Nous sommes tous des assassins (1952) Bande Annonce VF [HD]
Un soldato, ottuso e ignorante, sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, continua a uccidere una volta finita la guerra. Quando provoca la morte di una guardia, viene condannato alla ghigliottina. Il suo difensore farà emergere durante il processo le responsabilità sociali dei suoi comportamenti devianti.
Note
Cayatte, giornalista e avvocato, al 13° film affronta il suo tema prediletto: il film è un appassionata requisitoria contro la pena di morte. Alle volte un po' didascalico, ma nel complesso un'opera avvincente. Scritto dal regista con Charles Spaak. Premio speciale della giuria a Cannes.
Siamo tutti assassini (Nous sommes tous des assassins) è un film del 1952 diretto da André Cayatte, vincitore del Premio Speciale della Giuria al 5º Festival di Cannes.[1
Titolo originale Nous sommes tous des assassins
Paese di produzione Francia, Italia
Anno 1952
Durata 115 min
Dati tecnici B/N
Genere drammatico
Regia André Cayatte
Soggetto André Cayatte, Charles Spaak
Sceneggiatura André Cayatte, Charles Spaak
Fotografia Jean Bourgoin
Montaggio Paul Cayatte
Musiche Raymond Legrand
Scenografia Jacques Colombier
Interpreti e personaggi
Marcel Mouloudji: René Le Guen
Raymond Pellegrin: Gino Bollini
Claude Laydu: Philippe Arnaud
Louis Seigner: abate Roussard
Georges Poujouly: Michel Le Guen
Louis Arbessier: avvocato del tribunale dei minori
René Blancard: Albert Pichon
Amedeo Nazzari: dottor Detouche (versione italiana)
Jean-Pierre Grenier: dottor Detouche (versione francese)
Yvonne Sanson: Yvonne Le Guen (versione italiana)
Jacqueline Pierreux: Yvonne Le Guen (versione francese)
Antoine Balpêtré: dottor Albert Dutoit
Léonce Corne: capitano Girard
Henri Crémieux: avvocato di Bauchet
Jean Daurand: Girard, l'uomo della cabina telefonica
Yvonne de Bray: prima cenciaiola
Lise Berthier: seconda cenciaiola
Guy Decomble: un ispettore
Monette Dinay: la ragazza di Charles
Julien Verdier: Bauchet
Yvette Etiévant: moglie di Bauchet
Juliette Faber: Francine Saulnier
Paul Faivre: Biribi
Anouk Ferjac: Agnès
Paul Frankeur: Léon, capo delle guardie
Renée Gardès: madre di Le Guen
Jérôme Goulven: Noblet
Elisabeth Hardy: madre della bambina
François Joux: Saulnier
Alinda Kristensen: donna svedese
Charles Lemontier: procuratore
Roland Lesaffre: detenuto barbiere
Liliane Maigné: Rachele
Daniel Mendaille: carceriere capo
Eliane Monceau: amica di Dutoit
Jacques Morel: Charles
Jean-Paul Moulinot: direttore della Santé
Lucien Nat: avvocato dell'accusa
Line Noro: Louise Arnaud, madre di Philippe
Marcel Pérès: Malingré
André Reybaz: padre Simon
Alexandre Rignault: gendarme
Solange Sicard: madre di Agnès
Sylvie: Laetitia Bollini, madre di Gino
Georges Tabet: la pianista
Jean-Marc Tennberg: Fredo
André Valmy: il piccolo Louis
François Vibert: madre di Mousset
Henri Vilbert: signor Arnaud
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Dino Buzzati: milanese “dentro”
Nonostante l’“incidente” della nascita a San Pellegrino di Belluno, nella cinquecentesca villa, ma è quasi un castello, avita (la madre apparteneva a una famiglia di dogi), oggi diventata un B&B gestito dal nipote dello scrittore, Buzzati può a buon diritto definirsi milanese DOC: la famiglia risiedeva stabilmente in Piazza San Marco al 12, il padre era docente di Diritto Internazionale alla Bocconi, Dino frequentò il liceo classico Parini e iniziò l’attività giornalistica al Corriere della Sera ancora prima di laurearsi in giurisprudenza (facoltà scelta per assecondare la volontà della famiglia).
Il giornalismo (come vicedirettore, ma in realtà vera eminenza grigia dell’inserto Domenica del Corriere, fece portare la tiratura a quasi un milione di copie, record mai più raggiunto in seguito) rimase per tutta la vita una delle sue passioni, come si legge in questa citazione:
Metto insieme giornalismo e letteratura narrativa perché sono la stessa identica cosa. E penso che dal punto di vista della tecnica letteraria il giornalismo sia un’esemplare scuola. […] il giornalismo insegna giorno per giorno il rispetto per il lettore, al punto che uno se lo fa entrare nel sangue… E un libro scritto da un giornalista bravo non è noioso. […] Perché la tara della letteratura moderna, la tara precipua, è la noia terribile, per cui ci sono dei libri anche intelligentissimi che non si riesce ad andare avanti a leggere… E questo succede perché sono scritti da gente che non sa il vero mestiere dello scrivere, il quale coincide proprio con il mestiere del giornalismo, e consiste nel raccontare le cose nel modo più semplice possibile, più evidente possibile, più drammatico o addirittura poetico che sia possibile.
Ma, talento davvero poliedrico, Buzzati si dedicò anche alla pittura (nelle due copertine di Un amore, da cui è stato tratto anche un film con Agnès Spaak, sorella di Catherine, accostiamo un ritratto femminile di Buzzati e un disegno di Enrico Baj) e alla musica (a dodici anni sapeva suonare violino e pianoforte). L’esperienza del servizio militare, con il grado di sottotenente, lascia le sue indimenticabili tracce ne Il deserto dei tartari, mentre la passione per la montagna si declina in diverse opere, da Bàrnabo delle montagne a Il segreto del bosco vecchio. La conoscenza del sistema giuridico lo portò invece a scrivere il libretto di un’opera moderna, musicata da Luciano Chailly (padre del direttore d’orchestra Riccardo), Procedura penale. L’amicizia e la collaborazione con il compositore di Ferrara gli ispirò altri tre libretti: Ferrovia sopraelevata, Il mantello, Era proibito; un altro ne scrisse in collaborazione con il musicista Riccardo Malipiero: Battono alla porta, titolo inquietante, degno dei migliori racconti.
Se non l’avete letto (beati voi, perché potete ancora farlo) vi raccomandiamo caldamente Un amore, per diversi motivi: perché si tratta di una storia in parte autobiografica, in cui la passione “senile” del protagonista per la giovane Laide adombra quella dell'autore per la moglie Almerina Antoniazzi. Il tema della Lolita ricorre molte volte in letteratura e nel cinema: da Forte come la morte di Maupassant, a Lolita del formidabile duo Nabokov-Kubrick, a Senilità di Svevo, a Il ritorno di Casanova di Schnitzler (impossibile rendere la profondità del testo in un film, ma certo non si può negare che Alain Delon abbia le fysique du rôle di Casanova), a La bambolona di Alba de Céspedes (anche in questo caso, Ugo Tognazzi è perfetto nella parte del seduttore-sedotto). Lo stile di questo romanzo è completamente diverso da quello cui Buzzati ci ha abituato: è originalissimo, inaspettato, ricco di anacoluti, accattivante. Inoltre i milanesi potranno ritrovare in queste pagine una città inedita, tra vicoli e bassifondi, una Milano anni ’60.
Ora Milano ha deciso di dedicargli un teatro: sarà chiamato Teatro Buzzati 43 (numero degli anni in cui lavorò al Corriere in via Solferino) e si troverà nella vecchia sede del Teatro Colla, in via degli Olivetani.
Illustre rappresentante della letteratura fantastica (ma la definizione gli sta stretta, come quella, che detestava, di “Kafka italiano”), numerose sono le tematiche della sua variegata produzione: l'amore, la morte, l'attesa, la malattia, la guerra, la solitudine, il mistero, la ricerca di se stessi, il soprannaturale, offerte in maniera ambigua, aperte a diverse chiavi di lettura, messaggi mai completamente decifrati, come fossero scritti per ognuno di noi in una lingua diversa.
L'umanità di Buzzati è affannata in un'esistenza sfuggente, indefinibile, inafferrabile; quando crediamo di avere raggiunto una certa stabilità, una sicurezza economico-familiare ecco che l'imprevisto ci scombussola tutto, i timori si fanno reali, la profezia si auto-adempie: il pittore dato per morto da un errore giornalistico finisce per morire veramente (L'erroneo fu); ne Il colombre il protagonista insegue tutta la vita un mostro da cui si sente perseguitato e che in realtà voleva fare la sua fortuna; in Sette piani (Ugo Tognazzi ne ha tratto uno splendido film, Il fischio al naso, dove recita persino Marco Ferreri), il personaggio principale, entrato in ospedale per una sciocchezza, finisce per sostare in tutti i piani (come fosse un purgatorio terrestre) di cui l'ultimo è quello per i malati gravi, l'anticamera della morte. Ma tutti i numerosissimi racconti di Buzzati sono ugualmente sorprendenti, originali, metaforici, da consigliare a occhi chiusi.
Il tempo è fuggito tanto velocemente che l’animo non è riuscito ad invecchiare.
E per quanto l’orgasmo oscuro delle ore che passano si faccia
ogni giorno più grande, Drogo si ostina nella illusione
che l’importante sia ancora da incominciare.
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To day pic.twitter.com/4mEIb1T8Fp
— Agnès Spaak (@AgnesSpaak) January 25, 2018
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