Tumgik
#almeno non ci ho disegnato un cazzo
t4merici · 5 years
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Stasera ho scritto su un finestrino appannato di una macchina как дела? (come va?).
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sfumature-dime · 4 years
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"LA SITUAZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA, in questo momento, è più ignota del motivo per cui è andata di moda la Trap.
Alla guida di tutto, DICIAMO, c’è la Azzolina, l’unica ministra che è riuscita a fà lei l’imitazione a Sabina Guzzanti e non viceversa.
A me un po’ me dispiace, perché una che arriva a utilizzà il termine “gaglioffo” sta a attraversà pe forza un momento difficile.
È stata pure sfigata, c’è da dirlo.
A sta poraccia quando l’hanno messa là j’avranno detto:
- A Lucì tranquilla, te devi fa esattamente quello che hanno fatto l’altri fino adesso.
- E cioè?
- Un cazzo.
(Scherzo, magari non avessero fatto un cazzo. Magari.)
E invece poverina s’è ritrovata un cetriolo de na dimensione che manco se lo coltivavi dentro ‘n orticello a Chernobyl.
Adesso sta nella stessa situazione de na protagonista de un film porno:
qualsiasi cosa dice o fa, er finale del film ‘o conoscemo tutti.
Intanto il 14, FORSE, riaprono le scuole.
Le voci che girano non sono confortanti, soprattutto su alcuni elementi:
- IL DISTANZIAMENTO
- LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA
- I BANCHI A ROTELLE
- LE MASCHERINE
- LA QUARANTENA SE UNO SI AMMALA
Ma vediamoli in ordine.
IL DISTANZIAMENTO
Co sta pandemia se so accorti che a scuola gli alunni stanno stretti.
Noi in classe non stavamo stretti, bastava respirà uno si e uno no a turno e non c’era problema.
L’ultimi banchi li disegnavano a penna direttamente sul muro.
Er primo giorno de scuola media, pensavo d’esse salito pe sbaglio sull’autobus.
Comunque col “PROGRAMMONE CHE HANNO INVENTATO A POSTA CHE PRIMA NON ESISTEVA” se so accorti che in confronto, i polli degli allevamenti intensivi riescono a ballà Jerusalema co la coreografia completa.
Per rimediare, si allestiranno le aule dove in fondo siamo sempre stati: nei corridoi e nei bagni.
LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA
Prima la temperatura la volevano misurà all’entrata, coi termometri a pistola.
Nel liceo mio, a Roma, eravamo 1200 studenti.
Manco se come bidello c’hai Clint Eastwood te sbrighi prima de mezzogiorno.
Poi c’hanno ripensato.
Forse perché se so ricordati che pe misurà la temperatura, i termometri laser li devono comprà, e la scuola pubblica sta in una situazione economica che se la carta igienica non te la porti te, er culo t’o pulisci a casa, de pomeriggio, con calma.
I termometri classici invece non se possono usà.
Uno perché ce vorrebbero tre giorni.
Due perché il bidello co la camicia a scacchi celeste e i pantaloni beige macchiati, legati co la cinta a metà panza, che prende a schiccherate er termometro pe fallo freddà, sarebbe un’immagine illegale in 1200 stati.
I BANCHI A ROTELLE
Forse non ci saranno per tutti. Forse non arriveranno in tempo. Forse non arriveranno mai. Forse, forse.
In ogni caso, io, ho visto le foto.
Io spero che le cose a scuola siano cambiate e che gli studenti di oggi siano dei modelli di compostezza ineguagliabili.
Perché se poco poco somigliano a noi...
Da noi non hanno resistito nemmeno i termosifoni DE GHISA attaccati ar muro.
Già ho negli occhi le immagini dei tornei di go-kart nei corridoi della 2B contro la 2C, chi perde compra er fumo pe tutti.
Vedo già Luigi, Marco e Francesco della 5B a ricreazione, lanciati in tre senza casco sul banco battente bandiera liberiana.
Vedo già Michele der 4C buttato giù dalle scale co tutto er banco solo pe’r gusto de vedé se sopravvive.
Vedo già Patrizia della 3A incide sulla plastica “Maurizio me te farei” vicino a un pisello disegnato proprio da Maurizio, mentre Peppe (che è famoso pe le pippe) squaglia le rotelle co l’accendino.
Sono un visionario? Un vecchio romantico?
Può darsi.
L’unica cosa buona che vedo è che essendo banchi nuovi, le gomme e le caccole che ce stanno attaccate sotto, dovrebbero esse più o meno le tue.
LE MASCHERINE
Le mascherine sono forse l’unico modo per evitare il contagio.
Tutti urlano allo scandalo, perché sono convinti che gli studenti soffriranno molto.
Stolti.
La mascherina, pe copià, È NA SVOLTA!
Allora.
- Se stai a fà un interrogazione te possono suggerì tutti. Tutti. Tanto co la mascherina non se vede. Poi vai a capì chi è che ha parlato.
- Nella mascherina ce poi nasconde i foglietti pe’ i compiti in classe. Se poi usi quelle chirurgiche li poi scrive direttamente sulla mascherina. Tanto er professore non la po toccà.
- Se er professore s’avvicina troppo, te co uno scatto t’abbassi ‘a mascherina e quello improvvisamente te deve sta a un metro e ottanta.
E in più dalla fronte in giù c’hai i brufoli coperti senza usà fondotinta.
Ma che cazzo di mondo fantastico è?
SE S’AMMALA UNO, TUTTI IN QUARANTENA
Regà, regà... regà.
Voi lo sapete che questa è la più grande ingenuità che poteva esse pensata?
Solo delle persone anziane potevano pensà na cosa del genere.
Dare uno strumento del genere a una mandria de adolescenti è come da un the in mano a Putin.
Prof: Ragazzi, domani compito di latino!
Fabrizio: EEEEETCIÙ!!!
14 giorni in quarantena.
Prof: Ragazzi, bentornati, oggi interrogo!
Giulia: EEEEETCIÙ!
14 giorni di quarantena
Prof: Ragazzi, è Marzo. Almeno un compito lo dobbiamo...
Tutti: EEEEETCIÙ!
Prof: E vabbè vaffanculo.
Tutti: Grazie Prssoré!
È già scritto.
Detto ciò, io credo che abbiano fatto MOLTO BENE a istituire gli sportelli di “Assistenza Psicologica” all’interno di ogni scuola.
Ma no pe’ gli studenti.
Pe i professori, poveracci.
In ogni caso, non abbiate paura.
LA SCUOLA IL 14 SETTEMBRE RIAPRIRÀ.
Di questo ne sono sicuro.
È il 15 che tocca vedé che cazzo succede".
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heresiae · 4 years
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nella vecchia agenzia per 5-6 anni mi fecero fare il content manager.
su Linkedin il content manager è quello che crea i contenuti e poi se li gestisce sul web. la realtà è molto peggio: il content manager è quello che riceve una valangata di documenti e poi se li deve mettere sul sito, sperando di non essere abbandonato a se stesso.
quando lo feci io la figura dell’archittetto delle informazioni (parte del lavoro di Uxer ma in realtà c’è gente che ci si specializza) manco esisteva, quindi una volta ricevuti i contenuti o ero abbastanza fortunata e c’era l’indicazione di cosa andava dove e anche in che formato, o dovevo intuirlo e decidere da sola il formato (and that folks, is how I became a Informational Architecture). 
il problema peggiorò quando i contenuti cominciammo a farli noi, li mandavamo al cliente e poi indietro mi tornava un file word che cor cazzo che rispettava i template (rigidi) costruiti dai grafici (peggiorò nel senso che io dal cliente mi aspetto solo caos. dai miei colleghi meno. non avete idea della fatica che ho fatto per convincerli a usare un template per i documenti che ci aiutasse a capire dove andavano le cose. un copy ci mise quasi un anno ad accettarlo).
inoltre il sito fisico non lo facevamo noi e dovevo interfacciarmi con una grande azienda di IT dove facevano corsi apposta per svicolare e procrastinare la risoluzione dei (molti) bug chiedendo specifiche ulteriori come: “hai mangiato cereali prima di provare a fare questa operazione?”.
gli “scrittori” poi erano il gruppo più disorganizzato del pianeta. gli dicevi “ok per finesettimana mi serve la sezione Colà” e due giorni dopo puntualmente li sentivo discutere su quella Colì.
inutile dire che in meno di un anno ero in costante crisi isterica.
da lì mi sono guadagnata la fama di persona inflessibile, perché diamine, come ti permetti di urlarmi dietro ogni volta che faccio esattamente quello che mi avevi chiesto di non fare e pure con dovizia di particolari sulle motivazioni. o di farmi sentire una merda perché dopo tre volte che me lo dicevi, io continuavo a non rispettare le specifiche che mi avevi dato. cazzo, proprio una persona immotivatamente inflessibile oh.
un PM in particolare era fenomenale in questo. mi prometteva che avrebbe fatto esattamente come richiesto (perché ero io che scrivevo le specifiche funzionali per la grande azienda IT) e poi mandava gli altri a dirmi che non sarebbe successo niente di quel che chiedevo. inutile dire che questa persona non aiutò per niente il mio stato mentale ed emotivo.
avevo creato due o tre sistemi di tracciamento dei lavori per aiutarci a ridurre al minimo gli errori umani e tenere aggiornati costantemente i capi progetti sull’andamento degli stessi. la gente continuava a rifiutarsi di usarli (dovevano mettere dei colori su dei fogli excel precompilati su drive diocane) e PM e Account a chiedermi di persona i report.
la gente pensava che lo facessi per partito preso. diversi colleghi costretti prima o poi a fare il mio mestiere causa poco lavoro per loro, lo capirono in fretta perché invece insistevo. le mie richieste puntavano sul rendere i siti il più facilmente gestibili alla lunga. tre giorni di programmazione in più per due settimane di gestione in meno non mi pareva un brutto affare. andatelo a dire ai PM dell’epoca che non volevano litigare con Grande Azienda IT.
quando poi ottenni di diventare uxer (per modo di dire, il motivo per cui me ne sono andata è perché non me lo facevano fare), ogni giorno era un “ricordati di essere più flessibile”. peccato che le persone che me lo dicevano erano tra le più inflessibili di tutti. 
ora sono in nuova azienda. 2/3 delle volte che i programmatori mi pongono un problema perché le funzionalità che ho disegnato o sono troppo complicate per le nostre tempistiche (non le facciamo noi purtroppo) o, banalmente, non sono compatibili coi sistemi (non è vero che tutto si può fare rigà), io sono più che disponibile a cambiarle, correggere, semplificarle. mi impunto solo ed esclusivamente quando l’esperienza utente ne verrebbe danneggiata.
e oggi, dopo 10 mesi che ripeto le stesse identiche cose di un progetto, praticamente almeno una volta a settimana, nonostante ci sia andata molto vicina non ho mandato a fanculo nessuno. ma ci sono andata vicinissima.
in vecchia azienda si ricordano ancora di me come quella che scendeva sopra le persone a massacrarle perché non avevo seguito le mie indicazioni ferree e imprescindibili. qui ho già ricevuto diverse dichiarazioni d’affetto dai programmatori, specie per i miei excel.
magari il problema non ero io, neh?
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[Ficlet] May I have this dance?
Scritta per il “reality AU”, perché non mi andava di farmi eliminare NUOVAMENTE senza aver scritto neanche una parola. Almeno queste 500 ci sono ;) WARNING: CROSSDRESSING
Non sai cosa ti abbia spinto a farlo, la prima volta. O forse sì, solo che ti piace darti un'aria più da intellettuale e dire che l'hai fatto per "tirare fuori una parte inespressa e troppo a lungo soffocata" di te piuttosto di ammettere che ti piace attirare l'attenzione. Essere tu a far voltare tutti, quando entri nella sala da ballo e si chiedono chi mai possa essere la nuova arrivata.
Esattamente come in questo preciso istante, in cui non c'è una sola persona che non si stia domandando da dove esca, una bellezza del genere. Avete visto  com'è truccata? Non una sbavatura: il suo trucco è semplicemente perfetto. Chi mai sarà, il suo make up artist. E il suo vestito? Dove l'ha comprato? Quanto mai potrà esserle costato?
<i>'Oh, tesoro, è un pezzo unico... Non si trova nei negozi.'</i> Potresti dir loro, se avessero il coraggio di rivolgerti la parola. Ma sono intimoriti, messi in soggezione da tanto splendore.
L'han disegnato apposta per lei, quindi, quell'abito? Comprensibile, è così magnifica da poter facilmente essere la musa ispiratrice di anche più di uno stilista.  Difficilmente potranno intuire che quest'opera d'arte è stata creata interamente da chi la indossa.
Oh, quanto adori tirare ad indovinare cosa mai possano pensare questi insulsi individui... Magari tu sia un tantino narcisista ed arrogante, ma raramente ti sbagli. Avranno anche da ridire sulla tua personalità - spesso definita 'viscida',  'calcolatrice', 'subdola' - però non hanno mai fiatato riguardo al tuo look. Tu non sei quel genere di persona che deve aprire una rivista, o visitare un blog, per vedere le ultime tendenze del momento. Tu, la moda, la detti.
"Hai mai considerato la carriera di influencer?" Ti han chiesto. Sei di buona famiglia. Anzi, di ottima: praticamente sangue blu pur senza un titolo nobiliare. Tuo padre ti rispedirebbe in Norvegia con un calcio nel fondoschiena se osassi anche solo chiederglielo, e probabilmente si vergognerebbe così tanto di te se ti vedesse in questo momento da bere fino a cadere in coma, ma tua madre... Lei capirebbe. Sosterrebbe non solo moralmente, ma anche finanziariamente, questa tua impresa se mai ti ci volessi cimentare.
Ma no, non hai certo intenzione di regalare perle ai porci. Sei qui con la sola intenzione di ricordare a tutti che non c'è uomo né donna che possa competere con te. Che meriteresti di essere tu ad ottenere entrambe le corone, gli scettri e le fasce. Peccato non ti abbiano votato, perché a quanto pare in questa scuola piena di mediocri del cazzo è più importante essere degli ipocriti filantropi -  alcuni in lizza per il titolo son così tremendi che manco le madri riuscirebbero a sostenere che abbiano del fascino nascosto - piuttosto che dei bellissimi, onesti, stronzi. Che branco di idioti. Be', la tua comparsa l'hai fatta ed ora puoi sparire lasciandoli tutti con il dubbio che si sia trattato soltanto di un'allucinazione collettiva.
"Loki?" Ah! Eccola qui la star della scuola, il re del ballo pronto ad incoronare la sua regina - carina, per carità: sempre meglio Jane di Sif! - e ad offrirle il primo ballo. Con i suoi amici, che non san bene come reagire nel vedere quello che han sempre considerato come un mostriciattolo tirato così a lucido. Ben più affascinante delle ragazze che si son portati dietro, e questo li rende lividi. Se dai loro un po' di tempo, troveranno qualcosa a cui aggrapparsi per umiliarti. Fin dalle elementari, è sempre stato così. Non vedi perché dovrebbe cambiare ora. Meglio eclissarsi, quindi. Finiresti con rispondergli a tono, e Thor si lamenterebbe che prendi sempre tutto troppo sul serio e che ti sei presentato apposta per rovinargli la serata. Chiaro che volevi essere preso in giro: perché vestirsi da donna, altrimenti?
Non vuoi metterti a litigare, non con lui. Non quando è andato tutto così bene finora.
"Mi concederesti il primo ballo?" Che? Jane non ha niente da ridire? Sei tentato di rifiutare già solo perché sta sorridendo, spingendoti tra le braccia di Thor. Una trappola: dev'essere per forza una trappola. Eppure no, nessuno tira fuori una macchina fotografica e nessuno ride alle tue spalle.
Che diavolo sta succedendo? C'è un solo modo di scoprirlo.
"Suppongo di poterlo fare, sì. In fondo che ho da perdere, mh? La dignità? Oh, quella è merce sopravvalutata..."
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sottolemiecoperte · 7 years
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Caro professore,
vorrei dirle tante cose che non ho detto oggi, in aula,davanti a tutti. Forse perchè non sono forte come sembro, forse perchè la voglia di stare in silenzio era maggiore della voglia di dirle tutto. Forse perchè negli altri continuo a vedere dei piccoli mostri pronti a giudicare, ad assalirti, a divorarti. Ci sono volte che non li vedo, volte in cui queste piccole allucinazioni restano al loro posto. Queste minuscole bestioline sanno entrarti dentro con infallibilità da maestre quando a infilarle è un mostro più grande di loro. Forse non le ho detto niente perchè oggi quelle parole, tante parole che le uscivano da bocca, circolavano nell’aula fluttuando leggere, quasi malevole, quasi come condanne a morte. Fluttuavano e ciascuno le osservava, guardandosi attorno, all’erta, guardinghi. E sa, professore, c’erano alcuni di noi più all’erta di altri. Si riconoscevano a primo impatto, li potevo contare. Erano più tesi, si guardavano più attorno, alcuni guardavano le mani, altri i piedi, nessuno guardava lei, nessuno guardava nessuno. E poi c’erano altri invece rilassati, che continuavano a chattare con l’iphone, oppure a scartare una caramella. Io li osservavo, i loro movimenti tranquilli mentre accartocciavano palline di carta per chissà quale scopo, e intanto sentivo montar dentro una paura talmente grande da far formicolare mani e piedi. Tante, piccole formiche fluttuavano nei miei arti, e i soliti suoni si dilatavano, come se nell’aula improvvisamente fosse calato un dissennatore, ma che dico centinaia di dissennatori. Scusate la punteggiatura, ma ho talmente tanto da vomitare da non riuscire a preoccuparmi anche di questo. Lei ci guardava tutti con una sfrontatezza, le posso dire, che trovavo fin troppo audace, fin troppo invadente. Mi dondolavo nella mia scomoda sedia e cercavo di concentrarmi sul trascorrere del tempo, sul fischio del microfono, su quante mattonelle componessero il pavimento di fronte a me. Avrei voluto dirle di parlarne in altri luoghi, avrei voluto chiudere le porte e finestre e dirle di parlarne piano; avrei voluto che non ci fosse tutta quella gente, perchè nonostante mi ripetessi costantemente il contrario, continuavo ad avvampare convinta che stesse parlando con me. Attraverso quelle sue lenti magiche e odiose non guarda nessuno e forse guarda tutti. Lei parlava, e parlava assai, e pure forte. Io guardavo lei, di sbieco e poi subito gli altri, tutt’attorno a me. Che penseranno? mi chiedevo. Che penseranno di noi? Mostriciattoli, tutti. E lei, professore, ha fatto anche ridere molti di loro con qualche battuta. Gliela perdono, so che lo fa per non far si che si distraggano. Qualche risata fa bene, e vabene. E intanto li vedevo ridere, li sentivo ridere. Mi si ghiacciava tutto. Sentivo i loro commenti a mezza voce. Sentivo la mia solitudine montare, piano. Sentivo il mio cervello dilatarsi nel sangue che pompava veloce. Intervallo e finalmente bagno. Bagno solitario, bagno da sola. Uno specchio, mi ci guardo, son normale. Son me stessa, niente di diverso. Un respiro, due respiri. Le ragazze, due di loro, non son mostri, mi si confidano. Lei mi racconta, mi parla di quanto le sue parole l’hanno trafitta. Stava parlando anche a lei, non a me sola. Io la guardo, lei mi si confida, mi confida che gli altri son stati tutti dei mostriciattoli con lei, che le hanno riso un po’ dietro, che l’hanno fatta sentire a disagio. Io la guardo, è tanto triste. Sembra talmente infantile dire così, ma è la più pura verità. Era tanto triste, professore, Tanto,davvero. Le ho sorriso, o almeno ho tentato. E lei mi ha sorriso, almeno ha tentato. Poi mi è esploso qualcosa dentro, puff. Ho iniziato a piangere, sconvolta. Mi son toccata gli occhi, li ho asciugati, è iniziata la vergogna, totale. Mi ha sorriso, un po’ imbarazzata ma non ho visto un suo giudizio, non credo di averglielo mai letto. Son fuggita in bagno, chiedendole scusa. Mi son chiusa nel cubicolo,ho serrato la porta. Cosa mi è preso? Che cazzo fai? mi sono iniziata a dire. Non lo so che mi è preso, ho chiuso gli occhi ed è stato tutto daccapo. Uno stesso,identico film, sempre lo stesso. Un garage, una stanza buia, una stanza d’albergo, il sapore del sangue, l’odore di sperma, la puzza di sudore, la nausea alla bocca dello stomaco. La testa che gira professore, gira e gira. Lucia mi ha bussato, son andati tutti via, esci dai. Son uscita,ci siam sedute. Siam state in silenzio. Mi ha offerto un caffè. Le ho sputato fuori che schifo che è ricordare. Ha confessato che è lo stesso per lei; mi ha raccontato quanto le sia difficile ricordare, parlare, rivivere. Piccoli singhiozzi, petti che si alzavano e si abbassavano. Si potrebbe comporre un quadro, una poesia, una sinfonia che contenga tutte le emozioni che proviamo quando vogliamo scoppiare. Quando minacciamo di scoppiare. E’ stata dura, professore, tornare in quell’aula e sentirsi dire direttamente quello che cerchiamo di negare ogni giorno. E’ stata dura, davvero; è stata dura e forse non saremmo rientrate se non avessimo saputo quanto si sarebbe arrabbiato. Siamo rientrate, a testa bassa, le mani sudate, ci siam sorbite tutte le sue supposizioni, le sue giuste teorie e i suoi sfottò (bonari si intende). Abbiamo guardato l’incredulità negli occhi dei nostri vicini, sconvolti che al mondo ci siano donne capaci di farsi ridicolizzare, umiliare, violentare. Insozzare. Ti senti sporca, professore, ti senti sporca dentro. “Io avrei reagito” la mezza voce di qualche mostriciattolo ignaro. E il suo sguardo indulgente,professore. Non è così semplice, ragazzi, ci ha detto. E non è sceso nei particolari, li ha lasciati tutti sul filo della loro beata ignoranza. Ci vorrebbero ore che non abbiamo per spiegarvi cosa succede. Abbiamo letto l’indifferenza di altri, convinti nel profondo che la cosa non avrebbe mai potuto toccarli, che non avrebbero mai dovuto preoccuparsi di poter essere così deboli, così sciocchi. Ha bruciato, professore, brucia ancora. Brucia la ferita che non si rimargina, brucia dalla voglia di alzarmi e gridare sulle loro facce impassibili che no,non se lo immaginano. Che no, non possono saperlo. E che no,non si sarebbero ribellati proprio a un bel niente. Non avrebbero saputo far meglio di  me, non avrebbero potuto difendersi meglio di me, e non avrebbero saputo proteggersi meglio di me. E brucia,professore, quando futura psicologa sento di non riuscire ad avere ancora il controllo su una parte così importante di me, su un’emozione così complessa e non elaborata. Brucia quando descrive in minuziosi dettagli la dipendenza affettiva di questi “soggetti”. Quando soggetto sono anch’io, e arrossivo di vergogna perchè non riuscivo a poter essere maturo nel mio futuro ruolo di terapeuta, ma ero lì,inerme,sentendomi cavia da laboratorio. Un criceto stupidino sul tavolo da lavoro. E quei piccoli mostriciattoli miei colleghi passarmi accanto con i loro occhiali,le loro lenti di ingradimento e le loro teorie. “Professore ma questo rincorrere,questa dipendenza affettiva dall’altro non potrebbe essere una forma di egoismo?” E io lì,professore, a mordermi l’anima e gli occhi perchè avrei voluto scuoterla talmente forte da farle cadere gli occhiali per spiegarle come si vede quando non si ha più niente per vedere. Per spiegarle come si diventa quando non si vede da dove arriverà il colpo. Quando affidi te stessa nelle mani di qualcosa di inconsistente, quando ti alimenti di cure inesistenti. E lei, paziente, ha spiegato che no,per fortuna non si fanno giudizi morali, non si giudica una persona sofferente. E che no, la loro dipendenza nasce probabilmente da una carenza di cure materne,affettive; quando in effetti il nucleo familiare non consente un desatellitamento, quando la bambina non sente di essere amata incondizionatamente ma anzi, sente che deve guadagnare ogni giorno l’affetto di chi ha attorno e allora mette in campo le strategie migliori per ottenere cura,protezione,affetto,calore. Sviluppa efficacemente le proprie doti empatiche, per compiacere e riconoscere qualsiasi segno di debolezza dell’altro in modo da riuscire sempre più ad esser presente, ad accudire, a far del bene,a meritarsi quell’abbraccio mai ottenuto. E come ha parlato bene,professore. E come prendevano appunti,tutti. Ho guardato il mio foglio bianco, ho disegnato qualche scarabocchio per non star troppo ferma. Ha guardato spesso dalla mia parte, non so cos’ha pensato. L’ho odiata tanto, obbligarci a guardarla in faccia. Succede a molte di voi,ragazze. Ed è terribile il meccanismo che si innesca. E le domande stupide dei piccoli mostriciattoli, e la tua voglia costante di essere dalla loro parte dell’aula. Di esser stupida come loro. Di essere insolente come loro. Di ridere come loro, con quei dentini infami di un’empatia forse non ipersviluppata come noi stupide excrocerossine. Lei ha voluto leggerci un brano, di un libro bellissimo,ragazze,ve lo consiglio. Libro che ho già letto e riletto almeno cinque volte. Donne che amano troppo, e ha fatto la sua faccia di chi la sa lunga,e le avrei voluto chiedere con la stessa sfacciataggine di chi rideva, l’hanno mai obbligata a far sesso? Avrei voluto chiedere a ciascuno di loro, vi hanno mai tolto la voglia di essere voi stessi? Hanno mai instillato nei vostri più profondi pensieri che era vero, che era vero che i vostri genitori non vi amavano? Che eravate solo un peso per loro, che avrebbero voluto non avervi mai fatto. Che i figli di divorziati sono un errore. Che avrei fatto meglio a crescere, a separami da loro. Vi hanno mai convinto che non valete niente? Che qualsiasi estraneo riesce meglio di voi in tutto e che se qualcuno vi guarda è solo perchè voi volete in realtà farvi guardare. E allora se volete afarvi guardare è solo perchè in fondo davvero sapete di non contare nulla e che senza di loro non sareste niente, sareste soli. E soli ci siete diventati davvero, vi guardate attorno e non c’è altro che lui, non c’è famiglia,vi odiano tutti, gli amici altrttanto, l’unversità l’avete mollata perchè tanto non farete mai niente con quella laurea, perchè tanto lui già lavora e voi invece siete stupide, cretine attaccate ancora alla filosofia, alle poesie,a lle belle parole. quando poi non vi serviranno a niente e dovrete soltanto accollarvi ad un uomo in grado di mantenervi. ecco perchè vi odia, ecco perchè odia le donne,perchè sono tutte puttane, non importa quanto gli ripeterete di amarlo e di rispettarlo, lui non vi rispetterà mai perchè per avere rispetto dovrete meritarlo e finchè non lo meriterete lui non vi consegnerà che poche briciole del suo affetto e stima. e la vostra ansia diventerà una specie di ulcera che si cberà del vostro intestino, del vostro stomaco,e avrete perennemente voglia di non aver incontrato un amico alla stazione, o di non aver mai preso il treno se aveste saputo di incontrare un’amica che lui non sopporta. vivrete in simbiosi con il cellulare e tremerete quando troverete una chiamata persa o un messaggio non letto. e quando non prenderà,quando non ci sarà campo, quando sarete in ritardo, quando sarete in anticipo, quando ci saranno 30 gradi e dovrete girare con pantaloni e camice abbottonate. quando avrete paura di ogni singola botta, e ancora la avrete dopo quattro anni,ancora dopo cinque. Avrei voluto raccontarvi di come ci si sente a sentirvi ridere, a sentirvi increduli, sconvolti che al mondo esistano persone tanto deboli, quando voi lottate ogni giorno e ogni giorno con lo specchio per ricordarvi che la vostra forza è stata non arrendervi. Che la vostra forza risiede nell’amore per gli altri,nell’amore per la vita, nella fiducia negli uomini che ancora non vi fa odiare l’uomo che vi ha messo spalle al muro. E voi che ridete di me, voi che dite che lo avreste mandato all’ospedale o che avreste chiamato la polizia, voi non sapete che significa amare talmente qualcuno da sacrificare voi stessi per la sua felicità. Non potete sapere quanto ci si sente annientati, impotenti, e quanto si lotta ogni giorno per ricordare a voi stessi di essere più forti, di essere riusciti a superarlo, di essere liberi dai ricordi, liberi dalle ossessioni, dalle ansie. E scoprire invece ogni giorno di esserne ancora schiavi. E riprovarci ogni giorno daccapo. Con le stesse paure di far presto, di non far ritardo, di rispondere in fretta al telefono, di giustificarmi, di avere ansia, ansia per i programmi, per gli schemi, per far quadrare tutto, perchè tutto non infastidisca gli altri, perchè tutto abbia un suo corso, perchè non ci siano intoppi. Non ho parlato professore, perchè la lotta interna continua e continuerà sempre. E perchè avevo,si, troppa paura per farlo. Ancora non sono diventata forte come vorrei. Ci diventerò, stia certo.
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heresiae · 6 years
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Io ho la terza media in inglese. Terza media nel senso che ho fatto solo le medie. E un trimestre all’università. Fine.
Tutto l’inglese che leggete qui mi arriva da anni di telefilm e film in inglese con i sottotitoli in inglese e pure qualche fumetto, perché a una certa i miei interessi Itasa e Subsfactory hanno cominciato a non coprirli più (più la crisi megavideo e la chiusura dei forum di scanlation). È un inglese molto colloquiale e devo dire che faccio fatica a non scrivere ‘gonna’ invece di ‘will go’.
Nonostante ciò mi sono ritrovata (per esclusione causa licenziamenti e “ops, non possiamo più rinnovarti il contratto”) a essere il punto di riferimento per l’inglese in azienda.
Il mio italiano è un po’ meglio (elementari rovinate da un’insegnante bulla, medie recuperate con il cucchiaino, superiori inesistenti, azzecco i verbi per assonanza e perché leggo un botto) ed è un italiano che odia fronzoli inutili, giri di parole, complicazioni affari semplici. Insomma, il mio italiano non concepisce la fuffa, ma solo il dire le cose in modo diretto e semplice (infatti sono pure incapace di far finta di parlare aulico). È stata una cosa che alle superiori mi ha causato qualche problema, perché purtroppo il voto di progettazione includeva anche la valutazione delle ‘motivazioni scritte’ su quel che avevo disegnato. Di solito quel che volevo scrivere era: “ci ho pacioccato fino a quando non mi hai detto che ti andava bene”. Finivo per scrivere altro, ma una riga e mezza (il mio limite). Loro invece volevano che dicessi che le curve messe così significavano la libertà suprema della supercazzola introversa e per favore almeno 10 righe (no, non sono capace a scrivere queste cazzate manco per ridere, vi pare?). 
Ieri mi chiedono di tradurre un’offerta economica per un cliente in inglese. 
Ora, chiunque abbia avuto esperienza di queste cose sa che le offerte devono essere precise e dirette. Soprattutto precise. Senza aree grigie. Quelle che permettono al cliente di chiederti un pezzo di culo aggratis insomma. 
Il problema è che già in italiano questa offerta era arzigogolata. Periodi lunghissimi, super articolati, dove dicevano tre cose insieme.
È stato un bagno di sangue.
Una delle cose che non ho capito è la frase in cui si indica il costo flat a giornata di un pacchetto di manutenzione. 1. Checcazzo è un costo flat. 2. Significa che ogni singola persona costa 400€ o tutta l’attività giornaliera costa 400€ ?
Come potete capire, l’ultima domanda era piuttosto importante. L’account non mi ha risposto. La sua assistente mi ha risposto la seconda cosa. Loro sono uscite mentre finivo e non ho potuto avere un riscontro diretto sui miei dubbi. Sono rientrate che me ne andavo (per inciso, usiamo slack, quindi l’account poteva rispondermi in quella mezz’ora di rientro... se solo mi avesse calcolato...).
Oggi mi risponde. Costo a persona.  Le dico che allora è scritta male. Subito piccata mi dice che allora la prossima volta la scrivo io in italiano.
-.-
Ora, ho chiaramente disarmato la polemica dicendo ma no, è scritta male in inglese (mica sono scema, ci tengo alla mia tranquillità lavorativa). Peccato che no, è scritta male pure in italiano. C’erano almeno tre punti che non si capiva cosa cazzo volevano dire e mi era venuta la nausea da stanchezza dopo sto lavoro.
Poi, venire a chiedere a una UX designer, ex-content, ex-stagista-copy, sul cui CV non è presente nessuna certificazione in inglese, di venire a fare una traduzione in inglese di un documento complicatino (e importante) per poi incazzarsi perché oh, non ho capito tutto subito al volo, mi pare esagerato.
E comunque la prossima volta usate un cazzo di traduttore ufficiale.
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heresiae · 7 years
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Ieri. Un pomeriggio passato nei ricordi, nel vedere quanto il tempo sia passato troppo, davvero troppo velocemente. Un addio, un arrivederci, non so bene cosa sia stato, me ne renderò conto, ce ne renderemo conto tutti quanti nei prossimi giorni, a mente fresca e liberi dalle emozioni che ancora comandano sulla ragione. La bilancia dell'equilibrio tende ancora troppo verso il sentimento, Elinor è stata chiusa in cantina e Marianne emula l'omonima francese liberandosi di inutili orpelli e, mettendosi comoda, in pieno Comfort, decanta le sue gioie. Ah, e c'è stata anche l'ultima partita di Totti. Vedevo Irene stranamente attiva su Whattsup, lei che prende il telefonino solo per qualche gioco, mi chiedeva come usare l'ultimo aggiornamento e per quale diamine di motivo suggerisse sempre parolacce già alla seconda pressione dei tasti. "Era il mio, tesoro." "Ora mi spiego tante cose" - indica una parola - "questa, cosa dovrebbe significare?" "Così da sola, poco, fa parte di un discorso più ampio, legato a un moto a luogo, verbi all'infinito e termini medici riconducibili ad anatomie fantasiose." Alza un sopracciglio pervasa da vulcanica perplessità. "Ok, meglio non sapere" Sapevo di una festa di compleanno organizzata per ieri ma non aveva saputo dirmi nessun tipo di dettaglio relativo a orario e luogo, mi aveva chiesto tempo e fiducia a riguardo. Merita ampiamente entrambe, quindi aspetto. Finalmente, ieri mi comunica l'indirizzo dove accompagnarla. "Scusa se non ti ho detto nulla ma abbiamo avuto conferma della disponibilità della sala solo ieri." "A Versailles non sono più precisi come una volta, capisco" "Non mi toccare la corte di Francia" - le ultime quattro parole non le pronuncia. Le canta. In maniera quasi automatica e inconsapevole. Avrei potuto fargliela passare. Avrei potuto. Ma, almeno in questo momento, non ho voluto. Sfodero il mio miglior sorriso alla Norman. Sgrana gli occhi. "...c'è nel regno una bimba in più..." "Ti odio" "...biondi capelli e rosa di guancia... dai che non puoi resistere, è peggio di i will survive a un Pride, su..." Gonfia il petto. E canta. L'inevitabile lacrima ne sancisce la fine. "Ti odio. Non dovevi farmelo vedere" "Ti sarebbero mancate le basi. Dove vuoi che ti porti, mia Lady?" "All'oratorio, è il compleanno di Milena e lei non poteva festeggiare, così le abbiamo organizzato tutto noi" "Scusa?" Si guarda le scarpe, imbarazzata e quasi colpevole. "Non volevo tenertelo nascosto, è che fino all'ultimo momento non eravamo sicuri..." "Ma di cosa? Di un compleanno?" "Papo, è di Milena. Sappiamo benissimo quanto nessuno dei genitori sopporti la mamma, a volte anche a ragione, ma non era giusto ci rimettesse Milena. Lei ci aveva detto che non avrebbe fatto la festa proprio per non mettere in imbarazzo la mamma e non creare altre tensioni. Ognuno della classe ha fatto comprare delle cose ai propri genitori senza ve ne accorgeste e..." E rivedo le due buste di patatine nel carrello, la cassa di Fanta "in offerta" quando non avevo letto la cosa da nessuna parte, salatini laddove so che li odia ma "Chiara li adora e non li ha mai perchè a me non piacciono, prendiamoglieli, dai", rivedo tutte queste cose e capisco il suo guardarsi le scarpe. "... ma io nemmeno la conosco la mamma. Potevi tranquillamente dirmelo, sai che non ci sarebbe stato nessun problema" "Lo so. Ma non potevo rischiare, lo avevo anche detto agli altri e fatto presente che tu e mamma ci avreste aiutato, ma la paura che anche altri potessero fare lo stesso e la cosa arrivasse alle orecchie di tutti, mandando tutto a monte, era troppa" - adesso mi guarda e prego tutti i santi visibili e invisibili di avere la forza e l'astuzia di sapere sempre cosa le passa per la testa o questa piccola tredicenne mi rigirerà sempre come un pedalino - "quello che so per certo è che voi avreste capito e non vi arrabbierete, vi conosco e voi conoscete bene me" Ci sono stati altri tre momenti in cui il cuore ha rischiato di esplodermi in petto per merito di Irene, ieri è stato il quarto. "Quindi avete organizzato tutto voi" "Tutto!" - e qui parla il giusto orgoglio - "fino all'ultimo l'oratorio era occupato ma, per fortuna, Don ha saputo per cosa era e ha detto agli sposi che lo volevano per tutto il giorno di farsi da parte. Milena è già lì, ha detto alla mamma che ci saremmo viste solo in tre. In fondo, se casualmente si presentano altri amici, e altrettanto casualmente hanno anche cibo e regali, non è certo un problema, vero?" "Direi davvero di no" "Andiamo?" Aveva anche impacchettato il regalo e disegnato il biglietto. Arrivati a destinazione c'è stato imbarazzo tra i genitori, alcuni erano scuri in volto ma molto meno di quanti mi sarei aspettato. Solo due assenti. L'aria era troppo serena perché fosse solo una tregua olimpica, la mamma di Milena non faceva che piangere, quindi non so dire della sua insopportabilità. "Salve, io sono..." "Bwaaaaaaaahhh non dovevate..." "No, io non ho fatto nulla, io sono...." "Bwaaaaaahhhh bwaaahhhhhh cazzo me cola tutto er trucco... che bello però, guarda che bello..." "Sì, è davvero bellissimo... volevo presentarmi, io..." "BWAAAAAAAAAHHHHHH Mortacci mia e de mi nonno me sta a pià no sturbo daa felicità, grazie! Grazie!" "Io non ho fatto nu..." "BWWWWAAAAAAAAAAAAAAAHHH" Mi si avvicina Aldo, un papà amico. "Dille Prego o non se ne esce più, a me ha tenuto mezz'ora" I primi discorsi erano su come siamo stati ingannati. I secondi su quanto fossimo orgogliosi di esserlo stati. I terzi, su quanto ce ne fregasse davvero poco, vedendo Milena e gli altri felici. È stata una bella festa. Anche quella di Totti, mi hanno detto. Fidatevi, non c'era confronto.
Via Servitevi da soli
questo nuove generazioni ci stanno bagnando il naso...
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