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#carracci eros
temple-virgin · 2 years
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Mars et Venus (Mars and Venus)
Agostino Carracci
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diioonysus · 1 year
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roman & greek gods + art
#souls on the banks of acheron by adolf hieremy-hirschl: hermes#the triumph of bacchus by diego velazquez: bacchus#diana the huntress by guillaume seignac: diana#jupiter and juno mount ida by james barry: juno & jupiter#apollo by charles joseph natoire: apollo#pallas and the centaur by sandro botticelli: pallas/athena#prometheus bound by peter paul rubens & frans snyders: prometheus#jupiter enthroned by heinrich friedrich fuger: jupiter#head of mars by unknown: mars#the birth of venus by sandro botticelli: venus#the abduction of psyche by william adolphe bouguereau: eros & psyche#venus adonis and cupid by annibale carracci: venus#diane the hunter by giuseppe cesari: diana#venus demanding arms from vulcan for aeneas by charles-joseph natoire: vulcan#hermes and athena by bartholomeus spranger#athena and pegasus by theodoor van thulden#orpheus and eurydice with pluto and proserpina by peter paul rubens#the apotheosis of hercules by francois lemoyne: neptune#allegory of air by antonio palomino: hera & iris#iris by john atkinson grimshaw: iris#morpheus awakening as iris draws near by rene-antoine houasse: morpheus#flora and zephyrus by jan brueghel the elder & peter paul rubens: zephyrus#a song of springtime by john william waterhouse: flora#justice and divine vengeance pursuing crime by pierre-paul prud'hon: nemesis#night and sleep by evelyn de morgan: nyx & morpheus#hemera goddess of the day by william-adolphe bouguereau: hemera#eos by evelyn de morgan: eos#selene and endymion by ubaldo gandolfi: selene#thetis bringing the armour to achilles by benjamin west: thetis#bellona with romulus and remus by alessandro turchi: bellona
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segretecose · 4 years
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“All’improvviso mi sembrò di essere vissuta con una sorta di limitazione dello sguardo: come se fossi in grado di mettere a fuoco solo noi ragazze, Ada, Gigliola, Carmela, Marisa, Pinuccia, Lila, me stessa, le mie compagne di scuola, e non avessi mai fatto veramente caso al corpo di Melina, a quello di Giuseppina Peluso, a quello di Nunzia Cerullo, a quello di Maria Carracci. L’unico organismo di donna che avevo studiato con crescente preoccupazione era quello claudicante di mia madre, e solo da quell’immagine mi ero sentita incalzata, minacciata, temevo tuttora che essa s’imponesse di colpo alla mia. In quell’occasione, invece, vidi nitidamente le madri di famiglia del rione vecchio. Erano nervose, erano acquiescenti. Tacevano a labbra strette e spalle curve o urlavano insulti terribili ai figli che le tormentavano. Si trascinavano magrissime, con gli occhi e le guance infossate, o con sederi larghi, caviglie gonfie, petti pesanti, le borse della spesa, i bambini piccoli che le tenevano per le gonne e che volevano essere presi in braccio. E, Dio santo, avevano dieci, al massimo vent’anni più di me. Tuttavia parevano aver perso i connotati femminili a cui noi ragazze tenevamo tanto e che evidenziavamo con gli abiti, col trucco. Erano state mangiate dal corpo dei mariti, dei padri, dei fratelli, a cui finivano sempre per assomigliare, o per le fatiche o per l’arrivo della vecchiaia, della malattia. Quando cominciava quella trasformazione? Con il lavoro domestico? Con le gravidanze? Con le mazzate? Lila si sarebbe deformata come Nunzia? Dal suo viso delicato sarebbe schizzato fuori Fernando, la sua andatura elegante si sarebbe mutata in quella a gambe larghe, braccia scostate dal busto, di Rino? E anche il mio corpo, un giorno, si sarebbe rovinato lasciando emergere non solo quello di mia madre ma quello di mio padre?”
(Elena Ferrante, L’amica geniale: Storia del nuovo cognome)
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corallorosso · 5 years
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L’Amica Geniale 2: “Sono stato male dopo la scena della violenza su Lila” intervista di Gennaro Marco Duello Il ritorno de ‘L'amica geniale – Storia del nuovo cognome‘ con i nuovi episodi, in onda dal 10 febbraio 2020 su Rai1, ci danno l'occasione di poter incontrare di nuovo da vicino i protagonisti di questa fantastica serie evento corale, diretta da Saverio Costanzo e Alice Rohrwacher, tratta dai libri di Elena Ferrante (...) abbiamo incontrato Giovanni Amura, che presta il volto e il corpo a Stefano Carracci. Con lui abbiamo parlato di quanto sia difficile mettere in scena un abuso sessuale: Ecco, arriviamo subito al punto: l'abuso sessuale di Stefano.  Sono due anni che con i coach, con me stesso, con i colleghi, lavoro e studio questo personaggio nel profondo. Purtroppo, noi non possiamo giudicare male o giudicare in generale il personaggio che andiamo a interpretare. Noi prestiamo noi stessi a un’altra anima, bisogna capire i gesti che fa il personaggio. Capire non significa condividerli. E tu cosa hai fatto per ‘capire' la violenza di Stefano?  Io mi sono interrogato moltissimo su quello che succede la prima notte di nozze. Ho parlato molto con persone che hanno una certa età e quei tempi li hanno vissuti. Perché Stefano non è altro che una vittima della società di quel tempo. Come ogni uomo degli anni '50, ha il dovere di sposare una ragazza e ha il dovere di metterla incinta. Ricordiamoci che il "compare di fazzoletto" (il testimone di nozze, ndr), si chiamava così perché era colui il quale riceveva il fazzoletto sporco del sangue della ragazza nella notte di nozze. Quindi, lui ha il dovere di fare quella cosa proprio in quella notte. E quando arriva il momento, lui non può assolutamente accettare un no. Non esiste, non è mai esistito che una donna si rifiutasse una cosa del genere. Che una donna rifiutasse una cosa del genere dopo il matrimonio. Lui le dice: ‘io non ti ho mai toccata, ho sempre aspettato e adesso però basta’. Come è stato per te e per Gaia girare quella scena?  Interpretarlo è stato faticoso (cede a una emozione, ndr). È stato brutto anche per Gaia, non solo per me. L’abbiamo girata per una notte intera e ci ha svuotato tantissimo. Quando si estremizzano certe cose, fa molto male. Non è una di quelle scene da ‘buona la prima', immagino. Assolutamente no. Siamo andati avanti per una notte intera e ogni volta che facevamo un ciak dovevamo mettere la stessa intensità, la stessa cattiveria. È stato brutto perché mi ha fatto provare il dolore che prova una donna. Quando ho rivisto quella scena, ho pianto. E anche quella sera, sono stato proprio male. C’è stato il reparto trucco e parrucco, grandissime amiche, che mi ha consolato. Dopo ogni ciak mi dicevano di non preoccuparmi, che quello non ero io. “Poiché lei seguitava ad agitarsi, la schiaffeggiò due volte, prima con il palmo e poi con il dorso, e tale fu la forza che lei capì che se avesse ancora resistito l’avrebbe sicuramente ammazzata”. La racconta così Elena Ferrante nel suo libro.  Si, il romanzo è molto chiaro su questo. La Ferrante ce l’ha scritto espressamente. Ci ha detto che quella parte non poteva che essere messa in scena in quel modo. Sinceramente, nasconderle sarebbe stato una violenza a suo modo. Ricordare che esistono ancora quel tipo di uomini, è una cosa giusta. E comunque penso ci sia una scena più dura nei due episodi. Quale? Quando torniamo dal viaggio di nozze e andiamo dalle nostre famiglie, Lila ha un occhio nero. E nessuno dice niente. Quella è una scena orribile, tutti sanno perfettamente cosa è successo, ma nessuno dice niente. (...)
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rylanpysy822-blog · 4 years
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16 razones para confiar en tus juguetes eroticos - 9 - 13-76
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El término erotismo (del griego ἔρως: érōs) designaba originalmente al amor apasionado unido con el deseo sexual, sentimiento que fue encarnado por el dios Eros. Tiene una relación evidente con la sensualidad, la sexualidad y las capacidades de atracción entre los seres humanos.1​
En español y en otros idiomas modernos, el término «erotismo» es una palabra compleja que puede tener dos significados, ya que queda definida por 2 conceptos distintos, por lo que se puede charlar de 2 tipos diferentes de erotismo conforme el sentido que lo define:
Por una parte, la picardía (entendida como acción o dicho en el que hay malicia o atrevimiento, si bien no una clara insinuación) y la propia insinuación, al cual puede designarse como erotismo poético o erotismo romántico, y se entendería como una contestación a la búsqueda de interacción social.
A sí mismo, por la pornografía, que se puede denominar erotismo sexual, puesto que estaría directamente relacionado con los preludios del acto sexual (específicamente en los juegos sexuales), con los que se pretende desarrollar la excitación de la pareja y la lubricación de los órganos genitales, lo que facilita el coito y otros géneros de comportamientos sexuales.
Erotismo y pornografía
La delimitación entre erotismo y pornografía es "una cuestión estrictamente personal", aunque es posible afirmar, sin lugar a dudas, que el erotismo se restringe a mostrar epidermis con esplendidez y a sugerir con mayor o menor picardía, mientras que la pornografía ilustra las relaciones sexuales explícitas que mantienen los personajes. En este sentido, los aficionados al cómic nipón distinguen el Ecchi (ッチ), que no muestra el coito, del hentai (変態), absolutamente pornográfico. La diferencia se establece, por tanto, en el grado de relevancia de los elementos eróticos de cara al desarrollo de la obra.
Amor erótico y amor romántico
La dicotomía entre el amor erótico y el amor romántico no es por norma general absoluta, aunque ha quedado para el aspecto romántico la asociación principal con el amor (en lo que se refiere a que un auténtico amor es altruista y, se supone, sublima la sensualidad). A esta dicotomía se debe que en la Antigüedad clásica los griegos tendían a distinguir entre el eros y el ágape (el segundo de los cuales era el amor solidario y, pudiese decirse, romántico); tal distinción se tradujo al latín como la existente entre la cupiditás y la caritás.
En las religiones
En las religiones y sistemas de creencias siempre está presente el erotismo, si bien se puede hallar en dos facetas supuestamente muy opuestas: por ejemplo, en el cristianismo católico, los textos místicos de Juan de la Cruz y Las moradas, de Teresa de Jesús, poseen una oratoria llena de un sublimado erotismo dirigido a la deidad, mientras que en otras religiones (como las de los fenicios, mesopotámicos y otros) existía una prostitución sagrada que llegó a la Grecia clásica. En la Antigua Roma se hace conocido el contraste entre la "lascivia" con rebosante arte erótico o, más que entre los helenos, de forma directa porno y la severa castidad y virginidad impuesta a las vestales. Semejantes antinomias en un mismo sistema religioso se patentizan asimismo en el hinduismo, donde existen movimientos promotores de las más rigurosas ascesis opuestas a lo libidinoso junto a exaltaciones de la sexualidad, como ocurre con el conocido texto del Kama Sutra o bien con las imágenes sexuales de templos como los de Suria y Khajuraho.
Erotismo y fetichismo
En el planeta de los objetos, el erotismo puede confundirse con el fetichismo, que es la derivación de la libido cara objetos o partes del cuerpo; de tal manera que la vista o una simple imagen real o bien mental de esa parte del cuerpo provoque en el fetichista un deseo sexual.
Erotismo intelectual
Una percepción más intelectual del erotismo lleva la cuestión a campos en los cuales se supone una ausencia del mismo; por poner un ejemplo, la obra escultórica el Éxtasis de Santa Teresa, de Gian Lorenzo Bernini, que representa el éxtasis místico con la expresión de una mujer en estado de éxtasis físico. El erotismo es un dispositivo complejo (en tanto que abarca diversos componentes de lo subjetivo y lo social y desde la bioquímica hasta el arte) que genera atracción sexual y que puede canalizarse apropiadamente para lograr la completa satisfacción del deseo si no hace que otras personas se sientan afectadas de forma negativa.
Grandes Autores, Piezas maestras o bien Jalones representativos
Artículo principal: Historia del desnudo artístico
La curiosidad por el erotismo es un comportamiento natural o bien innato en los seres humanos. Desde la Antigüedad, representaciones de desnudos como la Venus de Milo o las diosas de la fecundidad en paredes prehistóricas son evidencia de este interés. El desnudo en representaciones visuales ha sido incesante en todas las culturas.
A continuación se enumeran, agrupadas según la naturaleza de los medios expresivos y ordenadas, de manera aproximada, cronológicamente, ciertas obras del erotismo clásico. La lista es incompleta y nada rigurosa. Algunas son obras maestras, otras no están acá tienda erotica más que por lo que representaron en su temporada, por el encono con que fueron perseguidas o bien prohibidas o censuradas o bien porque introdujeron alguna novedad en los trillados caminos que la cultura humana lleva transitando desde sus orígenes.
Literatura
Agostino Carracci: Angélica y Medoro
El carácter descarado y satírico de mucha literatura medieval terminó recogiéndose en cancioneros y antologías. Era un factor natural de aquella cultura, de carácter popular y de transmisión oral, en el que las autoridades participaban y que consideraban inofensivo. Las nuevas necesidades de entretenimiento y la ampliación de la audiencia que se generaron con el Renacimiento propiciaron que poetas y literatos creasen nuevas obras en exactamente la misma línea, en un inicio destinadas a sus nobles patrones, mas accesibles asimismo a un público más extenso. En el contexto de la Contrarreforma, el extremo carácter libertino de muchas de ellas produjo enfrentamientos con el Papado romano, que durante los siglos siguientes se acentuaron y fueron parte miembro de las tensiones originadas por el nacimiento de la modernidad europea.
Los autores y obras que se enumeran a continuación no son más que los casos más representativos de un conjunto considerablemente más amplio, que engloba casi toda la historia de la literatura. Por las razones mencionadas previamente, habitualmente la autoría aquí presentada no es más que la atribución efectuada por los estudios posteriores de los especialistas.
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Nuovo post su https://is.gd/biZyF6
Nardò: Alberico Longo e la sua inedita (doppiamente ...) versione di un mito
di Armando Polito
Sul neretino Alberico rinvio per una nota leggera a http://www.fondazioneterradotranto.it/2015/02/11/una-nota-su-alberico-longo-di-nardo/ e http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/06/nardo-alberico-longo-e-ursula/. Sulla sua morte violenta segnalo http://bitesonline.it/wp-content/uploads/2015/06/Bites_003_Catelvetro.pdf e quanto si legge in Biblioteca modenese, a cura di Girolamo Tiraboschi, Società tipografica, Modena, 1781, v. I, pp. 443-447 (https://books.google.it/books?id=ZC1fAAAAcAAJ&pg=PA446&dq=alberico+longo+pubblicati&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwivnZO9xonlAhUB2qQKHRTLA7sQ6AEIYTAJ#v=onepage&q=alberico%20longo%20pubblicati&f=false). Sui sentimenti  che essa suscitò in chi lo stimava rinvio ad una lettera di Annibal Caro del 13 luglio 1555 indirizzata da Roma a Vincenzo Fontana (in Lettere scelte di Annibal Varo, Barbera, Firenze, 1869,  pp. 90-91: https://books.google.it/books?id=LDg-AQAAMAAJ&pg=PA90&dq=alberico+longo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjinrPp_YflAhVPPFAKHUtLDFgQ6AEIOzAD#v=onepage&q=alberico%20longo&f=false.
Il mito è quello di Polifemo e Galatea1. La bella e al bestia, se non fosse il titolo di una fiaba più recente, si adatterebbe molto bene a sintetizzare l’infelice storia d’amore tra Galatea, graziosa nereide (ninfa delle fonti) e il giovanissimo e bellissimo pastorello Aci. Ma della ninfa si era innamorato pure il rozzo e brutto gigante Polifemo che, senza successo, tentava di fare colpo su di lei ogni volta che ne aveva l’occasione. E venne il giorno fatale in cui pensò di attirare la sua attenzione con una serenata fatta con la siringa mentre era seduto su una roccia (sarà poi questa la composizione ricorrente nei pittori che hanno celebrato il mito). Neppure questa volta Galatea lo degnò di una sguardo, anche perché impegnata in effusioni con Aci. Polifemo, allora, reagì violentemente scagliando loro addosso un grosso masso, che colpì mortalmente Aci. Il mito non ci dice se Polifemo tornò alla carica, ma solo che Galatea traformò il sangue del giovinetto in una sorgente.
Questa storia ebbe grande successo come soggetto artistico, dalla pittura alle tavole a corredo di libri a stampa.  Di seguito, in ordine cronologico, alcune tra le più significative testimonianze.
Tavola a corredo di: Raffaello Regio, P. Ovidii Nasonis Metamorphoseo vulgare,s. n., Venezia 1521
Siamo in presenza di una tecnica cinematografica ante litteram, titoli in sovrimpressione (leggi didascalie) compresi: partendo da sinistra, il primo fotogramma (o, per usare il linguaggio digitale, frame) mostra Polifemo che seduto su una roccia suona la siringa (lo strumento musicale, anche perché nessuna fonte ci ha tramandato un Polifemo tossicomane …), mentre Galatea ed Aci si abbracciano sulla riva del mare; il secondo vede il ciclope nell’atto di lanciare un masso contro Aci, che (e siamo al frame finale) fugge verso il mare, dove già si è rifugiata Galatea; sullo sfondo una città.
Tavola a corredo di: Niccolò degli Agostini, Tutti gli libri de Ovidio Metamorphoseos tradotti dal littelario (sic!) verso vulgar con le sue Allegorie in prosa, Giacomo da Leco, Venezia, 1522. Composizione identica a quella della tavola precedente, con l’aggiunta del bastone posato per terra.
Tavola a corredo di: Ludovico Dolce, Le trasformazioni (uno dei tanti volgarizzamenti delle Metamorfosi di Ovidio), Venezia, Giolito de Ferrari, 1553, p. 273. Qui il frame che mostra Polifemo suonare la siringa mentre Galatea ed Aci si abbaracciano è sostituito da quello del suo accecamento da parte di Ulisse; nel secondo il ciclope è ritratto di spalle nell’atto di lanciare il masso contro Aci che sembra essere caduto sulla riva , mentre Galatea si tuffa in acqua. Sullo sfondo in alto a destra la nave di Ulisse.
Olio su Tela di Nicolas Poussin risalente alla prima metà del XVII secolo e custodito a Dublino nella  National Gallery. Siamo ben lontani dalla drammaticità delle rappresentazioni precedenti, ma è il momento che precede la tragedia:quello in cui Polifemo intona la sua serenata a Galatea mentre è tra le braccia di Aci. La scena corrisponde ai versi ovidiani (Metamorfosi, XIII, 778-804 (è Galatea che racconta):  Prominet in pontum cuneatus acumine longo/collis utrumque latus circumfluit aequoris unda;/huc ferus ascendit Cyclops mediusque resedit,/lanigerae pecudes nullo ducente secutae./Cui postquam pinus, baculi quae praebuit usum,/ ante pedes posita est, antemnis apta ferendis,/sumptaque harundinibus compacta est fistula centum,/senserunt toti pastoria sibila montes,/senserunt undae; latitans ego rupe meique/Acidis in gremio residens procul auribus hausi/talia dicta meis auditaque verba notavi:/“Candidior folio nivei, Galatea, ligustri,/floridior pratis, longa procerior alno,/splendidior vitro… (Si protende inmare un colle a forma di cuneo dall’alta vetta e l’onda del mare lo circonda da entrambi i lati. Qui sale il feroce ciclope e si siede al centro, mentre le lanose bestie lo seguono senza guida. Dopo che il pino, atto a reggere vele,  che gli offrì l’uso di bastone, fu deposto ai suoi piedi e fu presa in mano la siringa composta da cento canne tutti i monti sentirono i fischi pastorali, li sentirono le onde. io nascondendomi dietro una roccia mentre stavo tra le braccia del mio Aci da lontano colsi con le mie orecchie tali parole e ricordo a memoria le parole sentite: “Galatea, più candida di un petalo di ligustro, più fiorente dei prati, più slanciata di un alto ontano, più splendente del vetro …)
Ancora di Nicolas Poussin questo schizzo a penna sullo stesso tema. In primo piano Galatea seduta su una roccia ha le braccia intorno al collo di Aci che a sua volta appoggia il braccio sinistro sulla spalla di Eros che gli sistema il manto. In alto a sinistra Polifemo sfdraiato su una roccia con la siringa vicino sembra giardare verso il mare, dove, a destra, si vede il carro di Apollo, dio del sole. Al centro a destra una nereide fa il bagno.
Il mito conobbe pure una versione inventata da Properzio2 (I secolo a. C.) e ripresa da Nonno di Panopoli3 (V secolo d. C.), secondo la quale Galatea avrebbe corrisposto all’amore di Polifemo. Le rappresentazioni artistiche di questa versione sono in numero decisamente minore e la maggior parte, come ora vedremo, molto antiche.
Affresco del I secolo d. C. proveniente da Pompei (Casa della caccia antica) e custodito nel Museo Nazionale di Napoli. Bacio sensuale tra la ninfa e il ciclope. Dettagli distintivi: l’ariete, la siringa e il bastone.
Affresco del I secolo d. C. proveniente da Pompei (Casa delle pareti rosse). Qui non compaiono (oppure non si leggono più) segni distintivi ma è chiaro che la situazione è l’evoluzione di quella precedente …
Affresco del I secolo d. C. proveniente da Pompei (Casa del sacerdote Amandus). Perfettamente distinguibili Galatea, Polifemo, le pecore e in alto a destra la nave di Ulisse. L’artista sembra essersi ispirato ai versi ovidiani precedentemente citati, a parte l’assenza di Aci.
Affresco del I secolo a. C. proveniente dalla villa di Postumo Agrippa a Boscotrecase e custodito a New York nel Metropolitan Museum of Art. Parecchi dettagli sono in comune con l’affresco precedente, ma questo è scomponibile in due metà-sequenze: nella prima il ciclope esegue la sua serenata a Galatea che certamente non si nasconde; nella seconda si vede il gigante lanciare un masso contro la nave di Ulisse.
Affresco del I secolo d. C. proveniente da Ercolano e custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Cupido recapita a Polifemo una lettera, si presume, di Galatea (foto di Stefano Bolognini).
Mosaico del II secolo d.C. rinvenuto a Cordova durante la sistemazione della piazza della Corredera e custodito in quella città nel palazzo Alcazar de Los Reyes Cristianos.
Roma, Palazzo Farnese, dettaglio della volta della Galleria. Affresco della scuola di Antonio Carracci (XVII secolo). Segni distintivi: la siringa e il bastone. La ninfa sembra gradire la serenata del ciclope.
Nella stampa che segue, anch’essa del XVII secolo (disegnatore e incisore Pietro Aquila, editore Jacopo de Rubeis) l’intero dipinto.
Fuori campo in basso al centro quattro esametri: Ardet amans, scopuloque sedens POLYPHEMUS acuto,/ad numerum inflatis calamis,dat sibila cantu;/concomitata choro gaudet GALATEA sub antro,/et latitans rauci suspiria ridet amantis. (Arde l’innamorato Polifemo e, sedendo su uno scoglio, ritmicamente gonfiate le canne, e mette sibili col canto; accompagnata dal coro Galatea si compiace sotto una grotta e nascondendosi deride i sospiri del roco innamorato).
Da notare una certa discrepanza tra la descrizione emergente da  questi versi  e il dipinto, in cui Galatea certamente non si nasconde, tanto meno in una grotta.
Un ribaltamento ancora più spinto (rispetto alla versione dominante del mito, l’unica ricorrente a livello letterario nel XVI secolo ed in quello successivo, come dimostrano gli esametri appena esaminati)  è quello operato da Alberico Longo, che ci presenta un Polifemo suicida per amore. E lo fa in un componimento in quattro distici elegiaci, come nove altri parzialmente inedito4, tramandatici nel manoscritto Vat. lat. 9948 custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana (integralmente leggibile in https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.9948).  Di seguito riproduco il dettaglio della carta 41v con il componimento che prima trascrivo e poi traduco.
  Alberici Longi Salentini                                                          
Non per te rigidam, non per fera numina ponti:               
per vada, per scopulos, quos Galatea colis.                        
Non per me miserum, non per pia numina ruri,                
per iuga, per fontes, quos Galatea colo.                             
Non vivam: at nostro si torva leaena cruori                        
insidiisque inhias artubus, emoriar.                                     
Dixit et intuitus  fluctus Polyphemus amarus                     
transfixit gladio pectus, et interiit.                                        
  (Del salentino Alberico Longo
– Non (vivrò) per te inflessibile, non per i feroci numi del mare,
per i guadi, per gli scogli che tu, Galatea, abiti.
Non (vivrò) per me infelice, non per i virtuosi numi della campagna,
per i gioghi, per le sorgenti che io, Galatea, abito.
Non vivrò: ma se tu crudele leonessa al mio sangue
e alle membra con le insidie aspiri, sparirò -.
Polifemo disse e, dopo aver guardato i flutti, triste
trafisse il petto con la spada e morì.)
  Una sorta di originale, rivoluzionario (la figura dell’uomo suicida per amore, magari subito dopo che, sempre per amore …, è stato un omicida, pardon …, femminicida, è l’ultimo, recente portato dei nostri tempi) divertissement mediante l’ironica, garbata  dissacrazione di quanto di più stabile e di intoccabile all’epoca si potesse immaginare: il mito. Neppure i poeti successivi (Alberico morì nel 1555) osarono tanto e si limitarono a cantare le intenzioni suicide del gigante (ma non la loro attuazione), come, per esempio, Giovan Battista Marino (1569-1625), L’Adone, XIX, 216, 7-8: Vuol uccidere se stesso o nel’aperta/gola del mar precipitar dal’erta. E la sottile ironia io la colgo anche nello strumento che il Longo fa utilizzare a Polifemo per suicidarsi: la spada, sulla quale, dopo aver appoggiato l’impugnatura sul terreno (se si fossero infero colpi  la morte non sarebbe stata, quanto meno, immediata), gli eroi greci la facevano finita con la vita. E non mancano nel mito propriamente detto casi simili, addirittura con duplice morte5. C’è da chiedersi dove il ciclope potesse mai aver trovato un gladium, il cui significato, in alternativa a quello di spada, è pure quello di lama dell’aratro. Polifemo era un pastore e, per evitare qualsiasi interpretazione ironica, sarebbe stato sufficiente farlo morire trafitto dal suo stesso bastone preventivamente appuntito e usato a mo’ di spada oppure facendolo precipitare dalla cima dello stesso  colle da dove, ad un’altitudine intermedia, aveva trasmesso il suo personale festival  della canzone.
La composizione si presenta originale anche dal punto di vista formale, tutta costruita com’è sul concetto chiave (la decisione di farla finita) espresso con una inconsueta litote. Com’è noto, questa figura retorica consiste nell’esprimere un concetto diluendo la parola utilizzata nel suo contrario preceduto da un avverbio di negazione, con finalità eufemistica: non bello per brutto. Qui si ha da una parte non con sottinteso vivam (da vivere), cui, con una litote pedissequa dovrebbe corrispondere moriar (da mori, che significa morire).  Invece Alberico utilizza emoriar (da emori, composto dalla preposizione e che significa lontano da) e dal citato mori. Il composto aggiunge così, se possibile, un’ulteriore nota di allontanamento che coincide con la volontà di Polifemo di sparire senza lasciar traccia alcuna, nemmeno, se possibile, del suo corpo.
______________
1 Riporto in ordine cronologico le fonti antiche con l’indicazione bibliografica e, per non appesantire il tutto, una volta tanto, senza il relativo testo; per Properzio e Nonno di Panopoli vale quanto specificato nella trattazione.
CALLIMACO (IV-III secolo a. C.), Epigrammi,  XLVI
TEOCRITO (IV-III secolo a. C.), Idilli, VI e XI
VIRGILIO (iI secolo a. C.), Eneide, IX, 103-104; Bucoliche, I, 27-32; VII, 37-40 e IX, 37-43
OVIDIO (I secolo a. C.-I secolo d. C.), Metamorfosi, XIII, 738-897
PROPERZIO (I secolo a. C.): Elegie, III, 2, 7
ORAZIO (I secolo a. C.), Satire, l, 5
APOLLODORO (I-II secolo d. C:), Biblioteca, I, 2-7
LUCIANO (II secolo d. C.), Dialoghi degli dei del mare, I
NONNO DI PANOPOLI (IV-V secolo d. C.), Dyonisiaca, 300- 324
2 Elegie, III, 1, 29-34: Orphea detinuisse feras et concita dicunt/flumina Threicia sustinuisse lyra./Saxa Cithaeronis Thebas agitata per artem/sponte sua in muri membra coisse ferunt./Quin etiam, Polipheme, fera Galatea sub Aetna/ad tua rorantes carmina flexit equos. (Dicono che Orfeo con la lira tracia  incantò le fiere e fermò i rapidi fiumi. Dicono che le rocce del Citerone spintesi verso Tebe grazie alla sua arte spontaneamente si unirono in parti di muro. Anzi, o Polifemo, la crudele Galatea piegò ai suoi versi gli umidi  cavalli [sono i cavalli marini che accompagnano Galatea]).
3 Dyonisiache, VI, 300- 324: Καὶ τότε κυματόεσσαν ἰδὼν ὑπὸ γείτονα πέτρην/νηχομένην Γαλάτειαν ἀνίαχε μυδαλέος Πάν·/‘Πῇ φέρεαι, Γαλάτεια, δι᾽ οὔρεος ἀντὶ θαλάσσης;/μὴ τάχα μαστεύεις ἐρατὴν Κύκλωπος ἀοιδήν;/πρὸς Παφίης λίτομαί σε καὶ ὑμετέρου Πολυφήμου,/μὴ κρύψῃς δεδαυῖα βαρὺν πόθον, εἰ παρὰ πέτραις/νηχομένην ἐνόησας ἐμὴν ὀρεσίδρομον Ἠχώ./Ἦ ῥά σοι ἶσον ἔχει διεπὸν δρόμον; ἦ ῥα καὶ αὐτὴ/ἑζοθένη δελφῖνι θαλασσαίης Ἀφροδίτης,/ὡς Θέτις ἀκρήδεμνος, ἐμὴ ναυτίλλεται Ἠχώ;/δείδια, μή μιν ὄρινε δυσάντεα κύματα πόντου·/δείδια, μή μιν ἔκευθε μέγας ῥόος· ὣς ἄρα δειλὴ/ἄστατος ἐν πελάγεσσι μετ᾽ οὔρεα κύματα βαίνει·/ἥ ποτε πετρήεσσα φανήσεται ὑδριὰς Ἠχώ./Ἀλλὰ τεὸν Πολύφημον ἔα βραδύν· ἢν ἐθελήσῃς,/αὐτὸς ἐμοῖς ὤμοισιν ἀερτάζων σε σαώσω·/οὔ με κατακλύζει κελάδων ῥόος· ἢν ἐθελήσω,/ἴχνεσιν αἰγείοισιν ἐλεύσομαι εἰς πόλον ἄστρων.’/Ὤς φαμένῳ Γαλάτεια τόσην ἀντίαχε φωνήν·/‘Πὰν φίλε, σὴν ἀνάειρε δι᾽ οἴδματος ἄπλοον Ἠχώ·/μή με μάτην ἐρέεινε, τί σήμερον ἐνθάδε βαίνω·/ἄλλον ἐμοὶ πλόον εὗρεν ὑπέρτερον ὑέτιος Ζεύς./Καὶ γλυκερήν περ ἐοῦσαν ἔα Κύκλωπος ἀοιδήν./Οὐκέτι μαστεύω Σικελὴν ἅλα· τοσσατίου γὰρ/τάρβος ἔχω νιφετοῖο καὶ οὐκ ἀλέγω Πολυφήμου.’ (E allora Pan madido, avendo visto sotto un a vicina rupe Galatea che nuotava, esclamò: “Dove vai, Galatea, attraverso il monte davanti al mare?  Non brami forse l’amato canto del Ciclope? Ti prego, per la dea di Pafo [Venere che a Pafo, città dell’isola di Cipro, aveva un tempio]e del vostro Polifemo [Thoosa, ninfa che con Poseidone generò il ciclope], non nascondere di bruciare di un grande desiderio, se presso le rupi hai visto nuotare la mia Eco che corre per i monti. Forse ha un agile movimento simile al tuo? O anche lei, la mia Eco, seduta su un delfino della marina Afrodite, naviga senza velo come Teti? Ho paura che l’abbiano turbata le terribili onde del mare, ho paura che una grande corrente l’abbia sommersa. Forse infelice insicura attraversa o mari dopo i monti. Eco un tempo montana apparirà marina. Ma tu lascia il tuo lento Polifemo; se vuoi ti salverò sollevandoti sulle mie spalle, la rumorosa corrente non mi sommerge. Se vorrò giungerò alla volta del cielo con i piedi caprini. A lui che così diceva Galatea rispose gridando con tali parole: ” Caro Pan, solleva dal flutto la tua Eco che non sa nuotare; non chiedermi invano perché oggi qui mi aggiro: Giove pluvio ha trovato per me un’altra navigazione. E lascia che il canto del Ciclope sia dolce. Non desidero più il mare siciliano: infatti ho paura di siffatta pioggia e non mi prendo cura di Polifemo”.
4 Solo l’incipit di ciascuno ne riporta Mario Marti in Dal certo al vero, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1962, p. 273 e seguenti.
5 http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/06/15/gelsi-dellincoronata-mi-piace-ricordarli-cosi-13/
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normamosaa · 7 years
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temple-virgin · 2 years
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temple-virgin · 2 years
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