livello ordinativo del battaglione. A comandare l’unità posta alle dipendenze dell’Ufficio Informazioni del Comando dell’ 8^ Armata Italiana venne designato il maggiore del Savoia Cavalleria Conte Ranieri di Campello.
Il reparto era organizzato su tre sotinie (squadroni) e una fanfara a cavallo. Si componeva di circa trecento volontari, i cui quadri erano costituiti da ufficiali e sottufficiali cosacchi ai quali fu riconosciuto il grado ricoperto nelle file dell’Armata Rossa. Il Gruppo squadroni fu impiegato sia in operazioni esplorative, sia in incursioni offensive in territorio nemico. In una di queste azioni presso Nikitowka il 19 gennaio 1943 il maggiore Campello venne gravemente ferito. Salvato da due cosacchi, venne trasferito prima all’ospedale di Kharkov e quindi rimpatriato.
Salvato da due cosacchi, venne trasferito prima all’ospedale di Kharkov e quindi rimpatriato.Un gran numero di volontari accorse e furono subito organizzate unità autonome con capi cosacchi. I tedeschi fornirono solo armi leggere, l’armamento pesante fu prelevato dai depositi sovietici o sul campo di battaglia dalle unità nemiche sconfitte. Nel 1944 venne deciso di riunire le forze cosacche e costitutito il 15°corpo di armata di Cavalleria Cosacca. Inquadrato nelle WAFFEN SS il corpo contava oltre 52.000 uomini.
Mano a mano che le sorti della guerra in Unione Sovietica volgevano a sfavore delle truppe del Terzo Reich, le popolazioni cosacche furono costrette a seguire il ripiegamento delle unità tedesche per sfuggire alla prevedibile terribile vendetta russa. Consistenti unità furono spostate in Jugoslavia per contrastare il movimento partigiano e per lo stesso motivo, si giunse così alla decisione di trasferire un contingente di truppe cosacche del 15° Corpo in Friuli e precisamente nella zona della Carnia.
Simbolo del XV. SS-Kosaken Kavallerie Korps “Kosakken”.
Cavalleria Cosacca
Dal settembre 1943 la regione era divenuta parte dell’Adriatisches Küstenland, una zona di operazioni comprendente il Friuli Venezia Giulia, l’Istria, il Quarnaro e parte delle Slovenia. Di fatto il territorio era escluso dalla giurisdizione della Repubblica Sociale Italiana appena costituita.
Si decise cosi di concedere un territorio, denominato Kosakenland in Nord Italien, nel quale cosacchi e caucasici si stanziarono ricomponendo tutte le strutture istituzionali necessarie al loro sostentamento. Le autorità tedesche a differenza di quanto avevano percepito i cosacchi, la ritennero comunque una soluzione temporanea; esse non volevano costituire uno stato cosacco in un territorio che a fine guerra era destinato a diventare parte integrante del Terzo Reich.
Dal settembre 1943 la regione era divenuta parte dell’Adriatisches Küstenland, una zona di operazioni comprendente il Friuli Venezia Giulia, l’Istria, il Quarnaro e parte delle Slovenia. Di fatto il territorio era escluso dalla giurisdizione della Repubblica Sociale Italiana appena costituita.
Si decise cosi di concedere un territorio, denominato Kosakenland in Nord Italien, nel quale cosacchi e caucasici si stanziarono ricomponendo tutte le strutture istituzionali necessarie al loro sostentamento. Le autorità tedesche a differenza di quanto avevano percepito i cosacchi, la ritennero comunque una soluzione temporanea; esse non volevano costituire uno stato cosacco in un territorio che a fine guerra era destinato a diventare parte integrante del Terzo Reich.
Il comandante della Divisione cosacca Domanov e il maggiore delle SS, von Alvensleben, con gli altri ufficiali al seguito attraversano il Tagliamento
Il variegato contingente si articolava in due gruppi etnici distinti, caratterizzati da diverse tradizioni, usi e religione (la maggior parte dei cosacchi era cristiana ortodossa mentre molti caucasici erano musulmani), l’occupazione si articolò in due principali zone; la parte settentrionale della Carnia fu gestita dai caucasici del generale Sultan Ghirey-Kitsch, la parte meridionale fu occupata dai soldati cosacchi agli ordini dell’atamano Domanov.
Si trattava come annotato meticolosamente dai tedeschi di circa 22.000 cosacchi (9.000 soldati, 6.000 “vecchi”, 4.000 “familiari” e 3.000 “bambini”), oltre a 4.000 “caucasici” (2.000 soldati ed altrettanti familiari) a bordo di 50 treni merci militari. La qualità e la quantità delle formazioni cosacche giunte in Italia suscitarono un palese disappunto da parte degli stessi tedeschi, i quali avevano sperato di poter disporre di reparti militari in assetto di guerra da impiegarsi immediatamente nelle azioni contro le forze partigiane e, viceversa, si trovavano di fronte a contingenti nei quali erano predominanti i civili.
Cavazzo 1944 un capo Atamano, forse con sua moglie, circondato da altri militari cosacchi.
Nella cittadina di Tolmezzo trovarono sede i maggiori organi amministrativi; i paesi di Alesso, Cavazzo e Trasaghis furono ribattezzati Novočerkassk, Krasnodar e Novorossiysk e trasformati in vere e proprie stanize, villaggi cosacchi. Nel territorio occupato furono organizzati presidi, Comandi e accademie militari, scuole, tribunali, ospedali, tipografie, teatri e spazi per i luoghi di culto; nel mese di febbraio del 1945, giunse da Berlino anche l’atamano Krasnov, acceso oppositore del bolscevismo e vertice dell’Amministrazione centrale degli eserciti cosacchi.
Si instaurò una difficile convivenza con la popolazione locale che dovette cedere le proprie abitazioni e parte delle risorse primarie di sostentamento come cibo e foraggio per i molti cavalli di cui disponeva il contingente e dovette subire ancora violenze, prepotenze e vessazioni per tutto il periodo di occupazione.
Pur se non mancarono tentativi di comprensione e avvicinamento reciproci – soprattutto da parte dei civili – venne instaurato un regime poliziesco e terroristico caratterizzato da violenza, prevaricazione e ristrettezza di mezzi e risorse.
Nel prossimo post vedremo l’attività militare svolta dai reparti cosacchi e la fine dell’occupazione cosacca del Friuli.
Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.
  I COSACCHI IN ITALIA Parte I l’arrivo e l’organizzazione «Sono giunti più di 20 mila soldati cosacchi e caucasici, alcuni con famiglia, portano con sé un numero assai grande di cavalli.
0 notes