Tumgik
#da dove escono tutti sti italiani
lavi394 · 6 months
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Comunque grazie a Santocielo sto scoprendo un sacco di fan di Good Omens italiani, adoro
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pogoselvaggioblog · 3 years
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IDLES - Joy as an Act of Resistance (partisan, 2018)
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Bacchette che scandiscono il tempo come un rasoio, basso pulsante come una vena: questa è COLOSSUS degli IDLES. Pezzo catartico e potentissimo nel suo noise-punk quasi alla Nick Cave, mi fece conoscere il gruppo di Bristol. Capitanati dal carismatico Joe Talbot (classe '84, e per questo mio coetaneo) mi fecero appassionare per tutta la "non"-scena "shred" con gruppi come Viagra Boys, Amyl & the Sniffers e i sempre giovanissimi the Chats. Ma sto già divagando. Appunto COLOSSUS, pezzo manifesto di una generazione fottuta da se stessa, che non si è presa mai sul serio e che è stata, nel suo anonimato, derisa da quella precedente e sorpassata da quella dopo. Insomma la mia generazione!
Fottuti proprio come i primi IDLES, che suonavano uno scialbo postpunk che nel 2011 era già un suono paleolitico. Con l'esplosione nugaze e chillwave non se li cagò nessuno. Sembravano dei Metronomy di serie-b troppo fighetti. Anche se in realtà i nostri venivano da realtà complesse, soprattutto il frontman: Talbot gallese di nascita andò a studiare nella lontana Bristol, anche se dovette assistere per anni alla madre paralitica, vivendo una vita a metà per aiutarla nelle sue necessità. Infatti già nel primo EP "Welcome" dell'anno successivo, si faceva largo qualche sentore noise e meno patinato e più rude. Gli anni passavano e i sogni di belle speranze di un ventenne, diventano la disillusione nichilista ma sempre attenta a rimanere avvinghiato al solidale di un trentenne quasi quarantenne che con la sua band non era riuscito ad affermarsi. Nel 2015 la madre di Talbot muore e molte cose cambiano nei pensieri dei nostri. Gli IDLES si faranno portatori di un messaggio semplice quanto banale, ma fortissimo: "La vita è una merda, vogliamoci bene". Così nel 2017 esce BRUTALISM, album scarno, frenetico e sincopato dove il punk abbandona il post per abbracciare un OI! stradaiolo e reale; la voce di Talbot si fa roca come un cocainomane e parla della sua vita, la morte della madre, il padre assente e la politica di strada della gente di tutti i giorni che si sveglia presto per lavorare. Le chitarre sono trame di noise dove il basso cavernoso di Devonshire si staglia. L'attitudine ricorda l'hardcore punk duro di gruppi come Black Flag e i primi Husker Du. Album che anche se in Italia è completamente snobbato, nei paesi anglosassoni fa il botto, riportando un pizzico d'interesse a quel cadavere pieno di rimandi che si chiama ROCK.
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Insomma gli IDLES riportano un certo suono più profondo, che non guarda all'hype, alla centralità della musica alternativa. E nel 2018 escono con quello che per me è il loro capolavoro: Joy as an Act of Resistance. Album che va al numero 1 in UK cazzo! Come a testimoniare che la musica distorta può ancora dire la sua. Tutto inizia con con la già citata "COLOSSUS", che fra mantra paranoici e complessi d'inferiorità verso la figura paterna (appunto il Colosso) poi manda tutto AFFANCULO con la seconda parte punk'n'roll dove, fra citazioni al wrestling e agli stooges, si arriva al secondo pezzo "NEVER FIGHT A MAN WITH A PERM"; pezzone tiratissimo che mi ricorda dei Wire che limonano con i Dead Kennedys e che sa di periferia e piscio. Quei posti dove ti ritrovi a comprare droga e si avverte quella tensione da film di De Palma. "I'M SCUM" è il classicismo di un pub rock mai datato che negli anni post covid è come un inno a chi è rimasto fregato perchè non ha avuto il pelo nello stomaco e il coraggio a diventare un mediocre influencer che pubblicizza lo svapo del momento. "DANNY NEDELKO" dedicata all'amico degli IDLES nonchè cantante degli Heavy Lungs, è un anthem a tutte le persone che trovano la loro casa in una terra che non è la loro ma che lo diventa; sì avete capito bene, una rock band che parla di immigrazione senza retorica, con cori da OI punk! Forse i gruppi neopsichedelici che si fanno le seghe mentali e parlano di fantascienza fra riff ripetitivi vi garbano di più; ma gli IDLES riprendono un discorso rimasto fermo ai gruppi postcore come i FUGAZI. Forse peccano in originalità sonora, ma riescono a rielaborare il tutto in un suono granitico e che nella sua noncomplessità acchiappa l'ascoltatore come facevano i milioni di gruppi punk che sono morti con Spotify. Così "LOVE SONG" sembrano dei Buzzcok primitivi. L'agghiacciante "JUNE" che parla della morte della figlia di Talbot ancor prima di nascere, rende perplessi per come la vita ti investa come un TIR e del senso d'impotenza che genera. Si può essere personali senza essere retorici, e il rock ci ha regalato perle che forse negli ultimi anni non vedevamo più: fra ricerche di hype, social media manager e suoni patinati; JUNE arriva come un pugno in uno stomaco.
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La seconda parte dell'album mostra un suono più complesso, e inaugurato da "SAMARITANS" dove la batteria diventa sempre più articolata per liberare la stratificazioni di chitarre noise che però non dimenticano la classicità dei riff, come dei PIXIES cresciuti da degli hooligans. Gli echi post-punk rimangono come in "TELEVISION", ma ricordano più l'artpunk dei primissimi Ultravox al vetriolo che dei Joy Division. Insomma gli IDLES sono più vicini alla gente che lavora e di borghesia non ne vogliono sapere come in "GREAT". Sicuramente s'imborghesiranno come gli U2, ma per adesso (anche l'ultimo album Ultra Mono) sono dei cazzo di workingclassheroes. E allora mi chiedo come mai in italia abbiamo tutti sti gruppetti insulsi chiamati "indie" e gli inglesi possono ancora pogare fra fiumi di birra scadente con pezzi come "GLAM ROCK"? Mi chiedo in cosa abbiamo sbagliato? Perchè gli ascoltatori "alternativi" italiani hanno abbandonato l'iconoclastia, la militanza e la sincerità di una semplice canzone con basso pulsante, batteria che pesta, chitarre distorte e voce da ubriacone? Per cosa poi? La cover che non ti aspetti di Solomon Burke con "CRY TO ME" sa di post serata alcolica e karaoke in una betola a cantare disperati perchè si ha una vita di merda. E si arriva alla granitica "ROTTWEILER" dove il testo ripetitivo e paranoico rende l'idea dello stato di eterna tensione che viviamo in un mondo sempre più lontano e dove anche se tutto è sempre più possibile, rimaniamo sempre intossicati da una rabbia repressa che ci fa trasformare in leoni da tastiera o boomer del cazzo che giudicano l'ennesimo hypster per sfogarsi e sentirsi meglio.
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Alla fine mi rimane un gusto fortissimo di birra e la voglia di andare subito a Bristol a pogare in qualche pub striminzito. Forse gli IDLES non saranno un gruppo che rimarrà nelle fodamenta del ROCK; ma in questo mondo diluito dove il covid ci ha portato via pure la normalità di una serata tranquilla dove ascoltare punk rock senza pretese nei locali più squallidi, mentre miliardi di streaming affossavano la musica indipendente; sapere che c'è una band rumorosa e forse un po' paracula, che scala tutte le classifiche (almeno anglosassoni) mi da un po' di speranza sulla possibilità che, un mondo semplice fatto di alcolici offerti, semplicita, antiposerismo e un po' di sana e ruvida vita di strada e fatica lavorativa, possano tornare nella narrativa di quella musica alternativa che ormai si guarda allo specchio narcisisticamente per il suo passato glorioso e ormai borghese.
by Joe Panic
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