Tumgik
#delusione perenne
my-liminalspace · 7 months
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Un eterno conflitto tra mente e cuore.. ✨️
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catastrofeanotherme · 2 years
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Sta fuori casa, seduta su un muretto in cerca di risposte a certe domande che ormai fanno terribilmente paura. Guarda la gente passare, certo che deve avere sempre una storia da raccontare. Si accende una sigaretta ed il primo tiro le fa già male dentro. Lei si prende tutto il cielo una volta che lo sguardo va in sú, in modo tale da avere la giusta guida per tutto il tempo senza essere tradita. E allora si concede ancora una volta il silenzio interiore, si concede il pensiero che si possa guardare le persone per poi poter perderle. Pensa alla delusione che ha e che ancora non passa, nel momento esatto in cui chi la desidera veramente senza tante parole, poi lo fa. E non esistono i "se" ed i "ma": non vuole più sentir alcuna giustificazione perché tanto il suo sesto senso non sbaglia mai. Si tratta di non fare quello che non si vuole ricevere, ma tanto lei lo sa: le persone che più ama sono quelle che la deludono fortemente. E si sa, i dispiaceri uccidono.
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hurricane--girl · 8 months
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Qualcuno sa che significa provare un senso di vuoto, tristezza e che non vorresti più uscire con nessuno?
Come si scacciano certi pensieri dalla testa?
Come si fa a diminuire l'ansia? L'ansia ti prendere anche per le scelte più stupide o ti immobilizza davanti ad attività facendoti credere che non sei in grado a farle.
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girulicchio · 6 months
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Tutto questo è troppo
Sia chiaro a tutti: dire soltanto "assolutamente", senza aggiungere un sì o un no dopo, non vuol dire nulla. È la peggiore scorrettezza che si possa fare ai propri interlocutori, proprio da gaslighter - si dice così oggi, no?
Quindi, taglio corto e punterò su altro, piuttosto che sull'effetto sorpresa: troppo in entrambi i sensi, positivo e negativo.
Una settimana d'inferno, un'altra in purgatorio e poi, come Dio onnipotente, ho visto, nel progetto compiuto, il mio paradiso. E con ciò, soddisfo il mio bisogno di teatralità e inneggiamento religioso alle mie gesta del tutto gratuito e immotivato.
Ho dovuto lottare, tuttavia, per far valere un mio diritto, e questo è un fatto. A quanto pare, è stato visto anche di cattivo occhio da qualcuno - come se, invece, avessi voluto scavalcare alcuni e sfavorire altri. E invece, invece, ho solo cercato di essere trattato alla stregua di chi ci era già passato, ma con più tranquillità.
Mi è stato parlato di merito e io stesso, ad una certa, l'ho messa sotto questo aspetto. Oggi, che è tutto finito, la vedo sotto un'ottica un po' diversa e, come per molti altri aspetti, non la voglio più mettere sotto la luce della giusta moneta. Non solo, almeno. Perché è vero che un mondo ideale si baserebbe sulla meritocrazia, ma non ci sarebbe nemmeno l'arrivismo, in tale mondo ipotetico.
Quando tutto è finito, ho potuto constatare quanto critico sia e sia stato nei miei confronti, ma anche quanto egoista volessi e avrei voluto essere, al contempo: non solo ho pensato di non meritare tanti ostacoli, ma ho anche avuto la pretesa di pensare che, di tutti quelli che potessero essere nelle mie condizioni, io, proprio io, non avrei dovuto esserci. E questa non è affatto una bella cosa da pensare: chi è, invece, che merita le difficoltà? Magari, chi le genera agli altri, soprattutto per il solo gusto di farlo.
Per anni ho pensato, in viaggio su emotive montagne russe, di dovermi meritare il bene e dover fare in modo di non meritare il male. Come se poi le proprie azioni fossero la sovversione dell'eterno coin flip, che è il fato. E quando ho iniziato a coltivare il pensiero opposto, cioè che il caso è caso e bisogna cercare solo di averla vinta contro la stocastica, ho dato più di quanto dessi prima. Via agli alibi, niente più spazio a scuse e bias che fomentano l'immobilismo e le solite lamentele vuote. E così come l'ho detto a me stesso, l'ho detto agli altri. A volte apprezzato, a volte ignorato, altre disprezzato. D'altronde, bisogna saper accettare anche questo, specie quando i consigli sono non richiesti.
A chi dice che io non libero facilmente le mie emozioni: sento il perenne bisogno di tenerle a bada, talvolta così strette al guinzaglio da farle svenire o almeno stordirle. E poi, quando non ne temo più l'effetto, le lascio andare: se hanno ancora la forza di esprimersi, lo fanno liberamente. Altrimenti, se è troppo tardi, dalle loro ceneri nascono nuovi germogli, con la probabilità evoluzionistica di aver imparato qualcosa, oppure no, da quanto accaduto.
Ed ecco che, quando Davide ha battuto Golia, quando la voglia di non arrendersi è stata più forte della paura, ho sentito la bontà di tale soppressione: se mi fossi fatto prendere costantemente dalla rabbia, dal terrore, dalla delusione e dallo sconforto, oggi starei scrivendo parole completamente diverse.
Quello che ho detto in precedenza, purtroppo, resta: non riesco a cancellare le brutte emozioni che sono intercorse da fine settembre metà ottobre, nonostante la soddisfazione e la gioia, immense, vissute a valle di quella che è stata a tutti gli effetti un'avventura. Non riesco a scrollarmi completamente di dosso l'idea di non aver dato il massimo, di essere stato frettoloso e di aver raffazzonato, sotto molti aspetti, un lavoro che non solo doveva essere cruciale per il mio futuro, ma che mi è sempre piaciuto e che ho scelto con amore.
Eppure, l'applauso scrosciante e la platea di amici davanti a me, ad aspettarmi, è stato sorprendente. Infatti, la prima cosa che ho pensato è stata questa: è troppo, troppo per me.
I complimenti di tutti mi hanno inorgoglito, certamente, ma ho sentito come se fossero quasi d'obbligo: impossibile non farli, impossibile non pensarli, ma non per questo ponderati. Ci si complimenterebbe mai con un adulto normodotato di aver scritto il proprio nome con una penna? Eppure, la prima volta che un bambino scrive il suo nome su carta, con una grafia discutibile e con eventuali errori di ortografia, tutti gli applaudono e gioiscono - con lui e per lui.
Ecco, è qui che vivo il mio dualismo: dire che questo è troppo è al contempo un atto di umiltà, se si guarda l'aspetto banale, quello relativo al non meritare questo gesto in valore assoluto, e uno di superbia, se si ascolta la mia ammissione di colpa, cioè di non aver dato il massimo.
Concludo questo lungo, noioso, forse troppo mesto monologo: ho ringraziato più o meno tutti quelli che mi sono stati accanto in questi anni, dimenticando certamente qualcuno, e ho sentito che non fosse abbastanza.
Credo, a questo punto, di dovermi rendere grazie anche da solo e godermi i traguardi, anziché pensare a cosa è andato storto e cosa poteva andare meglio.
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neroegiallo · 1 year
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Emozioni e Affari di Stato
Esercizi di Journaling "Racconta la storia di una volta che hai provato qualcosa di nuovo"
Mi viene in mente la prima volta che ho provato l’LSD.
Io e Giuseppe, il mio migliore amico dell’epoca avevamo deciso di fare un pomeriggio acido, e per me sarebbe stata la prima volta.
Un paio di giorni prima è venuto da me, dicendomi che non se ne sarebbe fatto nulla; all’inizio non voleva dirmi il perché ma io ho insistito talmente tanto fino a che non ha svuotato il sacco.
In pratica, un trio di nostri amici che avevano saputo di questa prossima esperienza, avevano deciso che ci avrebbero raggiunto, con l’obbiettivo di farmi stare male. AVEVANO DECISO. DI FARMI. PRENDERE MALE. Così, per ridere, per scherzo. Seri? Sì.
A quel punto ho dovuto riconsiderare la parola “amico”. Quale cazzo di amico farebbe una cosa del genere? Dopo un primo istante di delusione misto a incazzo, di lacrime e sbraiti, ho impugnato la situazione e deciso che non mi sarei fatta fregare. “Giuseppe, io mi prendo ‘sto cartone e quelli, se mi fanno qualcosa, prendono schiaffi. Fine".
E’ andata così. Ci hanno raggiunto. Hanno provato a farmi prendere male. Ho reagito male. Hanno quasi preso gli schiaffi. Hanno riso lo stesso. Io pure. Tutti felici.
In che razza di mondo sono cresciuta? In che razza di modo?
Sono cresciuta in un mondo in cui, anche se vuoi farti come un copertone, devi tenere le antenne belle dritte. Belle dritte anche in direzione delle persone che reputi tue amiche. Non puoi abbassare la guardia, non puoi certo lasciarti andare. Sono cresciuta in perenne stato d’allerta. Crescere in periferia a Milano è stato come crescere nella giungla.
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stellastjamessongs · 2 years
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A (not so) Christmas Carol
Sorrise di sollievo alla vista della valigia quasi ultimata e non poté che ringraziare per l'ennesima volta Lizzie che si era proposta di aiutarla e di farle compagnia. Non era decisamente incline al proprio carattere ritrovarsi a doverlo fare così tardivamente, ma, a sua discolpa, non era in quel modo che si era aspettata di vivere il mese conclusivo di quel lunghissimo anno. Solitamente quei giorni tra il Natale e il Capodanno erano anche un'occasione per fare una sorta di “revisione” delle cose accadute e i “buoni propositi” per quello successivo; ma dubitava che avrebbe prestato fede a quella tradizione e tanto meno che vi avrebbe dedicato una pagina della propria agenda. Scosse il capo per l'ennesima volta al pensiero. “Credo che ci siamo guadagnate una bella cioccolata calda,” disse all'amica con un sorriso, facendole cenno di seguirla al piano inferiore. Lizzie assentì con un sorriso goloso per poi inclinare il viso di un lato: “Con la panna sopra?” le domandò come se la risposta le fosse vitale. Stella emise uno sbuffo ironico: “Naturalmente,” replicò, “potrei quasi offendermi” aggiunse con finta serietà. Pooka, che naturalmente aveva cercato di “contribuire” a quel “gioco” portando loro i propri giocattoli o i vestiti che rubava dal cesto della lavanderia, le superò rapidamente e corse al piano inferiore con la coda in perenne agitazione.
“Allora, come ti senti Stellina?” le domandò l'amica e lo sguardo cangiante tra l'azzurro e il verde le rivolse uno sguardo profondo e analitico che probabilmente avrebbe destato l'invidia del padre chirurgo e del gemello specializzando in pediatria. Aveva persino abbassato la tazza di cioccolata, dopo essersi gustata la panna ornamentale e averne sorseggiato una prima dose. Solitamente cercava di evitare la domanda diretta, onde non sentirsi costretta a mentire, ma se con le altre persone le riusciva abbastanza semplice, ben diverso era con lei e con i genitori. In quei casi, seppur cercasse sempre di mantenere un certo contegno in pubblico, si sentiva “libera” di poter rispondere di non sentirsi affatto bene. Sospirò e si strofinò la nuca, quasi a spronarsi a rispondere: “Va un po' meglio ogni giorno che passa,” rispose in un sussurro. Lasciò che l'amica le cingesse la mano in un gesto di conforto e di comprensione. “Scommetto che non hai molta voglia di partire, vero?” soggiunse dolcemente. “No, infatti,” ammise serenamente, ma riuscì comunque a improvvisare un sorriso scherzoso: “Ma questo è uno dei pochi punti su cui i miei genitori sono intransigenti e concordi: devo partire e staccare la spina da tutto e da tutti”, ripeté testualmente. Glielo avevano ripetuto anche il giorno precedente quando avevano trascorso insieme il pranzo di Santo Stefano, poco prima che la gattina di sua madre assalisse l'albero di Natale e Pooka iniziasse a rincorrere le palline cadute nel soggiorno. “Hanno ragione,” annuì l'amica, carezzandole il palmo della mano, “riusciremo a farti distrarre e quando tornerai a casa, ti sentirai più in forze per cominciare al meglio il nuovo anno”. Sapeva che avevano tutti ragione nell'insistere su quel punto e non aveva dubbi che sarebbe stato divertente trascorrere del tempo tutti insieme, condividere delle attività come le passeggiate, la preparazione dei pasti o anche semplicemente il godere dell'atmosfera innevata e quieta rispetto al caos della città. Non era ciò a spaventarla, quanto i momenti di stasi, quando faticava ad addormentarsi e tutto sembrava immobile e silenzioso, rendendo ancora più pulsante quel malessere che le si era annidato nel cuore. In verità aveva una radice profonda, ma a ogni delusione sembrava riemergere la stessa ferita, ingigantita e infetta, come se quei momenti di felicità, tra una relazione e l'altra, divenissero nuovo ossigeno per quel fuoco che la bruciava dentro. Quella sete insoddisfatta di amore che le ardeva la gola e la dava l'impressione di soffocare. Senza far rumore, ma consumandosi sempre più e perdendo sempre più l'energia e lo slancio per ricominciare. E, talvolta, credeva di aver perso persino il desiderio di provarci.
“Ma tu non ne sei convinta, vero?” fu la voce di Lizzie a riportarla alla realtà. Non l'aveva forzata a esternare quei pensieri, ma sembrò intuirli con la tipica perspicacia e sicurezza. La risposta le fu risparmiata dal rumoroso ingresso di Pooka che aveva abbandonato la pallina che gli aveva lanciato poco prima. Aggrottò le sopracciglia nel riconoscere il lembo di stoffa che gli pendeva dalla bocca e che evidentemente aveva sottratto dalla propria camera. Circumnavigò il tavolo e si sollevò sulle zampette posteriori, così da appoggiare le anteriori al suo grembo. “Leave it,” lo istruì come di consueto e le lasciò la sciarpa che Stella si affrettò a piegare, per poi sollevare lo sguardo sull'amica, cercando di recuperare la conversazione lasciata in sospeso. “Non molto a essere onesta, ma so che lo dite per il mio bene e...” “Non è tua quella sciarpa,” commentò Lizzie a bruciapelo. Il viso di porcellana dai lineamenti delicati sembrò accigliarsi nello sforzo di mettere a fuoco qualche riflessione. Aveva corrugato le sopracciglia e, dopo un lungo istante, schiuso le labbra e boccheggiato. “Per tutti i folletti!” esclamò incredula, tornando a guardarla e sgranando gli occhioni. “Tu non sei triste per Patetico Douglas!” commentò  in tono piuttosto sicuro della propria elucubrazione. “Certo, è stato brutto scoprire quello che ti ha fatto... ma non è solo per lui che stai tanto male” continuò a ragionare a voce alta, per poi portarsi una mano alle labbra quasi incredula. “Come ho fatto a non capirlo subito?!” sembrò rimproverarsi. “Che tonna che sono stata!” aggiunse a mo' di rimprovero.
Stella, che aveva trattenuto il fiato negli ultimi istanti ed era visibilmente impallidita, si mordicchiò il labbro inferiore e si sollevò in piedi con la scusa di sciacquare la propria tazza. Lasciò la sciarpa sul tavolo e si appoggiò con le mani aperte sulla superficie del lavello, gettando uno sguardo al giardino sul retro. Da quella stessa posizione fino a pochi giorni prima, le era stato possibile scorgere la sagoma del ragazzo mentre si concedeva una sigaretta dopo pranzo o dopo cena, mentre il cucciolo correva e scorrazzava lì attorno, per poi cercare qualche ramoscello o pigna da portargli per riceverne i complimenti. “Scusami Stellina,” mormorò l'attimo dopo. “Se non vuoi parlarne...” “E' così,” sussurrò per risposta e con voce tremante, sentendo il cuore in gola. Era stata sollevata, in un certo senso, che la scoperta degli avvenimenti tra Patrick e Tiffany e la diretta con cui quest'ultima aveva dato ai social la propria “versione” del fatto, avessero messo in ombra la partenza del giovane. A parte Quinn e la fotografia che le aveva linkato del suo ritorno a L.A., neppure sua madre sembrava aver più pensato all'affascinante accompagnatore del ricevimento. “Hai ancora il suo numero, vero?” le domandò l'amica. “Se ti manca così tanto, dovresti dirglielo... e non è una brutta notizia, anzi!” sembrò ritrovare l'entusiasmo e la tipica verve. “Non ho avuto modo di dirtelo prima, ma quel giorno, quando sei scesa dagli scalini e lui ti ha aspettato,” prese a descrivere la scena con sguardo sognante, come stesse accarezzando i fotogrammi del suo film preferito o le parole del suo libro del cuore, “era come vedere una favola!” esalò con un sospiro. “Significa che abbiamo finto meglio del previsto,” fu il laconico commento di Stella con un sorriso amaro a incresparne le labbra mentre, lentamente, si volgeva in direzione dell'amica, con lo sguardo lucido. “Ma tu non stavi fingendo,” mormorò Lizzie in risposta, inclinando il viso di un lato, improvvisamente smarrito l'entusiasmo e con un velo di mestizia. Stella prese un profondo respiro prima di prendere la risoluzione di pronunciare le successive parole: “Non volevo che ripartisse,” confessò con voce rauca, cercando di trattenere le lacrime che già pungevano il bordo degli occhi. Seppur si fosse detta che fosse la cosa più saggia tenere per sé quella verità, vi era qualcosa di liberatorio nel lasciare che almeno una persona condividesse quel fardello. “Gli avevo chiesto di restare qualche giorno in più perché pensavo, non so...” si mordicchiò il labbro, ammonendosi tuttavia a non tradire il segreto che non le apparteneva, “che avremmo potuto conoscerci meglio”. “Ma lui è partito,” concluse Lizzie per lei, la sua stessa voce smorzata come se riuscisse realmente a  sentire una parte del suo dolore. “Oh, Stellina, ma perché non me l'hai detto subito?” la rimproverò dolcemente e si sollevò rapidamente dalla sedia, coprì le distanze e l'avvolse nel proprio abbraccio, lasciando che si appoggiasse alla sua spalla per trovare conforto e calore. “Perché alla fine la colpa è sempre e solo mia,” mormorò con voce tremula, “ho un pulsante di auto-distruzione o sono semplicemente masochista e finisco sempre con l'affezionarmi a chi non vuole impegni o almeno non con me...” aggiunse amaramente. Al verso interrogativo della biondina, annuì con vigore, raccontando della fotografia.
Lizzie la scostò gentilmente da sé e le asciugò il viso per poi appoggiarle le mani sulle spalle: “Ascoltami, Stellina,” la esortò. “So che finora il tuo libro di favole, diciamolo, somiglia a una tragedia degna di Titanic o del primo album di Adele,” esordì in tono così schietto e sincero che Stella riuscì a riderne, malgrado le lacrime in eccesso, “ma non hai ancora finito di comporre la tua favola, d'accordo? Hai solo baciato un po' più di rospi di quelli che avresti voluto, ma questo non significa che il tuo Principe o Pirata non sia già in viaggio per cercarti, d'accordo?” Stella aveva sospirato, prima di incontrarne lo sguardo: “So che lo pensi davvero,” esordì e Lizzie scosse il capo prima che potesse continuare la frase. “E' così, Stella” disse con fermezza. “Ma se ti arrendi, renderai tutto vano e oltre a te, ci sarà un Principe o Pirata che passerà la vita nel reame o nel mare sbagliato o si arrenderà e morirà solo, circondato da cavalli o da coccodrilli depressi,” concluse la metafora con sguardo pensieroso, prima di tornare a osservarla. “Hai bisogno di un po' di tempo per rimetterti in forze, ma non prendere decisioni sull'amore fino a quel momento, promesso?” Stella si era mordicchiata il labbro per risposta. “Promesso?” la incalzò l'amica nuovamente. “Non prenderò decisioni definitive,” le concesse e Lizzie sembrò abbastanza soddisfatta. Ma fu il suo turno di guardarla intensamente. “Sono contenta di avertene parlato... ma devo chiederti un grande favore,” aggiunse e si mordicchiò il labbro inferiore. “Quello che vuoi,” promise l'amica con un sorriso incoraggiante. “Non ti chiederò di mentire per me,” precisò Stella, ben conoscendone e rispettandone l'indole sincera. “Ma vorrei evitare che gli altri lo scoprissero, soprattutto Quinn e Luke” le disse intensamente. Lizzie non sembrò né sorpresa né scandalizzata. “No, certo che no,” convenne. “Ma non ti darà fastidio se parleranno di lui o ti mostreranno altre sue foto?” indagò con espressione preoccupata. Stella sospirò e si strinse nelle spalle. “Immagino che dovrò farci l'abitudine, fin quando il suo nome o la sua faccia non mi creeranno più disagio,” convenne. “Allora quando e se qualcuno lo nominasse, cercherò di sviare il discorso,” promise l'amica che la trasse nuovamente a sé in un lungo abbraccio. “So che adesso non ci credi, ma avrai anche tu la tua favola a lieto fine, promesso” sussurrò al suo orecchio.
Quella sera, prima di coricarsi, si premunì di ripiegare la sciarpa e di insinuarla in una tasca esterna della valigia. Doveva solo trovare il modo di consegnarla a Luke in modo del tutto casuale, magari approfittando di un'occasione in cui stesse raccogliendo idee per la sua ispirazione, così che non le prestasse completamente attenzione. Anche quella sera faticò a prendere sonno, ma ripensando alla giornata trascorsa, non poté che sorridere al ricordo delle parole di Lizzie. Ne aveva sempre ammirato la saggezza che si celava dietro un modo di parlare e delle metafore apparentemente puerili. Ma in quel momento, convenne, avrebbe voluto avere anche solo una parte della sua cieca fiducia nell'amore e nel “lieto fine”.
“Che ci faccio qui?” si domandò confusa, guardandosi attorno. Sembrava che tra quei corridoi il tempo non fosse mai passato: seppur in quel momento fossero deserti, poteva quasi sentire il pullulare di studenti che commentavano ad alta voce i compiti della settimana, la lezione appena finita o le preoccupazioni inerenti al tempo libero o alle proprie relazioni. “Bella domanda,” asserì una voce alle sue spalle e Stella trasalì e si volse con gli occhi sbarrati. L'aveva riconosciuta, ma una parte di sé non voleva credere che si trattasse proprio di... “Oh no!” esclamò infatti con espressione insieme schifata e sgomenta. “Tu no!” Il viso del ragazzo tradì un moto di fastidio e strinse gli occhi in due fessure prima di incrociare le braccia e rivolgerle uno sguardo quasi di biasimo. “Non prendertela con me, St. James,” le disse stizzito. “Domandati piuttosto perché il tuo inconscio abbia scelto me” le suggerì con un sorriso piuttosto compiaciuto. “Preferirei no,” commentò per risposta. “Credo di torturarmi già abbastanza da sveglia... quindi sto sognando” convenne, guardandosi nuovamente attorno per poi sgranare gli occhi timorosa. “Come faccio a svegliarmi?!” gli domandò in tono urgente. Shawn sorrise quasi divertito. “Paura?” “Certo che ho paura!” ribatté aspramente. “La mia vita professionale è sull'orlo di un baratro, quella privata un suicidio assistito... penso di non aver bisogno che ci si metta anche il mio inconscio!” si sentì dire con voce sempre più stridula. Il ragazzo si portò una mano all'orecchio e assunse un'espressione teatralmente dolorante. “Non dipende da me,” si affrettò a dirle e sollevò le mani. “Sono solo qui per suggerirti di entrare in auditorium”. Non ne attese risposta e camminò in quella direzione, incurante della giovane che sembrò ancora più sgomenta all'idea di essere lasciata sola. “Non puoi lasciarmi qui da sola!” ribatté e, suo malgrado, ne seguì i passi. Le scoccò uno sguardo insieme compiaciuto e allusivo. “Allora non sono poi così male,” ammiccò impunemente e Stella sollevò gli occhi al cielo e lo spintonò di lato. “Hey! Non prendertela con me: te l'ho detto che sono una proiezione del tuo inconscio!” “Il mio inconscio dovrebbe sapere che avrei preferito qualcuno di più britannico e che non sembrasse un perenne adolescente,” lo rimbeccò, prima di entrare in auditorium, senza curarsi della sua replica sdegnata. “Se fossi realmente lui, potrei dirti che oltre 70 milioni di follower gradiscono questa faccia da adolescente”
Sgranò gli occhi alla vista del palcoscenico: rivide se stessa con il costume di scena nell'atto finale dello spettacolo. Il giovane di fronte a lei, avvenente nei panni del co-protagonista, si chinò su di lei per quel bacio di scena. Il suo primo bacio. La sala si era riempita di scroscianti applausi e del cicalare entusiastico degli spettatori. Il sipario era calato sulla scena e, celati dal resto dei presenti, il ragazzo si era scostato quasi bruscamente e frettolosamente da lei. Le labbra che erano increspate di un sorriso avevano tremato e, con sguardo ferito, aveva seguito la figura che, una volta riaperto il sipario, si avvicinava al pubblico per riceverne il plauso. “Adam,” mormorò la Stella adulta con un sospiro. “Decisamente non un cavaliere,” convenne Shawn con uno scuotimento del capo, battendo a sua volta le mani, sotto il suo sguardo stranito.
La scena si dissolse sotto ai suoi occhi e si ritrovò nel soggiorno di una casa ben familiare. “E così questa è casa St. James,” commentò Shawn, guardandosi attorno e cercando di sbirciare lo spartito che il padre aveva lasciato sul pianoforte. Stella lo ignorò perché, con il cuore in gola, stava rimirando il giovane alla porta che si stava rivolgendo a un proprio alter-ego di qualche anno successivo. “Possiamo parlare?” le aveva chiesto Jacob. “No,” si era intromessa la madre con fare perentorio, avendo evidentemente scorto qualcosa nello sguardo o nel tono del giovane. Si era sforzata di sorridere educatamente. “Non credo che sia opportuno, Jacob: sai che la scuola viene prima di tutto”. “Per favore, mamma!” aveva insistito il suo alter ego, prendendole la manica del vestito. Rachel l'aveva tratta da parte e, alla sua insistenza, le aveva carezzato il volto con espressione evidentemente preoccupata. “Cerca... cerca di fare attenzione, ok?” si era raccomandata, parlando con un filo di voce, per poi rivolgere uno sguardo perentorio e grave al giovane. “Cinque minuti” aveva concesso, lasciando loro spazio ma salendo al piano superiore. “Tua madre è minuta quanto inquietante”, aveva commentato Shawn. “Voleva solo proteggermi,” replicò Stella con voce flebile. “Aveva già capito”. Shawn annuì ma dovette convenire che fosse sufficiente così perché schioccò le dita e, sotto lo sguardo incredulo di Stella, la scena mutò per la terza volta.
“Sto rielaborando A Christmas Carol in versione tragi-romantica?” domandò Stella, alludendo al film natalizio che avevano guardato in famiglia in occasione dell'ultimo Natale. “Il tuo inconscio è molto poetico e piuttosto masochista,” replicò con leggerezza e le fece cenno alla scena successiva. Stella si morse il labbro e contemplò la se stessa di appena quattro mesi prima: lo sguardo raggiante, il sorriso spensierato sulle labbra e l'anello di fidanzamento al dito, mentre Patrick di fronte a lei sembrava aver inghiottito qualcosa di estremamente amaro. La versione inconsapevole di Stella stava continuando a sciorinare dettagli su dettagli dell'organizzazione del matrimonio, mentre il fidanzato sembrava farsi sempre più livido. Sembrò infine implodere perché le intimò di smetterla in tono un po' troppo aspro e la se stessa del passato era impallidita visibilmente, gli occhi sgranati e le labbra tremanti, confusa quanto ferita. “Non c'è bisogno di rivedere la scena,” commentò in tono quasi stanco. “Grazie al cielo!” sospirò Shawn in tono quasi grato e schioccò nuovamente le dita.
L'aveva presagito e non di meno temuto: l'ultima scena non poteva che riguardare la notte del 19 Dicembre, mentre, con ancora addosso l'abito rosso, si rivolgeva al giovane, fermandolo con la voce prima che si chiudesse nella propria stanza. Questa volta non chiese a Shawn di interrompersi ma si prese un istante ulteriore per studiare il volto di Darren  in quel primo istante di evidente stupore e quell'attimo di silenzio e sospensione nel quale riuscì a elaborare quella risposta “politicamente corretta”. Era evidente che non fosse lucida in quel momento, o avrebbe facilmente intuito che era stata la replica più gentile e umanitaria, per evitarle un'altra sofferenza in quella stessa e lunga giornata. “Che povera illusa” mormorò tra sé e sé, osservandolo chiudersi la porta alle spalle. Il proprio alter ego, con aria quasi sognante e il cuore in gola, era entrata nella propria camera. Si era volta al giovane con le sopracciglia aggrottate e le mani sui fianchi, cercando di trattenere il singulto che sentiva in gola. “Quindi?” gli domandò in tono stizzito. “Avanti, sentiamo cosa devi dirmi e facciamola finita, a meno che non vogliamo passare alle parodie ispirate alle serie tv o alle canzoni” “Quattro ragazzi molto diversi tra loro, fisicamente e caratterialmente” replicò Shawn in tono composto e serio, girandole attorno, con la mano sul mento. “In evidenza non ci sono caratteristiche comuni tra di loro neppure caratterialmente... non si può dire che tu abbia uno stereotipo che ti intestardisci a scegliere. Ma ciononostante...” lasciò la frase in sospeso fin quando lo sguardo castano non lo guardò attentamente. “... in tutte e quattro le situazioni si è verificato lo stesso meccanismo”. Stella sorrise amaramente e annuì senza bisogno di riflettervi sopra. “Nessuno dei quattro mi ha scelta in partenza,” pronunciò in tono stanco ma estremamente lucido. “Adam è entrato in contatto con me per lo spettacolo, Jacon e Patrick perché in realtà puntavano a Tiffany e Darren è stato ingaggiato dalla sottoscritta”. “Bingo!” la lodò Shawn. “E...?” la incoraggiò a continuare. “Nessuno dei quattro ha scelto di rimanere per me” concluse Stella che dovette volgergli le spalle per nascondere le lacrime che le avevano riempito nuovamente gli occhi. “Tutto quello che ho sempre sperato, sembra impossibile”. Si era imposta di calmarsi e di contenere quell'angoscia, prima di riuscire a volgersi in sua direzione con lo sguardo stizzito. “Spero che tu adesso sia soddisfatto e...” lasciò la frase in sospeso e sbatté le palpebre.
Il giovane era svanito e così i contorni della propria stanza: la brezza le sfiorò il volto in una carezza calda e rassicurante e contemplò quel gazebo familiare verso cui si mosse, quasi sospinta da una melodia che sembrava risuonare nell'aria stessa. Un motivo dolce e malinconico che sembrava sgorgare dal suo stesso cuore e dal suo dolore, traducendosi in una melodia sconosciuta, ma misteriosamente familiare. Salì i gradini ma non percepì alcuna presenza corporea alle sue spalle. Abbassò lo sguardo e inarcò le sopracciglia alla vista di un quaderno. Si chinò per raccoglierlo e lo aprì, sfogliando dalle pagine bianche e pentagrammate. “What I hope... would... be... impossible...” si sentì cantare a ritmo con quella melodia che continuò, fin quando un suono ben più perforante e acuto non spezzò quella bolla. Sbatté le palpebre e si sollevò con il torso al suono insistente della sveglia che disattivò con un gesto automatico della mano. Sgusciò dal letto, tastandosi il volto a rimuovere le lacrime che erano uscite durante le immagini del sonno. Rimase a lungo seduta con lo sguardo perso in un punto indefinito, prima di schiudere le labbra e concentrarsi. Provò a imitare con la voce il ritmo della melodia che aveva udito in sogno e a ripetere quella frase che sembrava racchiudere in sé anni e anni di sofferenze e riflessioni. Aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un quaderno che poi insinuò nella valigia: era pronta alla partenza.
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ciucciospritz · 2 years
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Sono a conoscenza di una telefonata avvenuta tra un mio amico e una mia amica, più di un anno fa, in cui parlarono di me dicendo che se fossi uscita dall’Italia sarei diventata senz’altro una persona famosissima. La mia compagna di banco mi disse che una volta che mi conosci, è impossibile dimenticarsi di me. Sono la voce perenne nell’orecchio di tutti, sono sulla loro bocca e sono la persona di cui si chiederebbe sicuramente ‘’Ma che fine ha fatto...?’’ qualora sparissi. Di una cosa sono sempre stata sicura: malgrado la natura schiva, improntata allo sproloquio, a una clamorosa magniloquenza psichica quanto a un’altrettanta irritante apparente indolenza, quella natura non era sicuramente la stessa dei deboli e degli inconcludenti, né di quei timidi che se ne stanno invisibili lontani dal mondo e dal resto. Dissero: ‘’Tu sei la persona più socievole che io conosca’’. Cosa purtroppo vera. Mi son sentita sempre come un sole in putrefazione che si riversa verso gli altri. Un afflato caloroso, un’improvvisa illuminazione per chi si approcciava a uno stile di vita come il mio totalmente privo di inganni, di impegni, di obiezioni, di giudizio. Ma che, non appena ti giri un secondo, si dimostra nella sua natura più glaciale, mentre la delusione nei loro occhi assumeva forme losche, tristi. 
C’era in me qualcosa di inquietante. Anche questo dicevano. C’era qualcosa di sinistro in questo riversarsi per poi irrigidirsi, in questo conservatorismo che impediva alle loro menti così aperte, moderne e travolgenti, di trovare in me l’ascoltatore premuroso, il terapeuta gentile, l’amico generoso. La mia natura non mi permette di donare un bel niente. Li vedevo cadere uno a uno, stracciati dalle mie ostinate convinzioni, dalla mia ottusità, dalla mia chiusura mentale. Quella che gli pareva un’affabile e amichevole stretta di mano, si tramutava dopo poco-e ho sempre nel cuore il peso della loro evidente afflizione davanti alla metamorfosi-in un moralismo dei più intransigenti. Quelle che sembravano affettuose domande di curiosità si piegavano sempre in un inadempiuto interesse che agiva in me come spinta di profitto. Non odiavo mai nessuno, ma pensavo sempre che non mi servissero. Dopo un po’ che mi approcciavo, mi chiedevo quanto il soggetto dell’approccio mi fosse utile, quale vantaggio potessi trarne, in un quale pezzo del puzzle della mia scacchiera poteva incastrarsi. 
La mia psicologa mi domandò: ‘’Tu vuoi un interlocutore o un pubblico?’’. Preferii dirle che non sapevo, perché io tutt’ora non so cosa sia questo sole putrefatto. Non so cosa sia e perché compaia poi quest’attitudine glaciale che, già nel mentre accarezza, dall’altro lato pugnala. La mia è una solitudine senza solitudine: io mi calo nelle cose da cui mi traggo e ne faccio un monumento. Non ho bisogno della gente che non mi dimentica perché quella è gente di facili entusiasmi, crederebbe speciale anche un sasso se solo si dimostrasse pur per poco interessato a loro. Non ho bisogno di essere indimenticabile perché per ottenere ciò che voglio mi serve essere mediocre. Solo la mediocrità riesce fino in fondo nel mio piano. Eppure non la ho. La cerco e non mi viene consegnata.
Ho conosciuto una persona sola che mi trattasse da mediocre quale essere volevo. Che non mi desse tutta quell’importanza, che non mi soffocasse con quel voler sempre chiedere di me, di me, di me, per sapere poi chissà cosa, per vedere poi con chissà quali occhi. I miei occhi e i vostri non sono diversi. Le cose che immagino stanno nei libri che avete letto anche voi. Allora cosa volete da me? Cosa vi aspettate? Madama non si aspettava niente. Sapeva che tutto è irresistibilmente uguale e intercambiabile a qualsiasi altra cosa. In quella mediocrità io mi rifugiavo. Mi rifugiavo.
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my-liminalspace · 7 months
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A tutto c'è un limite e quando lo raggiungi, ti armi di coraggio e ricominci a rivivere.🦋
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questaelamiavita · 2 years
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DESIDERATA
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Procedi con calma tra il frastuono e la fretta e ricorda quale pace possa esservi nel silenzio.
Per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in buoni rapporti con tutti. Esponi la tua opinione con tranquilla chiarezza e ascolta gli altri: pur se noiosi ed incolti, hanno anch’essi una loro storia.
Evita le persone volgari e prepotenti: costituiscono un tormento per lo spirito. Se insisti nel confrontarti con gli altri rischi di diventare borioso ed amaro, perché sempre esisteranno individui migliori e peggiori di te.
Godi dei tuoi successi e anche dei tuoi progetti. Mantieni interesse per la tua professione, per quanto umile: essa costituisce un vero patrimonio nella mutevole fortuna del tempo. Usa prudenza nei tuoi affari, perché il mondo è pieno d’inganno. Ma questo non ti renda cieco a quanto vi è di virtù: molti sono coloro che perseguono alti ideali e dovunque la vita è colma di eroismo.
Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti. Non ostentare cinismo verso l’amore, perché, pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità, esso resta perenne come il sempreverde.
Accetta docile la saggezza dell’età, lasciando con serenità le cose della giovinezza. Coltiva la forza d’animo, per difenderti nelle calamità improvvise. Ma non tormentarti con delle fantasie: molte paure nascono da stanchezza e solitudine.
Al di là d’una sana disciplina, sii tollerante con te stesso. Tu sei figlio dell’universo non meno degli alberi e delle stelle, ed hai pieno diritto d’esistere. E, convinto o non convinto che tu ne sia, non v’è dubbio che l’universo si stia evolvendo a dovere.
Perciò sta in pace con Dio, qualunque sia il concetto che hai di Lui. E quali che siano i tuoi affanni e aspirazioni, nella chiassosa confusione dell’esistenza, mantieniti in pace col tuo spirito. Nonostante i suoi inganni, travagli e sogni infranti, questo è pur sempre un mondo meraviglioso. Sii prudente. Sforzati d’essere felice.
Manoscritto del 1692 trovato a Baltimora nell'antica Chiesa di San Paolo
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catastrofeanotherme · 2 years
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novemberr4in · 5 years
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La verità è che io non sono una stronza con il cuore in tasca.
Io sono una stronza con il cuore al posto giusto, e lo lascio nelle mani di chi vale qualcosa per me.
Io mi preoccupo per le persone delle quali mi importa, voi continuate pure a fregarvene.
Non è vero che "non è mai troppo tardi", a volte è realmente troppo tardi e questo non lo capirete mai.
Preoccupatevi delle persone che vi stanno accanto, non attorno,perché non è questione di farsi i fatti propri, è questione di interesse, e se fate finta di niente la verità è solo una;non ve ne importa una minchia.
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leonflashy · 2 years
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🌻
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corallorosso · 3 years
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Dopo un giorno di governo Draghi Salvini ha già stufato
Dopo lo spettacolo indecente offerto da ospite su La7, in cui ha criticato le scelte del governo di cui lui stesso fa parte, il senatore del Pd Dario Stefàno, presidente della Commissione Politiche dell'Ue ha attaccato Salvini. "Ennesimo show del leader della Lega in perenne campagna elettorale. Peccato che questa volta lo abbia fatto da esponente della maggioranza e in una piazza di servizio pubblico come il programma Mezz'ora in più. Salvini, come ha cercato di farti capire educatamente anche Lucia Annunziata, silenziati un attimo e lascia lavorare il governo. La tua delusione per non essere stato scelto in prima persona e aver visto preferire uomini del tuo partito che non sono espressione diretta delle tue idee, non può tradursi in un continuo sproloquio che metta a rischio l`importante lavoro che nei prossimi mesi ci attende", scrive su Facebook. "Maggioranza - prosegue Stefàno - vuol dire responsabilità. E tu non sei più tra le fila della comoda opposizione. Ripetilo a te stesso: 'Più si lavora e meno si parla, meglio è'. Parole tue: falle tue. Si chiama coerenza". globalist
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Oggi volevo aprirmi una volta per tutte, con voi. E volevo farlo sul mio blog. Grazie a chi leggerà la mia storia.
Martina
Mi chiamo Martina, ho sedici anni.
Nella vita il mio unico sogno è scrivere un libro, è l’unica cosa che probabilmente mi riuscirebbe bene fare. Forse un giorno lo farò, e se tu stai leggendo questo testo significa che sei una delle poche persone alla quale dedicherò il mio libro.
Uso questo momento per scrivere sotto una sinfonia di Beethoven, per lasciare libero sfogo ai miei pensieri.
Tu, che probabilmente sarai l’unica persona a me vicina che leggerà questo testo, forse ora riuscirai davvero a capire chi è Martina.
Mi chiamo Martina, ho sedici anni. Non sono mai stata la figlia che i miei genitori avrebbero voluto, mi hanno sempre etichettato come colei che gli disobbediva, tornava tardi la sera, gli rispondeva male. Sono sempre stata etichettata come una delusione, nonostante io mi impegnassi a portare a casa quei voti straordinari, ai quali loro non hanno mai dato importanza.
Fin da piccola, sono sempre stata derisa da tutti, specialmente per il mio aspetto fisico. All’asilo ero l’unica bambina che per non stare in classe si faceva i bisogni addosso per poi andare a girovagare con la bidella intorno alla scuola. Cinzia, la mia salvezza fin dall’asilo. Cinzia sapeva che Martina odiava stare in quella classe, a fare cose di cui non aveva interesse.
Ho imparato a leggere a casa, nel periodo dell’asilo, da sola. Alle elementari sapevo già leggere e quasi scrivere. Non mi è mai servito l’aiuto di nessuno. Sono sempre stata sola, fin dall’asilo.
Alle elementari probabilmente ero un pochino più felice, ma nemmeno troppo. C’erano già all’epoca quelle persone che mi prendevano in giro per il mio aspetto fisico, avevo dei salsicciotti al posto delle gambe e delle braccia, probabilmente mi vestivo anche male, ma non perdonerò mai queste persone. L’unica cosa che mi rincuorava anche se è brutto dirlo, come scoprirai, era la presenza di un mio compagno di classe, che aveva probabilmente qualche problema. Lui toccava le parti intime di quasi tutte noi ragazze, anche le mie, e allora lì mi sentivo più contenta, magari qualcuno, anche se in un modo schifoso, mi apprezzava.
Alle elementari ho incontrato uno spiraglio di luce, Marta. Marta è stata per me il motivo per cui vivevo, quasi ogni pomeriggio, oltre a scuola, stavamo insieme. E’ stata l’unica persona che per un periodo della mia vita conosceva tutto di me, Marta non mi ha mai giudicato. E questo per me è stata una liberazione, poiché già a quei tempi avevo paura del giudizio degli altri.
Marta purtroppo non fa più parte della mia vita, a causa di un mio errore, non l’ho calcolata per molto tempo, per pensare al mio fidanzatino dell’epoca, la capisco, ha fatto bene a lasciarmi da sola.
Il periodo delle medie è stato il periodo più brutto della mia vita.
Per i miei genitori ero una bambina strana, tornavo da scuola e mi chiudevo in camera fino al giorno dopo. Non si sono mai chiesti come stava Martina, hanno sempre pensato che fossi una ragazza antipatica, che ti aggrediva appena avresti osato dirle qualcosa.
In classe venivo ogni giorno derisa, venivo chiamata cicciona, obesa di merda, e chi più ne ha più ne metta. Quelle voci mi risuonavano in testa in ogni momento, ero diventata folle, folle e depressa. La sera mi addormentavo col desiderio di non risvegliarmi più, ma puntualmente la mattina mi svegliavo. Vedevo già tutto nero, mi vestivo, mi mettevo le cuffie e sentivo Nitro, Nitro e Mecna. Entravo in macchina sempre con le cuffie, senza ascoltare nessuno, scendevo a scuola e andavo a sedermi sulle scalette, stavo lì fin quando non suonava, dopodiché entravo in classe e le offese ricominciavano. Non ce la facevo più. Avrei voluto uccidermi istantaneamente, e quante volte ci ho provato. Passavo ore e ore sul balcone, provando a buttarmi, ma ogni volta ripensavo alla mia famiglia, quella che non mi ha mai amato.
Nonostante non mi abbia mai amato, non mi sono uccisa pensando a non dare un altro problema ai miei genitori. Io ero già abbastanza.
Oltre tutto, in quel periodo non avevamo i soldi, a volte non mangiavo. I miei genitori litigavano ogni giorno, non sono mai andati d’accordo. E quante volte io rimanevo fuori la porta sentendo le loro grida. Sentivo sia le grida nella mia testa che le loro, qualcosa di straziante.
Mi sentivo brutta, grassa. Molte volte prendevo le forbici, credendo di poterli tagliare quei rotoli di pancia che ho. Rompevo temperini per quella lametta che c’era dentro, per tagliarmi le braccia. Pensando che il dolore fisico avrebbe sovrastato quello psicologico, ma infondo non era così.
Una persona che, alle medie, mi ha aiutato in quel periodo è stato Luca. Luca mi diceva ogni giorno che ero bellissima, e non meritavo di stare così. Ma io e Luca eravamo uguali, ci sentivamo alla stessa maniera. Ci guardavamo negli occhi e vedevamo dolore su dolore negli occhi dell’altro. Un giorno uscii con Luca, provò a baciarmi ma mi discostai. Mi discostai poiché all’epoca avevo un altro fidanzatino di cui ero cotta, Nicolò. Nicolò non mi ha mai apprezzata, in classe nemmeno mi parlava, lui era amico di coloro che mi prendevano in giro, ma io ero pazza di lui. Nicolò in chat mi diceva tante belle cose, dal vivo non mi parlava. Insomma, Luca non l’ho baciato per colpa sua, e mi tengo questo rimorso ormai da anni. Luca non fa più parte della mia vita. Ma è stato l’unico a sapere del mio blog e io l’unica a sapere del suo.
Ci siamo rivisti una volta, di nascosto, quest’estate. Quando a me era di nuovo crollato il mondo addosso, questa volta per colpa di Matteo. Luca mi aveva fatto credere di volermi vedere per parlare e stare insieme, ma quello che poi voleva era scoparmi. Ci siamo baciati però, ma non era un momento magico come lo sarebbe stato alle medie. Non ci ho scopato, me ne sono andata. In quel momento, proprio in quel momento, ho smesso di credere nell’essere umano. Come può una persona che sa del tuo dolore, fare ciò?
Ora quando lo vedo per strada nemmeno ci salutiamo, abbassiamo la testa. Ma sappiamo entrambi come stiamo, forse non cambieremo mai, questo dolore ci sovrasterà sempre.
In questo testo non nominerò tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita, ma quelle che mi hanno reso quella che sono oggi.
Alle medie ho creato il mio blog, su tumblr, dove mi seguono circa mille persone. Pensa, mille anime che leggono i pensieri di Martina, qualcosa di straordinario per me. Quel blog non è diventato famoso, poiché molto spesso non scrivevo, avevo troppo dolore dentro. E tutt’ora l’ho lasciato un po’ andare.
Come ho raccontato, non sono mai stata una persona felice.
Quel periodo straziante però in parte l’ho superato, da sola, dopo molto tempo, dopo pianti ininterrotti, occhi gonfi, faccia viola. Sì, quando piango a volte non respiro, entro in apnea, a volte sento di svenire, ma poi riesce ad entrare di nuovo un po’ d’aria nei miei polmoni.
La depressione è un mostro bruttissimo. La depressione è qualcosa di straziante, ti porta a vedere tutto nero, ti porta ad ucciderti se non riesci a rialzarti.
Purtroppo o per fortuna io sono ancora qui. Ma dalla depressione non sono guarita del tutto. Rivivo, molto spesso, quel dolore che non andrà mai via da me.
Ho passato e passo una marea di brutti periodi. Spesso non mangio, non tocco cibo, arrivo a svenire, ma questo non lo sa mai nessuno. E ogni volta spero di non risvegliarmi più dopo essere svenuta. Ma invece non è così. Il dolore non passa vomitando o non mangiando, nemmeno svenendo. Le ho provate tutte, ma non sono mai riuscita a farla finita.
Il periodo del Liceo è stato il periodo in cui sono stata “meglio” poiché non piangevo tutti i giorni. Ho avuto i miei primi fidanzatini, Italo e Matteo, che mi hanno salvato, dopodiché mi hanno ributtato giù. Non sto qui a raccontare quanto sia stata male e ciò che mi abbiano fatto, forse ne parlerò nel mio libro. Dopo di loro sono diventata quello che sono ora: un verme.
Sono un verme, mi definisco così. L’essere umano mi ha deluso, e mi ha ucciso, ha ucciso tutti i bei sentimenti che provavo. Ora ciò che mi fa sentire libera è una scopata. Ma perché della mia scopata non ne parlo con nessuno? Poiché ho paura del giudizio degli altri, potrebbe uccidermi una volta per tutte.
Le ragioni per cui sono diventata un verme penso le avrai capite, ora non mi importa più degli altri, non mi importa più niente.
Ho scopato senza sentimento, sì, ma non mi sono sentita sporca, mi sono sentita bene. Bene perché forse è l’unica cosa che mi rimane da fare per avere dei momenti in cui non soffro.
Ogni giorno Martina invece di vivere, SOPRAVVIVE. Voglio farla finita ogni fottuto giorno, ma puntualmente non lo faccio mai, il motivo è sempre lo stesso.
Perché voglio farla finita? Perche mi sento fottutamente sbagliata, in un mondo di merda. Vivo con un perenne peso in petto, dentro ho un dolore straziante, ma fuori sorrido, mai nessuno è entrato dentro di me da capire come io veda il mondo. Vedo il mondo tutto nero, non ho un motivo per andare avanti. Sfogo questo dolore scrivendo, tirando cazzotti al muro, piangendo. Non so più che fare. Sono esasperata. Nessuno mi conosce, mi giudicherebbero tutti come un’autolesionista di merda se sapessero queste cose, come una che non sa quali sono i veri problemi della vita. Io invece penso di conoscerli. So cosa significa non avere nulla da mangiare, stare senza soldi, avere continue liti in casa, essere la delusione dei tuoi genitori, essere bullizzata, sfortunatamente conosco tutto ciò e anche qualcosa in più.
So, perché lo vivo ogni giorno, cosa significa sperare di non svegliarsi più, ma puntualmente ritrovarsi a vivere questa vita di merda. So cosa significa guardarsi allo specchio e odiarsi talmente tanto da scoppiare a piangere. Nessuno lo sa. Da fuori sembro la solita narcisista che si ama alla follia, che si fa le foto al culo credendosi bella. Forse sì. Bella molto spesso mi ci sento, ma poiché sopravvivendo ho imparato ad accettarmi, e a capire che sono così. Con quei chili in più, col culo grosso e le braccia cicciotte. Sono io, sono Martina.
Con questo testo non voglio sembrare una vittima, ma voglio far capire realmente perché oggi, sono quella che sono.
Sono lacerata dentro, e spero che un giorno tutto questo finirà.
Un giorno dissi a mia madre:”Mamma, voglio scrivere un libro.” Cosa mi rispose? Di stare zitta poiché sono una buona a nulla. La mia passione derisa a nulla, quanto dolore provai.
Non ho parlato della morte di mio nonno poiché sarebbe davvero straziante. Martina ha visto il suo corpo morto sul letto, senza versare nessuna lacrima. La mia anima, se ne avevo una, è andata via con lui. Il mio angelo.
L’unica persona che merita di essere ringraziata, tra tutti, è Simone. Non so se leggerai mai questo testo, ma sei l’unica persona che mi ha permesso, almeno per un attimo, di vedere uno spiraglio di luce in questo periodo. Questo spiraglio si chiama Simone. Meriti tutto il bene del mondo, che io in questo momento e in questo stato non sarò mai in grado di darti, ma spero che un giorno tu sarai felice. E magari vedendoti così, il mio male si attenuerà davvero. Poiché tu per qualche istante sei riuscito ad attenuarlo.
Questa è Martina, quella che nessuno conosce.
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littleultraviolence · 7 years
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Sono una delusione perenne
littleultraviolence
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