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#citazioni solore
nochkoroleva · 14 days
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Conoscevo una ragazza dagli occhi così scuri da farti temere il buio, e così, profondamente, vuoti, da darti l'impressione di precipitarci dentro senza mai toccare la fine.
Conoscevo una ragazza che non parlava mai ma pensava sempre troppo, tanto da rimanere sveglia la notte e restare intrappolata nei meandri della sua mente di giorno.
Conoscevo una ragazza che non aveva quel genere di profumo da lasciare la scia e farti voltare per strada, per seguirla con gli occhi. No, aveva quel genere di profumo che ti faceva pensare "casa", che cerchi nei momenti in cui ti perdi per ricordarti che hai un rifugio sicuro, nonostante tutto.
E quando, ancora oggi, lo sento nell'aria, mi volto indietro, con le lacrime agli occhi, e il cuore che accelera, e le gambe che iniziano a tremarmi, e l'ansia che ammonta nel mio animo, nonostante sappia che non potrà mai essere lei.
La conobbi una mattina d'autunno, alle prime luci dell'alba.
Il cielo era di quell'azzurro sfumato di rosa e screziato di arancio che ti fa pensare che nulla potrebbe andare storto e che tutto sia destinato a sistemarsi.
Sedeva in una panchina, in silenzio, con gli occhi persi sul freddo cemento gelato della strada, e il cuore seppellito sotto a una felpa così grande che poteva starci tre volte.
I suoi capelli erano scuri come la terra bagnata in aprile, pronta a germogliare.
Non sapevo da dove veniva, ne dove andava.
Avrei voluto parlarle e conoscere il suono della sua voce, ma quando mi sistemai di fianco a lei, non si mosse.
Prendemmo il tram assieme, poi, quando scendemmo io mi diressi a scuola, lei verso la stazione ferroviaria.
Non sapevo se l'avrei rivista o meno.
Volli davvero seguirla, ma cosa le avrei detto? Come mi sarei comportato? Ero pure in ritardo.
Proseguii per la mia strada.
Il giorno dopo lei era ancora alla mia solita fermata, come il successivo e quello dopo ancora e ancora.
I giorni passavano e io, lentamente, provai a instaurare un qualche contatto con lei.
Le sorridevo, salutandola.
Lei mi guardava, con quelle occhiaie livide sempre più marcate e le sue guance sempre più infossate.
Una volta le chiesi il suo nome ma lei non mi rispose. Doveva essere più timida di me.
Il giorno dopo.
Continuò a non rispondermi, a stringere fra le dita le maniche della sua solita felpa.
Ogni mattino i suoi occhi mi sembravano sempre più rossi.
Ogni mattino, le sue ginocchia mi sembravano più pronunciate e il suo incarnato più chiaro.
Ogni mattino, continuavo a salutarla.
Lei mi ignorava sempre.
Ma un giorno al posto di andare a scuola la seguii in stazione.
Il passo era deciso, il capo piegato come se si fosse rassegnata a qualcosa.
Si chiuse in bagno per un paio di minuti, e quando uscì andai da lei.
Volevo davvero parlarle questa volta. Sapevo cosa dovevo dirle.
Quando mi vide, si voltò dall'altra parte.
L'afferrai per un polso, chiedendole di aspettare, ma mollai la presa immediatamente perché, fra i suoi denti, lasciò sfuggire una lamentela di dolore.
Solo allora mi resi conto che dalla manica della sua felpa stavano scendendo rivoli di sangue.
Spaventato le presi la sua mano fra le mie e mi sorpresi a vedere il suo polso tracciato di tagli.
Avrei voluto baciarli fino a farli scomparire.
Si ritrasse di scatto, guardandomi come se l'avessi appena vista completamente nuda.
Ed, in effetti, era così.
«Vattene» mi sputò quelle parole addosso, ma non seppi fare un passo.
«No, aspetta ti prego. Voglio solo parlare con te»
Il suo volto fu attraversato da un'emozione che non seppi identificare.
«Che vuoi?» mi ruggì contro.
Estrasse dalla sua solita borsa una salvietta e iniziò ad asciugarsi il polso.
«Voglio aiutarti. » le confessai, il cuore che minacciava di esplodermi in petto.
«Ma se nemmeno mi conosci!» mi rispose, ma con meno rabbia di prima.
«Non me ne dai la possibilità! È da quando t'ho visto per la prima volta che mi eviti e mi ignori, che fingi che non esista. Non ti ho mai fatto nulla, ma già mi scacci. Non mi permetti nemmeno di salutarti.
Non immagini quanto desideri conoscerti. Quanto desideri parlare con te, davvero. »
Nei suoi occhi brillò per una fazione di secondo una luce, che poi si spense e lasciò il posto ad una tristezza così pesante, così angosciosa, che ebbi paura e mi sentii improvvisamente soffocare.
«Vuoi parlare? Vuoi conoscermi? Va bene. Va benissimo.»
Si mise un grande cerotto sul polso.
I suoi occhi mi trafissero «Conosco le persone come te. Quelle che fingono davvero di essere interessate al mio umore, che vogliono sapere le mie giornate o le mete dei treni che prendo.
Conosco quelle persone che come te sembra vogliano davvero conoscermi. Ma é una menzogna. É una bugia. È una grandissima presa per il culo! Perché vedi, io sono solo problemi e caos, sono oceani di lacrime e dolore represso per così tanto tempo da essere stata divorata. Sono la costante delusione che rovina ogni aspettativa. Sono quella che prende sempre le decisioni sbagliate e non porta mai a termine niente. » la sua voce si incrinò tanto da dare l'impressione di spezzarsi da un momento all'altro.
«Io porto solo problemi, e lo so, nessuno vuole problemi.
Tu sei come uno dei tanti; puoi volermi come primo o uno dei tanti baci, puoi volermi solo da portare a letto, puoi volermi per il gusto di avere una ragazza o peggio per non stare solo o per far invidia alla tua ex. Puoi volermi per mille motivi. Ma non per il mio carattere, o per i miei gusti, o per la mia visione del mondo. Nessuno vuole qualcuno come me. Qualcuno che si sveglia ininterrottamente di notte per gli incubi, qualcuno che si taglia così spesso da non voler essere nemmeno sfiorata per la paura di far male anche a chi le sta intorno. »
I suoi occhi erano lucidi. Io non sapevo cosa dire.
«ti lamenti del perché ti ho evitato? Bene, in verità é anche perché sono stanca.
Sono così stanca di soffrire, così stanca di perdere sempre tutti, così stanca di affezionarmi sempre alle persone sbagliate, così stanca di essere sola e usata, così stanca di non essere capita, così stanca di darmi la colpa di ogni cosa. Basta, basta credere nel meglio, nel lieto fine.
Basta.
Non ci credo più. »
Le mie labbra tremavano. Tutto intorno a noi pareva essere sparito.
«Io volevo parlarti per conoscere il tono della tua voce» dissi con un sibilo «e magari anche quello della tua risata.
E tuttora lo voglio.
Vorrei parlare così tanto con te fino a non avere più fiato. Vorrei scoprire il sorriso che ti si disegna in volto per causa mia. Vorrei stringerti per mano e prendermi cura di te ogni volta che ti farai del male. Vorrei sostenerti ogni volta che avrai voglia di crollare. Vorrei abbracciarti ogni volta che avrai freddo. Vorrei imparare a memoria il modo in cui le tue labbra si piegano per pronunciare il mio nome. Vorrei farti ascoltare tutta la mia playlist e poi memorizzare ogni canzone che ascolti te per cantarle insieme.
Vorrei portarti a vedere il mare e scattarti così tante foto da imprimerti nella macchina fotografica e fartele vedere così tante volte da convincere anche te di quanto sei bella.
Vorrei regalarti così tanti ricordi da farti sentire meno sola la notte.
Vorrei darti una speranza che puoi ancora essere felice.
E se ancora sei convinta che io sia come tutti gli altri, allora ti darò mille motivi per farti cambiare idea.
Ma ti prego, dammene la possibilità. »
Le presi il polso appena medicato ed estrassi una penna dalla tasca del mio giubbotto.
Le scrissi sul cerotto, delicatamente.
Il suo sguardo era fisso su di me. «Allora... in questo caso...»
Una lacrima le solcò una guancia. E poi un'altra. E un'altra.
«... io non ti merito...»
Ritirò il polso veloce.
«Io non ti merito. » gridò fra i singhiozzi «Io non merito nessuno» continuò mentre corse veloce verso il treno.
Ma quel treno non doveva fermarsi.... «NO»
«Non ti merito. Non merito di essere amata. Nessuno mai potrà amarmi.»
E quando si lasciò cadere, con la folla che accortasi cercò di fermarla in vano, il treno la travolse.
Non lesse mai che sul suo polso, io, su quel cerotto, le avevo appena scritto "TI AMO".
Conoscevo una ragazza, ma non la seppi salvare.
-Alessia Alpi, scritta da me (Volevoimparareavolare on Tumblr)
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