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#Storie di vita vissuta
io-pentesilea · 1 year
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Immaginate una bambina ammalata.
I medici disperano di salvarla, la danno per spacciata.
Immaginate due genitori disperati e le loro preghiere. Che vengono ascoltate.
La bambina guarisce.
Immaginate che di lì a poco il fratellino più piccolo - ha solo 4 anni... - di quella bambina, si ammali e in un brevissimo lasso di tempo muoia...
E che i genitori, nel tentativo di proteggere la figlia, distrutti dal dolore, annientati, ma consapevoli di dover andare avanti anche per lei, le raccontino che il fratellino è in un bel posto, con tanti altri bambini.
Immaginate che la bambina non riesca a capire perché non può andare anche lei, in questo bel posto, e che cominci a pensare che i genitori vogliono più bene al fratello che a lei. Perché non la portano con loro, quando vanno a trovarlo ogni sabato?
Immaginate che la bambina, ipersensibile, come in genere sono i bambini, avverta il dolore dei suoi genitori e cominci ad avere incubi frequenti, in cui rincorre la mamma, che si allontana da lei con un non meglio identificato uomo, il ' carbonaio', lo chiama.
Immaginate poi che la bambina sempre più curiosa cerchi di scoprire dov'è il fratellino e cominci a frugare nei cassetti. E trovi una di quelle immaginette ricordo che si regalano a parenti e amici. Scoprendo così che il fratello è morto.
Ha sette, otto anni allora, e non sa cosa fare. Non ne parla coi genitori, perché forse, chissà, vuole evitare loro altre sofferenze... strano per un bambino? Si chiude nel suo dolore, e nascosta sull'armadio della vecchia zia che vive con loro, piange, ogni volta che si sente tanto triste e pensa al fratello, si arrampica su quell'armadio e piange.
Fino a quando un giorno - ha dieci anni - mentre sta comprando un quaderno nella cartoleria sotto casa, si confida con la cartolaia, le racconta tra le lacrime che sa che Stefano è morto...
Immaginate che quella bambina diventi la donna che è oggi. Che non riesce, come ripete spesso, a dire addio perché ha detto addio a troppe persone nella vita.
E che quella bambina che è oggi una donna venga lasciata senza nemmeno una parola dall'uomo che ha tanto amato.
Oh certo, lei sa perché lui l'ha lasciata.
Ma il dolore che prova per una fine tanto improvvisa è per lei come rivivere lo stesso trauma vissuto da bambina.
Immaginate... se potete.
Barbara
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ashbakche · 2 years
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Time's up (gioco).
Parola da indovinare :
Roger Rabbit
Primo turno, modo per farla indovinare :
È un coniglio vastaso
Crisi di sivo.
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spettriedemoni · 11 months
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C’è una strada della mia città che mi è particolarmente cara. È dove abitava mia nonna paterna.
Nella prima foto si vede il portone d’ingresso, all’epoca non c’era il cancelletto. Nella seconda foto si vede il cortile che usavamo come campo da calcio. Da un lato il cancello faceva da porta, dall’altro una delle saracinesche dei garage era l’altra porta.
Non è molto grande eppure ci sembrava lo fosse, come il Maracanà o San Siro o l’Olimpico.
Una volta alcuni ragazzi più grandi sfondarono il vetro di un negozio di articoli ortopedici che era oltre il cancello. Certo non era semplice per ragazzini come noi trovare un posto dove giocare senza fare danni, però che bello che era!
Oggi è impensabile giocare in quel cortile, ancor di più giocare in quella via e fermarsi al passaggio delle auto perché oggi di auto ce ne sono molte di più e molto più ingombranti. In effetti anche i parcheggi vicino ai marciapiedi erano più liberi.
Sorrido a ripensarci e a pensare a quanto tempo è passato eppure mi sembra ieri.
Oggi nell’appartamento di mia nonna c’è lo studio di un notaio lo stesso dal quale mi sono rivolto per acquistare casa. Passo spesso sotto quel balcone e mi sembra di vederla affacciata alla finestra mentre mi aspettava.
Poi proseguo verso il mare a prendere la mia dose di iodio e sole.
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automatisma · 1 year
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Appunto a margine visto che è appena uscito Questo mondo non mi renderà cattivo, sono sempre stata affascinata dal modo in cui Zerocalcare ha deciso di raccontare le sue storie, perché se dicessero a me “ok ora scrivi di un tuo alter ego uguale a te d’aspetto a cui succedono cose molto simili alle tue però rielaborate enucleate modificate e dei tuoi amici veri però un po’ idealizzati e archetipici il tutto senza mischiare mai nel tuo cervello quello che è successo davvero con le pagine dei tuoi fumetti o te stesso con il tuo personaggio” io mi sparerei due colpi in capo
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sgiandubh · 3 months
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Sono d’accordo con te : sarà una cosa tranquilla . Quello che ha tenuto in piedi questa fiction non è solo la grande storia d’amore recitata da queste due persone , non la loro bravura , non la loro bellezza , non la loro generosità, ma tutto il fandom che voleva assistere , partecipare e magari costruire questa storia . Ma noi siamo solo spettatori davanti ad uno schermo e niente di quello che pensiamo e traferiamo sulla rete , può influire sul romanzo recitato e sulla vita vissuta. Per loro fortuna ( o sfortuna) la loro fama non è così mondialmente estesa e le dimostrazioni a favore o contro qualsiasi decisione personale non porterà cambiamenti a livello lavorativo o personale , così io spero. Ci mancano ? si , ci mancheranno? Forse per un po’ di tempo , in attesa di una nuova passione .
Dear (returning) @findanserwers,
Grazie mille per avermi inviato questa prospettiva molto equilibrata su qualcosa che mantiene centinaia di persone ancora interessate a questa storia. Lo pubblico con piacere, ma senza ulteriori commenti: penso che il tuo post ben pensato riassuma abbastanza bene la questione, per il momento. / Thank you so much for sending me this very well balanced POV on something that keeps hundreds of people still interested in this story. I publish it with pleasure, but without further comments: I think your well thought out post sums up the issue quite well, for the time being.
'I agree with you: it will be a peaceful thing. What has kept this thing going on is not only the great love story played by these two people, nor their skill, beauty, or generosity, but all the fandom that wanted to assist, participate and perhaps build this story . But we are only spectators in front of a screen and nothing of what we think and write on the Internet can influence the novel being adapted on screen and the life being lived off-screen. Fortunately (or unfortunately) for them, their fame is not so widespread worldwide and the demonstrations for or against any personal decision will not bring changes at a professional or personal level, or so I hope. Do we miss them ? Yes. Will we still be missing them? Maybe for a while, waiting for a new passion.'
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Enisala Sunset. Picture taken by me back home, in October 2011.
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susieporta · 6 months
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Quando siamo giovani, è l'illusione della perfezione di cui ci innamoriamo. Con l'età, è dell'umanità che ci innamoriamo- le struggenti storie del superamento, la profonda vulnerabilità dell'invecchiamento, le lotte che ci hanno fatto crescere in statura karmica, il modo in cui un'anima si è modellata per accogliere le sue circostanze. Con meno energia per sostenere la nostra armatura, veniamo rivelati e, nel rivelare, ci invochiamo l'uno al cuore dell'altro. Dove prima le ferite ci spegnevano, ora vengono rivelate come prova dell'esistenza di Dio. Dove una volta vedevamo cicatrici imperfette, ora vediamo le prove di una vita pienamente vissuta. ~Jeff Brown
(Libro: Amolo avanti [annuncio] https://amzn.to/4a03Np4 )
(Arte: Fotografia di John Dolan)
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Hai novant’anni. Sei vecchia, piena di acciacchi. Mi dicono che sei stata la più bella ragazza del tuo tempo e io ci credo. Non sai leggere. Hai le mani grosse e deformate, i piedi induriti. Hai portato sulla testa tonnellate di stoppie e le­gna, laghi d’acqua. Hai visto nascere il sole ogni giorno. Con tutto il pane che hai ammassato si potrebbe imbandire un banchetto universale. Hai allevato persone e bestie, ti sei messa i maialini nel letto quando il freddo minacciava di gelarli. Mi hai raccontato storie di apparizioni e di lupi mannari, vecchie questioni di famiglia, di un morto ammazzato. Trave della tua casa, fuoco del tuo focolare, sette volte incinta, sette volte hai partorito.
Non sai niente del mondo. Non ti intendi di politica, né di economia, né di letteratura, né di filosofia, né di religione. Hai ereditato un centinaio di parole pratiche, un vocabolario elementare. Con questo sei vissuta e vivi. Sei sensibile alle catastrofi e anche ai fatti di strada. Nutri grandi odi per ragioni che non ricordi più, e grandi dedizioni basate sul nulla. Vivi. Per te, la parola Vietnam è appena un suono barbaro che non si confà al tuo cerchio di una lega e mezza di raggio. Della fame sai qualcosa: hai già visto una bandiera nera issata sul campanile della chiesa (me lo hai raccontato tu, o avrò sognato che me lo raccontavi?). Porti con te il tuo piccolo bozzolo di interessi. E, tuttavia, hai gli occhi chiari e sei allegra. Il tuo riso è un fuoco d’artificio colorato. Come te, non ho mai visto ridere nessuno.
Ti sto davanti, e non capisco. Sono della tua carne e del tuo sangue, ma non capisco. Sei venuta al mondo e non ti sei curata di sapere che cos’è il mondo. Arrivi alla fine della vita e il mondo, per te, è ancora quel che era quando nascesti: un interrogativo, un mistero inaccessibile, una cosa che non fa parte della tua eredità. Cinquecento parole, un fazzoletto di terra di cui si fa il giro in cinque minuti, una casa di tegole e pavimento di terra battuta. Stringo la tua mano, passo la mia mano sul tuo viso rugoso e sui tuoi capelli bianchi, rovinati dal peso dei fardelli — e continuo a non capire. Sei stata bella, dici, e vedo bene che sei intelligente. Perché allora ti hanno rubato il mondo? Chi te lo ha rubato? Ma questo forse lo capisco io, e ti direi il come, il perché e il quando se solo sapessi scegliere delle mie innumerevoli parole quelle che tu potresti comprendere. Però ormai non ne vale la pena. Il mondo continuerà senza di te e senza di me. Non ci saremo detti l’un l’altro quel che più importava.
Non ce lo saremo detto, davvero? Io non ti avrei dato, perché le mie parole non sono le tue, il mondo che ti era dovuto. Resto con questa colpa di cui non mi accusi — ed è ancora peggio. Ma perché, nonna, perché ti siedi sulla soglia della porta, aperta sulla notte stellata e immensa, sul cielo di cui nulla sai e nel quale mai viaggerai, sul silenzio dei campi e degli alberi attoniti, e dici, con la tranquilla serenità dei tuoi novant’anni e il fuoco della tua adolescenza mai perduta:
« Il mondo è così bello,
e io ho tanta pena di morire! »
E’ questo che non capisco
ma la colpa non è tua.
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José Saramago - "Di questo mondo e degli altri"
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francescacammisa1 · 1 year
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Ma ciascuno capisce come vuole e si racconta la sua propria storia, non ce ne sono due uguali anche se sono la stessa vissuta da entrambi. ("E oltretutto non appartengono soltanto a chi vi assiste o a chi le inventa, una volta raccontate appartengono a chiunque, si ripetono di bocca in bocca e si modificano e si deformano, e tutti raccontiamo le nostre").
Javier Marías - Domani nella battaglia pensa a me
Ph Bruce Davidson 
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bluesitinerante · 3 months
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Il vento gelido del Mississippi sibilava tra le foglie di cotone, trasportando con sé la voce roca di Robert Johnson. Le sue dita volavano sulla chitarra, intrecciando note malinconiche che narravano di amori perduti, patti col diavolo e la dura vita nel Delta.
Nato in una famiglia povera e segnato dalla discriminazione razziale, Robert trovava rifugio nella musica. La sua anima inquieta era attratta dalle note blues che risuonavano nei juke joint, storie di sofferenza e riscatto che dipingevano la cruda realtà del Sud.
La leggenda narra che una notte, spinto dalla frustrazione e dal desiderio di fama, Robert si recò a un incrocio sperduto nel cuore del Delta. In quell'inquietante luogo, sotto un cielo plumbeo, si dice che abbia incontrato il diavolo.
Alcune versioni raccontano di un rituale macabro, con Robert che accorda la sua chitarra con l'anima in cambio di un'abilità sovrumana. Altri sussurrano di un incontro più subdolo, dove il diavolo, ammaliato dalla musica di Robert, gli offrì un patto: fama in cambio della sua immortalità.
Qualunque sia la verità, da quel momento in poi la vita di Robert cambiò radicalmente. La sua chitarra divenne un'estensione del suo corpo, le sue note evocavano una potenza e un'intensità mai sentite prima. La sua voce roca e graffiante narrava storie di vita vissuta, di passioni tormentate e di un'inquietudine che non poteva essere placata.
Il suo talento esplosivo lo catapultò sulla scena blues, lasciando il pubblico a bocca aperta. La sua fama si diffuse rapidamente, attirando l'ammirazione di musicisti come Son House e Muddy Waters. Le sue canzoni, come "Crossroad Blues", "Love in Vain" e "Me and the Devil Blues", divennero pietre miliari del genere, influenzando generazioni di musicisti a venire.
Ma la fama di Robert era avvolta da un'aura oscura. La leggenda del patto col diavolo lo perseguitava, alimentando le dicerie sulla sua natura maledetta. La sua vita privata era tormentata da relazioni complicate e da un'incessante ricerca di sollievo nell'alcool.
A soli 27 anni, Robert Johnson morì in circostanze misteriose. La sua morte prematura alimentò il mito e la leggenda, lasciando un alone di mistero che ancora oggi avvolge la sua figura.
Il fantasma di Robert Johnson continua ad aleggiare nel Delta del Mississippi, la sua musica risuona nelle note di innumerevoli bluesman che hanno tratto ispirazione dalla sua tragica e leggendaria esistenza. La sua anima inquieta, intrappolata tra il blues e il diavolo, continua a raccontare storie di passione, dolore e riscatto, immortali nella memoria del Mississippi.
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greenbor · 4 months
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Poesia di https://www.tumblr.com/maripersempre-21
E bacerò
ogni tua più piccola ruga,
perché non è sinonimo
di vecchiaia,
ma di vita vissuta...
di gioia e di dolore
di risa e pianti...
cesellate sul tuo viso
come da un maestro orafo
che si chiama "tempo"
tempo che passa...
ogni ruga riguarda
un pezzo della tua vita
sono ricordi,
storie,
emozioni...
qualcosa di perfetto
nella loro imperfezione...
e le mie labbra
vogliono baciarle
ad una ad una,
per ricordati
che sei vivo...
M.C.©
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abatelunare · 1 year
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Storie di vita vissuta
Questa devo assolutamente raccontarvela. Sembra una barzelletta, ma è vita vissuta. All’una mi suona il cellulare. Guardo il numero: ha una fragranza di rottura di bolassssss. Ma rispondo lo stesso. Voce femminile italiana. Le telefono per conto dell’azienda W. Volevamo informarla di una scontistica interessante. Bene. Lei con chi ha la linea fissa e internet? Non ho capito, scusi. Con chi ha la linea fissa e internet? Guardi che sono un vostro cliente. (ride) Oh, mi scusi. Si trova bene, con noi? Sì, sì. Mi trovo bene. Grazie e buona giornata. A lei. Io non so se ve ne siete resi conto. Ma questi operatori sono mandati allo sbando. Ti chiamano senza sapere che sei cliente dell’azienda per cui lavorano. Non mi sembra granché, come strategia commerciale.
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la-misto · 5 months
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Nella mia vita, ho sempre affrontato la prospettiva della morte con una strana serenità, ma la paura di invecchiare e di assistere al lento sbiadire delle persone a me care è sempre stata presente. È un timore intimo, quasi silenzioso, che si insinua mentre osservo il passare del tempo. La ruga che si forma, il capello che perde il suo colore, sono segni tangibili di un inesorabile scorrere del tempo che, in qualche modo, mi intimorisce più della stessa fine. Forse è perché la morte è un mistero, mentre l’invecchiare è una realtà che si manifesta giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi.
La vita è un viaggio inevitabile, ma quando vedo i miei cari lentamente consumarsi dalla fatica dei giorni, mi colpisce profondamente. Ogni ruga sul loro volto racconta storie, esperienze, gioie e dolori. È come se il tempo, con la sua mano invisibile, scolpisse sulla loro pelle il percorso di una vita vissuta. E io, spettatore impotente di questo processo, mi trovo a confrontarmi con la fragilità della nostra esistenza.
La paura di invecchiare non è solo estetica, ma è legata al timore di perdere la vitalità, la lucidità mentale e la capacità di godere pienamente di ogni istante. È la consapevolezza che, con il passare degli anni, le energie si esauriscono e i giorni diventano sempre più preziosi. Invecchiare significa accettare che certi momenti non torneranno più e che bisogna abbracciare la saggezza che solo il tempo può donare.
C’è una bellezza nella vecchiaia, una profondità che solo gli anni possono conferire. Ma, nonostante ciò, la paura persiste, perché invecchiare implica anche dover dire addio a chi ci ha preceduto in questo viaggio. È un dolore inevitabile, ma insieme a esso arriva la consapevolezza di quanto siano preziosi i ricordi condivisi e l’amore che continua a vivere nonostante la separazione fisica.
In fondo, la paura di invecchiare è la paura di lasciare andare, di accettare l’impermanenza della vita. Ma forse, proprio in questo accettare, si trova la chiave per vivere ogni momento con intensità, per apprezzare ciò che si ha ora, prima che il tempo, inesorabile, porti via ciò che amiamo.
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angiusmaker · 1 year
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Studia, consuma, crepa: il modello tossico dell'università
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Riporto integralmente un articolo molto interessante che ho letto online su TPI e che consiglio vivamente:
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Fuoriclasse o fuoricorso, non c’è via di scampo. O almeno è quanto vorrebbero farci credere tutti quei proclami, quelle “notizie” che spesso sono solo trovate di marketing per il giovane laureato prodigio e per la sua notabile famiglia o per la prestigiosa università privata a cui è iscritto.
Per mesi siamo stati bombardati da titoli come «Federica batte tutti», una goccia che lentamente ha scavato la coscienza collettiva convincendoci che l’università è una competizione. Come se ce ne fosse bisogno, come se non fossimo già abbastanza terrorizzati all’idea che – se ancora esiste qualche chance che l’ascensore sociale in Italia funzioni – bisogna eccellere, essere tanto più bravi quanto più si parte dal basso, altrimenti, banalmente, saremo spacciati.
E una volta fuori dal mondo dell’università – ormai vissuta come imprescindibile nel transito verso un mercato del lavoro sempre più precario e pertanto sempre più esigente – non saremo competitivi, non ci meriteremo una vita sopra la soglia della povertà relativa, con una carta che risulti ancora capiente quando, dopo aver pagato l’affitto e le bollette, staremo facendo i conti e incrociando le dita anziché goderci quella rara uscita fra amici.
Tutto questo (e molto di più) si nasconde dietro il disagio psicologico degli studenti universitari che talvolta si spingono a compiere gesti estremi: la consapevolezza e il disincanto. 
Non sono giovani viziati che non sanno più tollerare i piccoli fallimenti della vita, come vorrebbero farci credere; e non sono nemmeno dei pazzi con mille altri problemi collaterali, come si usa dire quando ci si vuole autoassolvere per aver assecondato quella mentalità, liquidando anche l’ennesimo suicidio come un caso isolato. 
Eppure, in queste storie non è difficile riconoscersi. Quando è estate e già senti il peso della sessione di marzo, l’ultima prima di finire fuoricorso e pagare il doppio delle tasse. «Sono nei tempi», ti ripeti, «mi mancano cinque esami». Ma solo il pensiero di dirlo ai tuoi genitori e vedere le loro facce deluse già ti devasta.
Fra quei cinque esami, poi, scopri col tempo di averne sottovalutato uno, o di aver fatto male i conti col grado di dettaglio richiesto da quella commissione, che che ti boccia due volte. Gli appelli non sono poi tanti, a volte passano mesi fra l’uno e l’altro: di colpo è Natale, tu sei molto più indietro di quanto avessi previsto; sei già proiettato sulla laurea perché l’hai annunciata e questo ti mette ansia, ti impedisce di studiare sereno. Così ti chiudi in casa, studi tutto il giorno, rinunci ad ogni occasione di socialità, finisci in una spirale di solitudine e confusione.
Forse avresti bisogno di aiuto ma non hai il coraggio di chiederlo: non credi di meritarlo. I tuoi compagni di corso postano la foto con la corona d’alloro, e tu sei in pigiama che li guardi dal telefono: a te manca una vita. Pensi a te stesso di lì a qualche anno, le insicurezze diventano giganti.
Ti senti sopraffatto, ti manca l’aria. E scopri che sei troppo stanco per continuare a giocare a quel gioco in cui già sai che perderai. 
Non abbiamo dovuto inventare niente: è solo una delle ultime fra le storie che non sono state raccontate. In questi mesi abbiamo raccolto persino la testimonianza di un’attrice che risponde ad un annuncio di lavoro e si ritrova al telefono con un ragazzo disperato: le chiede di fingersi una docente universitaria, nel periodo delle lauree da remoto, per simulare una discussione di tesi.
L’artificio non avrebbe portato al conseguimento del titolo, ovvio, ma forse appariva come l’unica maniera per procedere con la rinuncia agli studi senza rompere con la propria famiglia. Che fine avrebbe fatto la fiducia, se avessero scoperto mesi di bugie?
In una società che non tollera il fallimento, tu non vuoi deluderli. In una società che non tollera il fallimento, anche tu hai disimparato a tollerarlo. In una società che non tollera il fallimento, la procrastinazione non è pigrizia ma semplicemente paura di non avere successo.
Così prendi tempo, finché puoi, e rimandi il tempo della verità, che deve suonare come un’imperdonabile ammissione di colpe. 
Ma la verità è che ciascuno ha i suoi tempi; che i regolamenti delle tasse sono punitivi; che se sei povero paghi meno tasse nell’università pubblica ma devi essere anche molto bravo: se rimani indietro, perdi il “privilegio” di pagare meno, che è un diritto e che non dovrebbe cessare di esistere solo perché non corri veloce come gli altri.
E poi c’è chi lavora per pagarsi l’affitto da fuorisede, che spesso è una scelta obbligata. C’è chi dedica il proprio tempo a esperienze di cittadinanza attiva. C’è chi deve sopperire alle carenze del welfare e prendersi cura di un familiare.
Qualsiasi impegno che non sia la devozione allo studio diventa una perdita di tempo, nella narrazione polarizzata che si fa degli studenti universitari: veri fenomeni o falliti.
L’unica via è l’individualismo più cinico, la capacità che hai di reprimere i momenti di debolezza, per i quali non c’è tempo: la produttività è centrale nell’organizzazione aziendalistica dei luoghi della formazione.
I criteri di merito sembrano pensati per far sparire ogni disuguaglianza nelle condizioni di partenza, e ammantare tutto di un’aura di giustizia sociale.
Hai bisogno di supporto psicologico, in un momento storico di apparente grande slancio verso il superamento dello stigma sulla salute mentale? Prega di avere i soldi per pagartelo, perché i servizi di counseling offerti solo da alcuni atenei solo assolutamente insufficienti. 
La rappresentazione che di tutto questo (non) si offre è quanto mai fuorviante. Chi svetta da una posizione di potere invidiabile, di nascita, sembra essersela costruita, con un puntuale encomio al sacrificio e alle rinunce che ha compiuto sul piano personale per avere successo in quello universitario-professionale; chi perisce, invece, sembra fare la fine che merita, in questa sorta di darwinismo della realizzazione di sé.
Con lui sparisce la necessità di interrogarsi più profondamente sui criteri di valutazione, sull’insufficienza delle borse di studio e delle università stesse sul territorio nazionale (in Italia ci sono 67 università pubbliche e 190 istituti penitenziari), sulla funzionalizzazione dell’università pubblica al lavoro flessibile, in competizione diretta con le università private; su quanto abbiamo introiettato il concetto per cui siamo quello che facciamo.
Basteranno tre minuti di silenzio e potremo continuare a fingere che vada tutto bene. Tre minuti di silenzio, e mentre un’ambulanza porta via il corpo dell’ennesima studentessa che ha deciso di togliersi la vita pochi metri più in là, la commissione chiama il nostro nome. Dobbiamo sostenere l’esame. L’angoscia ci divora ma non possiamo permetterci di rimandarlo: il prossimo appello è fra un mese e sarà già troppo tardi.
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susieporta · 10 months
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VITE CHE NON SONO LA MIA
Le persone dicono molte cose con piccoli dettagli.
Un orecchino
Un paio di scarpe
Un colore di rossetto
Una scarpa allacciata in un modo piuttosto che in un altro
Messaggi si celano e si disvelano ovunque e basta davvero poco per aprire delle fessure in loro, che facilmente diventano dei varchi.
Per me è sempre stato così.
Non sono mai stata in grado di intessere relazioni superficiali nemmeno con il panettiere o con l’idraulico.
Inizio a scorgere qualcosa di loro, una parola non detta, un dente che sibila, un tic impercettibile e nella mia testa si fa largo una storia.
E quella storia vuole essere sentita, vissuta, narrata.
Sarà che ho una sorta di eccesso di vita che mi perturba e che ho bisogno di redistribuire tra più vite.
E allora capita che a volte immagino come sarebbe stata la mia vita se fossi stata una tessitrice afghana, o un tossico a new orleans, o se avessi avuto 5 figli e avessi fatto la casalinga nella mia città natale, o se fossi stata un allevatrice di cavalli in Irlanda, o un’ arredatrice a New York, o una Dj a Ibiza.
Questo eccesso di vita, allora si ricolloca, ma talvolta non basta e allora devo entrare nelle vite degli altri.
E forse è questo che mi ha spinto a stare tanti giorni della mia vita a sentire le storie degli altri, e a cercare nuovi dettagli, piccoli particolari, minuzie, abitudini…
In questi rigoli di palpiti umani, trovo un po’ di tregua da un qualcosa dentro che è in continuo movimento, e smania e si allarga e anche quando sono stanca, non mi lascia in pace.
Ho vissuto sempre un po’ tutto all’eccesso, anche le tristezze, le malinconie, ho dovuto spargere questa energia in tutte le fessure dentro le quali poteva consumarsi.
Ho letto le persone come si leggono i libri, e nella mia testa ho inventato mille storie come si fa quando si scrivono i libri .
Non ho mai pensato, invece di scrivere un libro.
Troppa pazienza, troppa costanza, troppa dedizione.
Eppure ancora altre vita vogliono essere vissute e narrate.
Chissà come
Chissà quando
Chissà da chi …
_ClaudiaCrispolti_
Proprietà letteraria riservata:
Ai sensi della legge sui diritti d’autore e del codice civile, sono vietati l’uso delle idee, la copia, la riproduzione di questo scritto o di parte di esso con qualsiasi mezzo: elettronico, meccanico, fotocopie,altro. È incoraggiata la condivisione dei testi, mantenendo integro il contenuto, e citando l’autore
La poire art
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8iunie · 2 years
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alessandro_michele: There are times when paths part ways because of the different perspectives each one of us may have. Today an extraordinary journey ends for me, lasting more than twenty years, within a company to which I have tirelessly dedicated all my love and creative passion. During this long period Gucci has been my home, my adopted family. To this extended family, to all the individuals, who have looked after and supported it, I send my most sincere thanks, my biggest and most heartfelt embrace. Together with them I have wished, dreamed, imagined. Without them, none of what I have built would have been possible. To them goes my most sincerest wish: may you continue to cultivate your dreams, the subtle and intangible matter that makes life worth living. May you continue to nourish yourselves with poetic and inclusive imagery, remaining faithful to your values. May you always live by your passions, propelled by the wind of freedom
* * *
Ci sono momenti in cui le strade si separano in ragione delle differenti prospettive che ciascuno di noi può avere. Oggi per me finisce uno straordinario viaggio, durato più di venti anni, dentro un'azienda a cui ho dedicato instancabilmente tutto il mio amore e la mia passione creativa. In questo lungo periodo Gucci è stata la mia casa, la mia famiglia di adozione. A questa famiglia allargata, a tutte le singole persone che l'hanno accudita e sostenuta, va il mio ringraziamento più sentito, il mio abbraccio più grande e commosso. Insieme a loro ho desiderato, sognato, immaginato. Senza di loro niente di tutto quello che ho costruito sarebbe stato possibile. A loro quindi il mio augurio più sincero: che possiate continuare a nutrirvi dei vostri sogni, materia sottile e impalpabile che rende una vita degna di essere vissuta. Che possiate continuare a nutrirvi di immaginari poetici ed inclusivi, rimanendo fedeli ai vostri valori. Che possiate sempre vivere delle vostre passioni, sospinti dal vento della libertà.
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Post shared by Victoria on her Instagram story, 23.11.2022
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gregor-samsung · 2 years
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“ Una voce ricorrente, cui si è aggiunto “buon” ultimo il 27 gennaio 2020 un consigliere comunale della Lega, che con un post su Facebook (peraltro rapidamente rimosso) ha bollato niente meno che Sandro Pertini come partigiano e terrorista, a commento della proposta di intitolargli un ponte cittadino. Ma si tratta di una posizione che riemerge ciclicamente nel dibattito pubblico, con uno smaccato intento anticomunista che prende d’infilata anche la lotta partigiana, finendo per negarne la legittimità *. E il solo impiegare il termine “terrorismo”, tanto più alla luce delle paure che ha evocato a partire dagli anni Settanta e che suscita oggi (pur nelle differenze che separano il nostro presente dagli “anni di piombo”), è come se chiudesse ogni possibilità di discorso, di discussione. Cosicché per chi intende screditare la Resistenza diventa quasi un invito a nozze il constatare come durante i venti mesi la parola venga usata senza timidezze nei documenti degli organi che dirigono la guerra partigiana, come ha osservato Santo Peli riprendendo uno spunto di Claudio Pavone [Cfr. Santo Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, Torino 2014, p. 5.]. L’equazione tra partigiani e terroristi si appiglia da un lato al modo con cui si sono autorappresentati i brigatisti, i quali hanno posto la lotta partigiana nel proprio pantheon e si sono proclamati suoi eredi, chiamati a portare a termine una rivoluzione iniziata dalla Resistenza e non ancora giunta a compimento perché sabotata allora dalle forze della reazione e dallo stesso Partito comunista. Dall’altro lato l’equiparazione pesca a piene mani nelle analogie che di fatto esistono nelle modalità pratiche della lotta armata: la vita in clandestinità, lo studio degli obiettivi da colpire, l’agguato, ecc. Ma le analogie finiscono qui. Viene ignorata una differenza così enorme che è persino imbarazzante sottolinearla. È appunto incomparabile il contesto: nel 1943-1945 è in corso un conflitto tremendo e si vive in stato di guerra, negli anni Settanta no (malgrado sia proprio ciò che i terroristi sostengono, e per quanto drammatico e avvelenato sia il clima politico e sociale di quella fase). Stabilito questo punto fermo, è appena il caso di accennare che è diverso il nemico che si combatte: da una parte le autorità naziste e fasciste, dall’altra uno Stato democratico (che tale resta anche alla luce dei limiti allora contestati alla sua reale democraticità). Se si riescono ad accantonare i detriti di questa stagione così complessa, che ha segnato indelebilmente la storia della Repubblica, e a concentrare invece lo sguardo sulle condizioni del 1943-1945, torna in primo piano la questione di fondo. Ribellarsi all’ordine iniquo che domina nel corso della guerra totale e cercare di abbatterlo per riconquistare (per tutti) una vita degna di essere vissuta significa fare i conti con le inevitabili conseguenze di questa decisione e assumersene la responsabilità. Non si dà alternativa. Ciò non vuol dire affatto che sia un percorso semplice o indolore, per chi lo intraprende prima di tutto e anche per chi guarda a quel passato. “
* Cfr. in proposito De Luna, La Resistenza perfetta cit., p. 14 che ricorda il ruolo di apripista avuto da Marco Pannella al congresso del Partito radicale del 1979 nell’accostare partigiani e terroristi degli anni Settanta proprio a partire dall’azione di via Rasella.
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Chiara Colombini, Anche i partigiani però..., Laterza (collana I Robinson / Letture), 2021. [ Libro elettronico ]
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