Tumgik
#chiasso dentro
foreverblondie23 · 2 years
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taerae-verse · 3 months
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basta poco per sentirsi meglio
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a me basti solamente tu
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sono un altro con il chiasso dentro
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se ti vedo non lo sento più
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piccinasblog · 1 month
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~ Faceva così tanto rumore fuori solo per non sentire il chiasso che aveva dentro ~ 🖤
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ricorditempestosi · 1 year
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sono un altro con il chiasso dentro
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E vallo a spiegare agli altri cosa ti manca
Quel vuoto dentro che riempi di silenzi
Più ti mangia e più non parli
Sei luce spenta penseranno
No è che non sei come gli altri
Sei anima rara
Preferisci il silenzio all'inutile chiasso
Preferisci star sola
piuttosto che con chi di te non sa
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canesenzafissadimora · 6 months
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A volte non mi manchi neanche un poco,
nemmeno niente,
e non mi viene da pensare a dove stai,
a che vestiti porti,
a che sorrisi fai, se falsi o spontanei,
se con me dentro almeno un po'
oppure proprio no.
A volte non mi manchi,
e mi fa pure strano accorgermene,
ma mi fa bene non trovarti dappertutto,
in ognuno dei mille cieli che guardo.
Ci sono volte che non penso a te tutto il giorno,
succede raramente,
e mi viene più facile ridere in mezzo alla gente.
E non mi colpiscono i ricordi, come luce forte che d'improvviso ti cade negli occhi e non sai come difenderti e non ci vedi più.
Ci sono giorni che non mi accade di sentire la tua mancanza a letto prima di dormire, con gli occhi un po' chiusi e i desideri che mi fanno da scudo contro le paure.
Giorni che non mi accade di aver paura di sognarti per non svegliarmi col tuo odore tra i capelli
e il tuo sorriso nella testa che fa chiasso tutto il giorno.
Ci sono giorni che nemmeno per un attimo ripenso ai nostri giorni intensi.
E scanso ogni attimo che mi viene naturale ricordare.
E addirittura non mi viene nemmeno per un minuto di venirti a cercare ovunque stai per dirti "Torna, che senza te fa schifo tutto, e io soprattutto."
A volte non mi manchi,
ed è un sollievo, sai,
respiro di nuovo
e mi accorgo di quanto è bello il cielo
che, senza te, non pare altro che un mucchio d'azzurro tutto insieme,
che non serve poi a molto,
che senza di te non è altro che un ingombro, giuro.
Ci sono giorni che tu non mi manchi,
non importa se c'è il sole o se piove,
io in quei giorni non ho come la sensazione di non avere modo di fuggire dalla tua assenza,
che non smette mai di inseguirmi in ogni dove.
E nel frattempo che non mi manchi,
non smetti di mancarmi.
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Marzia Sicignano
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nonamewhiteee · 1 year
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un weekend fuori, i grammi, probabilmente avrei bisogno di una sedazione più costate dai pensieri. i suoni forti che non scelgo io mi infastidiscono, odio il chiasso, soprattutto quando viene da dentro me. la mia vita è piatta come una retta parallela all'asse delle ascisse, lievi ondulazioni sinusoidali non periodiche, scariche di dopamina. adesso ho in mente il video di Royals, io non voglio più metaforicamente lottare, non mi va, è inutile tutto sommato nel mio caso. confusione e disordine.
#me
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pioggiadifarfalle · 1 year
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Sono un altro con il chiasso dentro
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nonlodireanessuno · 1 year
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Credo sia arrivato il momento. L’ho rimandato il più a lungo possibile. Non avevo tempo, era troppo tardi, domattina mi alleno, faccio troppo rumore se piango adesso. Voglio scrivere tutto senza pensarci troppo. Non so se te lo manderò. Ti basti sapere che lo sto scrivendo per te.
Ho tenuto stretto a me questo dolore più che potevo, l’ho trattenuto per tenerti ancora un po’ con me, anche se non ci sei più da quasi due settimane, anche se ogni giorno mi ripeto e mi ripetono che non ne vali la pena, che sei una persona cattiva, sei un narcisista, chi lo sa, uno psicopatico, ho le prove, mi hai tradita. Sono pazza io? Mi hai mentito. Nonostante tutto, ti ho tenuto stretto a me, segretamente, in silenzio, con il pensiero, in un punto profondo di me, dove sei arrivato solo tu, che saresti tornato, che ti avrei lasciato tornare. Non contava il dolore, il mio dolore, ma solo l’amore che avrei provato una volta tra le tue braccia. Non è accaduto. Per fortuna, forse. Lo scoprirò, immagino. Mi sono ritrovata a casa di Filip e ho capito, mi sono ricordata, che l’amore è altro, da te, e forse anche da me. Eppure sento di amarti così forte, e il pensiero di aver sbagliato ancora una volta mi fa tremare e piangere.
È giunto il momento, lo so. Ma c’è una Aurora, dentro me, di 7 anni o poco più, appesa ad una sbarra, di quelle che si vedono nei parchi e nei boschi per allenarsi, con i piedi a penzoloni a 30 centimetri da terra, e con le mani doloranti, che si rifiuta di lasciar andare la presa. L’accarezzerò ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, mi sveglierò la notte e l’accarezzerò. Promesso. Ora però molla la presa, piccola Aur. Ce la puoi fare.
Mi ricorderò della sera in cui siamo usciti per la prima volta. Sei venuto a prendermi in macchina, pensavo avrei avuto paura e che mi sarei fatta prendere dall’ansia, ma la voglia di stare con te ha superato ogni cosa. Mi sono affidata a te, quella sera, la prima volta che abbiamo fatto l’amore, per te non lo era, per me lo è sempre stato. “Hai scritto tu la nostra storia e ti ringrazio perché ti giuro che non immaginavo 1 riga di noi”. Ricorderò tutto ciò che ho scritto.
Ricorderò la tua famiglia, la sentirò ancora, ricorderò la strada per la casa di Cernobbio, il cimitero poco prima, tua nonna, le salite di corsa, spericolate e con la musica techno sparata a mille. Priscilla, Rebecca, tua zia, Kessar. Ricorderò le scale, ricorderò la vista sul lago, il chiasso a cui non ero abituata. È stato bello abituarsi alla vostra chiassosa felicità. Spero ricorderanno tutti i dolci che ho preparato per loro.
Ricorderò Cantù, la tua casa, la tua stanza, Teddy Ted, la nostra cucina. Tutti i piatti che mi hai preparato, hamburger, pasta di ogni tipo, i tuoi gnocchi alle 3 del mattino soltanto perché ne avevo voglia. Ho creduto davvero che mi amassi.
Ricorderò quando facevamo l’amore in silenzio con tuo papà e tuo fratello nell’altra stanza, ti arrabbiavi perché facevo troppo rumore, ma poi mi scopavi più forte. Mi ricorderò tutti i letti, i parcheggi, tutte le volte, le parole, gli sguardi, mi ricorderò tutto quello che sappiamo solo noi. “Come cazzo mi guardi…”.
Ricorderò Marrakech, ricorderò il passato e il futuro che avrei tanto voluto. Ricorderò Bali, New York, Parigi. Parigi. Ti prometto che la prossima volta ti porterò con me.
Ricorderò ogni volta che mi hai spronata a filmare i miei dolci; continuerò a farlo anche per te. Ricorderò le tue pazze idee, il tuo coraggio e la tua perseveranza, ricorderò il mini van, i viaggi, le tracce musicali che hai creato e le live su Twitch insieme.
Ricorderò le lacrime, le tue urla, il parabrezza rotto, l’acqua del lago sulla faccia fino a non vedere più niente. Ricorderò anche questo, lo ricorderò per riuscire ad andare avanti. Ricorderò i tuoi insulti e le tue mani che mi tirano i capelli con un disprezzo che mi rimarrà sempre appiccicato addosso. Ricorderò tutte le volte che ti ho salvato, le notti buie intrecciati dopo aver litigato, ti avvicinavi sempre tu, ma eri tu a farmi del male. Ricorderò i segreti, le cose che non potrò mai dire, e che forse ho detto troppo a chi non potrà mai capire, nel bene e nel male. Ricorderò l’amore, ricorderò il dolore, ricorderò di come hai rovinato tutto ogni volta, compresa questa, definitivamente questa. Mi ricorderò che sei tu che mi hai tradita, derisa, insultata, usata, maltrattata. Ma che sono stata io a decidere di andare via.
Mi ricorderò di te, Davide. Dei tuoi occhi, del tuo sguardo, ricorderò la tua risata quando vorrò buttarmi giù. Mi ricorderò di quando volevi darmi fastidio a tutti i costi ed io, scontrosa, mi sottraevo alla felicità perché era troppo faticoso e spaventoso credere di poterlo essere. E infatti avevo ragione. Ma mi ricorderò, e non mi sottrarrò più alla felicità. Mi ricorderò il tuo nome, le canzoni, la tua forza, intraprendenza, indipendenza. Ne prenderò esempio, ma non troppo. Rimango fragile come sono, come sai. Mi ricorderò delle tue guerre e delle tue battaglie, spererò potrai vincerle tutte. Metto giù le armi, ti lascio andare, o meglio, per una volta vado io. Lascio l’odio ai momenti peggiori, che arriveranno, lo so, e spero saprò affrontarli come sono io: “…bella, profumata, dolce, antipatica, sensibile, passionale, buona, altruista”.
Ti amo, nonostante tutto.
Addio,
Aurora
Che tu abbia la forza di non voltarti più indietro.
#D.
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vivodinotte · 2 years
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ultimamente i miei pensieri non mi lasciano respirare
mi sento annegare nella mia stessa mente
mi sento svanire ogni giorno di più
e non so più come fare ad essere più forte di tutto il chiasso che ho dentro.
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tma-traduzioni · 2 years
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MAG164 - ########-4 - Il Villaggio Malato
[Episodio precedente]
[EXT. Nel mezzo del nord del Regno Unito, da qualche parte]
[CLICK]
[C’è un suono simile ad un abbaiare che si ripete. Il ronzio di una mosca abbastanza alto da dare fastidio. Anche altri insetti. Un chiacchiericcio indistinguibile in sottofondo, dal tono acuto]
[Questo è un dominio della corruzione]
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
C’è una malattia in questo villaggio. Forse non riesci a vederla da lontano, e il leggero odore di putrefazione nella brezza è piuttosto facile da ignorare. Ma avvicinandoti, quella sensazione infettata di sbagliato diventa sempre più difficile da scrollarsi di dosso.
L’erba non è di un verde naturale, gli edifici sono piegati da qualcosa in più oltre al tempo, e le voci che vengono da dietro le maschere degli abitanti sono rauche e umide.
Si muovono con una tranquillità esagerata, una parodia della vita idilliaca in un villaggio. E quando hanno una pausa dalle lacrime, si rassicurano a vicenda di quanto sia meraviglioso il loro villaggio, o per lo meno quanto fosse meraviglioso un tempo.
Ogni persona è ricoperta dalla testa ai piedi di uno spesso tessuto nero, e lor non si toccano mai, in nessuna circostanza.
Fai un respiro profondo.
L’aria sembra densa e simile a zuppa nei tuoi polmoni, sciamante di migliaia di contagi che scavano dentro di te, scongiurandoti di unirti al villaggio:
È così silenzioso qui, e tutti si prendono cura degli altri, lontani dal chiasso e dall’ammasso di carne della città.
Nel centro si erige un palo della festa di maggio, da questo penzolano, inerti, strisce di tessuto colorato e ammuffito come brandelli di pelle stracciata. La base del palo è cinerea e bruciata.
La malattia in sé per sé non è niente di speciale. Inizia con una piccola porzione di pelle scolorita, una macchia piccolissima. Grattala via e non c’è più! Per qualche ora, almeno. Torna ancora e ancora, e inizia a diffondersi, una muffa con tendini che scendono in profondità.
Varia di colore dal giallo rancido al bianco di grasso di cadavere al viola opaco e intenso di un livido fresco. Pizzica, e brucia, e puoi sentirlo crescere e diffondersi dentro di te, cercando il tuo cuore. Almeno finché non si fa strada nelle tue ossa.
Sotto il cappotto di ogni cittadino terrorizzato di questo villaggio malato si aggira una possibilità, un sospetto da incubo della costellazione infetta di muffa affamata. Un atlante tecnico mutante di carne marcia e butterellata.
Ma chi può esserne sicuro? I loro cappotti sono così, così spessi.
Non c’è mai stato un tempo prima della malattia, non importa cosa ti dicono i vecchi bastardi.  È sempre stata nel villaggio, ha sempre prosperato negli angoli bui dove nessuno avrebbe osato controllare. Dove i bravi vicini non si sognerebbero di speculare.
Ma quelli che vivevano lì te la racconterebbero diversa. Da dietro le loro maschere quelle voci amichevoli ti direbbero com’era una volta: pulito, e igienico, e sempre immerso in una luce solare color seppia. Loro sanno nel profondo che questa malattia è venuta da fuori, che sono stati quelli fuori dal villaggio ad avergli fatto questo.
Sono stati loro a portarla qui, si sussurrano l’un l’altro nei pub senza nome, piegati e rigonfi sopra le loro birre chiare e maleodoranti, alzando le loro maschere per bere un sorso, volti arrossati e ghigni spaventati esposti solo per un istante.
Loro non potevano lasciarci in pace. Loro volevano quel che avevamo noi, la nostra perfetta vita tranquilla, e quindi hanno trascinato qui la loro malattia e ci hanno condannati tutti.
I clienti parlano a bassa voce, perché chi può dire con certezza se la faccia dietro una maschera è una faccia buona e onesta del villaggio – o un malato che viene dall’esterno?
E le persone continuano a venire al villaggio, poiché per quanto sia spessa la paranoia, per quanto sia terribile la malattia, ci sono cose peggiori fuori.
Vengono fermati, ovviamente. Picchiati e spogliati e controllati dalla testa ai piedi in cerca di un segno dell’infezione. Il consiglio del villaggio se ne assicura. La maggior parte non è contaminata, anche se questo non li aiuta molto a salvarsi, mentre altri sono già attraversati dai funghi ovunque.
Ad alcuni viene risparmiata la brutalità, e sono trattati con una tale gentilezza cordiale che devi aver pensato gli inquisitori essere loro vecchi amici. Anche se in superficie sembra non esserci alcuna logica in quelle decisioni, se dovessi controllare sotto i loro cappotti, potresti vedere che i punti delle loro muffe sono uguali.
Sono, purtroppo, quelli non contaminati a soffrire di più. È così incomprensibile che qualcuno dall’esterno possa essere pulito che ci potrebbe essere un’altra fonte o vettore, che gli ispettori mettono insieme un’altra teoria. Un’infezione invisibile. Un centinaio di Mary del Tifo che diffondono muffa e putrefazione.
Li tengono nell’ufficio postale, avvolti in una rete da pollaio, punzecchiati e scherniti e osservati. Dovessero iniziare a mostrare segni di putrefazione, allora forse, solo forse, possono rimanere per ora, anche se nessuno metterà in dubbio che sono stati loro a portare la malattia.
Ma se rimangono puliti, se continuano a comportarsi come se fossero migliori, come se fossero al disopra della malattia che di sicuro devono aver portato nel villaggio, allora non può essere tollerato. Allora vengono portati nel parco del villaggio e i segni di bruciatura sul palo della festa di maggio si fanno più scuri.
Gli abitanti del villaggio stanno sul prato a guardare, ignorando come l’erba si piega per cercare di farsi strada nei loro stivali. Guardano i forestieri che urlano mentre il fuoco li purifica, e dentro sentono l’ansia dei loro segreti che li consuma.
Perché da quanto è che sono arrivati nel villaggio? Quanto sono profonde le loro radici? Qualcuno di loro se lo ricorda davvero? E se fossero loro un forestiero? E se venissero scoperti?
No. Paure simili devono essere schiacciate e ingollate; devono rimanere forti; devono rimanere uniti come un solo corpo contro la massa di quelli fuori dal villaggio che li vogliono vedere degradati e distrutti. Non possono permettere che tali paure spezzino la loro unità.
E il palo veglia su tutti.
Non c’è casa nel paese che non si è trovata marchiata dalla croce rossa della pestilenza, ma la vernice è una cosa temporanea e gli abitanti del villaggio sono così disperati di nascondere il loro stato. La notte qui cala ancora, anche se solo per dare a coloro che lo desiderano una possibilità di provare a nascondere le loro negazioni irrequiete.
E mentre arriva l’alba, puoi contare le porte adesso dipinte di bianco e vedere chi è più attento nel coprire la propria pelle spugnosa.
L’inganno è palpabile, eppure sotto sotto ogni abitante sa che la muffa li ha marchiati più a fondo di tutti gli altri, e lo porta come la sua vergogna più profonda.
Quelli che più sono nella negazione sono il consiglio del villaggio, quelle anime rumorose e resistenti che si sono fatte carico di regolare questo posto, di proteggere le loro tradizioni e denunciare l’infezione che è la punizione appropriata e giusta per coloro che permettono che i confini del villaggio vengano violati, e il loro antico stile di vita venga compromesso.
Le loro maschere sono blu e rosse e bianche, e i loro cappotti sono del colore dell’avorio nuovo, macchiati a volte da strisce cremisi a causa dei loro incarichi diligentemente svolti. Nessuno oserebbe accusarli di malattia, e farli arrabbiare o attirare il loro sguardo equivale a invitare la diagnosi più severa.
A capo del consiglio c’è Jillian Smith. Il padre del padre del padre del padre del padre di suo padre ha costruito il palo, intagliandolo da un albero di ebano africano e dipingendolo con i colori del villaggio. Questo luogo è la sua casa e il suo diritto e il suo dovere, e guai a qualsiasi forestiero coperto di funghi che può credere il contrario.
Perché nessuno osa opporsi se Jillian Smith dovesse marcati come infetto o dichiararti un forestiero. Nessuno alzerà un dito mentre ti trascinano verso il prato.
I suoi guanti sono di un bianco candidissimo e mai sporchi, e nascondono una muffa azzurrognola che ricopre ogni centimetro di lei, pelle, muscolo e organo, anche se lei non ha idea che è così in profondità.
Di notte, se ne stà seduta nel buio silenzioso del suo cottage perfetto, tagliando via con un rasoio affilato, strato dopo strato, cercando disperatamente di raggiungere la carne pura che sa essere ancora là dentro, da qualche parte.
Il suo salotto è dello stesso blu soffocante del resto di lei, ogni superficie coperta da mucchi della sua pelle scartata e insanguinata, e non ha paura più profonda dell’idea di poter essere scoperta. Mentre libera strisce spugnose fibra dopo dolorosa fibra, guarda dalla finestra della cassa, uno dei suoi vicini, la signora Kim.
La signora Kim non fa parte del consiglio del villaggio. La signora Kim se ne stà sulle sue. E Jillian Smith è certa che la signora Kim non ha la malattia, e per questo la odia.
Quel che la signora Kim ha, è paura. Paura dei suoi vicini, paura dei suoi amici, paura del momento in cui qualcuno del villaggio annuserà la macchia scura in espansione sulla sua schiena, e deciderà che è infetta, o si ricorderà che si trova nel villaggio solo dai tempi di suo nonno, e la giudicheranno una forestiera.
Dovrebbe accusare un’altra persona? Mandarla al prato del villaggio? Forse potrebbe fare una petizione per unirsi al consiglio del villaggio, anche se attirerebbe altrettanta attenzione.
Anche attraverso le maschere, la signora Kim è cosciente delle occhiate che riceve al pub. Ma cosa può fare?
Quando sente le urla fuori e vede il fumo che esce dal tetto di paglia, sa che è troppo tardi.
La trascinano al palo, le loro maschere nascondono le lacrime di paura e vergogna arrabbiata, e la frustano con quelle strisce di tessuto che non sembrano mai bruciare.
La signora Kim non si oppone, anche se urla e urla e urla mentre tutte le sue paure diventano realtà. Jillian Smith prova a sorridere mentre guarda la usa vicina bruciare, ma i funghi sono troppo fitti accanto alle sue labbra, e la sua faccia non si muove più.
Mentre le fiamme consumano quel che resta della signora Kim con fumo denso ed acre, la muffa raggiunge le ossa di Jillian Smith, e lei sboccia.
In un istante è piena, rigonfia, esplode in una nuvola di spore lilla che avvolgono il prato e coloro che sono lì, avvolgendoli in una putrefazione che si è insinuata da tempo nel terreno di questa landa appestata.
[L’Archivista fa un respiro pesante e poi espira]
ARCHIVISTA
(A bassa voce) Okay. (Inspira profondamente) Fine della registrazione.
[CLICK]
[EXT. Nel mezzo del nord del Regno Unito, da qualche parte dopo il villaggio della corruzione]
[CLICK]
[I suoni della corruzione adesso sono in lontananza, anche se la mosca riesce a distinguersi particolarmente]
ARCHIVISTA
Noi stiamo bene.
MARTIN
L-Lo siamo davvero? Voglio dire, quel posto è - (farfuglia) non, non mi sento bene, okay, e tu sei stato lì molto tempo a fare la tua - (come posso dire?) - la tua guida turistica, che, sai, lo capisco, ma quel posto è -
[Qualche movimento]
MARTIN
È, è infetto, e… non-
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Noi non siamo infetti, Martin; quel posto - (si ferma, espira) non è per noi.
MARTIN
O,Okay - ma come fai a saperlo? -
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Io lo – So. Lo so e basta.
[Silenzio. Qualche movimento]
MARTIN
Sai molto, ultimamente.
ARCHIVISTA
Sì.
MARTIN
Molto più di prima.
ARCHIVISTA
G…Già.
[Per adesso, non possiamo più sentire i suoni del villaggio della corruzione, solo il solito ululato del vento del paesaggio di paure di questo universo]
ARCHIVISTA
E, è una sensazione molto più - intenzionale. Come se ne avessi più controllo adesso.
MARTIN
Okay.
[Un passo.]
MARTIN
Allora - quanto puoi vedere? Cos’altro sai?
ARCHIVISTA
Uhh… (un passo, onestamente sorpreso) Forse tutto.
MARTIN
Cosa intendi con “tutto?.”
ARCHIVISTA
Io non - Fammi una domanda! Una che non posso già sapere.
MARTIN
O-kay… (un passo) Qual’è il mio secondo nome?
[L’Archivista fa “Hm”. Le sue statiche iniziano a crescere]
ARCHIVISTA
(!) N-Non lo hai!
MARTIN
(Impressionato) Whoa.
ARCHIVISTA
Tu – io ti avevo creduto davvero!
[Le statiche iniziano a svanire]
MARTIN
(Sovrapponendosi) Oh – S-Scusa; scusa, è solo, volevo provare -
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) “È ridicolo,” avevo pensato, “Quello non è un nome vero, ma non mi mentirebbe.”
MARTIN
(beccato con le mani nel sacco) Okay – okay, okay, okay. Proviamo – Proviamo con qualcosa un po’ più grande, allora.
ARCHIVISTA
Va bene.
[Un passo.]
MARTIN
Basira è viva?
[L’Archivista inspira bruscamente]
MARTIN
Si trova - i,in uno di questi posti?
[Le statiche si alzano, più veloci di prima]
ARCHIVISTA
È viva. Là fuori, non intrappolata in un, in un, un inferno, ma - in movimento. A caccia.
Sta cercando Daisy. È indietro di qualche passo.
MARTIN
E Daisy?
[Le statiche si fanno più intense]
ARCHIVISTA
…Beastiale. Violenta. Si fa strada nei domini degli altri poteri, seguendo l’odore del sangue -
[Sospira, e ha una nota di - colpa? Rimpianto? Pena?]
ARCHIVISTA
Oh, Daisy, mi dispiace così tanto.
MARTIN
Cosa farà Basira?
ARCHIVISTA
Lei – (Movimento) – pensa che ucciderà Daisy. Come ha promesso. Ma è combattuta.
MARTIN
(Subito) E lo farà?
ARCHIVISTA
Non lo so; i-il futuro, n,n,non è… qualcosa che riesco a vedere.
MARTIN
O-kay, buono a sapersi. Per quanto ancora dobbiamo procedere?
ARCHIVISTA
Un bel pezzo.
[Le statiche ritornano con un tono più alto, la sua voce è più simile a quella da dichiarazione - tono più basso, più distaccata da quel che sta dicendo, come un narratore]
ARCHIVISTA
Attraverso molti luoghi bui e terribili.
MARTIN
(accorgendosi del cambiamento) Questa è – S-Stai bene? Come ti senti?
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Io – Um, sto, sto bene. È solo un po’ - strano? Ma non fa male.
Continua; hai - delle domande, sentiamole.
MARTIN
Oh, oh, okay, um. Come stanno le altre?
ARCHIVISTA
Io, uh. (Pausa) Hm. Io – io non ne sono – certo. Non riesco veramente a vedere Melanie, o, o Georgie.
MARTIN
Sono morte?
ARCHIVISTA
No, no – Io, io non penso; se fossero morte, io - credo che io lo saprei, è solo -(fruscio) non so - dove sono, c,cosa stanno facendo.
MARTIN
Hm.
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Londra, forse?
MARTIN
E Elias?
ARCHIVISTA
(Immediatamente, più cupo) È dentro il Panopticon. La torre, alta sopra il mondo.
MARTIN
(Scherzando) Quella?
ARCHIVISTA
(non capisce la battuta/la ignora) Sì.
[Sospira]
MARTIN
(come se fosse un vecchio amico) Come sta?
ARCHIVISTA
Difficile a dirsi. Il, il modo in cui questo funziona, questa - nuova vista, il sapere è, è… (sospira) in qualche modo distorto nel Panopticon? (sospira) Un occhio non può - vedere dentro sé stesso.
[Martin fa Hms.]
ARCHIVISTA
Ma posso sentirlo là dentro.
MARTIN
Hm. Sembra… disgustoso.
ARCHIVISTA
Lo è.
[Ridono entrambi]
MARTIN
Siamo al sicuro, viaggiando così?
ARCHIVISTA
Sì. (una breve pausa) Sì, più o meno, noi - (espira) non so come dirlo, siamo qualcosa a metà tra un pellegrino e una falena. Quindi possiamo camminare attraverso questi piccoli mondi di terrore, osservandoli. Separati, e intoccabili.
MARTIN
Non è rassicurante quanto potresti pensare.
[Fa una mezza risata mentre lo dice. L’Archivista ride anche lui con le sue parole seguenti]
ARCHIVISTA
Lo preferisco all’alternativa.
MARTIN
Giusta osservazione! (una piccola risata) Okay, okay, uh – cos’altro, cos’altro, um… Oh! Um, uh, chi era– um, uh – telefono! Chi mi stava chiamando?
[Le statiche dell'Archivista tornano notevolmente]
ARCHIVISTA
(Inspira) …Io credo fosse Annabelle Cane.
MARTIN
Hm.
ARCHIVISTA
È- strano; so -so che La Ragnatela era avvolta attorno a quel telefono, ma, non riesco a - vederla. P,per niente. Per lo meno con Georgie e Melanie ho una vaga impressione che siano ancora vive, a-a Londra, e o- beh, quella che era Londra.
Ma Annabelle? Niente.
MARTIN
Hm. B,Beh, lo… lo chiederò a lei, la prossima volta che chiama.
ARCHIVISTA
(Divertito) Beh, so che quella è una pessima idea.
MARTIN
(Sovrapponendosi, con affetto, divertito) Cosa, davvero?
ARCHIVISTA
…Okay, no; quella era una cosa che ho tirato a indovinare - ma molto sensata.
MARTIN
Ha!
ARCHIVISTA
(Inspira) Nient’altro? Sarò, sarò onesto, sto iniziando a sentirmi un po’ - a disagio di essere un Google post apocalittico?
MARTIN
Okay, okay, solo un’altra, ma - è una bella grande.
ARCHIVISTA
(quasi sussurrando) Okay.
[Movimenti, forse una pagina viene girata]
MARTIN
Possiamo riportare il mondo a come era?
[Le statiche decollano.]
ARCHIVISTA
Whoa. Um. S-Se le paure sono rimosse, s,sì, ma non p-possono essere distrutte mentre ci sono ancora persone che ne hanno paura, p-poi non possono essere rinchiuse di nuovo nello spazio da cui sono venute; non, non esiste più, io, – Oh, uh –
MARTIN
J,J,Jo,J,Jon, cos’è che non va?!
ARCHIVISTA
Uh,è-è, uh – scusa – cercare di sapere qualcosa su di loro direttamente è,è,è, come – (Espira) Dio, è come fissare il sole.
MARTIN
Okay, okay, okay. Ve bene, va bene così. Possiamo lasciar stare.
[L’Archivista espira mentre parla]
ARCHIVISTA
Bene. (Inspira) Ow.
[Sospira.]
MARTIN
Hey. (Ridacchia) Hey, va bene, va bene. Andremo piano per un po’.
ARCHIVISTA
Okay.
MARTIN
Sì. Sì, non c’è fretta,
[Pausa mentre l’Archivista sospira]
MARTIN
Oh, tra l’altro – che mi dici di Helen, dov’è in questi giorni?
[Tornano le statiche]
ARCHIVISTA
Uh – Lei è –
[Fa una risata asciutta]
ARCHIVISTA
Ma certo. Ovviamente.
[Sospira]
MARTIN
Che cosa sta facendo?
ARCHIVISTA
Martin, girari.
[Si gira]
MARTIN
(e che cazzo) Oh, stai scherzando.
ARCHIVISTA
Magari!
MARTIN
(Sospira) Allora facciamo… um…
ARCHIVISTA
Vuoi fare tu gli onori?
MARTIN
(grimace) A dire il vero no!
[Uno di loro bussa, un toc-toc-toc leggero]
MARTIN
Forse – non c’è nessuno? -
HELEN
(Sovrapponendosi) Ciao, Jon!
[Possiamo sentire i passi quando lei esce, non sono sul ghiaino come quelli di Martin e dell’Archivista; invece sembrano sul legno o su delle mattonelle]
ARCHIVISTA
(Sospirando) Come ci hai trovato?
HELEN
Oh! Pensavo sapessi tutto a questo punto.
ARCHIVISTA
Sì suppongo sia così.
[C’è senza dubbio un tocco di divertimento nella sua voce. Helen ride, in quel suo tipico modo disorientante. L'Archivista si fa sfuggire un ‘hm’ leggero]
MARTIN
(sono ancora qui!) E io no! Dunque, ti spiacerebbe illuminarmi?
ARCHIVISTA
Oh – sì, scusa, um - La Distorsione può sempre ritrovare qualcuno che ha -varcato la sua soglia.
HELEN
E questo include te, Martin! Ricordi? E per favore - mi chiamo Helen.
ARCHIVISTA
Come hai detto te, adesso io posso sapere tutto, incluso quanto quella è una bugia.
HELEN
Non confondere le cose complicate con le falsità, caro Archivista. E ricorda, che il sapere non equivale al comprendere!
ARCHIVISTA
Cosa vuoi?
HELEN
Fare un salutino! E passare a trovare la coppia felice.
[Ride di nuovo]
HELEN
Ho sempre saputo che voi mattacchioni sareste riusciti a farla funzionare.
[L’Archivista sospira mentre lei parla]
MARTIN
Grazie.
ARCHIVISTA
Martin. (a Helen) Guarda, non mi interessa il tuo - gongolare.
HELEN
(Il ritratto dell’innocenza) Di che cosa dovrei gongolare io? Per quanto mi piaccia questo nuovo mondo in cui ci ritroviamo, non posso prenderne il merito. È stato tutto - tuo!
ARCHIVISTA
(Immediatamente) Avresti potuto - (Inspira , si controlla) Sapevi cosa stava succedendo.
HELEN
Lo sospettavo. Ma tutto quello che io ho fatto è stato rifiutarmi di aiutare! E questa è a malapena una qualità unica.
[Un altro sospiro dall’Archivista alle sue parole]
HELEN
Se questo fa sì che la colpa sia mia, allora di certo è anche colpa di Georgie, e di Melanie –
ARCHIVISTA
Lasciale fuori da questa storia, non lo sapevano!
HELEN
Rieccola di novo! La conoscenza! È così importante per te, non è vero? Queste pepite fossilizzate di comprensione immaginaria, che appesantiscono, che ti impediscono di pensare o di provare emozioni! E che dici delle ipotesi? Se l’avessero saputo, cosa avrebbero fatto?
È una cosa che puoi vedere?
ARCHIVISTA
Che. Cosa. Vuoi!
HELEN
Essere di nuovo amici! Noi tre.
[Un altro sospiro]
HELEN
Guarda questo posto, guarda questo - (inspira profondamente) Paese delle Meraviglie.
Questo è il mondo, adesso, e noi siamo forti e liberi! Davvero non c’è motivo per cui non dovremmo ritrovarci.
[Una pausa, silenzio se non per l’eco vuota di Helen e le statiche]
HELEN
(A Martin) (espira) Cielo, è proprio di cattivo umore. È stato così per tutto il tempo?
MARTIN
Non per – tutto il tempo.
HELEN
Grazie al cielo.
ARCHIVISTA
Martin…
MARTIN
C’è da dire, che ne ha passate tante.
HELEN
(Con empatia) Oh, ne sono certa.
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Martin… ti prego.
MARTIN
Scusa, è solo - forse lei può aiutare!
ARCHIVISTA
Con cosa.
MARTIN
Con la nostra - Con la nostra, con la nostra missione!
[L’Archivista sospira]
MARTIN
Camminiamo da un po’, e beh, la sua porta - forse potremmo, sai - prendere una scorciatoia!
ARCHIVISTA
No. No, non credo sia una buona idea.
HELEN
Io lo porterei volentieri. Ma non credo che vorrebbe lasciarti.
MARTIN
Okay, u,uno – (hm) non parlare di me come se non ci fossi; è - scortese. Due, so che puoi portare due persone per volta. Io e Tim siamo stati nei corridoi insieme quando -
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Martin, non è così se-semplice.
HELEN
Temo che l’Archivista sia troppo potente adesso.
[sospira attraverso i denti]
HELEN
Se provasse a viaggiare attraverso i miei corridoi non finirebbe bene, per nessuno di noi.
ARCHIVISTA
Ma più di tutti per te.
HELEN
(gradevolmente sorpresa) Ooo! È una minaccia?
ARCHIVISTA
No.
HELEN
Mm, peccato!
MARTIN
Allora, niente scorciatoie. (sospira) Capito. (A Jon) Non ti lascio da solo.
HELEN
Oh! Quanta devozione. (a Jon) Non te la meriti proprio. Ma ovviamente - tu lo sai già!
[Ride]
HELEN
Oh, che bello! Sono davvero felice che adesso possiamo passare un po’ di tempo insieme come si deve, di qualità adesso.
MARTIN
…Già.
HELEN
In ogni caso. Scusate se vi amo e vi abbandono, ma devo scappare. È un momento pieno di impegni per me, molte cose da fare, persone da -beh. Lo sai!
ARCHIVISTA
Non ne dubito.
[Breve pausa.]
MARTIN
…Cosa?
HELEN
Mi sto solo prendendo un momento per guardare. Voi due siete una coppia così adorabile -
ARCHIVISTA
Basta.
[Helen apre la sua porta]
HELEN
A presto!
[Sentiamo i suoi passi mentre torna nei suoi corridoi. La porta si chiude di colpo dietro di lei. L’Archivista sospira di nuovo]
MARTIN
(quasi cantilenante) Forse ha ragione lei!
ARCHIVISTA
Io non sono, né sono mai stato, ‘adorabile.’
MARTIN
(pfft) Okay, non è vero. Ma a dire il vero intendevo la faccenda - dell’essere amici? Cioè, non vedo perché -
ARCHIVISTA
Martin, lei è – un mostro crudele e spietato!
MARTIN
Sì. Sì, lo è. Ma chi altro c’è?
[Un ultimo sospiro dall’Archivista]
[CLICK]
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio Successivo]
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I suoi genitori si girano verso di lei,sua madre abbassa l’indice e fa un enorme sorriso dicendo:«Auguri, amore!»,suo padre invece le va incontro,la stringe in un abbraccio e le dice:«Dieci anni…quindi dobbiamo ballare!».
Tutti e tre iniziano a ridere mentre Asia,imbarazzata,chiede:«Senza musica?».«Come sempre,Asia,senza musica»risponde suo padre sorridendo.Allora si stringe forte a lui,nasconde la faccia nel suo petto e dice:«Però un lento…».
Si abbandona mentre l’imbarazzo la fa arrossire,e più arrossisce,più nasconde il viso,e più nasconde il viso,più si abbandona dentro al suo profumo,sentendosi accolta.
Padre e figlia si muovono al centro della stanza,improvvisando ogni tanto una giravolta.Oscillano piano e ridono,facendo chiasso nel silenzio.
📚🦋
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lonelygirl-97 · 2 years
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Ma che cazzo ne sai di come passo queste cazzo di giornate, forse nessuno lo sa.. non ci perdo nemmeno il tempo per raccontartelo tanto non ti cambierebbe nulla..spesso mi fermo a guardare il vuoto e mi ci perdo per avere un po’ di pace da tutto questo chiasso che mi porto dentro.
Fanculo.
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chiamamiely · 2 months
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E voi, ve li ricordate i vostri primi baci ? :)
"Una sera andarono alle giostre, un po’ perché era un posto nuovo, un po’ perché l’idea di tornare bambini essendolo appena stati li solleticava tutti. C’era confusione, quasi ressa, e il gruppo si sfaldò in fretta. Lui avrebbe voluto andare al tirassegno con gli altri maschi ma quella piccola mano nella sua era come un guinzaglio, e anche se veniva stretta senza stringere lo tirava indietro suo malgrado; si voltò verso di lei quasi esasperato ma non aveva niente da rimproverarle, e lei, leggendogli nella testa, lasciò scivolare la mano fuori dalla sua. Rimasero lì a guardarsi, fianco a fianco, solo le teste voltate l’una verso l’altra, lei un po’ di sotto in su perché lui era più alto, in una strana posa innaturale, urtati dalla folla gonfia di risate, nell’aroma acuto del caramello che sembrava addensare l’aria, tanto che a lei si mozzò il respiro, paura, paura: e se va via e mi lascia qui da sola? Che non era, ovvio, l’idea di essere abbandonata, il paese era a cinquecento metri lungo la strada tutta diritta, ma il timore che alla fine quel chiasso stroboscopico, senza il buio o la luce abbacinante della spiaggia, tutto potesse cambiare in un attimo, e lui tornare un ragazzo qualunque, come tutti gli altri, senza più niente che lo facesse unico. E invece la stupì, perché le posò le mani sulle spalle, la fece voltare verso di sé e le depose sulle labbra un bacio lieve come un sospiro: sono qui, ci sono, ci siamo. Per una volta le parole erano proprio fuori discussione, tale era il fragore di sottofondo, il pulsare della musica facile e brutta, lo stridio delle navicelle spaziali, i tonfi e gli schiocchi di oggetti colpiti a morte. Più semplice, così. E lei si sentì invadere da qualcosa di leggero, leggerissimo, come se le si gonfiasse nel petto un palloncino: quante volte l’avrebbe riconosciuta dopo, nel suo futuro, la confusione che si fa così spesso tra sentimento e sollievo. Ma allora era soltanto l’aria dentro il palloncino che lei soffiò tutta fuori ricambiando il bacio, e rimasero lì a farsi spintonare da una marea invidiosa che non poteva far altro che aprirsi in due e aggirarli. Lui dimenticò all’istante il fucile ad aria compressa e lo stupido coniglio rosa che avrebbe anche potuto vincere per lei e regalarle, e lei non avrebbe saputo che farsene, l’avrebbe fissato con un misto di compiacimento e orrore, e una volta a casa, in città, l’avrebbe regalato alla bimba dei vicini. Avevano evitato almeno per una sera la palude della banalità, e lo sentivano; così fecero un lungo giro per il luna park, il braccio di lui attorno alle spalle di lei per reggerla e difenderla e tenerla vicina, a guardare le luci negli occhi degli altri, il divertimento degli altri. Loro non si potevano accontentare di divertirsi; toccava essere felici."
Beatrice Masini, Amore, in Parole fuori
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gloss-shit · 2 months
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Penso che il mio scrivere abbia un qualcosa di estremamente narcisistico.
L'essere consapevole della propria capacità di creare, di dare origine tramite semplici lettere accuratamente combinate a un qualcosa di piacevole, armonioso, complesso e unico.
Il pensare di essere diverso da chiunque altro perché nessun altro avrebbe scritto esattamente quello che hai scritto tu, scrivendo le stesse parole nello stesso ordine volendo esprimere la stessa cosa.
La sensazione di non essere semplicemente un futile archivio di nozioni e buonsenso, la certezza - seppur alquanto flebile - di saper effettivamente fare qualcosa meglio degli altri e di avere effettivamente qualcosa da condividere.
Riuscire a convincermi che il motivo di tanto chiasso è il fatto che ho effettivamente qualcosa da dire.
E rileggere è nutrimento per l'ego, mi fa sentire piena, soddisfatta, realizzata.
Lasciare le storie a metà, d'altra parte, mi fa sentire tremendamente vuota e spezzata. Come se vivessi in prima persona il dolore di quei personaggi senza capo né coda, senza un destino, senza un finale, bloccati in eterno in quel momento in cui la mia mente si è dimostrata troppo pigra e la mia determinazione troppo sottile per non cedere alla noia.
Trovo poi sconcertante notare che mi riesce scrivere solo dei miei sentimenti. È già qualcosa avere qualcosa dentro, mi dico, non essere vuota e piatta come tanti miei coetanei, avere qualcosa di intimo, non dettato da influenze esterne.
Ma a chi altro potrebbe mai interessare?
Chi altro potrebbe trovare conforto o intrattenimento in queste parole, se non una me più vecchia di qualche giorno, mese o anno che sia?
Le autobiografie sono così boriose, presuntuose.
Le storie, d'altra parte...
Essere in grado di originare nella propria mentre luoghi, spazi e persone, orchestrare eventi e intrecci come un coreografo guida i propri ballerini in complicati ma accurati passi di danza, arrivare fino in fondo, dimostrarsi capace di chiudere il cerchio e finire ciò che si è iniziato.
Deve essere straordinariamente appagante.
Suppongo sia già un inizio il fatto che sto scrivendo.
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sohtaq · 3 months
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alzo il volume a palla così non sento il chiasso dentro
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